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  Scheda  
12 Ottobre 2023


Riforma “Cartabia” ed impugnazioni per i soli interessi civili: le Sezioni Unite sulla non immediata applicabilità dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p.

Sez. un. 21 settembre 2023 (ud. 25 maggio 2023), n. 38481, Pres. Cassano , Rel. Andreazza



1. L’impianto codicistico in materia di impugnazioni è stato oggetto di profonde innovazioni che il legislatore ha apportato prima con la l. 27 settembre 2021, n. 134, poi con il d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150: è stato introdotto l’istituto dell’improcedibilità dell’azione penale, è stata resa più pregnante la valutazione circa l’ammissibilità dell’impugnazione, è stato ampliato il novero delle sentenze inappellabili, nuove disposizioni hanno disciplinato l’istituto dell’assenza e la procura al difensore, è stato riconosciuto un maggiore spazio applicativo al concordato in appello ed è stato “normalizzato” il rito cartolare non partecipato, già sperimentato durante il periodo pandemico.

A queste modifiche si sono affiancate quelle che, mediante la riscrittura degli artt. 573, 578 e 578-bis c.p.p., e l’introduzione del nuovo art. 578-ter c.p.p., hanno ampliato le ipotesi di trasferimento del giudizio nella sede civile, essendosi ritenuta impropria la perdurante trattazione dell’impugnazione da parte del giudice penale tutte le volte in cui siano rimaste in discussione esclusivamente questioni di carattere civilistico[1].

Più in particolare, con la nuova previsione di cui all’art. 578, comma 1-bis, c.p.p. è stata disciplinata la sorte della domanda civile nel caso in cui l’azione penale divenga improcedibile a cagione del superamento dei termini previsti all’art. 344-bis c.p.p.: il giudice del controllo - Corte d’appello e Corte di cassazione - accertata l’ammissibilità dell’impugnazione[2], trasmette gli atti al giudice civile competente per valore in grado d’appello, davanti al quale il processo viene rinviato in prosecuzione, con automatica progressione in sede civile.

Non è stata modificata la norma che prevede l’obbligo del giudice penale di pronunciarsi sulle questioni civili, ai sensi dell’art. 578, comma 1, c.p.p., quando, per effetto dell’amnistia o del decorso dei termini di prescrizione, il reato si estingua durante la fase d’appello: la circostanza che queste ipotesi non siano state devolute al giudice civile può spiegarsi con la considerazione che, una volta a regime il sistema dell’improcedibilità, i reati commessi dopo l’1 gennaio 2020 non saranno suscettibili di prescriversi nella fase d’appello e, pertanto, potrà trovare ordinariamente applicazione – ricorrendone i presupposti - il comma 1-bis dell’art. 578 c.p.p.

Si è, altresì, innovativamente previsto che, quando la sentenza sia stata impugnata “per i soli interessi civili”, il giudizio venga trasferito in sede civile: il nuovo comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p., introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. a), n. 2) del d. lgs. n. 150 del 2022, stabilisce, infatti, che «Quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile»[3].

La soluzione individuata dal legislatore della riforma assicura alla parte civile una decisione sull’azione risarcitoria in tempi non irragionevoli e senza necessità di riproporre la domanda innanzi al giudice civile, e, al contempo, garantisce all’imputato che non vi saranno, nemmeno incidentalmente, ulteriori accertamenti di natura penale sul reato che gli era stato contestato.

Va in proposito precisato che, come ha già condivisibilmente statuito la giurisprudenza di legittimità, l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. non può trovare applicazione quando la parte civile impugnante si dolga dell’errata applicazione di norme processualpenalistiche, sollevando questioni «non manifestamente infondate, potenzialmente idonee a giustificare - se accolte - l’immediato annullamento del provvedimento impugnato ai fini civili»[4]: in tal caso, infatti, il giudizio verte intorno a errores in procedendo propri del giudizio penale, e, dunque, intorno a questioni del tutto «estranee all’orizzonte conoscitivo del giudice civile», sicché «il ricorso non potrà essere “rinviato” tout court alla sezione civile, ma dovrà essere trattato dalla sezione penale assegnataria dello stesso; la quale, una volta preso in carico il ricorso, si dovrà pronunciare in toto sullo stesso, decidendo all’esito in termini di rigetto ovvero di accoglimento del medesimo (esclusa ovviamente la pronuncia di inammissibilità, che avrebbe giustificato la previa ed immediata trasmissione del ricorso alla sezione civile), in tale ultima ipotesi con conseguente annullamento agli effetti civili del provvedimento impugnato ex art. 622 cod. proc. pen., trattandosi pur sempre di ricorso proposto per i soli interessi civili»[5].

Il nuovo assetto codicistico – completato dalla modifica dell’art. 78 c.p.p., comma 1, lett. d), c.p.p., che, nel disciplinare le formalità della costituzione di parte civile, prescrive oggi che l’atto debba contenere a pena di inammissibilità «l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili»[6] - si connette alla logica secondo cui, laddove si discuta soltanto di risarcimento derivante da reato, la controversia deve trasferirsi nella sede naturale per quel tipo di questioni, destinate ad essere risolte secondo le regole che presidiano il giudizio civile: a fronte della definitività dei capi della decisione relativi all’accertamento penale, un giudizio ormai funzionale solo all’accertamento del danno aquiliano non può che svolgersi dinanzi al giudice civile[7], il quale avrà non la facoltà, ma l’obbligo, inequivocabilmente previsto dall’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. di valutare le prove acquisite nel processo penale.

E’ difficile immaginare che le ricadute in termini deflattivi possano essere consistenti, attesa l’incidenza numericamente ridotta dei procedimenti che vengono instaurati a seguito dell’impugnazione delle sole parti civili, ovvero a seguito dell’impugnazione presentata dall’imputato, ai sensi dell’art. 574 c.p.p., «contro i capi della sentenza che riguardano la sua condanna alle restituzioni e al risarcimento del danno e contro quelli relativi alla rifusione delle spese processuali», ed altresì «contro le disposizioni della sentenza di assoluzione relative alle domande da lui proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali»: occorre, tuttavia, considerare che alla sicura riduzione del numero di processi definiti in sede penale si accompagnerà una razionalizzazione del complessivo carico del lavoro giudiziario civile, poiché si ridurrà il numero dei processi instaurati in quella sede per la sola liquidazione del danno, a seguito di condanna generica ai danni in sede penale[8].

 

2. La trasmissione degli atti al giudice civile ex art. 573, comma 1-bis, c.p.p. va disposta con ordinanza: irrevocabile la decisione sugli addebiti penali, per le statuizioni ai fini civili si ha un “rinvio” per la “prosecuzione” del medesimo giudizio già avviato in sede penale.

Nel silenzio del legislatore della riforma, e in difetto di indicazioni fornite dalla Relazione illustrativa che accompagna il d. lgs. n. 150 del 2022, è importante verificare se il giudizio civile debba essere comunque riassunto dal danneggiato a mezzo di atto di citazione.

Potrebbe ritenersi che non vi siano ragioni per derogare al generale principio ne procedat iudex ex officio, frutto di una scelta legislativa ispirata alle esigenze pubblicistiche di contenimento dei tempi di durata del processo, di deflazione del contenzioso e, a monte, di responsabilizzazione delle parti processuali: dunque, poiché inizio e prosecuzione del processo civile sono di regola governati dall’impulso della parte interessata, non potendo essere rimessi ad un’iniziativa officiosa, se ne dovrebbe inferire che, nel caso che ci occupa, il successivo sviluppo del giudizio dovrebbe essere rimesso alla libertà di iniziativa e di autodeterminazione processuale delle parti, alle quali sole è riconosciuto il potere di dare impulso al processo riassumendolo ex art. 392 c.p.c.

Indicazioni a sostegno di queste conclusioni possono trarsi dalla giurisprudenza formatasi in relazione all’art. 622 c.p.p., che disciplina un’ipotesi sostanzialmente sovrapponibile a quella di specie, potendo reputarsi indifferente che la translatio al giudice civile determinata dall’esaurimento della vicenda penale avvenga all’esito di una pronuncia di annullamento dei capi o delle disposizioni della sentenza impugnata che riguardano l’azione civile, all’esito dell’accoglimento del ricorso della parte civile avverso una sentenza di proscioglimento, ovvero (come nel caso oggi disciplinato dall’art. 573, comma 1-bis, c.p.p.) all’esito del semplice vaglio della ammissibilità dell’impugnazione della parte civile.

Ebbene, come è noto, le Sezioni Unite Cremonini[9] hanno chiarito che «il giudizio avanti al giudice civile designato ex art. 622 cod. proc. pen. è da considerarsi come un giudizio civile disciplinato dagli artt. 392 e ss cod. proc. civ. a seguito di riassunzione dopo l’annullamento della Corte di Cassazione ai soli effetti civili. In tal senso depongono la rubrica e il testo del citato art. 622 che utilizzano il verbo “rinvia” con riferimento all’effetto della statuizione penale, così evocando l’istituto del “rinvio” in sede civile quale disciplinato dagli artt. 392 e ss cod. proc. civ. La conferma della ritenuta autonomia del giudizio civile di “rinvio”, sia in senso strutturale sia in senso funzionale, si rinviene nella terminologia adottata in alcune decisioni di questa Corte, ove si parla di translatio (v. Sez. 3 civ., n. 15182 del 20/06/2017, Rv. 644747-01; Sez. 3 civ., n. 22570 25/09/2018, non. mass.), ovvero di “separazione del rapporto penale da quello civile” (Sez. 3, n. 11936 del 22/05/2006, Rv. 591088 -01)». Alla configurazione del giudizio civile che sorge dopo l’annullamento in sede penale come giudizio autonomo consegue che le parti devono «introdurlo nelle forme civilistiche previste dall’art. 392 cod. proc. civ.» ed «allegare fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno diversi da quelli che integravano la fattispecie di reato in ordine alla quale si è svolto il processo penale. Ciò giustifica anche l’emendatio della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile, sempre che la domanda così integrata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio. L’emendatio, ma non la mutatio della domanda, garantisce al danneggiato di “espandere” la domanda risarcitoria allegando elementi rientranti nella fattispecie di responsabilità prevista dall’art. 2043 cod. civ. Al contempo, l’emendatio consente al danneggiante di evitare di subire la perdita di un grado di giudizio in conseguenza della scelta della controparte»[10].

Va ricordato, quale ulteriore elemento di riflessione, che il codice di procedura civile ben conosce l’ipotesi della «prosecuzione» del giudizio: si tratta di una delle due forme nelle quali può essere ripreso un processo interrotto a cagione di uno degli eventi indicati dagli artt. 299 ss. c.p.c. (ad esempio, la morte della parte costituita o del suo procuratore); è interessante notare che, pur trattandosi di situazioni processuali evidentemente diverse da quelle che sorgono per effetto degli artt. 573, comma 1-bis, e 622 c.p.p.[11], anche in questo caso, secondo quanto prescritto dall’art. 302 c.p.c., è comunque, ineluttabilmente, necessaria l’iniziativa della parte interessata, e così anche nell’altra ipotesi di ripresa del processo interrotto, che è costituita proprio dalla riassunzione, qui disciplinata dall’art. 303 c.p.c.[12].

In dottrina si è, infine, evidenziato che - in quello che si configura non come un nuovo giudizio, ma come «la prosecuzione del precedente che giungerà al giudice civile (giudice o sezione civile competente)» - si deve «escludere il materiale passaggio del fascicolo integrale del processo penale al giudice civile (essendo da tutti escluso che quest’ultimo debba applicare il rito penale)», apparendo, pertanto, come «soluzione necessaria» «quella della riassunzione a mezzo atto di citazione (art. 392 cod. proc. civ., da ultimo richiamato anche dalle Sezioni Unite penali 22065/2021 Cremonini)»[13].

In senso contrario, si può rilevare che, pur nell’identità del risultato finale (trasmissione degli atti al giudice civile, innanzi al quale il giudizio prosegue seguendo le regole proprie di quel rito), l’ipotesi disciplinata dall’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. differisce profondamente da quella dell’art. 622 c.p.p., poiché nel caso che ci occupa la translatio non consegue ad una decisione sull’impugnazione.

Il riferimento alla «prosecuzione» del giudizio davanti al giudice civile andrebbe, dunque, inteso nel senso che la domanda «agli effetti civili», contenuta nella dichiarazione di costituzione di parte civile, non può più essere mutata, sicché non sarebbe necessario né possibile alcun atto di impulso della parte interessata, «dal momento che la prosecuzione risulta essere l’effetto del rinvio»[14].

Come si è osservato in dottrina, l’atto d’impulso del rito civile è compiuto dal giudice penale, poiché è il provvedimento di rinvio adottato da quest’ultimo ad integrare in capo al giudice civile il dovere di decidere: l’assenza di disposizioni che riconoscano la facoltà della parte di emendare l’atto induce a ritenere che il giudice civile debba pronunciarsi proprio e solo sull’impugnazione penale (ferme le possibili iniziative difensive autorizzate dalla disciplina processuale civile), il cui merito non è stato ancora mai vagliato dall’autorità giudiziaria[15].

 

3. Così sinteticamente ricostruito l’ambito di operatività della disposizione in commento, occorre rilevare che, per effetto dell’art. 99-bis del d.lgs. n. 150 del 2022, tutte le innovazioni introdotte dalla cd. “riforma Cartabia” sono entrate in vigore il 30 dicembre 2022, e che, in relazione all’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. il legislatore della riforma non ha ritenuto di dover dettare disposizioni transitorie: ci si è, dunque, fin da subito chiesti se la norma possa trovare applicazione anche nei procedimenti pendenti alla data del 30 dicembre 2022, ovvero se il principio tempus regit actum ne imponga un’operatività differita.

Mentre alcuni dei primi commentatori della nuova disposizione hanno ritenuto il nuovo regime senz’altro applicabile a tutti i giudizi d’impugnazione non ancora decisi alla data di entrata in vigore della riforma[16], altri hanno evidenziato che «se il giudizio impugnatorio dovesse proseguire alla stregua di regole diverse da quelle che erano applicabili nel momento in cui l’impugnazione è stata proposta (il che è inevitabile, visto che la parte civile, quando impugna, non può sapere se il p.m. impugnerà ammissibilmente agli effetti penali), dovrebbe essere assicurato all’impugnante un termine - del quale non è traccia nella disciplina – per integrare gli atti»[17].

In senso difforme si è osservato che, se è vero che la nuova disciplina non riguarda direttamente i modi di esercizio del diritto di impugnazione, ma i meccanismi processuali di esame della stessa, è parimenti vero «che essa incide concretamente sul modo in cui l’atto di impugnazione della parte civile può essere costruito, al fine di affrontare le numerose incertezze regolamentari ed evitare perdite di tempo. Per questa ragione, difettando una disciplina transitoria, ci pare che si debba fare applicazione delle conclusioni di Cass., sez. un., 29 marzo 2007, Lista, [..] che, nel ricostruire le modalità di funzionamento del principio tempus regit actum e, in particolare, dell’individuazione dell’actus rilevante, chiarisce che, quando venga in gioco il regime delle impugnazioni, debba aversi riguardo, in base alla regola intertemporale di cui all’art. 11 delle preleggi, non alla disciplina vigente al momento della loro presentazione ma a quella in essere all’atto della pronuncia della sentenza, posto che è in rapporto a quest’ultimo actus e al tempus del suo perfezionamento che vanno valutati la facoltà di impugnazione, la sua estensione, i modi e i termini per esercitarla. Depone in tal senso il fondamentale principio di affidamento, maturato dalla parte “in relazione alla fissità del quadro normativo”. L’affidamento, come valore essenziale della giurisdizione, che va ad integrarsi con l’altro - di rango costituzionale - della “parità delle armi”, soddisfa l’esigenza di assicurare ai protagonisti del processo la certezza delle regole processuali e dei diritti eventualmente già maturati, senza il timore che tali diritti, pur non ancora esercitati, subiscano l’incidenza di mutamenti legislativi improvvisi e non sempre coerenti col sistema, che vanno a depauperare o a disarticolare posizioni processuali già acquisite. La medesima sentenza Lista chiarisce che l’atto d’impugnazione è la risultante di un’attività preparatoria più lunga, avviata col sorgere del diritto d’impugnare, che è strettamente collegato alla pronuncia della sentenza».

Dunque, ha concluso l’Autore, l’actus al quale occorrerebbe fare riferimento nel caso di specie è la sentenza del grado precedente, poiché è in relazione al compendio normativo vigente nel momento in cui è sorto il diritto di impugnarla che la parte civile ha calibrato la sua strategia processuale ed ha redatto il gravame[18].

A conclusioni ancora diverse è pervenuto chi, evidenziato che, tra i due territori processuali, funzioni, oggetto e modi dello ius dicere sono radicalmente differenti, costituendo proiezione della ineguale cultura delle garanzie, connaturale alla diversa natura e funzione delle norme processuali penali e civili, e che, dunque, il novum interferisce sulla produzione degli effetti dell'actus, non limitandosi a modificarne la progressione nel procedimento, poiché, ponendo in capo al giudice un vincolo di metodo per valutare la fondatezza della pretesa, produce conseguenze sul piano dei risultati, e, quindi, della funzionalità dell'interesse lì coltivato, ha ritenuto necessario assicurare stabilità agli iter processuali in corso di svolgimento, escludendo la possibilità della immediata translatio nella sede civile, individuando l’actus nell’atto di impugnazione: «se il diritto al controllo si correla al diritto alla giurisdizione, legittimato, in generale, dall'eventuale pregiudizio sofferto a causa della risoluzione del giudice precedente, evidentemente, è intorno all'atto di appello o al ricorso per cassazione ed al momento della relativa presentazione che bisogna costruire il profilo delle guarentigie del sistema dei controlli, e risolvere il problema epistemico» posto dall’assenza di disposizioni transitorie»[19].

Altro Autore ha proposto una soluzione tecnicamente più raffinata: poiché l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. non prevede una ipotesi di annullamento della sentenza con rinvio degli atti al giudice civile, ma un rinvio “per la prosecuzione” al giudice o alla sezione civile competente, se ne deve necessariamente inferire che quello che viene ad avviarsi non è un nuovo ed autonomo giudizio, ma è lo stesso giudizio che, cessata l’eccezionalità dell’attribuzione al giudice penale della giurisdizione anche sulle questioni civili, viene trasferito nella sua sede naturale; ciò rende per un verso inattuabile la modificazione della domanda risarcitoria nei termini delineati dalla sentenza Cremonini, e, per altro verso, imprescindibile che l’azione civile sia stata esercitata, fin dall’inizio, con una domanda che esponga dettagliatamente le ragioni che la giustificano agli effetti civili, così come oggi indefettibilmente richiesto dall’art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p.

Ha, dunque, concluso nel senso che, in ossequio al principio dell’affidamento, la nuova norma «non può che trovare attuazione per l’avvenire, e precisamente per tutti quei processi nei quali la costituzione di parte civile avverrà dopo l’entrata in vigore della riforma. Se, infatti, il danneggiato, nel momento in cui si determina per l’esercizio dell’azione civile, deve avere ben presente il possibile epilogo della stessa ai sensi del comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p., e, pertanto, a tale fine, deve esercitare l’azione civile attraverso una costituzione di parte civile che deve rivestire i requisiti formali, previsti a pena di inammissibilità, dal nuovo art. 78 lett. d) c.p.p., è evidente che, senza questo preliminare atto, non può vedere sottratto il giudizio sull’impugnazione proposta per i soli interessi civili al suo “giudice naturale”, al giudice dell’impugnazione penale, al quale il legislatore fino al 29.12.2022 ha attribuito, in via derogatoria, giurisdizione e competenza sulla impugnazione proposta ai soli effetti civili avverso la sentenza penale. In definitiva, nella necessaria applicazione del principio tempus regit actum, deve osservarsi che nel caso di specie l’actus che andrebbe preso in esame non è la sentenza impugnata o l’impugnazione, ma l’atto di costituzione di parte civile, atteso che il legislatore della riforma àncora ad esso la prevedibilità del nuovo epilogo processuale delineato dal comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p. [..] Il rinvio dei giudizi pendenti al giudice civile, secondo la nuova disciplina prevista dall’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., non solo violerebbe l’altro principio generale della c.d. perpetuatio jurisdictionis, ma frustrerebbe l’affidamento della parte civile nell’attribuzione al giudice penale della decisione sulla domanda dalla stessa introdotta prima dell’entrata in vigore del d. lgs n. 150/2022. Ma, allo stesso modo, anche l’applicazione del novello comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p. a quei giudizi introdotti con impugnazioni proposte dopo il 30.12.2022, ovvero avverso sentenze emesse dopo tale data, sconterebbe il limite della prosecuzione del giudizio dinanzi al competente giudice civile senza attribuire alla parte attrice la possibilità di chiarire, specificare, emendare la propria domanda, non essendo più prevista alcuna riassunzione»[20].

 

4. Analoghe divergenze interpretative si sono fin da subito registrate nella giurisprudenza di legittimità.

L’orientamento favorevole alla immediata applicabilità della nuova disposizione a tutti i procedimenti pendenti è stato sostenuto in sei ordinanze: due della Seconda Sezione[21], una della Terza Sezione[22], e tre della Quarta Sezione[23].

Nella prima pronuncia in ordine temporale tra quelle appena citate, l’ordinanza n. 2854 del 2023 della Quarta Sezione, dopo una esaustiva ricognizione dell’ambito di operatività del principio tempus regit actum[24], si è richiamato il dictum delle Sezioni Unite Lista[25], che hanno «esplicitamente evocato l’esigenza di tutela dell’affidamento maturato dalla parte in relazione alla “fissità del quadro normativo”, onde scongiurare che diritti eventualmente già maturati, pur non ancora esercitati, subiscano l’incidenza di mutamenti legislativi improvvisi che vanno a depauperare posizioni processuali acquisite, aggiungendo che l’atto di impugnazione, pur istantaneo, è in realtà la risultante di una attività preparatoria più lunga che si avvia con il sorgere stesso del diritto ad impugnare, a sua volta strettamente collegato alla pronuncia della sentenza».

Si è, quindi, rilevato che, mentre nel caso oggetto della sentenza Lista venivano in discussione la stessa sussistenza del diritto ad impugnare e le aspettative maturate dal titolare di quel diritto nel momento in cui aveva optato per l’esercizio dell’azione civile nel processo penale, «nel caso in esame, questa esigenza non sussiste», poiché l’immediata operatività dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. «non lede in alcun modo il principio di affidamento delle parti nello svolgimento del processo secondo le regole vigenti al tempo del compimento degli atti e della conoscenza del momento in cui sorgono diritti o oneri con effetti per loro pregiudizievoli. La parte civile non perde, né vede minacciato il suo diritto all’accertamento del danno e all’eventuale riconoscimento della pretesa risarcitoria, restando tale posizione sostanzialmente invariata, a prescindere dall’assegnazione della cognizione al giudice penale o civile, rispetto all’eventualità di un accertamento dell’illecito in sede civile. Inoltre, il giudice civile decide utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile (art. 573, c. 1-bis, ultimo periodo). Con il trasferimento dell’appello o del ricorso al giudice civile, l’oggetto dell’accertamento non cambia, ma si restringe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito civile è implicita in quella risarcitoria da illecito penale (il secondo implicando il primo). Non vi sarebbe, pertanto, alcuna modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal giudizio penale a quello civile, avendo il legislatore previsto la “prosecuzione” davanti alla sezione civile competente di questa Corte (o, per il caso di appello, davanti al giudice o alla sezione civile competente)».

Si è, dunque, concluso nel senso della immediata applicabilità della nuova disposizione: «il giudice al quale proporre l’impugnazione, infatti, resta quello penale anche nel caso di appello o ricorso presentati ai soli effetti civili. La sua competenza, tuttavia, è circoscritta alla sola verifica della ammissibilità dell’impugnazione, dal positivo vaglio della quale deriva, quale effetto automatico, la prosecuzione del processo davanti al giudice civile. È questo l’actum che va regolato dalla norma di nuovo conio. Trattasi di decisione che non dipende dall’impugnazione che continua, infatti, ad essere proposta al giudice penale, non avendo il legislatore nulla innovato sul punto specifico».

L’ordinanza n. 6690 del 2023 della Seconda Sezione ha ribadito che i principi della sentenza Lista non paiono del tutto pertinenti alla questione controversa, essendo stati affermati in relazione ad una modifica legislativa che concerneva l’an del diritto ad impugnare, mentre, nel caso di specie, è venuto a mutare solo il procedimento di impugnazione.

Ha, pertanto, messo in luce la necessità di «modulare la declinazione della regola» tempus regit actum in relazione alla «variegata tipologia degli atti processuali» ed alla «differente situazione sulla quale questi incidono», verificando, nella specie, se ed in quali termini la modifica normativa possa essere ritenuta pregiudizievole per la parte civile impugnante; avuto a mente che «prima della riforma, una impugnazione ammissibile ma proposta con motivi infondati avrebbe comportato la conferma della sentenza di primo grado (nel giudizio di appello) o il rigetto del ricorso (nel giudizio di legittimità); a una impugnazione anche solo in parte fondata sarebbe conseguita, invece, la riforma, anche solo parziale, della sentenza di primo grado ovvero l’annullamento con rinvio ai sensi dell’art. 622 del codice di rito», la Corte ha evidenziato che il nuovo procedimento previsto dall’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., non può arrecare alcun effettivo pregiudizio alla parte civile impugnante: non lo arreca nella fase preliminare del vaglio di ammissibilità del gravame, svolto dal giudice penale in base ai medesimi, immutati parametri valutativi già vigenti prima della “riforma Cartabia”; non lo arreca nella successiva fase del giudizio, che sarà governato dalle medesime regole alle quali si sarebbe dovuto attenere il giudice penale chiamato al vaglio della sola impugnazione agli effetti civili.

L’ordinanza n. 6690 del 2023 ha, infine, richiamato il passaggio motivazionale della sentenza Cremonini nel quale si chiarisce che il giudizio di rinvio celebrato innanzi al giudice civile è disciplinato dagli artt. 392 ss. c.p.c., con conseguente onere della parte interessata di riassumere il processo dinanzi al giudice civile al quale esso è stato rinviato per la prosecuzione: dopo aver chiarito che ad analoghe conclusioni deve pervenirsi nel caso di specie [«l’uso del verbo “rinviare” (e non già del verbo “trasmettere”) appare significativo, come già evidenziato nella sentenza Cremonini per sostenere la necessità della riassunzione avanti il giudice civile competente per valore in grado di appello a seguito dell’annullamento della sentenza ai soli effetti civili»], la Corte ha osservato che con l’atto di riassunzione «la parte impugnante avrà modo, se necessario, di emendare l’atto di appello o il ricorso per cassazione, mentre la controparte avrà la possibilità di contraddire e replicare mediante nuove memorie difensive. Non pare sussistere, dunque, quel pregiudizio paventato nella sentenza della Quinta Sezione che giustificherebbe l’applicazione differita della nuova norma ai ricorsi proposti dopo la entrata in vigore della novella».

L’ordinanza n. 11279 del 2023 della Seconda Sezione ha ritenuto dirimente la circostanza secondo cui «non solo la nuova previsione non incide sul diritto della parte ad impugnare, ma, a ben vedere, neppure sulle modalità di presentazione dell’atto di impugnazione, che rimangono invariate. Ciò che cambia è la sede in cui viene trattata la controversia risarcitoria»; dunque, «gli atti processuali su cui incide la riforma paiono connotati da autonomia rispetto alla pronuncia della sentenza e alla presentazione dell’impugnazione: actus rilevante sarebbe, dunque, il vaglio di ammissibilità svolto dal giudice penale, con rinvio per la prosecuzione al giudice civile. Di conseguenza, dopo il 30 dicembre 2022, essi dovrebbero essere regolati dal nuovo art. 573, comma 1-bis. Questa conclusione non intende “sottostimare” le istanze di uguaglianza-ragionevolezza e di affidamento valorizzate già dalle Sezioni Unite Lista, ma vuole comunque riaffermare che detta soluzione non pare comportare alcun reale pregiudizio per la parte civile che non perde, né vede minacciato il suo diritto all’accertamento del danno e all’eventuale riconoscimento della pretesa risarcitoria, restando tale posizione sostanzialmente invariata, a prescindere dall’assegnazione della cognizione al giudice penale o civile, rispetto all’eventualità di un accertamento dell’illecito in sede civile. In tal senso, non pare superfluo ricordare il fatto che la pretesa civilistica non muta il suo oggetto, e viene decisa utilizzando le prove raccolte nel giudizio penale, in aggiunta a quelle eventualmente prodotte dinanzi al giudice civile; né si può ritenere, per sostenere l’opposta soluzione, che l’applicazione di regole processuali diverse rispetto a quelle di cui ha tenuto conto la difesa nel redigere l’impugnazione, possano costituire un evidente pregiudizio per quest’ultima, in presenza di una regola di giudizio che rimane immutata. Del resto, già si è riconosciuto come il giudice penale, allorquando è chiamato a decidere sulle questioni civili, deve attenersi allo standard della "probabilità prevalente", e non a quello del "oltre ogni ragionevole dubbio" (Sez. 2, n. 11808 del 14/01/2022, Restaino, Rv. 283377-01) e che, in caso di rinvio al giudice civile individuato a norma dell’art. 622 cod. proc. pen., trovano applicazione le regole processuali e probatorie proprie del processo civile, atteso che l’accertamento richiesto al giudice del rinvio ha ad oggetto elementi costitutivi dell’illecito civile, prescindendosi da ogni apprezzamento, sia pure incidentale, sulla responsabilità penale dell’imputato, non potendo la Corte di cassazione neppure enunciare il principio di diritto al quale il giudice civile del rinvio dovrebbe uniformarsi (Sez. U, n. 22065 del 28/01/2021, Cremonini, in motivazione)»

Infine, l’ordinanza n. 7625 del 2023 della Terza Sezione ha rimarcato che il principio affermato dalle Sezioni Unite Lista, secondo cui il momento di riferimento rilevante per l’applicazione della regola del tempus regit actum è quello della pronuncia del provvedimento impugnato, «vale per il caso in cui la nuova normativa intervenga sulla disciplina della facoltà di impugnazione, della sua estensione, dei modi e termini per esercitarla, incidendo sulle aspettative di tutela che il titolare del diritto di impugnazione aveva in tale momento», ed ha chiarito che l’innovazione della quale si discute non ha avuto questa portata: perché «la nuova disposizione lascia [..] invariata la competenza del giudice penale, destinatario dell’impugnazione, e lascia invariati i criteri di valutazione dell’ammissibilità dell’impugnazione stessa, che non sono quelli civilistici, ma quelli desumibili - per il giudizio di cassazione - principalmente dagli artt. 581, 591 e 606 cod. proc. pen. e applicati nella fase penale introduttiva del giudizio»; perché «una volta superato il vaglio penalistico di ammissibilità si aprirà la fase di fronte al giudice civile, nella quale sarà possibile la formulazione di nuove conclusioni e la modificazione della domanda ai fini della prospettazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile (Sez. 1 civ., n. 7474 del 08/03/2022, Rv. 664524 - 01), in analogia con quanto già previsto per la translatio iudicii dinanzi al giudice competente per valore in grado di appello in caso di annullamento della sentenza penale ai soli effetti civili, a norma dell’art. 622 cod. proc. pen. Dunque, la formulazione iniziale dell’impugnazione come destinata ad un giudizio interamente penale non pregiudica la posizione della parte civile nell’eventuale prosecuzione del giudizio, condizionata alla sua ammissibilità, di fronte al giudice civile, perché il contenuto dell’atto introduttivo potrà comunque essere adeguato alle diverse regole decisorie, proprie del giudizio civile»; ed infine, perché «la parte civile non perde, né vede minacciato il suo diritto all’accertamento del danno e all’eventuale riconoscimento della pretesa risarcitoria, restando tale posizione sostanzialmente invariata, a prescindere dall’assegnazione della cognizione al giudice penale o civile, rispetto all’eventualità di un accertamento dell’illecito in sede civile; e il giudice civile decide utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile (art. 573, comma 1-bis, ultimo periodo».

L’ordinanza n. 7625 del 2023 della Terza sezione ha, infine, sottolineato che non può spiegare alcun rilievo la circostanza che il legislatore della riforma abbia contestualmente ritoccato l’art. 78 c.p.p., introducendo al comma 1, lettera d), la locuzione «agli effetti civili», poiché non è mai stato in discussione che la parte civile debba illustrare nell’atto le proprie pretese di natura esclusivamente civilistica, non essendole consentito di interloquire sui profili penalistici della vicenda: siamo, dunque, in presenza di una «mera precisazione terminologica», che non può orientare l’interprete nella risoluzione della questione controversa, poiché con la descritta interpolazione della norma il legislatore ha semplicemente ribadito la necessità che l’atto di costituzione indichi in maniera sufficientemente precisa il legame eziologico che, ad avviso dell’offeso, avvince la condotta contestata all’imputato ai danni dei quali si invoca il risarcimento.

 

5. L’orientamento ad avviso del quale non può essere riconosciuta immediata applicabilità all’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. è stato sostenuto da sette sentenze: sei della Quinta Sezione[26], e una sentenza della Sesta Sezione[27].

La sentenza n. 3990 del 2023 della Quinta Sezione lo ha inaugurato ritenendo meritevole di tutela l’interesse della parte civile ad «adeguare il contenuto degli atti a diverse regole decisorie», e, dunque, «a costruire il proprio atto di impugnazione in modo da poter affrontare un giudizio di legittimità retto da regole diverse da quelle alla stregua delle quali doveva essere superato il vaglio di ammissibilità»: tanto in armonia con i principi affermati dalle Sezioni Unite Lista, che hanno messo in luce «l’importanza della tutela dell’affidamento maturato dalla parte “in relazione alla fissità del quadro normativo”, poiché il potere d’impugnazione trova la sua genesi proprio nella sentenza e non può che essere apprezzato in relazione al momento in cui questa viene pronunciata, con la conseguenza che è al regime regolatore vigente in tale momento che deve farsi riferimento, regime che rimane insensibile a eventuali interventi normativi successivi, non potendo la nuova legge processuale travolgere quegli effetti dell’atto che si sono già prodotti prima dell’entrata in vigore della medesima legge. In altri termini, il quadro normativo delle impugnazioni deve [..] essere ricostruito tenendo presente la disciplina del tempo in cui è sorto il relativo diritto».

Pertanto, «essendo ben chiara la distinzione tra modifiche legislative che attengono alla categoria del “regime delle impugnazioni” (nelle quali rientrano le modifiche legislative relative alla facoltà di impugnazione, alla sua estensione, ai modi ed ai termini per esercitarla) e modifiche legislative che, invece, si riferiscono al procedimento di impugnazione, restano, pur sempre da considerare, quanto alle prime, le peculiarità che, come nel caso di specie, incidono, per le ragioni sopra indicate, sulla costruzione dell’atto di impugnazione e sull’esigenza di tutelare l’affidamento dell’impugnante sul quadro delle regole alla stregua delle quali il ricorso è destinato ad essere esaminato. E quest’ultima puntualizzazione va apprezzata anche in relazione al possibile mutamento di tipo sostanziale del quadro valutativo che può caratterizzare l’esame della domanda risarcitoria in ambito civilistico».

La successiva sentenza n. 4902 del 2023 della Quinta Sezione ha evidenziato che il giudizio relativo ai soli interessi civili che venga svolto in sede penale non ha la medesima fisionomia di quello che viene svolto dinanzi al giudice civile: «questa piena sovrapponibilità, infatti, è esclusa da una serie di peculiarità del giudizio dinanzi al giudice civile rispetto a quello svolto, sia pure ai soli effetti civili, dinanzi al giudice penale, peculiarità che rendono ragione di quelle esigenze, cui si è fatto cenno, di tutela dell’affidamento dell’impugnante»[28].

Vengono, dunque, in rilievo plurimi profili caratteristici del giudizio di impugnazione che prosegue in sede civile, rispetto ai quali valgono i medesimi argomenti sviluppati dalla sentenza Lista con riguardo al regime delle impugnazioni; d’altra parte, rileva la Corte, «è solo correlando l’operatività dell’art. 573 c.p.p., comma 1-bis, alla deliberazione della sentenza impugnata che risulta possibile assicurare l’affidamento dell’impugnante circa la “coerenza” della propria impugnazione con tutti gli aspetti significativi del giudizio di impugnazione cui è destinata a dar vita. Affidamento che, viceversa, verrebbe frustrato se un atto di impugnazione con i contenuti “mirati” sulla sede penale cui sarebbe stato destinato prima della novella venisse rinviato “in prosecuzione” - senza la “mediazione” assicurata dalla riassunzione, è bene sottolineare - alla sede civile caratterizzata da una diversa morfologia del giudizio. I rilievi che precedono rendono ragione della necessità di governare il fenomeno successorio collegato al rinvio per la prosecuzione del giudizio impugnazione ex art. 573 c.p.p., comma 1-bis, in termini analoghi a quelli dettati della “regola Lista”, enunciando il seguente principio di diritto: ai fini dell’individuazione del regime applicabile al rinvio per la prosecuzione del giudizio impugnazione ex art. 573 c.p.p., comma 1-bis, il principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di deliberazione della sentenza impugnata».

La sentenza n. 8128 del 2023 della Quinta Sezione ha concluso nel senso che, sulla base delle argomentazioni sviluppate nelle sentenze appena illustrate, «l’impugnazione ai soli effetti civili, destinata ex art. 573, comma 1-bis cod. proc. pen. a “proseguire” dinanzi alle sezioni civili, deve essere congegnata e calibrata, fin dal suo stesso concepimento, nel rispetto anche dei criteri sostanziali, processuali, probatori del processo civile. Se, infatti, di prosecuzione si tratta, è arduo garantire quell’assestamento “successivo” della domanda risarcitoria che le Sezioni Unite Cremonini ammettono nel caso di rinvio al giudice civile ex art. 622 cod. proc. pen.».

Infine, la sentenza n. 12072 del 2023 della Sesta Sezione, interrogatasi sull’individuazione dell’actum al quale riferire, a mente dell’art. 11 preleggi, l’operatività della nuova norma (se, cioè, debba guardarsi alla sentenza impugnata, all’atto di impugnazione, o alla decisione del giudice dell’impugnazione), ha richiamato i passaggi motivazionali della sentenza Lista nei quali si chiarisce che la formula tempus regit actum «condurrebbe a esiti irragionevoli se letta nel senso che occorra riferirsi alla legge del tempo in cui l’atto, isolatamente considerato, è compiuto: perché una modifica legislativa che dovesse riguardare il diritto ad impugnare intervenuta durante il decorso del relativo termine per proporre l’impugnazione determinerebbe inaccettabili disparità di trattamento tra soggetti posti in posizione sostanzialmente analoga».

Ha, pertanto, ritenuto che il regime delle impugnazioni vada ancorato alla disciplina vigente all’atto della pronuncia della sentenza, in considerazione del fatto che la nuova disposizione normativa può concretamente incidere sull’estensione e sui termini di esercizio della facoltà di impugnazione: ed invero, «la presentazione da parte del soggetto interessato di una impugnazione contro una sentenza penale ai soli effetti civili comporta la necessaria formulazione di un atto di impugnazione di contenuto e tenore diverso a seconda che esso debba essere valutato dal giudice penale dell’impugnazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 573, comma 1, e 622 c.p.p., oppure a mente del nuovo art. 573, comma 1-bis, dello stesso codice di rito: dovendo la parte impugnante sapere come deve calibrare il contenuto del proprio atto di impugnazione, la successione delle leggi processuali nel tempo finisce per incidere sul modo di esercizio della relativa facoltà.

Ed infatti, se la parte impugnante - soprattutto se autore di un ricorso, che è mezzo di impugnazione a critica vincolata - sa che il suo atto sarà valutato ai sensi del nuovo art. 573, comma 1-bis c.p.p., anziché degli artt. 573, comma 1, e 622 dello stesso codice di rito, essa è “costretta” a redigere quell’atto con motivi conformi tanto alle regole processuali penali, alle quali il giudice penale deve uniformare la sua preliminare verifica sulla non inammissibilità del gravame, quanto alle regole processuali civili applicabili dal giudice civile dinanzi al quale le parti potrebbero essere eventualmente rinviate per il prosieguo del giudizio di impugnazione.

Di talché, “per garantire ai protagonisti del processo la certezza delle regole processuali e dei diritti eventualmente già maturati” ed evitare che le modifiche della disciplina dell’impugnazione medio tempore intervenute possano determinare irragionevoli disparità di trattamento, appare più corretto, nel considerato caso di successione di leggi processuali nel tempo (in assenza di una norma transitoria), far riferimento alla disposizione vigente nel momento in cui è stata emessa la sentenza oggetto dell’impugnazione: con la conseguenza che l’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., è applicabile solo nei procedimenti di impugnazione relativi a sentenze emesse a partire dal 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore di quella nuova disposizione.

Diversamente ragionando, la parte che avesse redatto l’atto di impugnazione per i soli interessi civili contro una sentenza penale emessa prima del 30 dicembre 2022, quando non era ancora entrato in vigore il nuovo comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p., e che avesse cioè “calibrato” il modo di esercizio della sua facoltà facendo affidamento sul fatto che l’atto sarebbe stato valutato dal giudice penale a norma degli artt. 573, comma 1, e 622 c.p.p., si vedrebbe ingiustificatamente pregiudicato dall’applicazione della nuova disposizione che impone la prosecuzione del giudizio dinanzi al giudice civile chiamato a compiere una nuova verifica dell’ammissibilità dell’atto di impugnazione sulla base di regole, quelle del codice di procedura civile, che la parte impugnante non aveva affatto considerato».

 

6. Il contrasto immediatamente insorto nella giurisprudenza di legittimità ha imposto l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite, sollecitato, nel febbraio 2023, dai giudici della Quinta Sezione[29].

In particolare, i giudici rimettenti erano chiamati a scrutinare il ricorso per cassazione presentato dal solo difensore della costituita parte civile avverso la sentenza di appello che, pur confermando la statuizione di condanna dell’imputato, aveva riqualificato giuridicamente i fatti, derubricando il reato di cui all’art. 572 c.p. in quelli di cui agli artt. 81, 582 e 590 c.p., aveva conseguentemente ridotto la pena e la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, ed aveva compensato tra le parti le spese del grado relative all’azione civile, a cagione della «parziale soccombenza della parte civile con riferimento all’entità del risarcimento dei danni liquidati».

Il ricorrente si doleva del fatto che, essendovi stata conferma della statuizione relativa alla responsabilità dell’imputato, sia pure per fattispecie di reato meno gravi, né la derubricazione dei fatti, né la riduzione della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno avrebbero potuto costituire giusto motivo di compensazione, poiché, secondo il consolidato orientamento dei giudici di legittimità, il mancato riconoscimento delle spese civili può conseguire solo all’integrale soccombenza.

La Quinta Sezione, accertata la ritualità del ricorso e la sua non manifesta infondatezza[30], lo ha rimesso alle Sezioni Unite, rilevando che la questione avrebbe potuto essere disciplinata dal nuovo all’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., ma che non vi era uniformità di vedute, nella giurisprudenza di legittimità, circa l’immediata operatività della disposizione.

 

7. Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto con la sentenza pronunciata nella camera di consiglio del 25 maggio 2023, depositata il 21 settembre 2023, n. 38481, D.

Dopo aver illustrato gli argomenti a sostegno dei due orientamenti, ed aver evidenziato che entrambi sono comunque animati dal ragionevole intento di salvaguardare «l’esigenza che non vengano [..] “tradite” le ovvie aspettative di chi, confidando, nel compimento di un atto processuale, in un determinato assetto normativo, veda tale quadro mutato in itinere in ragione della introduzione di elementi che, ove presenti in precedenza, avrebbero condotto a diverse determinazioni sullo stesso an o sul quomodo dell'atto compiuto», le Sezioni Unite hanno ritenuto di poter trarre elementi decisivi dalla disamina del contenuto e del significato dell’intervento con il quale la cd. “riforma Cartabia” ha rimodellato l’impugnazione della sentenza agli effetti civili: solo una complessiva e sistematica analisi dell’assetto ridisegnato dal legislatore del 2022 può, invero, consentire di verificare se la trasnlatio prevista dall’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., comporti una concreta lesione delle aspettative di colui che abbia presentato l'impugnazione sotto il vigore delle norme poi interpolate.

Si è, così, evidenziato che le già descritte modifiche all’art. 573 c.p.p. hanno introdotto, nel caso in cui non vi sia stata impugnazione agli effetti penali, la innovativa regola del trasferimento della decisione al giudice civile, dopo la verifica sulla non inammissibilità dell'atto svolta dal giudice penale: il rinvio – come può leggersi nella Relazione illustrativa che accompagna il d.lgs. n. 150 del 2022 – non muta l'oggetto dell’accertamento, ma lo restringe, «dal momento che la domanda risarcitoria da illecito civile è già implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale», sicché per un verso «non vi sarebbe una modificazione della domanda risarcitoria nel passaggio dal giudizio penale a quello civile» e, per altro verso, «l'eventualità dovrà essere prevista dal danneggiato dal reato sin dal momento della costituzione di parte civile, atto che pertanto dovrà contenere l'esposizione delle ragioni che giustificano “la domanda agli effetti civili”, secondo l'innovata formulazione dell'art. 78, lett. d)».

Dunque, hanno sottolineato le Sezioni Unite, il nuovo quadro normativo ha comportato un rilevante «mutamento di coordinate»: l'impugnazione per i soli interessi civili è oggi decisa dal giudice civile, restando attribuito al giudice penale il solo compito di vagliarne l’ammissibilità; il giudizio che, senza cesure o soluzioni di continuità, prosegue in sede civile non ha natura autonoma rispetto a quello iniziato innanzi al giudice penale, sicché non appare conciliabile con l’appena descritto nuovo assetto quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo al giudizio di rinvio instaurato a seguito dell’annullamento ex art. 622 c.p.p.

In particolare, nel caso di specie non vi è spazio per una emendatio libelli funzionale ad adeguare la domanda presentata in sede penale ai parametri propri del giudizio civile: «la necessità di un tale adeguamento nel passaggio tra i due giudizi è ormai superata dalla già iniziale impostazione, oggi richiesta dal nuovo art. 78, comma 1, lett. d), cit. della pretesa civile secondo le più estese coordinate dell'atto introduttivo di cui all'art. 360 c.p.c. nella previsione di un simile, possibile, epilogo[31]. Anzi, e di più, proprio la comparazione tra l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p. e l'art. 622 c.p.p. (quale norma che continua a presupporre pur sempre un ordinario quadro che attribuisce alla Corte di cassazione penale la decisione sull'impugnazione anche agli effetti civili) sembra rivelare come l'unica lettura possibile della nuova disciplina sia quella appena considerata, giacché, ove il legislatore della cd. Riforma Cartabia avesse invece inteso lasciare sostanzialmente immutato il quadro normativo come letto dalla costante giurisprudenza di legittimità, ben poco senso avrebbe avuto l'adozione del nuovo art. 573, comma 1-bis, cit., finendo quest'ultima norma per sovrapporsi irrazionalmente, negli esiti, proprio a quella dell'art. 622 cit. Dunque, è proprio il ben diverso rapporto cronologico a fondamento della nuova norma rispetto a quello posto alla base dell'art. 622 cit. (tra decisione e successivo rinvio, nell'art. 622, e tra rinvio e successiva decisione, nell'art. 573, comma 1-bis) a rendere non assimilabili tra loro l'assetto attuale e quello precedente di cui l'art. 622 cit. rappresenta pur sempre, come detto, nell'eccezione così introdotta alla regola dell'attrazione dell'azione civile al processo penale, una esplicazione».

Tanto impone di ritenere che «il possibile epilogo decisorio oggi rappresentato, in caso di impugnazione residuata per i soli interessi civili, dall'art. 573, comma 1-bis, cit., dovrà essere contemplato dalla parte civile sin dal momento dell'atto di costituzione e a tale epilogo la stessa dovrà dunque far fronte strutturando le ragioni della domanda in necessaria sintonia con i requisiti richiesti dal rito civile. Ciò significa, allora, che, se nella vigenza del precedente tenore della norma, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, era del tutto sufficiente, ad integrare la causa petendi cui si riferisce l'art. 78, comma 1, lett. d) cit., il mero richiamo al capo d'imputazione descrittivo del fatto allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risultasse con immediatezza (tra le altre, Sez. 2, n. 23940 del 15/07/2020, Rosati, Rv.279490-01; Sez. 6, n. 32705 del 17/04/2014, Coccia, Rv. 260325-01; Sez. 5, n. 22034 del 07/03/2013, Boscolo, Rv. 256500-01), ciò non può più bastare a fronte della nuova disciplina. Sarà infatti necessaria una precisa determinazione della causa petendi similmente “alle forme prescritte per la domanda proposta nel giudizio civile”, come già affermato da una sola iniziale pronuncia di questa Corte, poi rimasta superata dalle pronunce appena ricordate, e che ora, per effetto del mutato quadro, riprende evidentemente vigore; cosicché, ai fini dell'ammissibilità della costituzione, non sarà più sufficiente “fare riferimento all'avvenuta commissione di un reato bensì sarà necessario richiamare le ragioni in forza delle quali si pretende che dal reato siano scaturite conseguenze pregiudizievoli nonché il titolo che legittima a far valere la pretesa” (Sez. 2, n. 8723 del 07/05/1996, Schiavo, Rv. 205872-01). In altre parole, dunque, sarà necessario che le ragioni della domanda vengano illustrate secondo gli stilemi dell'atto di citazione nel processo civile, ovvero, secondo quanto prevede oggi l'art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c. con “l'esposizione in modo chiaro e specifico” delle stesse (alla stregua del testo attualmente risultante a seguito delle modifiche apportate dall'art. 3, comma 12, lett. a), n. 2, D.Lgs. n. 10 ottobre 2022 n. 149, decorrenti dal 28 febbraio 2023 ed applicabili ai procedimenti instaurati successivamente alla data del 29 dicembre 2022 per effetto dell'art. 35, comma 1, di detto decreto, come modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), L. 29 dicembre 2022, n. 197, con le quali si è inserito appunto l'inciso “in modo chiaro e specifico”). Non, dunque, in un mero “aggiustamento cosmetico” si è risolta la specificazione inserita nell'art. 78 cit., bensì nella necessaria proiezione, sul piano della domanda di parte civile, della mutata regolamentazione della impugnazione della sentenza agli effetti civili. E tutto ciò è stato appunto riassunto dalla Relazione illustrativa menzionata laddove, come già ricordato in principio, si è fatto riferimento all'onere del danneggiato di prevedere l'eventualità del rinvio di cui all'art. 573 comma 1-bis sin dal momento della costituzione di parte civile».

Queste conclusioni hanno, conseguenzialmente, portato il massimo consesso nomofilattico a dare alla questione controversa una soluzione diversa da quella prospettata dai due orientamenti in contrasto: ed invero, «il necessario rispetto delle ragioni di affidamento dell'impugnante nella non variazione del quadro di sistema coesistente al momento dell'impugnazione, ragioni evidentemente dirimenti anche nel caso di specie, deve [..] indurre inevitabilmente ad individuare nel momento del deposito dell'atto di costituzione di parte civile lo spartiacque di delimitazione tra impugnazioni soggette al regime previgente e impugnazioni assoggettate, invece, alla nuova normativa».

È stato, così, affermato il principio di diritto secondo cui «l'art. 573, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dall'art. 33 del D.Lgs. n. 10 ottobre 2022, n. 150, si applica alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte relativamente ai giudizi nei quali la costituzione di parte civile sia intervenuta in epoca successiva al 30 dicembre 2022, quale data di entrata in vigore della citata disposizione».

Dunque, secondo il ragionamento delle Sezioni Unite, poiché, a seguito dell’ordinanza adottata dal giudice penale ai sensi dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., il giudizio sull’impugnazione presentata per i soli interessi civili viene a trasferirsi, senza modifiche e senza soluzioni di continuità, innanzi al giudice civile, è necessario che l’impugnante modelli non solo il gravame, ma, prim’ancora, lo stesso atto di costituzione di parte civile in necessaria sintonia con i caratteri del rito civile, nei termini oggi espressamente richiesti dall’art. 78, comma 1, lett. d), c.p.p., esponendo le ragioni che giustificano la domanda «agli effetti civili»: la necessaria tutela dell’affidamento riposto dalla parte civile impugnante nella fissità del quadro normativo vigente al momento della costituzione in giudizio impone, pertanto, di non applicare la nuova disposizione ai procedimenti nei quali l’atto di costituzione di parte civile è stato depositato prima del 30 dicembre 2022, poiché il danneggiato costituitosi prima di quella data potrebbe aver formulato la propria domanda in forme incompatibili con l’imprevedibile trasferimento della decisione alla sede civile, o comunque in forme che rendano più difficoltoso il riconoscimento delle pretese risarcitorie o restitutorie.

La soluzione interpretativa appare corretta, pur se inevitabilmente confliggente con le finalità che il legislatore della riforma ha perseguito anche attraverso la rimodulazione dell’assetto delle impugnazioni (è, invero, evidente che la mancata devoluzione al giudice civile di questa - pur non consistente, come si è già detto - porzione di affari, renderà meno facile il raggiungimento dell’ambizioso obiettivo di ridurre del 25% la durata dei giudizi penali entro il 2026, fissato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza): l'area di salvaguardia nell’ambito della quale opera, a garanzia dell’impugnante per i soli interessi civili, la regola della irretroattività è stata ragionevolmente ricostruita dalle Sezioni Unite valorizzando le aspettative di colui che, avendo calibrato le proprie strategie processuali ed avendo redatto i propri atti sulla base delle regole e delle prescrizioni che il codice di rito gli imponeva di rispettare per far valere la propria pretesa, deve necessariamente portare a termine quell’attività processuale senza subire pregiudizi derivanti dall’applicazione di una legge entrata in vigore dopo la costituzione in giudizio[32].

Tanto impedisce di dare continuità all’orientamento che, sostenendo l’immediata applicabilità della nuova disposizione ai procedimenti pendenti alla data del 30 dicembre 2022, ha «trascurato, nell'analisi della nuova disciplina, il decisivo segno di cambiamento rappresentato dall'attribuzione della decisione sull'impugnazione non più al giudice penale bensì al giudice di appello civile o alla sezione civile della Corte di cassazione e la incidenza di detto novum sulle ragioni di affidamento dell'impugnante originate dall'assetto precedente»; né possono ritenersi decisive, per un verso, la astratta possibilità di una emendatio libelli, «possibilità che, mutuata dalla lettura giurisprudenziale in particolare dell'art. 622 c.p.p., non è invece esperibile con riferimento al nuovo art. 573, comma 1-bis, introduttivo non già, come visto, di un giudizio autonomo rispetto al primo ma di una prosecuzione sempre del medesimo originario giudizio», e, per altro verso, la circostanza che, all’indomani della sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale, l'accertamento dell'illecito richiesto al giudice ai fini delle statuizioni sul risarcimento dei danni avrebbe sempre natura civilistica, anche ad effettuarlo sia, incidentalmente, il giudice sede penale, onde sostenere che la prosecuzione in sede civile del giudizio non comporterebbe, rispetto al passato, alcuna modificazione nell'applicazione delle regole processuali e probatorie, e che, dunque, non vi sarebbe alcuna lesione nell’affidamento della parte civile: ed invero, sottolineano le Sezioni Unite, «nella impostazione della sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale, il “contenimento” dell'accertamento del danno all'interno della responsabilità da atto illecito ex art. 2043 c.c., con le conseguenze processuali e probatorie da esso derivanti, è disceso dalla necessità di non violare il diritto dell'imputato alla presunzione di innocenza tutte le volte in cui la responsabilità penale di quest'ultimo non possa più formare oggetto di accertamento; ma un tale presupposto [..] non pare potere valere nel caso di specie; ivi, infatti, passata in giudicato la sentenza di condanna, l'impugnazione ha avuto riguardo ai soli aspetti civili, ben potendo l'accertamento del danno, proprio perché ormai accertata la responsabilità penale, estendersi all'ambito del reato. Se anche, dunque, si guardasse alle ipotesi per le quali le coordinate dell'attuale giudizio di responsabilità potrebbero già coincidere, per effetto della citata lettura costituzionale, con quelle introdotte dagli artt. 78 e 573, comma 1-bis cit., non per questo perderebbe di valore l'esigenza di assicurare, nelle altre ipotesi, la tutela dell'affidamento della parte impugnante; e poiché evidenti ragioni di certezza anche del diritto processuale impongono l'adozione, sia pure in via interpretativa, di una regola "transitoria" di carattere generale, si dovrebbe comunque sempre pervenire alla conclusione che individua nella presentazione dell'atto di costituzione di parte civile il momento discriminante tra applicazione delle norme previgenti e applicazione di quelle nuove. Del resto, mentre il ricorso alla qui prescelta regola nei casi ricadenti nella ratio della sentenza della Corte costituzionale comporterebbe un “eccesso” di garanzia, al più non dovuto ma certo non lesivo dei diritti difensivi, viceversa, l'applicazione immediata delle nuove norme ai casi diversi da quelli si tradurrebbe, come visto, in una lesione dell'aspettativa della parte impugnante a non vedere variato il quadro normativo preesistente che affonda le proprie radici in un quadro di carattere anche costituzionale».

Impedisce, altresì, di sostenere l'orientamento ad avviso del quale l’applicabilità dell’art. 573, comma 1-bis, c.p.p. dovrebbe essere limitata alle sole impugnazioni relative alle sentenze pronunciate o depositate dopo il 30 dicembre 2022: «tale indirizzo appare, infatti, avere limitato impropriamente in tal modo l'ambito di applicazione del principio di affidamento dell'impugnante senza, anch'esso, considerare il riflesso della sequenza impugnatoria sui collegati requisiti di redazione dell'atto di costituzione di parte civile, in una necessaria visuale di complessiva considerazione dell'actus interessato e finendo per arrestarsi, anch'esso, su una linea di cesura tra giudizio di impugnazione instaurato dinanzi al giudice penale e giudizio proseguito dinanzi al giudice civile smentita dalla lettera e dalla ratio della nuova norma».

Il principio statuito dalle Sezioni Unite ha trovato immediata applicazione nella giurisprudenza di legittimità, che, fin dal momento in cui è stata diffusa l’informazione provvisoria, ha deciso nel merito – senza alcun rinvio per la prosecuzione innanzi al giudice civile - impugnazioni per i soli interessi civili presentate da danneggiati costituitisi prima del 30 dicembre 2022: cfr., ex plurimis, Cass. pen., Sez. III, 20 giugno 2023, n. 34141; Cass. pen., Sez. VI, 3 luglio 2023, n. 37978; Cass. pen., Sez. V, 13 luglio 2023, n. 36826.

 

 

 

[1] A fronte di una impugnazione anche ai fini civili (di una sentenza che sia, dunque, impugnata tanto dall’imputato quanto dalla parte civile), la trattazione del processo continua, invece, a seguire le forme ordinarie, secondo il generale paradigma dell’accessorietà dell’azione civile rispetto all’azione penale espresso dall’art. 538 c.p.p.: tanto è reso evidente dalla cancellazione, da parte del legislatore della riforma, dell’aggettivo “soli” nel primo comma dell’art. 573 c.p.p., che oggi, pertanto, prescrive che «L’impugnazione per gli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale».

[2] L'esplicita previsione relativa all’accertamento circa l'ammissibilità dell'impugnazione, prodromico all’improcedibilità, ha recepito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia: cfr., in particolare, Cass. pen., Sez. 7, ord. n. 43883 del 19 novembre 2021, secondo cui «In tema di impugnazioni, l'inammissibilità del ricorso per cassazione, precludendo la costituzione di un valido rapporto processuale, impedisce la declaratoria di improcedibilità del giudizio per superamento del termine di durata massima di un anno di cui all'art. 344-bis cod. proc. pen. inserito dall'art. 2, comma 2, lett. a) della legge 27 settembre 2021, n. 134».

[3] Per un analitico inquadramento sistematico della nuova disposizione, cfr. BRICCHETTI, Impugnazione per i soli interessi civili: il nuovo comma 1-bis dell’art. 573 c.p.p., in questa rivista, 30 giugno 2023.

[4] Va sinteticamente rammentato che la parte civile può impugnare, a norma dell’art. 576 c.p.p., tanto «i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile» (quando la sentenza abbia omesso di pronunciarsi sulle domande civili, abbia rigettato in tutto o in parte la richiesta di risarcimento o l’abbia accolta in misura inferiore a quanto domandato, abbia negato la provvisionale nell’ipotesi di condanna generica al risarcimento, abbia negato la provvisoria esecuzione delle disposizioni civili, ovvero ancora abbia stabilito la compensazione delle spese), quanto «ai soli effetti della responsabilità civile», «la sentenza di proscioglimento» pronunciata nel giudizio o all’esito del rito abbreviato al quale abbia acconsentito di partecipare.

[5] Così Cass. pen., Sez. 4, n. 11516 del 26 gennaio 2023, che ha, dunque, esaminato, ritenendolo fondato, il ricorso proposto dalla sola parte civile avverso la sentenza di appello che aveva dichiarato inammissibile la sua impugnazione ritenendo - erroneamente - intervenuta la revoca tacita della costituzione: la Corte, rilevato che «l'omessa pronuncia sul merito dell'appello proposto dalla parte civile concerne violazioni di norme della legge processuale penale che nulla hanno a che vedere, in termini di stretto diritto, con le questioni civili che avrebbero dovuto essere risolte, in ipotesi, dalla sezione civile cui sarebbero stati trasmessi gli atti, secondo il meccanismo (solo apparentemente scontato) previsto dalla norma in disamina», ha ritenuto di non poter dare applicazione all’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., «a fronte di motivi di ricorso che, denunciando preliminarmente e fondatamente, come già visto, la violazione di norme del codice di rito preposte al corretto svolgimento del giudizio penale, appaiono idonei a determinare il “regresso” del processo al giudice (civile) di merito, a seguito del diretto annullamento da parte della sezione penale di questa Corte del provvedimento impugnato, in quanto emesso palesemente al di fuori dei casi consentiti dalla legge processuale penale», sicché ha trattenuto in decisione il ricorso, e, ritenendo fondate le doglianze in rito della parte civile, ha, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., annullato la sentenza di appello limitatamente agli effetti civili, con conseguente rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Negli stessi termini, più di recente, Cass. pen., Sez. VI, 16 maggio 2023, n. 29940.

[6] Nel vigore della precedente formulazione della norma, la giurisprudenza di legittimità riteneva sufficiente il semplice richiamo al fatto descritto nel capo di imputazione, accompagnato dalla sommaria indicazione di un danno che si assumeva essere legato a quel fatto da un nesso causale: cfr., tra le più recenti, Cass. pen., Sez. 3, n. 23940 del 15 luglio 2020, secondo cui «In tema di costituzione di parte civile, l'indicazione delle ragioni che giustificano la domanda risarcitoria è funzionale esclusivamente all'individuazione della pretesa fatta valere in giudizio, non essendo necessaria un'esposizione analitica della causa petendi, sicché per soddisfare i requisiti di cui all'art. 78, lett. d), cod. proc. pen., è sufficiente il mero richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto, allorquando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risulti con immediatezza».

[7] Usando le parole di Corte cost., 30 luglio 2021, n. 182, il giudice innanzi al quale il processo prosegue «non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice», ma «se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.)», valutando pertanto se la condotta contestata «si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno». Si è, tuttavia, osservato che, poiché il risarcimento del danno non patrimoniale da reato ex artt. 185 c.p. e 2059 c.c. presuppone l’accertamento di una condotta che integra una fattispecie incriminatrice, il giudice civile, nonostante l’irrevocabilità delle statuizioni sui capi penali, non può non mantenere la cognizione incidentale di questi profili: cfr., sul punto, le considerazioni di CRICENTI - D’ALESSANDRO, Il danno da reato e la fraintesa dialettica tra fatto di reato e danno risarcibile: osservazioni critiche alla sentenza n. 182 del 2021 della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2021, 4, 1775 ss., LAVARINI, Presunzione di innocenza “europea” e azione civile nel processo penale: un difficile compromesso fra tutela del prosciolto e salvaguardia del danneggiato, in Giur. cost., 2021, 4, 1756 ss., e CAPONE, Le impugnazioni tra speditezza e garanzie, in Dir. pen. proc., 2023, 1, 184.

[8] Per questo BONTEMPELLI, Verso una trattazione efficiente delle impugnazioni penali per i soli interessi civili, in questa rivista, 23 maggio 2023, sottolinea che l’efficienza perseguita dalla riforma «va riferita all’intera macchina giudiziaria, non solo con riguardo al settore penale, ma anche a quello civile»: limitare i casi nei quali il giudice penale si pronuncia sulla domanda risarcitoria, demandando per quanto possibile la decisione al giudice naturale, giova sia all’imputato, «che evita di dover proseguire la sua difesa nel processo penale, nonostante il passaggio in giudicato della decisione sulle questioni penali (non impugnata agli effetti penali)», sia alla parte civile, la cui tutela «può essere protratta in modo più efficiente davanti al giudice naturale, applicando le regole di valutazione della prova e di giudizio proprie del rito civile, in luogo delle più impegnative regole del rito penale».

[9] Cass. pen., Sez. Un., n. 22065 del 28 gennaio 2021, Cremonini.

[10] Le conclusioni della sentenza Cremonini sono state condivise dalla successiva giurisprudenza di legittimità civile: ad esempio, Cass. civ., Sez. 3, ord. n. 4978 del 16 febbraio 2023 ha espressamente ribadito che il giudizio di rinvio non può che originare da un atto di riassunzione della parte interessata, in armonia con i principi che governano il processo civile, rilevando che «costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità che il giudizio di rinvio instauratosi a seguito di annullamento, da parte della Corte di cassazione, della sentenza d’appello non si pone in parallelo con alcun precedente grado del processo, ma ne costituisce, per converso, fase del tutto nuova ed autonoma, ulteriore e successivo momento del giudizio (cosiddetto iudicium rescissorium), funzionale all’emanazione di una sentenza che non si sostituisce ad alcuna precedente pronuncia (né di primo, né di secondo grado), riformandola o modificandola, ma statuisce, direttamente e per la prima volta, sulle domande proposte dalle parti (come implicitamente confermato dal disposto dell’art. 391 cod. proc. civ., a mente del quale all’ipotesi di omessa, tempestiva riassunzione del giudizio non consegue il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, bensì la sua inefficacia). Anche la mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell’art. 393 cod. proc. civ., l’estinzione non solo di quel giudizio, ma dell’intero processo, con la conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già coperte dal giudicato (in quanto non impugnate), restando inapplicabile al giudizio di rinvio l’art. 338 cod. proc. civ., che regola gli effetti dell’estinzione del procedimento di impugnazione».

[11] «L’interruzione ha lo scopo di garantire l’effettività del contraddittorio tra i soggetti che debbono continuare il processo [..]. Il nostro ordinamento prevede due meccanismi: la prosecuzione e la riassunzione. La prosecuzione si verifica quando l’iniziativa per rimettere in moto il processo è presa dalla parte in relazione alla quale si è verificato l’evento interruttivo. Nella riassunzione c’è invece il fenomeno inverso: l’iniziativa per rimettere in moto il processo è presa dalla controparte. Nel caso di prosecuzione si ha la costituzione volontaria della parte interessata, mentre, nel caso in cui l’iniziativa sia presa dalla controparte, si rende necessario un atto di riassunzione del processo, che contenga la vocatio in ius del soggetto che avrebbe potuto spontaneamente proseguire il processo»: LUISO, Diritto processuale civile, vol. II, Milano, 2021, 55.

[12] La disciplina generale della riassunzione del processo a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di cassazione è, invece, dettata dagli artt. 392 c.p.c. («La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio può essere fatta da ciascuna delle parti non oltre tre mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione. La riassunzione si fa con citazione, la quale è notificata personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti») e 393 c.p.c. («Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui all'articolo precedente, o si avvera successivamente a essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l'intero processo si estingue; ma la sentenza della Corte di cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda»): si può sinteticamente osservare che la riassunzione è un atto di impulso processuale, che esprime il diritto di azione e può essere compiuto da una qualunque parte (non necessariamente da chi era stato attore nei precedenti gradi di giudizio); non comporta l'introduzione di un nuovo giudizio, ma costituisce il mezzo per continuare un processo già pendente, poiché con essa si ripropone, ma non ex novo, la domanda; dunque, non è un’impugnazione, ma è l’atto attraverso il quale si riattiva il giudizio e prosegue l’impugnazione già presentata.

[13] In tal senso CITTERIO, Pensieri sparsi sul nuovo giudizio penale di appello (ex d.lgs. 150/2022), in Giustizia insieme, 13 gennaio 2023. L’Autore rileva inoltre che «La questione se il giudizio davanti al giudice civile dopo il rinvio disposto dal giudice penale costituisca la prosecuzione del medesimo processo o un nuovo giudizio civile appare in buona parte solo nominalistica. Le stesse SU Cremonini (in particolare i paragrafi 17.1, 17.5 e 18) e, prima, le SU Schirru (sulla sorte della parte civile in caso di sopravvenuta irrilevanza penale del fatto per cui si procedeva) hanno argomentato sulle conseguenze del passaggio conseguente al rinvio, in termini di rito, materiale probatorio da porre a base della decisione, regole di valutazione delle prove, tutela delle aspettative di chi esercita l’azione civile nel processo penale e, specularmente, dell’imputato nei cui confronti viene esercitata l’azione civile in quella sede, indicando anche la possibilità e la rilevanza della emendatio libelli nella citazione in riassunzione. Quegli insegnamenti non sono incoerenti al concetto di “prosecuzione” contenuto nella nuova disciplina [..] E’ infatti certo che il processo civile dopo il rinvio non è un processo che può ignorare quanto accaduto nel processo penale che si è chiuso per la definizione della relativa azione, quindi un processo che riparte sostanzialmente ‘da zero’: il materiale probatorio acquisito nel processo penale entra a far parte del compendio probatorio del giudice civile, insieme a quello eventualmente acquisito in quella nuova sede; il giudice civile deve utilizzarlo, ancorché con libertà di apprezzamento e pur non dovendo applicare le regole processuali penalistiche; la parte interessata ad attivare la riassunzione dopo il rinvio ha nell’atto di citazione la possibilità di emendare la propria impostazione in ragione dell’art. 2043 cod. civ. rispetto al diffuso sostanziale automatismo del richiamo all’art. 185 cod. pen.».

[14] In questo senso Cass. pen., Sez. V, n. 3990 del 20 gennaio 2023, e Cass. pen., Sez. II, ord. n. 6690 del 16 febbraio 2023.

[15] BONTEMPELLI, op. cit.

[16] BONTEMPELLI, op. cit., nonché NAPPI, Petizioni di principio sull’art. 573, comma 1-bis, c.p.p., in Giustizia insieme, 25 settembre 2023, ad avviso del quale «poiché non si tratta qui del regime di impugnabilità della decisione bensì del rito applicabile nel giudizio di impugnazione già in corso, deve ritenersi che la norma sia immediatamente applicabile anche nei giudizi relativi a impugnazioni proposte contro decisioni pronunciate prima della sua entrata in vigore».

[17] DE MARZO, Della sorte delle impugnazioni penali ai soli effetti civili: a proposito del nuovo art. 573, comma 1-bis, c.p.p., in Foronews, 22 gennaio 2023.

[18] CITTERIO, op. cit.

[19] FALATO, Tempus regit actum, situazioni soggettive protette, processo penale. A proposito della riforma del regime dell’impugnazione per i soli effetti civili, in La giustizia penale, maggio/giugno 2023, III, 182.

[21] Cass. pen., Sez. 2, ord. n. 6690 del 2 febbraio 2023, Seno; Cass. pen., Sez. 2, ord. n. 11279 del 3 febbraio 2023.

[22] Cass. pen., Sez. 3, ord. n. 7625 dell’11 gennaio 2023.

[23] Cass. pen., Sez. 4, ord. n. 2854 dell’11 gennaio 2023; Cass. pen., Sez. 4, ord. n. 8483 del 17 gennaio 2023; Cass. pen., Sez. 4, ord. n. 10392 del 25 gennaio 2023.

[24] «Il fenomeno successorio delle leggi, nel campo del diritto processuale penale, è regolato dal principio tempus regit actum, la corretta applicazione del quale presuppone evidentemente l’esatta individuazione dell’actum che, da un lato, non può esser considerato l’intero processo (siccome concatenazione di atti), pena la stessa vanificazione del principio; dall’altro, non può che risentire della variegata tipologia di atti processuali che possono venire in rilievo, cosicché non potrà che essere modulata in relazione alle diverse situazioni sulle quali va a incidere e che devono essere regolate [..] Esso significa, pertanto, che la validità degli atti è regolata dalla legge vigente al momento della loro formazione (sul punto, sez. 5, n. 15666 del 16/4/2021, Duric, in motivazione) e comporta che i singoli atti del procedimento sono disciplinati dalla norma in vigore al momento del loro compimento e non da quella vigente all’epoca di instaurazione del giudizio (sez. 6, n. 10260 del 14/2/2019, Cesi, Rv. 275201). In quella sede, si è precisato che, ai fini dell’applicazione del principio, occorre distinguere a seconda che si abbia a che fare con un atto processuale già perfezionatosi, che abbia già prodotto, cioè, i suoi effetti prima dell’entrata in vigore della nuova legge; ovvero con un rapporto processuale o un procedimento che si protragga nel tempo e si articoli in una pluralità di atti, ancora in atto al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina. Nel primo caso, l’atto rimane indifferente rispetto alla nuova normativa e mantiene inalterati i propri effetti, prodottisi in conformità alla disciplina previgente, giusta il principio del “fatto esaurito”; nel secondo, ferma la perdurante validità degli effetti degli atti compiuti, gli atti del procedimento posti in essere sotto l’operatività della nuova legge non possono che essere regolati - in ossequio, appunto, al principio tempus regit actum - dalla disciplina novellata. Pertanto, alle questioni di diritto intertemporale che si pongano in relazione, non ad un singolo atto che abbia già esaurito i propri effetti - quale quello d’impugnazione, che appunto si perfeziona con la rituale instaurazione del giudizio impugnatorio - ma ad un procedimento (quale il giudizio di impugnazione) che sia ancora in fieri, il principio tempus regit actum deve essere riferito al momento in cui l’atto del procedimento venga ad essere compiuto (in motivazione, sez. 6, n. 10260 del 14/2/2019, Cesi, cit.; ma anche sez. 5, n. 380 del 15/11/2021, dep. 2022, Saban, Rv. 282528)».

[25] Cass. pen., Sez. Un., n. 27614 del 29 marzo 2007, Lista.

[26] Cass. pen., Sez. 5, n. 3990 del 20 gennaio 2023; Cass. pen., Sez. 5, n. 4902 del 16 gennaio 2023; Cass. pen., Sez. 5, n. 6320 del 30 gennaio 2023; Cass. pen., Sez. 5, n. 8128 del 24 gennaio 2023; Cass. pen., Sez. 5, n. 10987 del 3 febbraio 2023; Cass. pen., Sez. 5, n. 20381 del 23 febbraio 2023.

[27] Cass. pen., Sez. 6, n. 12072 del 27 gennaio 2023.

[28] Esse vengono, ad esempio, individuate nella «possibile allegazione di fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno diversi da quelli che integravano la fattispecie di reato e la stessa eventuale emendatio della domanda»; nella «facoltà di proporre nuove conclusioni e la riconoscibilità della risarcimento del danno sulla base dell’accertamento di un coefficiente psicologico, nell’agire del convenuto-danneggiante, diverso da quello rilevante in sede penale»; nella «possibilità (anche nel caso di un giudizio successivo a un annullamento a norma dell’art. 622 c.p.p. e, ad avviso di questo Collegio, di rinvio per la prosecuzione ex art. 573 c.p.p., comma 1-bis) di conseguire la liquidazione del danno pur in presenza di una mera condanna generica da parte del giudice penale».

[29] Cass. pen., Sez. 5, ord. n. 8149 del 7 febbraio 2023.

[30] Ed invero, secondo l’univoca giurisprudenza di legittimità la compensazione delle spese «è ammessa, ai sensi dell'art. 541, comma 2, cod. proc. pen., solo per gravi ed eccezionali ragioni, in analogia a quanto richiesto nell'ambito del processo civile dall'art. 92 cod. proc. civ.»: così, da ultimo, Cass. pen., Sez. 6, n. 35931 del 24 giugno 2021.

[31] Conclusioni ulteriormente rafforzate, rileva la Corte, dalla circostanza che l’art. 78 c.p.p. è stato modificato in parte qua nonostante la legge delega non presentasse alcuna previsione in tal senso: sicché non può revocarsi in dubbio che la novella trovi spiegazione esclusivamente nella ravvisata necessità di coordinare il testo dell’art. 78 c.p.p. con il nuovo generale assetto dell’azione civile nel processo penale disegnato dal legislatore della riforma.

[32] In senso critico sulla decisione delle Sezioni Unite, NAPPI, op. cit.: ad avviso dell’Autore, è una petizione di principio affermare che non sia sufficiente ai fini dell’art. 163 c.p.c. il riferimento al capo di imputazione nel quale il fatto sia enunciato «in forma chiara e precisa», come prescritto dall’art. 417 c.p.p., tanto che «si ritiene correttamente che l'impegno argomentativo necessario a giustificare l'esercizio dell'azione civile nel processo penale dipende dalla natura delle imputazioni e dal rapporto tra i fatti lamentati e la pretesa fatta valere in giudizio dalla parte civile, perché si richiede l'enunciazione delle ragioni che giustificano la proposizione della domanda, non anche delle ragioni che possano determinarne l'accoglimento. Sicché, quando questo rapporto è immediato, come nel caso in cui si lamenti un'ingiuria o un danneggiamento o una minaccia, ai fini dell'esposizione della causa petendi è sufficiente il riferimento al fatto descritto nel capo d'imputazione e all'identificazione dell'attore con la persona destinataria offesa. E, contrariamente a quanto si assume, l’esplicito riferimento alla finalità civile della domanda, aggiunto nel 2022 all’art. 78, comma 1, lettera d) c.p.p., ha attenuato, non aggravato, l’onere argomentativo per la parte civile che intenda costituirsi nel processo penale».