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01 Giugno 2020


Il divieto di domande suggestive e nocive è imposto anche al giudice

Cass., Sez. IV, 6 febbraio 2020 (dep. 19 maggio 2020), n. 15331, Pres. Di Salvo, Est. Dawan



1. In una interessante sentenza la IV Sezione della Cassazione ha posto un importante punto fermo nella disciplina relativa alle domande che possono essere formulate in sede di esame testimoniale, stabilendo che il divieto di porre domande nocive o suggestive al testimone si applica al giudice.

Il principio viene formulato in una vicenda processuale in cui l'imputato, condannato in primo grado per il reato ex art. 609-quater c.p. e assolto per fatti successivi nei confronti della stessa minore, era stato poi condannato in appello anche per il reato ex art. 609-bis c.p. Il ricorso in cassazione dell'imputato aveva portato all'annullamento della sentenza di appello che, condannando l'imputato dopo la prima assoluzione, aveva violato il principio della necessaria rinnovazione della prova dichiarativa. Nel giudizio di rinvio la corte di appello, osservando il dictum della Cassazione, aveva così disposto la riassunzione della testimonianza della persona offesa, che avveniva ad opera del giudice relatore. Sulle modalità dell'esame della vittima, ritenute non rituali dall'imputato nel nuovo ricorso, si è espressa la Corte che ha accolto le censure e ha disposto l'annullamento con rinvio della seconda sentenza, affetta da un vizio di motivazione determinato dalla influenza delle dichiarazioni, inattendibili perché frutto di un metodo di assunzione vietato dalla legge. Secondo la Corte, il giudice ha formulato domande suggestive e nocive che si sono "riverberate, viziandola, sulla motivazione della sentenza impugnata".

 

2. Il tema della tipologia delle domande ammissibili in corso di esame e di controesame del testimone (art. 499 commi 2 e 3 c.p.p.), nonché delle parti private (art. 503 comma 2 c.p.p.), è stato oggetto di un risalente confronto dottrinale e giurisprudenziale che fa sostanzialmente capo, in primo luogo, al dubbio circa la natura di divieto probatorio delle disposizioni che disciplinano modalità esecutive [1].

Da sempre si è creata infatti una distinzione tra regole in sede di ammissione della prova e regole di assunzione, al fine di sostenere che soltanto la violazione delle prime può determinare la sanzione di inutilizzabilità. E anche se la stessa formulazione della norma di genus sulla inutilizzabilità, là dove dispone per la inutilizzabilità di prove acquisite in violazione di divieti probatori (art. 191 c.p.p.), fosse già nel senso della equiparazione tra regole di ammissione e di assunzione [2], la giurisprudenza di legittimità ha inteso creare una sorta di sottocategoria di regole probatorie non tali tuttavia da assurgere a divieti in quanto semplicemente funzionali a garantire una corretta esecuzione dell'atto [3]. Nonostante la stessa Corte costituzionale si sia espressa per una omologazione delle disposizioni a tutela dell'an e del quomodo della operazione probatoria [4], l'interpretazione ancora stenta ad assimilare le due fattispecie, con l'effetto di escludere la sanzione invalidante per la inosservanza di quelle che si definiscono semplici forme o formalità [5], anche quando esse tutelino l'interesse fondamentale della attendibilità dell'accertamento, tipico dei divieti probatori. La stessa sentenza qui in commento si riferisce a sole "irregolarità nella conduzione e nella assunzione delle dichiarazioni della persona offesa", pur attribuendo poi ad esse un effetto disgregante sulla struttura della motivazione.

In effetti, in relazione alle domande vietate ex art. 499 commi 2 e 3 c.p.p. la giurisprudenza ne ha quasi costantemente negato la natura di regole di esclusione tali da comportare l'inutilizzabilità delle risposte. Si è affermato infatti che "la violazione del divieto di porre domande suggestive non comporta né inutilizzabilità né nullità della deposizione non essendo prevista una tale sanzione dall'art. 499 comma 3 c.p.p., né potendo la stessa essere desunta dalle previsioni contenute nell'art. 178 c.p.p." [6]. Si è riconosciuta tuttavia una possibile influenza sulla sentenza delle dichiarazioni acquisite secondo un metodo scorretto, tale da incidere sulla attendibilità delle dichiarazioni [7].

Nel solco di questa linea 'subordinata' sembra porsi la sentenza in oggetto che tuttavia ne amplia le potenzialità secondo un percorso interpretativo che individua la ratio e le finalità delle norme sulla assunzione delle dichiarazioni testimoniali. Richiamando le fonti europee sulle dinamiche di tutela sottese al metodo dell'esame incrociato e raccordandole con i principi costituzionali che si riflettono negli articoli del codice, la sentenza esamina e contestualizza nella assunzione della prova dichiarativa il rapporto tra potere probatorio ufficioso e principio dispositivo, traendo come conseguenza la "funzione surrogatoria” del primo rispetto al secondo, che “in tanto trova giustificazione in un processo tendenzialmente accusatorio, in quanto non sia stato possibile ottenere i necessari chiarimenti mediante le domande poste dalle parti”.

Il ruolo del giudice viene cosi a chiarirsi nella funzione di interlocutore utile ma non immanente che può intervenire solo dopo l'esame e il controesame (art. 506 comma 2 c.p.p.) con domande a chiarimento che si devono perimetrare necessariamente nei criteri generali di ammissibilità, posto che questi ultimi sono formulati a garanzia della corretta ricostruzione del fatto.

Da qui la analisi della sentenza circa il quesito sulla legittimità delle domande poste dal giudice relatore nel giudizio di rinvio dopo l'annullamento che, riprese in dettaglio, ne hanno rivelato la natura nociva e suggestiva, tale da sortire risposte della persona offesa che "ne hanno gravemente pregiudicato l'attendibilità”.

Senza poter approfondire qui il risalente ma sempre attuale dibattito sulla distinzione tra le due tipologie di domande, nocive e suggestive [8], risulta condivisa la tesi, confortata dal testo codicistico, della inammissibilità delle prime sia in esame che in controesame, mentre è indubbia la praticabilità delle seconde in sede di controesame per via della funzione stessa del segmento probatorio che, in seconda battuta, consente una sorta di esercizio ulteriore del diritto alla prova contraria ai fini della assunzione del teste ostile o avverso [9].

La ratio che connota questo regime renderebbe già superfluo affrontare il quesito sulla ammissibilità di un intervento giudiziale in spregio dei divieti. È infatti evidente come il potere di intervento del giudice in sede di testimonianza, ammesso solo dopo lo svolgimento dell'esame e del controesame (art. 506 comma 2 c.p.p.) [10], prescinde dalla logica della alternanza delle parti, non potendo il giudice calarsi in un esame o controesame che non gli compete e che può avere come protagoniste le sole parti. Tanto che, nei casi in cui venga disposto d'ufficio l'esame di una persona, il giudice "vi provvede direttamente stabilendo all'esito la parte che deve condurre l'esame diretto" (art. 151 comma 2 disp. att. c.p.p.). Superfluo sarebbe poi, per sostenere che non sussiste alcuna preclusione per il giudice, richiamare la disposizione secondo cui il divieto di domande suggestive riguarda solo la parte che ha citato il teste o quella con un interesse comune (art. 499 comma 3 c.p.p.) [11] o che nell'esame del giudice non c'è il rischio di un precedente accordo con il teste [12] : il ruolo del giudice sfugge per definizione a queste variabili e si proietta in una dimensione che il principio di imparzialità è in grado da solo di delineare.

Se tuttavia la giurisprudenza intende attribuire al giudice la funzione di cooperare con le parti nell'accertamento della verità [13], allora è comprensibile come torni a rivivere la questione se anche per lui regole e divieti valgano oppure no [14].

Superando un indirizzo pressoché costante secondo cui il giudice può rivolgere anche domande suggestive “agendo in un'ottica di terzietà” [15], la sentenza qui in commento si esprime allora con chiarezza richiamando la ratio di tutela della genuinità e sincerità delle risposte sottesa ai divieti di particolari domande e affermando che a maggior ragione essi devono applicarsi al giudice. Sarebbe infatti paradossale che quest'ultimo sia sottratto alle regole che, secondo quanto stabilisce il codice, egli stesso è tenuto a far rispettare (art. 499 comma 6 c.p.p.) [16].

Né potrebbe sostenersi che nel giudizio di rinvio si possano praticare delle alternative, anche perché la formulazione di domande suggestive o addirittura nocive da parte del giudice potrebbe essere in qualche modo indotta dalla conoscenza degli atti del giudizio, nel quale potrebbero tra l'altro essere confluiti i verbali di dichiarazioni rese in fase preliminare. Al di là della norma secondo cui spettano al giudice del rinvio in appello gli stessi poteri, anche probatori, del giudice la cui sentenza è stata annullata (art. 627 comma 2 c.p.p.) [17] – operando le disposizioni del giudizio di primo grado (art. 598 c.p.p.) – si sottolinea che nel caso di specie l'annullamento era stato determinato dalla mancata riassunzione della testimonianza della vittima che, rivestendo un ruolo centrale nella ricostruzione dei fatti, aveva determinato uno specifico vincolo per il giudice del rinvio, da osservarsi secondo le regole dell'assunzione della prova dichiarativa nella reviviscenza del contraddittorio e dei ruoli delle parti [18].

La sentenza in commento ha dunque correttamente calibrato i valori in gioco e fissato un principio di diritto che va oltre il dictum di altra precedente pronuncia che stabiliva il divieto di domande suggestive del giudice nei confronti del teste minorenne [19]. In questo specifico caso, che pure tratta della assunzione di persona offesa minore di età, la sentenza ha esteso la operatività di quella che si può ritenere una regola di esclusione posta a garanzia della legalità del metodo probatorio, quale che sia la fonte o il contesto in cui viene applicato.

 

 

[1] In tema, i primi e fondamentali studi di M. Nobili, Divieti probatori e sanzioni, in Giust pen., 1991, p. 641. V., inoltre, G. Pierro, Una nuova specie di invalidità: l'inutilizzabilità degli atti processuali penali, Napoli, 1992; N. Galantini, L'inutilizzabilità della prova nel processo penale, Padova, 1992, p. 169 ss.; F.M. Grifantini, voce Inutilizzabilità, in Digesto IV Discipl. pen., vol. VII, 1993, p. 293; G. Pierro, voce Inutilizzabilità degli atti (dir. proc. pen.), in Dizionario di diritto pubblico, vol. IV, 2006, p. 3241; F.R. Dinacci, L'inutilizzabilità nel processo penale. Struttura e funzione del vizio, Milano, 2008; A. Scella, voce Inutilizzabilità della prova (dir. proc. pen.,), in Enc. dir. Annali, vol. II, t. I, Torino, 2009; M. Daniele, Regole di esclusione e regole di valutazione della prova, Torino, 2009; G. Illuminati, L'inutilizzabilità della prova nel processo penale italiano, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, 534; R. Casiraghi, Prove vietate e processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen. 2009, p. 1768; C. Conti, Il volto attuale dell'inutilizzabilità, in Dir. pen. proc., 2010, p. 781; D. Chinnici, L'inutilizzabilità della prova tra punti fermi e profili controversi, in Dir. pen. proc., 2014, p. 889.

[2] Circa il cambiamento di formulazione dell'art. 191 c.p.p., nel passaggio dal progetto preliminare al testo definitivo del codice, che ha determinato la sostituzione del termine 'ammissione' con quello di 'acquisizione', cfr., volendo, N. Galantini, Inutilizzabilità, (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Aggiornamento, vol. I, 1997, p. 696.

[3] Cass. Sez. 6, 8.10.2008 n. 40973, Rv. 241318; Cass. Sez. Un. 25.3.2010 n. 13426, Rv. 246271; Cass. Sez. 3, 25.10.2017 n. 56086, Rv. 272357; Cass. Sez. 2, 7.2.2018 n. 9494, Rv. 272348.

[4] Sul punto, volendo, N. Galantini, Inutilizzabilità della prova e diritto vivente, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, p. 70.

[5] Cass. Sez. 6, 5.10.2006 n. 33435, Rv. 234349.

[6] Cass. Sez.3, 16.9.2019 n. 49993, Rv. 277399; Cass. Sez. 3, 25.06.2019, n. 42568, Rv. 277988.

[7] Cass. Sez. 3, 25.6.2029, n. 42568, cit. "in tema di esame testimoniale, la violazione del divieto di porre domande suggestive di cui all'art. 499 cod. proc. pen., in mancanza di una sanzione processuale, rileva soltanto sul piano della valutazione della genuinità della prova, che può risultare compromessa esclusivamente se inficia l'intera dichiarazione e non semplicemente la singola risposta fornita, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte alle altre domande".

[8] G. Illuminati, Ammissione e acquisizione della prova nell'istruzione dibattimentale, in AA.VV., La prova nel dibattimento penale, Torino, 2007, p. 119 ss.; P. Ferrua, La testimonianza nell'evoluzione del processo penale italiano, in Studi sul processo penale, II, 1992, p. 102; G. Varraso, Violazione del divieto di domande suggestive, in Cass. pen. 2006, p. 1155; E. Selvaggi, Esame diretto e controesame, in Digesto discipline pen., IV, Torino, 1990, rist. 1994, p. 281. Sul principio del contraddittorio, G. Ubertis, Giusto processo (dir. proc. pen.), in Enciclopedia del diritto, Annali, II, Milano, 2008, p. 433.

[9] F. Cordero, Procedura penale, Milano, 2012, p. 677.

V. , inoltre, L. De Cataldo Neuburger, Esame e controesame nel processo penale, Padova, 2005, p. 415; G. Carofiglio, Il controesame. Dalle prassi operative al modello teorico, Milano, 1997, p. 168.

[10] V., tuttavia, Cass. Sez. 2, 11.9.2019 n. 48957, Rv. 277685 per la affermazione circa la insussistenza di vizi processuali conseguenti a violazione delle regole previste dall'art. 506 c.p.p. che prescriverebbe soltanto modalità di assunzione che se violate, generano solo irregolarità. In linea, Cass. Sez. 3, 9.11.2014 n. 45931, Rv. 260872.

[11] Sul punto, V. Maffeo, L'esame incrociato tra norme e prassi, Padova, 2012, p. 107.

[12] Cass. Sez. 3, 30.1.2008 n. 4721, Rv. 238794.

[13] Cass. Sez. 3, 15. 4. 2015 n. 21627, Rv. 263790. In dottrina, favorevole alla formulazione di domande suggestive da parte del giudice, P. Silvestri, Sulla estensione del divieto di porre domande suggestive anche all'esame condotto dal presidente, in Cass. pen. 2009, p. 1556.

[14] In tema, R. Bricchetti, L'inosservanza delle regole sulla sincerità del teste rende la prova 'non genuina o poco attendibile', in Guida dir., 2012, n. 18, p. 49. V., inoltre, E. Catalano, L'abuso del processo, Milano, 2004, p. 276; F. Callari, L'abuso del processo tra diritto alla prova delle parti e poteri probatori del giudice, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 186 ss.. Sui poteri del giudice ex art. 507 c.p.p., C. Santoriello, L'abuso del processo, Pisa, 2018, p.211; H. Belluta, Imparzialità del giudice e dinamiche probatorie ex officio, Milano, 2006, p. 180.

[15] Secondo Cass. Sez. 3, 15.4.2015 n. 21627, cit., "il divieto di porre domande suggestive nell'esame testimoniale non opera con riguardo al giudice che può rivolgere tutte le domande utili per a ricostruzione del fatto, ad esclusione delle domande nocive".

Sul punto, Cass. Sez3, 12.12.2007 n. 4271, Rv. 238794: "in tema di esame testimoniale, il divieto di porre domande suggestive riguarda l'esame condotto dalla parte che ha un interesse comune al testimone e non invece il controesame o l'esame condotto direttamente dal giudice per il quale non vi è il rischio di un precedente accordo tra testimone ed esaminante". V., inoltre, Cass. Sez.3, 9.5. 2019 n. 36413, Rv. 276682:"in tema di esame testimoniale, per sostenere l'assenza di genuinità della prova dichiarativa, non è sufficiente affermare e comprovare che una o più domande abbiano suggerito la risposta, ma occorre estendere l'analisi dell'affidabilità della prova nel suo complesso, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte ad altre domande".

[16] Cass. Sez. 3, 18.1.2012 n. 7373, Rv. 252134; Cass. Sez. 6, 15.1.2020 n. 6231, Rv. 278343: "in tema di testimonianza, il presidente del collegio ha il potere di intervenire nell'esame testimoniale, ai sensi dell'art. 499, comma 6, cod. proc. pen., al fine di assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte e la lealtà dell'esame medesimo, sicché non si configura alcuna violazione del diritto di difesa ove lo stesso chieda precisazioni al teste, ovvero circoscriva la formulazione delle domande ai temi di rilievo ed effettivo interesse in relazione ai fatti oggetto della contestazione".

[17] In tema, M. M. Monaco, Il giudizio di rinvio. Struttura e logiche probatorie, Padova, 2012, p.113 ss.; E. Savio, Il giudizio di rinvio dopo l'annullamento in cassazione, Torino, 2014, p. 71 ss.

[18] Sul punto, volendo, N. Galantini, La riassunzione della prova dichiarativa in appello: note a margine di Sezioni Unite Troise, in Diritto penale contemporaneo, 17 aprile 2018.

[19] Cass. Sez. 3, 11.5.2011 n. 25712, Rv. 250615 secondo cui il giudice che procede all'esame diretto del testimone minorenne non può formulare domande suggestive. In motivazione la Corte ha precisato che, ove si ritenesse diversamente, si arriverebbe all'assurda conclusione che le regole fondamentali per assicurare una testimonianza corretta verrebbero meno laddove, per la fragilità e la suggestionabilità del dichiarante, sono più necessarie.

Per un precedente orientamento contrario, Cass. Sez. 3, 28.10.2009 n. 9157, Rv. 246205: "il divieto di porre al testimone domande suggestive non opera né per il giudice né per l'ausiliario di cui il giudice si avvalga nella conduzione dell'esame testimoniale del minorenne". In motivazione la Corte ha precisato che l'eventuale vizio di acquisizione delle dichiarazioni effettuate dal minore non integra un problema di utilizzabilità, ma può formare oggetto di gravame sotto il profilo dell'attendibilità del risultato della prova a causa delle modalità della sua assunzione.

In tema, F. Tribisonna, L'ascolto del minore testimone o vittima di reato nel procedimento penale, Padova, 2017, p. 369 ss; C. Iasevoli, Il minore fonte di prova tra assiologia ed effettività, Satura ed., 2012, p. 137 ss.; L. Camaldo, L’ascolto del minore nel processo penale, in Cass. pen., 2008, n. 6, p. 2638. Per una vasta ricognizione bibliografica, M. Simonato, Deposizione della vittima e giustizia penale, Padova, 2014.