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30 Ottobre 2024


Disallineamenti giurisprudenziali sul regime dell’incompetenza per materia derivante da connessione. A proposito dell’attribuzione del delitto di violenza sessuale aggravato alla competenza della Corte d’assise

Cass. pen. Sez. III, 14 giugno 2024 (dep. 16 luglio 2024), n. 28485, pres. Aceto, est. Scarcella;
Corte d’appello di Torino, Sez. II pen., 18 luglio 2024 (dep. 22 luglio 2024), n. 3935, pres. rel. Bassi



*Contributo pubblicato nel fascicolo 10/2024. 

 

1. Con le due sentenze in epigrafe, la terza sezione della corte di cassazione, prima, e la corte d’appello di Torino, poi, si sono occupate - giungendo a conclusioni tra loro contrastanti - del perimetro applicativo del regime di incompetenza per connessione dettato dall’art. 21, co. 3, c.p.p.

In entrambi i casi, l’occasione è stata fornita dalla contestazione agli imputati del delitto di violenza sessuale (art. 609-bis, co. 1 e 2, c.p.) aggravato dall’aver commesso il fatto nei confronti di una persona che non ha compiuto i dieci anni (art. 609-ter, co. 2, c.p.), delitto che, a partire dall’entrata in vigore della l. n. 69 del 2019[1], è punito con la reclusione fino a 24 anni e che quindi - per effetto del combinato disposto degli artt. 4 e 5 c.p.p.[2] - appartiene ora alla competenza della corte d’assise.

L’introduzione della competenza per materia della corte d’assise in relazione a un delitto tradizionalmente rientrante nella competenza del tribunale non è stata sempre colta immediatamente: all’indomani dell’entrata in vigore della nuova cornice edittale diversi procedimenti sono stati instaurati ancora davanti al tribunale, e la questione sulla competenza è sorta solo nei gradi successivi al primo[3].

In questi casi, nessuno spazio per dubbi interpretativi si delinea in presenza di imputazioni fondate sul solo delitto di violenza sessuale aggravato ex art. 609-ter c.p.p.: in siffatte ipotesi, non può che affermarsi la rilevabilità dell’incompetenza per difetto in ogni stato e grado del processo, ai sensi dell’art. 21, co. 1, c.p.p. Più complesso si rivela invece lo scenario, invero frequente nella prassi, in cui il delitto di violenza sessuale sia contestato in continuazione (artt. 81 c.p., 12, lett. b, c.p.p.) con altri delitti - come ad esempio i maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.) - di competenza del tribunale. Ed è proprio questa la fattispecie di cui si occupano le due sentenze segnalate. In breve, mentre secondo la corte di cassazione occorre, in questi casi, far riferimento al regime dell’incompetenza derivante da connessione di cui all’art. 21, co. 3, c.p.p., con conseguente rilevabilità o eccepibilità della stessa solo entro gli stringenti termini di cui all’art. 21, co. 2, c.p.p., al contrario, ad avviso della corte d’appello di Torino, il rigoroso regime dettato dalla disposizione appena richiamata dovrebbe essere coordinato con quello previsto dall’art. 21, co. 1, c.p.p. per l’incompetenza per materia per difetto, la quale deve poter sempre essere rilevata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo.

 

2. Prendiamo anzitutto le mosse dalla pronuncia dei giudici di legittimità.

Nel gennaio del 2023, il tribunale di Caltanissetta condannava l’imputato per i delitti di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale ai danni della moglie e dei due figli minori di anni dieci, e produzione di materiale pedopornografico. Successivamente, la corte d’appello di Caltanissetta confermava la sentenza di condanna, salvo ridurre la pena complessiva. Contro la sentenza di secondo grado veniva proposto ricorso per cassazione, col quale si lamentava, tra le altre cose, l’incompetenza del tribunale e della corte d’appello, per affermare quella della corte d’assise e della corte d’assise d’appello (supra, §1) .

Secondo la corte di cassazione, tuttavia, tale motivo di impugnazione doveva considerarsi inammissibile. Pur confermando, con un apposito principio di diritto[4], che il delitto di violenza sessuale aggravato ex art. 609-ter, co. 2, c.p., rientra nella competenza per materia della corte d’assise, i giudici di legittimità ritengono che, nel caso portato alla loro attenzione, l’incompetenza del tribunale non potesse essere eccepita, per la prima volta, mediante ricorso per cassazione, come consentirebbe di fare l’art. 21, co. 1, c.p.p. e come aveva concretamente fatto il ricorrente. Ciò in quanto, nel caso di specie, l’imputazione aveva ad oggetto, oltre al delitto di violenza sessuale, anche altri reati di competenza del tribunale, connessi al primo. Conseguentemente, «trattandosi di competenza per materia determinata da ragioni di connessione»[5], doveva trovare applicazione la previsione di cui all’art. 21, comma 3, c.p.p., secondo cui la stessa deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, entro i termini di cui all’art. 21, co. 2, c.p.p., vale a dire «prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall’articolo 491 comma 1»[6]. Conclusione, questa, peraltro già più volte accolta dalla giurisprudenza di legittimità[7].

 

 

3. L’approdo raggiunto dai giudici di legittimità è stato tuttavia apertamente confutato, come già anticipato, dalla corte d’appello di Torino.

Anche in questo caso la vicenda procedimentale si lascia riassumere in poche battute.

L’imputato era stato condannato, in sede di giudizio abbreviato, dal g.u.p. di Torino per i delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572, co. 1 e 2, c.p.), lesione personale (art. 582 c.p.) e violenza sessuale (art. 609-bis co. 1 e 2, c.p.) aggravata dall’aver commesso il fatto nei confronti del figlio (art. 609-ter, co. 1, n. 1. c.p.) quando ancora non aveva compiuto gli anni dieci (art. 609-ter, co. 2, c.p.), reati unificati dal vincolo della continuazione.

Contro la sentenza di condanna veniva proposta impugnazione davanti alla corte d’appello di Torino. Quest’ultima, tuttavia, si è limitata a rilevare d’ufficio la propria incompetenza, ritenendo che, a seguito della modifica apportata dall’art. 13, co. 2, lett. b), l. 19 luglio 2019, n. 69 (supra, §1), la sentenza di condanna pronunciata dal g.u.p. in sede di giudizio abbreviato avrebbe dovuto essere impugnata davanti alla corte d’assise d’appello (art. 596, co. 3, c.p.p.).

 

4. Per giungere a una dichiarazione di incompetenza, la corte d’appello di Torino si sforza di argomentare l’applicabilità dell’art. 21, co. 1, c.p.p. – ai sensi del quale l’incompetenza per materia per difetto può essere rilevata, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo – e non dell’art. 21, co. 3, c.p.p.

L’impianto argomentativo della sentenza in commento poggia essenzialmente su tre argomenti.

4.1. In primo luogo, si afferma che il regime di cui all’art. 21, co. 3, c.p.p. non dovrebbe trovare applicazione nel caso affrontato in quanto, «a ben vedere, [non viene] in rilievo (soltanto) l’incompetenza per materia derivante da connessione bensì (anche) l’incompetenza per materia tout court in relazione al delitto di cui al combinato disposto degli artt. 609-bis e 609-ter, ult. co., c.p. sub specie della violenza sessuale commessa in danno del minore infradecenne, fattispecie incriminatrice per la quale è prevista ex lege – in considerazione del trattamento sanzionatorio vigente all’epoca del fatto – la competenza per materia, funzionale, non derivante da connessione, della Corte d’assise»[8]. In altri termini, rispetto al delitto di violenza sessuale aggravato ex art. 609-ter, c.p., la corte d’appello si troverebbe in una situazione di «incompetenza per materia “pura”, diretta e non derivante dalla connessione», che, come tale, deve poter essere rilevata in ogni stato e grado del procedimento. Peraltro, precisa la corte, il medesimo regime deve trovare applicazione anche rispetto ai delitti (maltrattamenti contro familiari e conviventi e lesione personale) che, in sé considerati, sarebbero di competenza del tribunale (e della corte d’appello), ma che, data la connessione con un delitto di competenza della corte d’assise, sono attratti da quest’ultima ai sensi dell’art. 15 c.p.p., e ciò in quanto, «[a]l fine di stabilire la competenza per materia del giudice e, di conseguenza, il correlato regime di deducibilità dell’eventuale incompetenza si deve avere riguardo all’intera platea delle contestazioni elevate nei confronti dell’imputato»[9].

4.2. In secondo luogo, si sostiene che la soluzione adottata sarebbe l’unica in linea con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., in quanto, ragionando diversamente, «si perverrebbe alla conclusione esegetica del tutto irrazionale di consentire la deduzione della incompetenza per materia anche ex officio in ogni stato e grado del procedimento […] nel caso in cui il procedimento abbia ad oggetto un solo delitto di competenza della corte d’assise e non anche nel caso in cui, oltre a detto delitto radicante la competenza funzionale della corte d’assise, siano contestati all’imputato anche altri reati di competenza del Tribunale, con una differenziazione dei regimi in relazione allo stesso delitto (appunto radicante la competenza dell’assise) che non trova alcuna logica né giuridica giustificazione e che risulterebbe all’evidenza in contrato con il dettato degli artt. 3 e 24 della Carta Fondamentale»[10].

4.3. Infine, particolare rilevanza è assegnata alla strutturale inadeguatezza dell’udienza preliminare a ospitare eccezioni di incompetenza ex art. 21, co. 3, c.p.p. nei casi in cui dal mancato rispetto delle regole di competenza per connessione consegua un’incompetenza per materia. Richiamando un precedente della corte di cassazione, si fa notare che «l’udienza preliminare è fase comune sia ai procedimenti innanzi al Tribunale che alla corte di Assise e che solo a seguito del decreto di rinvio a giudizio, che indirizza il processo verso l’uno o l’altro giudice, può presentarsi una questione di tal genere»[11]. In altre parole, nella fase dell’udienza preliminare, se è vero che «può sussistere l’incompetenza per territorio» del g.u.p., «di tal che la stessa deve essere dedotta a pena di decadenza ovvero essere definitivamente sanata con l’opzione per il rito abbreviato», al contrario «l’incompetenza per materia, funzionale, non esiste perché il g.u.p. è competente a conoscere la regiudicanda», e la stessa «è suscettibile di realizzarsi soltanto una volta che sia stato emesso il rinvio a giudizio dinanzi al giudice “sbagliato” (cioè davanti al Tribunale ordinario e non alla corte d’assise) ovvero, allorché il processo sia celebrato con il giudizio abbreviato, una volta che sia stato emesso il decreto di citazione dinanzi alla corte d’appello “ordinaria”»[12].

4.4. Così argomentata la soluzione adottata, i giudici torinesi si premurano di svolgere anche qualche riflessione, di più ampio respiro, volta a individuare il reale campo di applicazione del regime delineato dall’art. 21, co. 3, c.p.p.

Riconosciuto che il regime dettato dall’art. 21, co. 3, c.p.p. deve trovare applicazione sia quando dal mancato rispetto delle regole sulla connessione derivi una incompetenza per territorio, sia quando lo stesso impatti sulla competenza per materia, i giudici - alla luce di quanto rilevato precedentemente - precisano però che, nella seconda ipotesi, il suo ambito operativo risulta piuttosto ristretto. In particolare, si afferma che, «in caso di incompetenza per materia derivante da connessione, l’art. 21, co. 3, c.p.p. non può operare nell’ipotesi di procedimento monosoggettivo, atteso che, giusta l’operatività del disposto dell’art. 15 c.p.p., il reato per il quale vi sia la competenza per materia della corte d’assise non può non comprendere “l’attrazione” nella competenza di quest’ultimo giudice anche di tutti gli altri reati connessi con il primo (sebbene non di competenza del Tribunale) e, a cascata, l’applicazione in relazione a tutti i reati oggetto del procedimento del correlato regime di deducibilità di cui all’art. 21». Secondo i giudici di merito, invece, nulla impedisce che l’art. 21, co. 3, c.p.p. possa «trovare applicazione nel caso di incompetenza per materia derivante da connessione in un procedimento plurisoggettivo in cui soltanto alcuni degli imputati siano investiti da contestazioni per le quali sussista la competenza per materia della corte d’assise». Ciò in quanto, in siffatta ipotesi, «coloro i quali non siano attinti dalla contestazione di un reato di competenza dell’assise potranno certamente far valere l’incompetenza per materia derivante dalla connessione in virtù del consolidato principio di diritto secondo cui, in tema di competenza determinata dall’ipotesi di connessione oggettiva fondata sull’astratta configurabilità del vincolo della continuazione […] l’identità del disegno criminoso perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l’episodio o gli episodi riguardino lo stesso  o gli stessi imputati». In casi del genere, l’imputato deve chiedere al giudice di «separare la propria posizione da quella degli imputati del reato radicante la competenza della corte d’assise e di essere giudicato dinanzi al proprio giudice naturale»[13] entro il termine indicato all’art. 21, co. 3, c.p.p.

 

5. Da ultimo, è di particolare interesse segnalare che, proprio in questi giorni, la terza sezione della Corte di cassazione è tornata sulla tematica con una decisione che ridimensiona gli effetti del proprio orientamento illustrato retro (§2). Come si evince da una recentissima notizia di decisione, i giudici di legittimità hanno infatti affermato che la competenza della Corte d’assise rispetto al delitto di violenza sessuale aggravato ex art. 609-ter, co. 2, c.p. riguarderebbe esclusivamente i fatti commessi dopo l’entrata in vigore dell’art. 13 l. n. 89/2019, che ha inasprito il trattamento sanzionatorio di tale reato (supra, §1). Ciò in quanto a quest’ultima disposizione «va attribuito valore essenzialmente sostanziale, ovvero di modificazione della sanzione edittale, e non invece di disposizione processuale con precipua funzione regolatrice della competenza, sicché la modifica alla regola processuale è stata posta indirettamente e non in maniera autonoma. Ne consegue che la competenza a conoscere dei reati di violenza sessuale commessi prima del 9 agosto 2019 (data di entrata in vigore dell’articolo 13 della legge 19 luglio 2019, n. 89) ai danni di persone che non hanno compiuto gli anni dieci appartiene, anche nei casi in cui l’azione penale sia stata esercitata dopo l’8 agosto 2019, al tribunale in composizione collegiale e, per i fatti de quibus commessi dal 9 agosto 2019, alla corte di assise»[14].

Si badi: con la decisione de qua non si afferma, in termini generali, che il giudice competente debba essere individuato sulla base del quadro normativo vigente nel tempus commessi delicti, come peraltro sostiene la più rigorosa lettura dottrinale della garanzia della “precostituzione” del giudice di cui all’art. 25 della Costituzione[15]. Invero, la Corte di cassazione non intende distaccarsi dal consolidato orientamento - accolto anche dal giudice delle leggi[16] - secondo cui il principio espresso dall’art. 25, co. 1, Cost. impone unicamente che l’organo decidente sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali (cioè non fissati in vista di singole controversie), né dal principale riflesso che se ne trae, secondo cui «le norme sulla competenza hanno carattere processuale e, in applicazione del principio d’ordine generale tempus regit actum, sono di immediata applicazione anche ai reati commessi in epoca antecedente alla data della loro entrata in vigore»[17]. Semplicemente, secondo i giudici si legittimità, in questo specifico caso, tale regola non può essere applicata, in quanto l’art. 13 l. n. 89/2019 si è limitato a modificare la cornice edittale del delitto di violenza sessuale aggravato ex art. 609-ter, co. 2, c.p., e solo indirettamente - per effetto del disposto di cui all’art. 5 c.p. (supra, §1) - ha inciso sulla competenza del giudice. Dal momento che la regola processuale è stata posta “indirettamente”, e non in via autonoma, la disposizione de qua presenterebbe una natura “essenzialmente sostanziale”, sottraendosi così al principio “tempus regit actum”. In altre parole, esattamente come il più severo trattamento sanzionatorio, anche la competenza della corte d’assise - da esso dipendente - varrebbe soltanto per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge. 

* * *

6. Nonostante la recente decisione della Corte di cassazione appena segnalata (supra, §5) abbia l’effetto di limitare il numero dei processi per il quale potrebbe porsi un problema di incompetenza del tribunale in relazione al delitto di violenza sessuale aggravato ex art. 609-ter, co. 2, c.p.[18], il contrasto giurisprudenziale appena ripercorso rimane di indubbio interesse per l’interprete, concernendo una problema processuale di più ampio respiro. La recente sentenza della corte d’appello di Torino ha infatti il pregio di puntare i riflettori, con un’estesa motivazione, su una disciplina - quella dell’incompetenza per materia derivante dalle regole sulla connessione - senz’altro non priva di zone d’ombra. Anche la dottrina vi ha infatti mosso dei rilievi critici, osservando che l’assimilazione del regime dell’incompetenza per connessione a quello dell’incompetenza per territorio «è giustificata quando risultino violate le regole sulla competenza per territorio nei procedimenti connessi oppure quando l’errore determini la competenza del giudice superiore. Qualora, invece, dal mancato rispetto delle regole di competenza per connessione consegua un’incompetenza per materia in difetto, il regime dell’art. 21, co. 3, dovrebbe lasciare spazio alle regole più garantiste specificamente previste per tale vizio dall’art. 21, co. 1, con la conseguenza che la questione risulterebbe rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento»[19].

7. La soluzione adottata nel caso concreto - i.e. la dichiarazione di incompetenza pronunciata ex officio da parte del giudice dell’impugnazione -, peraltro, difficilmente potrebbe non essere condivisa. Come si è segnalato retro, nel caso di specie era stata proposta impugnazione avverso una sentenza pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare in sede di giudizio abbreviato. Ciò significa che, in primo grado, il problema di individuare il giudice competente per materia non si era mai posto: né a monte dell’udienza, dal momento che il g.u.p. di Torino risultava funzionalmente competente sia per i reati di competenza del tribunale, sia per i reati di competenza della corte d’assise; né a valle della stessa, in quanto il medesimo giudice, avendo pronunciato una sentenza di condanna e non un decreto che dispone il giudizio, non aveva dovuto individuare il giudice competente per quest’ultimo. L’esigenza di individuare il giudice competente per materia si era dunque presentata, per la prima volta, in sede di impugnazione, e segnatamente dopo la proposizione dell’appello avverso la sentenza di condanna pronunciata dal g.u.p. E come si potrebbe ritenere che l’incompetenza per materia del giudice d’appello dovesse essere fatta valere, ai sensi dell’art. 21, co. 3, c.p.p., in sede di udienza preliminare, vale a dire in un momento antecedente rispetto all’erronea individuazione del giudice stesso? Non pare davvero sostenibile che in casi del genere la possibilità di rilevare o eccepire l’incompetenza del giudice si consumi prima della stessa insorgenza della questione, e in questo senso la conclusione della corte d’appello di Torino non può che essere condivisa.

Tuttavia, viene da chiedersi se, in queste ipotesi, non sia sufficiente far riferimento al disposto di cui all’art. 568, co. 5, c.p.p., ai sensi del quale, «[s]e l’impugnazione è proposta a un giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente». La disposizione de qua parrebbe riguardare proprio i casi - come quello di specie - in cui il giudice di primo grado sia stato correttamente individuato, ma l’impugnazione (“se l’impugnazione è proposta…”) viene instaurata davanti a un giudice incompetente[20]. In casi simili, a ben vedere, risultano strutturalmente inapplicabili le regole sulla incompetenza per territorio (art. 21, co. 2, c.p.p.), per connessione (art. 21, co. 3, c.p.p.) e per materia per eccesso (art. 23, co. 2, c.p.p.): ragionando diversamente - lo si ripete - il momento processuale per rilevare o eccepire l’incompetenza risulterebbe anteriore all’insorgenza dell’incompetenza stessa.

 

8. Decidendo di percorrere il sentiero illustrato supra, i giudici della corte d’appello di Torino sono giunti a occuparsi di una problematica che va ben oltre la specificità del caso portato alla loro attenzione. Invero, l’argomento che fa leva sulla inadeguatezza tout court dell’udienza preliminare - anche quando non sia attivato il giudizio abbreviato - a ospitare eccezioni di incompetenza per materia (retro, §4.3) parrebbe implicare l’inapplicabilità del regime di cui all’art. 21, co. 3, c.p.p. in tutti i casi in cui la violazione delle regole  sulla competenza per connessione determini una incompetenza per materia. Una conclusione del genere, però, sarebbe difficilmente sostenibile, incontrando un significativo ostacolo letterale. Invero, l’art. 21, co. 1, c.p.p., stabilisce che «[l]’incompetenza per materia è rilevata, anche di ufficio, in ogni stato e grado del processo, salvo quanto previsto dal comma 3», cioè dalla disposizione che detta il regime dell’incompetenza per connessione. Ciò significa che, per espressa previsione normativa, in taluni casi l’incompetenza per materia soggiace al regime dell’incompetenza derivante da connessione, o, detto altrimenti, che quest’ultima deve essere rilevata o eccepita entro l’udienza preliminare (ovvero, se questa manchi, subito dopo l’accertamento della costituzione delle parti) anche laddove impatti sulla competenza per materia. I giudici torinesi sembrano consapevoli di ciò, e infatti si premurano di ritagliare un qualche spazio applicativo per l’art. 21, co. 3, c.p.p. anche nei casi in cui venga in rilievo la competenza per materia, individuandolo nel «procedimento plurisoggettivo in cui soltanto alcuni degli imputati siano investiti da contestazioni per le quali sussista la competenza per materia della corte d’assise» (retro, §4.4). La soluzione proposta, però, oltre a confinare la deroga contemplata dall’art. 21, co. 1, c.p.p. in uno spazio particolarmente angusto, a ben vedere non sembra neanch’essa capace di superare fino in fondo l’ostacolo valorizzato dalla stessa corte d’appello. Invero, anche in questa specifica ipotesi si potrebbe affermare che gli imputati, nel corso dell’udienza preliminare, non conoscono ancora le determinazioni che, in caso di emissione del decreto che dispone il giudizio, saranno assunte dal g.u.p., il quale ben potrebbe - rispettando gli approdi della giurisprudenza di legittimità - individuare correttamente il giudice “naturale” di ciascun imputato; conseguentemente, anche in tale ipotesi si potrebbe rilevare che gli imputati non avrebbero ragione di eccepire un’incompetenza non ancora visibile[21].

Sicché, onde evitare di pervenire a una interpretatio abrogans della deroga contemplata all’art. 21, co. 1, c.p.p., ad avviso di chi scrive si potrebbe percorrere un’altra via. In particolare, per i casi in cui si celebri l’udienza preliminare (e nella stessa non sia disposto il giudizio abbreviato), si potrebbe valorizzare il tenore letterale dell’art. 21, co. 2, c.p.p. (cui rinvia l’art. 21, co. 3, c.p.p.), ai sensi del quale l’incompetenza deve essere rilevata prima della «conclusione» dell’udienza preliminare. E, a ben vedere, si potrebbe osservare che l’udienza preliminare non si conclude con la pronuncia del decreto che dispone il giudizio (art. 424, 429 c.p.p.). Dopo l’emissione di quest’ultimo, infatti, si deve procedere alla formazione del fascicolo per il dibattimento, la quale potrebbe anche richiedere la fissazione di un’apposita udienza (art. 431 c.p.p.). Così, nei casi in cui l’individuazione del giudice competente per materia non sia oggetto di discussione (art. 421 c.p.p.), e il giudice vi provveda autonomamente soltanto con il decreto che dispone il giudizio (art. 429, co. 1, lett. e, c.p.p.), si potrebbe sostenere che residuerebbe comunque uno spazio processuale - anch’esso ancora parte dell’udienza preliminare - per eccepire l’incompetenza del giudice individuato dal g.u.p. Iniziativa, questa, che se respinta permetterebbe di riproporre l’eccezione subito dopo l’accertamento della costituzione delle parti (art. 21, co. 2, c.p.p.). La conclusione de qua, pur non trovando riscontro nel panorama giurisprudenziale, pare l’unica percorribile: invero, poiché l’eccezione di incompetenza sarebbe tardiva negli atti introduttivi al dibattimento, l’interprete è chiamato a individuare un momento in cui la stessa risulti tempestiva.

 

9. La riflessione appena proposta fornirebbe soluzione anche a un’altra ipotesi problematica. Invero, ad avviso di chi scrive, la sentenza della corte d’appello di Torino potrebbe essere considerata eccessivamente tranchant nel passaggio in cui afferma che «l’art. 21, co. 3, c.p.p. non può operare nell’ipotesi di procedimento monosoggettivo» (supra, §4.4). In realtà, anche senza tradire l’impostazione adottata dai giudici di merito, vi è, a ben vedere, almeno un caso in cui l’incompetenza per materia derivante dalle regole sulla connessione dovrebbe soggiacere al regime di cui all’art. 21, co. 3, c.p.p. pure nei procedimenti monosoggettivi.

A tal proposito, occorre tenere a mente che, come affermato sia dalla dottrina[22], sia dalla corte di cassazione, anche a Sezioni unite[23], quello basato sulla connessione rappresenta un criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza. Conseguentemente, le regole sulla competenza per connessione non sono subordinate alla pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado. Ciò significa che, in caso di reato di competenza del tribunale connesso a un reato di competenza della corte d’assise, l’estensione della competenza di quest’ultima ex art. 15 c.p.p. dovrebbe operare anche nel caso in cui per il reato di competenza del tribunale sia instaurato un procedimento ad hoc, autonomo dal procedimento avviato per il reato di competenza della corte d’assise[24]. Se, però, questa regola venisse disattesa, e il procedimento fosse comunque instaurato davanti al tribunale, ecco che l’incompetenza di quest’ultimo dovrebbe essere eccepita o rilevata entro il termine di cui all’art. 21, co. 2, c.p.p. In questo caso, a ben vedere, non vi sarebbe spazio per argomentare l’operatività del regime di cui all’art. 21, co. 1, c.p.p.: invero, non si tratterebbe di incompetenza per materia “pura” o “diretta” (supra, §4.1), ma proprio di «incompetenza derivante da connessione», come recita l’art. 21, co. 3, c.p.p. E, trattandosi dell’unico reato addebitato all’imputato (nell’imputazione di quel procedimento), non vi sarebbe un altro regime di incompetenza cui assegnare vis attractiva (supra, §4.4[25]). Di qui la necessità di riconoscere uno spazio applicativo (e di comprenderne il funzionamento) al regime ex art. 21, co. 3, c.p.p. anche quando le regole sulla connessione impattano sulla competenza per materia in procedimenti “monosoggettivi”.

 

 

 

[1] In particolare, l’art. 13, co. 2, lett. b), l. 19 luglio 2019, n. 69, ha modificato l’art. 609-ter, co. 2, c.p.p., prevedendo il raddoppio della pena prevista dall’art. 609-bis c.p.p. per il caso in cui la violenza sessuale sia commessa nei confronti di una «persona che non ha compiuto gli anni dieci».

[2] L’art. 5, lett. a), c.p.p. dispone che la corte d’assise è competente per tutti i delitti puniti con la «reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni». Per fare corretta applicazione di tale previsione occorre tenere a mente quanto previsto dall’articolo precedente, ai sensi del quale per «determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato», senza tenere conto delle circostanze del reato, ad eccezione delle «circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale». Prevedendo il raddoppio della pena prevista per il delitto di cui all’art. 609-bis c.p.p., quella di cui all’art. 609-ter, co. 2, c.p.p. rientra tra le circostanze aggravanti a effetto speciale (art. 63, co. 3, c.p.), e dunque deve essere considerata per stabilire la competenza per materia del delitto aggravato.

[3] Entrambe le pronunce si rifanno al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini dell’individuazione del giudice competente, non rileva la data di commissione del reato, dovendosi avere riguardo alla normativa vigente al momento in cui il pubblico ministero esercita l’azione penale. È in questi termini, secondo  le due corti, che deve essere declinato il principio tempus regit actum, e la competenza così individuata rimane ferma in forza del principio della perpetuatio jurisdictionis. In questi termini si sono espresse anche le Sezioni unite della corte di cassazione, cfr. Cass. pen. Sez. un., 17 gennaio 2006 (dep. 31 gennaio 2006), n. 3821, CED 232592.

[4] Cfr. §3 del “considerato in diritto” della sentenza in commento: «[a] seguito della modifica introdotta dall’art. 13, comma 2, lett. b), l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019, competente per materia a giudicare del reato di violenza sessuale aggravata a norma dell’art. 609-ter, u. Co., cod. Pen., ove il fatto sia stato commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni dieci, è la corte d’assise e non il Tribunale in composizione collegiale».

[5] Cfr. §4 del “considerato in diritto” della sentenza in commento.

[6] Cfr. §5 del “considerato in diritto” della sentenza in commento: «[l]’incompetenza per materia o per territorio derivante da connessione, ai sensi degli artt. 15 e 16 c.p.p., non rilevata d’ufficio od eccepita prima della conclusione dell’udienza preliminare o, quando questa manchi, subito dopo il compimento per la prima volta dell’accertamento della costituzione delle parti in dibattimento, non può essere né eccepita né rilevata per la prima volta in sede di legittimità, ostandovi il disposto dell’art. 21, co. 3, c.p.p.»

[7] Cfr. Cass. pen. Sez. I, 28 maggio 2019 (dep. 15 luglio 2019), n. 30964, p. 4, ove si afferma che «nei procedimenti con udienza preliminare l’incompetenza per territorio e quella per connessione (anche per l’aspetto di attribuzione per materia) vanno rilevate o eccepite, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare. La deduzione della questione in dibattimento, entro il termine dell’accertamento della regolare costituzione delle parti, è allora possibile solo per via di una riproposizione dell’eccezione, a condizione che la parte sia stata tempestiva nel proporla all’udienza preliminare» (enfasi aggiunta). Nello stesso senso cfr., ad esempio, Cass. pen. Sez. I, 13 marzo 2019 (dep. 4 aprile 2019), n. 14988, CED 276180; Cass. pen. Sez. II, 15 ottobre 2013 (dep. 21 gennaio 2014), n. 2662, CED 258592; Cass. pen. Sez. I, 18 marzo 2011 (dep. 10 agosto 2011), n. 31845, CED 250770; Cass. pen. Sez. VI, 14 giugno 2007 (dep. 12 settembre 2007), n. 34472, CED 237548.

[8] Foriero di qualche ambiguità pare il riferimento alla competenza funzionale, che andrebbe invece riferita «alla ripartizione dei compiti ai quali devono assolvere i diversi giudici in relazione allo sviluppo del procedimento (in senso lato)», e che quindi si radica «[s]ui distinti interventi giurisdizionali nella fase delle indagini preliminari, nell’udienza preliminare, in dibattimento, nei giudizi di impugnazione», cfr., per tutti, O. Mazza, I soggetti, in Aa. Vv., Procedura penale, IX ed., Giappichelli, Torino, 2024, p. 108.

[9] Cfr. §5.1 dei “motivi della decisione”, anche per le citazioni contenute nei precedenti periodi.

[10] Cfr. §5.3 dei “motivi della decisione”.

[11] In questi termini Cass. pen. Sez. I, 3 ottobre 2012 (dep. 10 ottobre 2012), n. 40879, CED 253473.

[12] Per questa e le precedenti citazioni cfr. §5.4 dei “motivi della decisione”. Per corroborare questa conclusione, la corte d’appello aggiunge, da un lato, che l’incompetenza per materia non avrebbe potuto essere dedotta neppure con l’atto di appello, in quanto «prima dell’assegnazione del procedimento a una determinata Sezione della corte d’appello (ordinaria ovvero d’assise) e, quindi, prima della notifica del decreto ex art. 601 c.p.p., la difesa non ha avuto alcuna possibilità di realizzare se effettivamente il giudizio d’appello […] sarebbe stato o meno correttamente incardinato dinanzi a quest’ultima»; dall’altro lato, che «l’assunto della deducibilità in ogni stato e grado della incompetenza per materia» sarebbe rafforzato anche dal disposto di cui all’art. 438, co. 6-bis, c.p.p., «secondo cui l’accesso al giudizio abbreviato preclude definitivamente la possibilità di eccepire “ogni questione sulla competenza per territorio del giudice”, lasciando con ciò sempre aperta la deducibilità, nonostante il rito speciale prescelto, della incompetenza per materia, anche derivante da connessione» (§§ 5.5 e 5.6 dei “motivi della decisione”).

[13] Cfr. §5.7 dei “motivi della decisione”, anche per le citazioni contenute nei periodi precedenti.

[14] Così Cass. pen. Sez. III, notizia di decisione n. 4 del 2024, r.g.n. 18221/2024, pres. V. Di Nicola, rel. U. Macrì, p.g. R. Piccirillo.

[15] Cfr. F. Cordero, Procedura penale, IX ed., Giuffrè, Milano, 2012, pp. 114-15, secondo cui «l’art. 25 esclude varianti alla competenza post factum, anche se l’organo de quo corrisponde agli archetipi preesistenti. Ad esempio, è un tribunale o corte d’assise: sarebbe non precostituito se fosse competente secondo norme posteriori al fatto […]; è ipotesi gratuitamente riduttiva che siano vietati solo interventi ad personam, niente ostando all’indiscriminata applicazione delle nuove norme formulate in via generale. Quel dato ufficio, insomma dev’essere investito del caso secondo una norma vigente al dies delicti».

[16] Cfr. Corte cost., 27 aprile 1967 (dep. 5 maggio 1967), n. 56; Corte cost., 25 marzo 1976 (dep. 8 aprile 1976), n. 72; Corte cost., 11 novembre 1981 (dep. 10 dicembre 1981), n. 185; Corte cost., 22 maggio 1987 (dep. 28 maggio 1987), n. 207.

[17] Cfr. O. Mazza, I soggetti, cit., p. 91. Fa eccezione il caso in cui il processo risulti già legittimamente radicato davanti al giudice competente secondo la disciplina previgente, in quanto in questo caso opera la perpetuatio competentiae. Cfr. anche p. 89, ove l’A. fa notare che, cristallizzando la normativa sulla competenza al momento dell’avvio del processo, si evita «l’effetto di mantenere sine die la possibilità teorica che nuovi giudizi si celebrino davanti a giudici individuati sulla base delle norme anteriori».

[18] Stando a questo orientamento, infatti, il tribunale continuerebbe a essere competente per tutti i fatti commessi prima del 9 agosto 2019.

[19] Cfr., per tutti, O. Mazza, I soggetti, cit., p. 112.

[20] Sul punto cfr. F. Cordero, Procedura penale, cit., p. 1104, secondo cui l’art. 568, co. 5, c.p.p. detta una «regola antiformalistica» applicabile anche nel caso in cui il mezzo di impugnazione sia stato correttamente individuato (e non si debba dunque procedere alla conversione da un mezzo a un altro), ma sia stato presentato davanti a un giudice incompetente: «qualcuno appella davanti alla corte N, quando l’appello compete a P».

[21] Si veda anche l’argomento formulato dai giudici di merito e riportato retro, nota 12.

[22] Cfr. F. Cordero, Procedura penale, IX ed., Giuffrè, Milano, 2012, p. 147: «la connessione configura una competenza autonoma (come nel cod. 1913, artt. 23-26): i procedimenti connessi appartengono alla sede individuabile ex artt. 13, 15, 16, anche se fosse impossibile cumularli (ad esempio, a causa del diverso grado in cui pendono); e l’inosservanza delle relative norme genera un vitium in procedendo (art. 21 co. 3 c.p.p.)»; O. Mazza, I soggetti, cit., p. 105: «[l]e regole sulla competenza derivante dalla connessione di procedimenti non sono subordinate alla pendenza dei procedimenti nello steso stato e grado, essendo anche quello basato sulla connessione un criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza».

[23] Cass. pen. Sez. un., 28 febbraio 2013 (dep. 21 giugno 2013), n. 27343, CED 255345: «[l]e regole sulla competenza derivante dalla connessione di procedimenti non sono subordinate alla pendenza dei procedimenti nello stesso stato e grado, essendo anche quello basato sulla connessione un criterio originario e autonomo di attribuzione della competenza». Tale conclusione poggia su un’interpretazione letterale delle disposizioni sulla competenza per connessione, sull’argomento logico-sistematico e sulla volontà del legislatore desunta anche dai lavori parlamentari. Per un commento alla sentenza cfr. R. Casiraghi, Competenza per connessione e giudice naturale, in Cass. pen., 2013, 12, p. 4492 ss.

[24] La sentenza delle Sezioni unite Taricco, citata nella nota precedente, al §1.1 del “considerato in diritto” precisa esplicitamente di affrontare il quesito «prescindendo dallo specifico riferimento alla “incompetenza per territorio”, estendendolo a tutte le competenze determinate da connessione, ovvero sia a quella per materia sia a quella per territorio».

[25] La corte d’appello, infatti, argomenta “l’attrazione” nella competenza della corte d’assise «e, a cascata, l’applicazione in relazione a tutti i reati […] del correlato regime di deducibilità di cui all’art. 21» in relazione al caso in cui i diversi reati siano oggetto di un medesimo procedimento.