Cass., Sez. III, ord. 25 febbraio 2021 (dep. 10 marzo 2021), n. 10395, Pres. Marini, rel. Andronio, ric. Pizzone e altro
1. Con l’ordinanza in commento, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “se, in tema di reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base per tale reato, debba anche calcolare l’aumento di pena in modo distinto per i singoli reati satellite o possa determinarlo unitariamente per il complesso dei reati satellite”.
Si tratta di questione già affrontata, seppur “incidenter tantum”, da molteplici pronunce delle stesse Sezioni Unite[1], che, come diremo nel prosieguo, non sono state tuttavia sufficienti a consolidare un orientamento interpretativo uniforme sul punto, registrandosi un perdurante contrasto di portata tale da giustificare una ulteriore rimessione[2].
Nella formulazione del quesito riecheggiano le opposte concezioni dottrinali in tema di struttura del reato continuato maturate successivamente alla riforma del 1974, che ha determinato la soppressione dal testo dell’art. 81 secondo comma c.p. dell’inciso “le diverse violazioni si considerano come un solo reato”. In particolare, si richiama da un lato la tesi che accentua la distinzione ontologica dei singoli reati posti in continuazione[3], dall’altro quella, assolutamente prevalente, che ne riconosce una permanente considerazione legislativa unitaria limitatamente a taluni effetti per lo più favorevoli per l’agente[4]. Se aderendo alla prima impostazione “nulla quaestio” in punto di onere motivazionale relativo ai singoli delitti satellite, alla luce della loro autonomia ontologica, più controversa appare la soluzione da adottare in adesione alla seconda impostazione richiamata, in vista del possibile assorbimento dell’onere motivazionale richiamato nella determinazione unitaria dell’aumento della pena base.
A fronte di tali rilievi, appare dunque opportuno ripercorrere i passaggi più rilevanti dell’ordinanza in esame, cercando di porre in evidenza come i giudici di legittimità si collochino all’interno del frastagliato panorama applicativo di cui si cercherà, in breve, di dare conto.
2. Prendendo le mosse dall’esame della vicenda fattuale, i due ricorrenti venivano condannati dal g.u.p. del Tribunale di Roma per molteplici fatti di detenzione e cessione di sostanza stupefacente, ex art. 73 commi primo e quinto d.P.R. 309/1990, nonché, con riferimento alla posizione soggettiva di uno solo di essi, per detenzione e porto illegali di pistola ex artt. 2,4,7 l. n. 895/1967, tutti delitti ritenuti avvinti dal vincolo di continuazione.
La Corte di Appello di Roma riformava la sentenza emessa in sede di giudizio abbreviato, rideterminando la pena inflitta a titolo di continuazione, e più precisamente ponendo in continuazione i reati richiamati con quelli oggetto di distinta e pregressa sentenza irrevocabile pronunciata dalla Corte di Appello di Roma. Occorre infatti ricordare come sia da ritenersi ormai superato in giurisprudenza il dogma dell’intangibilità del giudicato[5], potendo la continuazione essere applicata anche in sede di cognizione in caso di pronuncia di due o più sentenze di condanna passate in giudicato, oltre che in sede esecutiva secondo quanto disposto dall’art. 671 c.p.p.
Avverso la sentenza di secondo grado uno dei ricorrenti formulava ricorso per Cassazione, lamentando quale unico motivo di doglianza il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui l’organo giudicante non avrebbe specificamente motivato circa la determinazione della pena, omettendo di indicare nel dettaglio i singoli aumenti di pena operati con riferimento a ciascuno dei reati posti in continuazione con quelli di cui alla pregressa sentenza passata in giudicato.
Ai fini della decisione sul ricorso in esame, assume dunque rilievo dirimente la questione se il giudice, nella determinazione della pena complessiva per il reato continuato, debba, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena-base, calcolare distintamente l’aumento di pena per i singoli reati satellite, o possa al contrario limitarsi a determinare l’aumento in maniera unitaria per il complesso di tali reati, come effettivamente avvenuto nel caso di specie[6].
3. Sul punto, come evidenziato dall’ordinanza di rimessione, è possibile individuare in seno alla giurisprudenza di legittimità tre orientamenti interpretativi.
Un primo filone interpretativo ritiene che in tema di quantificazione della pena nel reato continuato non sussista un obbligo di specifica motivazione per ogni singolo aumento, essendo sufficiente indicare le ragioni a sostegno della determinazione della pena-base[7]. E ciò in virtù di passaggi argomentativi tralatizi, affermandosi che il consolidamento della progressione criminosa che viene effettuato con il riconoscimento del vincolo della continuazione consenta di ritenere giustificati gli aumenti per i reati satellite con i parametri indicati per la determinazione del reato principale[8], ovvero ritenendosi che il giudice, nella determinazione unitaria dell’aumento, valuti implicitamente gli elementi obiettivi e subiettivi del reato risultanti dal contesto complessivo della sua decisione[9].
Una variante di tale orientamento ribadisce la mancanza dell’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena relativi ai reati-satellite, precisando tuttavia che l’aumento per la continuazione operato sul reato più grave possa essere determinato anche in termini cumulativi, senza la necessità di indicare separatamente i singoli aumenti operati[10]. L’argomento addotto a sostegno di tale soluzione ermeneutica è quello letterale “a contrario”, sostenendosi che un tale onere rafforzato di motivazione non sia previsto dalla normativa vigente, non dando luogo a nessuna nullità (né a vizi motivazionali) l’aumento di pena per i reati satellite determinato in termini unitari e complessivi.
Il terzo filone interpretativo è quello patrocinato da numerose pronunce delle Sezioni Unite, le quali, per contro, ritengono necessaria l’indicazione da parte dell’organo giudicante dell’aumento della pena base operato con riferimenti a ciascuno dei reati satellite. A partire da una risalente pronuncia del 1995[11], che ha statuito la nullità della sentenza con cui la pena complessiva veniva determinata senza alcuna indicazione della pena stabilita per ciascun reato, la giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite si consolida con un intervento del 2013[12], all’interno del quale si precisa che la necessaria indicazione dei singoli aumenti operati per ciascun reato satellite sia richiesta da un lato dalla verifica dell’osservanza del limite di cui all’art. 81 comma terzo c.p., dall’altro dalla considerazione che a taluni effetti il cumulo giuridico si scoglie (facendosi richiamo alla prescrizione, all’indulto, all’estinzione di misure cautelari personali e alla sostituzione delle pene detentive brevi). A breve distanza di tempo fa seguito un’ulteriore pronuncia[13], nella quale le Sezioni Unite ribadiscono il suddetto orientamento, ritenendo che è la stessa “visione multifocale” del reato continuato (ora considerato come unico reato, ora come pluralità di reati) a dare ragione della necessità della individuazione delle singole pene per i reati-satellite, così riallacciandosi al dibattito dottrinale sopra richiamato e facendo propria la tesi della dottrina prevalente[14], che delimita la considerazione legislativa unitaria del reato continuato a taluni effetti tassativi favorevoli per il reo. Ciò che accomuna le pronunce delle Sezioni Unite richiamate (ed altre di analogo tenore[15]) è proprio la volontà di circoscrivere la considerazione unitaria del reato continuato ai soli effetti favorevoli per il reo, in conformità alla “ratio” del reato continuato, che garantisce un trattamento sanzionatorio privilegiato a fronte dell’atteggiamento di minore riprovevolezza del reo.
4. Malgrado la sostanziale continuità e coerenza delle affermazioni delle Sezioni Unite da ultimo riportate, si tratta di dichiarazioni non costituenti la “ratio decidendi” delle richiamate decisioni, formulate solo “incider tantum” e per questo disattese dalla crescente tendenza giurisprudenziale di attenuare sostanzialmente l’onere motivazionale gravante sul giudice di merito, di cui sono espressione molteplici pronunce di segno opposto da parte di sezioni semplici relative all’applicazione della continuazione in sede di cognizione[16], che hanno rinvigorito il perdurante dibattito interpretativo.
Per contro, la giurisprudenza in tema di rideterminazione della pena attraverso l’applicazione della continuazione in sede esecutiva pare avere recentemente recepito le conclusioni di cui alle pronunce a Sezioni Unite richiamate, riaffermando costantemente l’onere da parte del giudice di specificare in motivazione anche i singoli aumenti operati[17]. Cionondimeno, come evidenziato dalla stessa ordinanza di rimessione, occorre tenere in considerazione la peculiarità del contesto del procedimento di esecuzione rispetto al giudizio di cognizione, essendo il giudice dell’esecuzione vincolato nell’individuazione del reato-base in funzione dell’individuazione della pena-base, e dovendo il suo onere valutativo incentrarsi sugli aumenti di pena in continuazione di per sé considerati.
5. Nonostante la terza sezione penale della Corte di Cassazione non si sbilanci circa l’opzione da preferire, si ritiene opportuno formulare alcuni rilievi conclusivi.
A sostegno dell’obbligo a carico del giudice di motivare specificamente i singoli aumenti per ciascuno dei reati-satellite in sede di quantificazione della pena complessiva per il delitto continuato militano invero tre argomentazioni che ci paiono persuasive[18].
Occorre in primo luogo richiamare l’argomento letterale costituito dal testo dell’art. 533 c.p.p., secondo cui “se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso dei reati o sulla continuazione”. In forza di tale dato testuale, e aderendo all’impostazione dottrinale e giurisprudenziale dominante che individua nella continuazione una pluralità strutturale di singoli reati, circoscrivendo la considerazione unitaria dello stesso a singoli effetti tassativi favorevoli per il reo[19], la mancata motivazione sugli aumenti di pena operati per ciascun reato satellite non può che tradursi in un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606 comma primo lett. e) c.p.p.
In secondo luogo, emerge l’argomento teleologico che fa perno sulla “ratio” sottesa agli artt. 533 c.p.p. e 132 c.p., espressione dell’obbligo costituzionale di motivazione ex art. 111 comma sesto Cost., come strumento di controllo della logicità e razionalità delle decisioni del giudice. Una piena attuazione di tale principio non può che passare, in materia di reato continuato, attraverso una interpretazione dell’art. 81 c.p. che imponga al giudice di fornire una congrua motivazione non solo in ordine all’individuazione della pena-base, ma anche all’entità dell’aumento ex art. 81 secondo comma c.p., in modo da garantire a favore del cittadino il pieno ed effettivo controllo dell’iter logico-giuridico perseguito ai fini della determinazione del “quantum” sanzionatorio.
È possibile infine cogliere un argomento sistematico proprio nell’interpretazione giurisprudenziale recentemente radicatasi in tema di applicazione del reato continuato in sede di giudizio di esecuzione, in cui i giudici di legittimità hanno ampiamente recepito le conclusioni delle pronunce delle Sezioni Unite di cui sopra. Non dirimente appare invero l’argomento riportato (e per il vero parzialmente contestato) dall’ordinanza di rimessione in esame circa la diversità strutturale tra il giudizio di esecuzione e giudizio di cognizione: in particolare, se si considera l’ipotesi in cui il giudice della cognizione debba operare l’aumento per la continuazione “esterna”, assumendo come pena-base quella già fissata in altra sentenza di condanna divenuta irrevocabile, si prospetta una situazione del tutto analoga a quella che si configura dinanzi al giudice dell’esecuzione chiamato ad applicare “in executivis” l’istituto della continuazione.
Se a tali rilievi ermeneutici si aggiunge quello pratico, parimenti persuasivo, dell’assoluta centralità che assume lo scioglimento del cumulo giuridico in relazione ai molteplici istituti sopra richiamati, si giunge alla conclusione di preferire la tesi che impone al giudice, nell’applicare l’istituto del reato continuato, di calcolare distintamente i singoli aumenti di pena operati per ciascuno dei reati satellite che lo compongono.
[1] Cass. Sez. Un. 26 marzo 2009, n. 25956, Vitale, CED 243589; Cass. Sez. Un. 28 febbraio 2013, n. 25939, Ciabotti, con nota di Aimi, Le Sezioni Unite sull’individuazione della violazione più grave ai fini del computo della pena per il reato continuato, in Dir. pen. cont., giugno 2013; Cass. Sez. Un. 26 febbraio 2015, n. 22471, Sebbar, CED 263717; Cass. Sez. Un. 21 giugno 2018, n. 40983, Giglia, con nota di Bertolesi, Le motivazioni delle Sezioni Unite in tema di continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, in Dir. pen. cont., ottobre 2018.
[2] Per una complessiva disamina delle singole pronunce più rilevanti, cfr. Santalucia, Questioni controverse nella giurisprudenza di legittimità, in Cass. pen., 2021, II, p. 432.
[3] In questo senso, Nuvolone, Il sistema del diritto penale, Padova, 1982, 386; Pagliaro, Principi di diritto penale. Parte generale, Milano, 2003, 604.
[4] Tra tutti, Romano, Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 2004, 760; Marinucci-Dolcini-Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, IX ed., 2020, 615; Fiandaca, Diritto Penale. Parte generale, Bologna, VI ed., 2009, 678.
[5] Cass. Sez. Un. 21 giugno 2986, n. 7682, Nicolini, confermata da giurisprudenza successiva consolidata, ex plurimis, Cass. Sez. III, 22 giugno 2017, n. 1957, Vallozzi.
[6] Cass, Sez. III, 25 febbraio 2021, n. 10395, Pizzone e Zingaro, p. 3.
[7] In questo senso, ex plurimis, Cass. Sez. III, 22 dicembre 2017, n. 24979, F., CED 273533; Cass. Sez. II, 21 novembre 2014, n. 4707, Di Palma, CED 262313.
[8] Cass. Sez. V, 21 novembre 2014, cit.
[9] Cass., Sez. III, 22 dicembre 2017, cit.
[10] In tal senso, ex plurimis, Cass. Sez. V, 13 marzo 2015, n. 29829, Pedercini, CED 265141; Cass. Sez. V, 13 gennaio 2011, n. 7164, De Felice, CED 249710.
[11] Cass. Sez. Un., 21 aprile 1995, n. 7930, Zouine, CED 201549.
[12] Cass. Sez. Un., 28 febbraio 2013, n. 25939, Ciabotti, CED 255348.
[13] Cass. Sez. Un. 26 febbraio 2015, n. 22471, Sebbar, CED 263717.
[14] Romano, op. cit., p. 760; Marinucci-Dolcini-Gatta, op. cit., p. 615.
[15] In questo senso, Cass. Sez. Un. 27 novembre 2008, n. 3286, Chiodi, CED 241755; Cass. Sez. Un. 27 marzo 2014, n. 16208, Capizzano, CED 258652.
[16] In tal senso, Cass. Sez. V, 14 ottobre 2020, n. 32511, Radosavljevic, CED 279770; Cass. Sez. II, 7 giugno 2016, Stricagnoli, n. 29826 non massimata.
[17] Tra le più recenti, ex plurimis, Cass. Sez. I, 25 maggio 2020, n. 17209, Trisciuoglio, CED 279316; Cass. Sez. I, 7 ottobre 2020, n. 800, Bruzzaniti, CED 280216.
[18] Di pari avviso Rocchi, “Osservazioni a Cass. Pen., 13 marzo 2015, sez. V, n. 29829”, Cassazione Penale, 2016, V, p. 2045.
[19] Marinucci-Dolcini-Gatta, op. cit., p. 615; Cass. Sez. Un., 28 febbraio 2013, n. 25939, Ciabotti, CED 255348.