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23 Ottobre 2023


La procedura di designazione del ‘paese di origine sicuro’ e i poteri di valutazione del giudice ordinario

Trib. Firenze, sez. immigrazione, decreto del 20 settembre 2023, Pres. Minniti, Rel. Sturiale



1. Premessa. Oggetto della presente nota è il provvedimento adottato dal Tribunale di Firenze in un procedimento di impugnazione del diniego di protezione internazionale (e, più precisamente, nel sub-procedimento cautelare volto ad ottenere la sospensione di detto diniego) emesso dalla Commissione Territoriale di Livorno nei confronti di un cittadino tunisino.

Il comma 4 dell’articolo 35-bis del D. Lgs. 25/2008, che disciplina le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, prevede che, nei casi in cui la proposizione del ricorso di impugnazione non comporti automaticamente la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato (casi tra cui rientra – come meglio si dirà – quello del richiedente asilo proveniente da un Paese designato come “sicuro”), la sospensione può essere disposta dal Tribunale con decreto motivato, quando ricorrono gravi e circostanziate  ragioni  e assunte, ove occorra, sommarie informazioni. Il decreto decisorio in merito alla sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato deve essere pronunciato entro cinque giorni dalla presentazione dell’istanza, senza la preventiva convocazione della controparte; il contraddittorio è garantito tramite un procedimento cartolare che segue l’emanazione della prima decisione da parte del Tribunale. Invero, entro cinque giorni dalla notificazione del decreto decisorio, le parti possono depositare note difensive e vi è poi un termine di ulteriori cinque giorni per eventuali repliche. Integrato il contraddittorio, il giudice entro i successivi cinque giorni, conferma, modifica o revoca il provvedimento inizialmente adottato.

Con il decreto in commento, il Tribunale di Firenze “revoca” il provvedimento assunto prima dello svolgimento del procedimento cartolare con cui l’istanza di sospensione presentata dal ricorrente non era stata accolta. Quantomeno su un piano formale, sarebbe più corretto parlare di modifica della precedente determinazione, in quanto il decreto del 20.9.2023 non accoglie – al pari del precedente – l’istanza presentata dal ricorrente ma dichiara che «il provvedimento deve considerarsi automaticamente sospeso per effetto della proposizione del ricorso per tutta la durata del procedimento».

Al fine di analizzare e comprendere l’iter logico-giuridico che ha guidato il Tribunale nella sua determinazione e la portata del provvedimento giudiziario in commento al di là della specifica vicenda cui si riferisce, è anzitutto necessario inquadrare l’istituto del ‘paese sicuro d’origine’ considerando in particolare la sua origine, la sua ratio e la procedura di designazione (par. 2), nonché gli effetti di tale designazione per il/la richiedente asilo (par.3).

 

2. Origine e ratio dell’istituto del “paese di origine sicuro” e procedimento di designazione. Il “paese di origine sicuro” è un istituto introdotto dal legislatore europeo che trova la sua disciplina nell’articolo 36 della direttiva 2013/32/UE c.d. “procedure[1] per cui «a norma della presente direttiva un paese terzo può essere considerato paese di origine sicuro per un determinato richiedente, previo esame individuale della domanda, solo se: a)  questi ha la cittadinanza di quel paese; ovvero b) è un apolide che in precedenza soggiornava abitualmente in quel paese, e non ha invocato gravi motivi per ritenere che quel paese non sia un paese di origine sicuro nelle circostanze specifiche in cui si trova il richiedente stesso e per quanto riguarda la sua qualifica di beneficiario».

L’articolo 37 della Direttiva “procedure” prescrive poi degli obblighi a carico degli Stati membri nella procedura di designazione di un Paese come sicuro. In particolare, agli Stati membri incombe di riesaminare periodicamente la situazione nei paesi terzi designati sicuri e, in sede di istruttoria, di consultare fonti di informazioni affidabili, comprese in particolare le infor­mazioni fornite da altri Stati membri, dall’EASO, dall’UNHCR, dal Consiglio d’Europa e da altre organizzazioni internazionali competenti.

Lo Stato italiano non si è avvalso della facoltà di adottare una lista di Paesi designati come sicuri fino al 2018, quando, ad opera del D.L. 113/2018 convertito con modificazioni in L. n. 132/2018, è stato introdotto nel D.Lgs. 25/2008 l’articolo 2-bis rubricato appunto “Paesi di origine sicuri”.

La lista di Paesi designati quali sicuri è stata dapprima introdotta con decreto interministeriale del 4 ottobre 2019 e poi sostituita da una nuova e più ampia lista con decreto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI) del 17 marzo 2023. La Tunisia, paese di origine del ricorrente nel procedimento in commento, figura sia nella lista del 2019 che in quella del 2023.

La ratio dichiarata di tale istituto, come meglio emerge dall’analisi delle sue conseguenze (infra), è di deflazionare” il carico di lavoro inerente alla valutazione delle domande di protezione internazionale. Infatti, il legislatore prevede, per le richieste presentate da persone provenienti da Paesi designati sicuri, delle procedure semplificate e più veloci che si fondano su una presunzione di infondatezza della richiesta in quanto, appunto, il Paese di provenienza risulterebbe privo di criticità in merito al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici. Questa presunzione, di natura relativa, può essere superata solo se il/la richiedente invoca gravi motivi per ritenere che il Paese (di origine o di residenza abituale) designato come tale non è sicuro per la sua situazione particolare (cfr. comma 5 dell’articolo 2-bis cit.).

La norma nazionale di recepimento dell’istituto prevede poi che la designazione possa essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone e indica una serie di criteri da prendere in considerazione nel procedimento di designazione. In particolare, ai sensi del comma 3, si deve tenere conto della misura in cui, nel Paese oggetto di designazione, è offerta protezione contro le persecuzioni ed i maltrattamenti mediante: le pertinenti disposizioni legislative e regolamentari  del Paese ed il modo in cui sono applicate, il rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti negli strumenti internazionali a tutela dei diritti umani, il rispetto del principio di non-refoulement cui  all'articolo  33  della Convenzione di Ginevra, e un sistema di ricorsi effettivi contro le violazioni  di  tali diritti e libertà. Ne consegue che, per usare le parole del Tribunale di Firenze, devono influire sulla designazione e sul suo riesame periodico “tanto il mutamento delle condizioni di fatto… quanto il mutamento del quadro politico e normativo”.

 

3. Le conseguenze della designazione di un Paese quale sicuro per il/la richiedente asilo. Come già anticipato, la presunzione relativa di sicurezza del Paese designato impone un onere probatorio aggravato. Il/la richiedente la protezione internazionale proveniente da tale Paese, già al momento della presentazione della domanda, deve allegare “gravi motivi” per ritenere che il Paese designato come “sicuro” non sia sicuro per la situazione particolare in cui lo/la stesso/a si trova (art. 2-bis, comma 5 d.lgs. 25/2008). Specularmente a tale aggravio probatorio a carico del richiedente, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, autorità amministrativa competente ad esaminare la domanda di protezione, è esentata dal procedere d’ufficio alla raccolta delle informazioni sul Paese di origine, come invece previsto nella procedura ordinaria.

L’introduzione del concetto di “Paese di origine sicuro” introduce quindi un differente regime dell’allegazione da parte del richiedente la protezione e declina in capo alle Commissioni un differente onere di cooperazione con quest’ultimo nell’accertamento dei fatti pertinenti. La Commissione territoriale è altresì esentata dall’onere di motivare il provvedimento di rigetto della domanda. Quando il richiedente proviene da un Paese designato di origine sicuro, la domanda può essere rigettata dalla Commissione territoriale ai sensi dell’articolo 9, comma 2-bis (cfr. art. 10, comma 1, d.lgs. 25/2008): la decisione di rigetto «è motivata dando atto esclusivamente che il richiedente non ha dimostrato la sussistenza di gravi motivi per ritenere non sicuro il Paese designato di origine sicuro in relazione alla situazione particolare del richiedente stesso».

In ogni caso, la domanda di protezione internazionale è esaminata dalla Commissione territoriale in via prioritaria (art. 28, comma 1 lett. c-ter) d.lgs. 25/2008) e con procedura accelerata (ai sensi dell’art. 28 bis, d.lgs. 25/2008): appena ricevuta la domanda, il Questore deve provvedere senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale, la quale deve provvedere all’audizione entro sette giorni, adottando la relativa decisione entro i successivi due giorni. Se la domanda è presentata in zona di frontiera o di transito l’esame può svolgersi direttamente alla frontiera o nelle zone di transito[2] (così l’art.28 bis, comma 1-ter, d.lgs. 25/2008). La nuova “procedura di frontiera” disciplinata dal D.L. 20/2023, convertito con modificazioni in L. 50/2023, prevede termini ancora più brevi e, in caso di mancata consegna del passaporto del richiedente e di mancata prestazione idonea garanzia finanziaria (cfr. art. 6 bis D. Lgs. 142/2015), la possibilità per le autorità di pubblica sicurezza di applicare la misura del trattenimento presso centri di detenzione appositamente istituiti.

L’eventuale decisione di rigetto per manifesta infondatezza comporta poi il dimezzamento dei termini ordinari di impugnazione dinanzi all’Autorità giudiziaria, che dagli ordinari 30 giorni diventano 15 (cfr. art.35, comma 2, d.lgs. 25/2008) o 14 se si applica la procedura di frontiera. Infine, come si è già osservato, l’eventuale presentazione del ricorso giurisdizionale al tribunale contro la decisione di rigetto per manifesta infondatezza non sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.

 

4. La contrazione delle garanzie nelle procedure accelerate come violazione del diritto costituzionale e sovranazionale? Nel decreto in commento, il Tribunale di Firenze evidenzia come la procedura accelerata prevista per i richiedenti provenienti da Paesi di origine designati come sicuri comporti «deroghe ai diritti esplicitamente qualificati dal legislatore europeo come estrinsecazione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale». In particolare, vengono richiamati i paragrafi 4 e 6 dell’articolo 46 della Direttiva c.d. “Procedure” che prescrivono il diritto a termini di impugnazione “ragionevoli” che “non rendano impossibile o eccessivamente difficile” l’accesso alla giustizia e il diritto a rimanere nel territorio fino alla scadenza del termine per il ricorso o in attesa dell’esito del ricorso.

Ancora, secondo il Tribunale, dall’inserimento di un Paese nella lista di Paesi sicuri di origine «discende causalmente una limitazione dei diritti procedurali e sostanziali che il legislatore europeo ha voluto garantire in via generale a tutti i richiedenti asilo quale strumento di tutela di diritti fondamentali della persona consacrati tanto nelle carte europee quanto nella Costituzione italiana».

Il Tribunale sembra ravvisare, nell’introduzione dell’istituto del Paese di origine sicuro e nell’adozione della relativa lista, profili di non conformità al diritto internazionale, ai Trattati dell’Unione europea e alla Carta costituzionale italiana. Del resto, le presunzioni di “sicurezza” introdotte dal legislatore europeo nel sistema comune di asilo e le loro conseguenze sui diritti e le garanzie procedurali dei richiedenti asilo sono già passate sotto lo scrutinio della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Nella nota pronuncia Ilias e Ahmed contro Ungheria del 14 novembre 2019, la Grande Camera ha infatti ravvisato nell’applicazione di tali presunzioni un rischio di violazione del principio di non-refoulement e del divieto di espulsioni collettive.

Considerata la premessa da cui parte il Tribunale, viene da chiedersi a chi commenta se la conseguenza non avrebbe potuto o dovuto essere la rimessione alla Corte costituzionale di una questione di legittimità dell’articolo 2-bis D.Lgs. 25/2008. Come suggerito dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea[3], interrogata sulla conformità con la Convenzione di Ginevra di altra disposizione del sistema comune di asilo europeo, l’adesione a tale sistema da parte degli Stati membri non li dispensa dall’osservare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale che – nel nostro ordinamento – divengono parametri di legittimità costituzionale ad opera dell’articolo 117 Cost.

Una pronuncia di illegittimità costituzionale avrebbe avuto l’effetto di sanzionare con efficacia erga omnes l’istituto del Paese di origine sicura, quantomeno nella parte in cui priva il/la richiedente asilo di garanzie procedurali che invece sono da considerarsi inderogabili in quanto espressione del diritto fondamentale a un rimedio effettivo e del divieto di respingimento.

Il Tribunale segue invece una strada diversa che, pur avendo sul piano formale un’efficacia inter partes, è idonea in forza dell’iter logico-giuridico che la supporta ad esplicare effetti anche al di là del singolo procedimento.

 

5. L’iter logico-giuridico del provvedimento. La premessa da cui muove il decreto in commento, ovvero che le garanzie procedurali di cui vengono privati/e i/le richiedenti asilo provenienti da Paesi designati come sicuri costituiscono espressione di diritti fondamentali, impone per il Tribunale un’interpretazione estensiva dei poteri/doveri di controllo e motivazione a carico dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Invero, per il Tribunale, la norma derogatoria di cui all’articolo 9, comma 2-bis «si rivolge unicamente all’amministrazione, prevedendo per i suoi provvedimenti un onere di motivazione attenuato, ma non esonera il giudice dal generale obbligo di verifica e motivazione in ordine ai profili di sicurezza del Paese, sia con riferimento al rischio determinato da ragioni peculiari del singolo richiedente, sia in ordine alla sussistenza di violenza indiscriminata prodotta da un conflitto armato interno o internazionale». Questa interpretazione consente al giudice di valutare nel merito la situazione della Tunisia, Paese di origine del ricorrente, anche se lo stesso non ha in alcun modo invocato gravi motivi di ordine personale.

Il Tribunale richiama a supporto della propria tesi il considerando 30 della Direttiva c.d. “procedure”, il quale prevede che «al richiedente siano fornite garanzie supplementari nei casi in cui il suo ricorso non abbia un effetto sospensivo automatico al fine di renderlo effettivo in circostanze specifiche».

Secondo il giudice, la garanzia supplementare prevista dal Considerando appena citato si sostanzia nel potere di sindacato da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria sul corretto inserimento di un Paese nella lista di Paesi sicuri. Sindacato che incontra però i limiti connessi al principio della separazione dei poteri e della non ingerenza nelle scelte discrezionali della pubblica amministrazione.

Nel descrivere i contorni del potere di controllo del giudice, il decreto afferma che lo stesso si esaurisce nel «riscontro della violazione delle regole procedurali e/o della presenza di sopravvenienze di fatto … che fanno sorgere l’obbligo di revisione previsto dalle direttive e dalla disciplina nazionale».

Il Tribunale procede poi con l’analisi di fonti aggiornate attinente al contesto sociale, politico e normativo attualmente esistente in Tunisia per arrivare a concludere che la Tunisia non può (più) essere ritenuto un Paese sicuro. Tale assunto porta il Tribunale a disapplicare il decreto ministeriale contenente la lista di Paesi sicuri aggiornata a marzo 2023 nella parte in cui include la Tunisia.  Ne consegue che al ricorrente, al pari degli altri/delle altre richiedenti asilo provenienti dalla Tunisia, non può applicarsi la procedura accelerata che il Tribunale definisce procedura c.d. Paesi sicuri e che quindi, in applicazione della procedura ordinaria, il ricorso di impugnazione del diniego della protezione internazionale presentato dal ricorrente è da ritenersi automaticamente sospensivo dell’efficacia del provvedimento impugnato.

La portata innovativa del provvedimento del Tribunale di Firenze sta, quindi, soprattutto nel fare discendere dalla valutazione della situazione attuale della Tunisia, già considerata da altri Tribunali con diverse conseguenze, la disapplicazione del decreto contenente la lista di Paesi sicuri con effetto di maggiore tutela procedimentale per il richiedente la protezione.

 

6. Conclusioni. Ancora più che in quello che dice espressamente, la portata politico-legislativa del provvedimento in commento è da ravvisarsi in quello che il Tribunale dice implicitamente.

In particolare, sebbene il Tribunale dichiari di esercitare il proprio sindacato limitatamente in merito alle sopravvenienze – quindi in base agli avvenimenti successivi alla designazione della Tunisia quale Paese sicuro intervenuta da ultimo nel marzo 2023 – dalla ricostruzione relativa al contesto presente in Tunisia effettuata nel decreto in commento è possibile ravvisare gravi violazioni procedurali nell’istruttoria su cui si è fondata la designazione.

A ben vedere, infatti, la scheda del MAECI da cui prende le mosse il Tribunale, unico documento su cui il Ministero ha fondato la designazione della Tunisia secondo quanto si legge nell’appunto ministeriale n. 181962 citato nel decreto, è aggiornata al 28.10.2022, ovvero cinque mesi prima della designazione ad opera del D.M. Molti degli avvenimenti citati dal Tribunale quali sopravvenienze sono invece antecedenti all’entrata in vigore del D.M. Non si tratta dunque di sopravvenienza ma di elementi non presi in considerazione dal Ministero, la cui istruttoria appare insufficiente e non conforme alle prescrizioni normative.  

A ben vedere, considerando l’intero iter procedimentale che ha portato all’emanazione della lista dei paesi sicuri, emergono anche altri rilevanti profili di illegittimità. Formalmente, infatti, l’art. 2 bis, comma 1 del D. Lgs. 25/2008 prescrive che la lista debba essere adottata «con decreto del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale, di concerto con i ministri dell’interno e della giustizia». A differenza della lista adottata nel 2019, appunto con decreto interministeriale, la lista attualmente in vigore è stata adottata con decreto a unica firma del MAECI e non risulta che vi sia stata la concertazione prescritta dalla norma. Inoltre, ai sensi del comma 4 del medesimo art. 2 bis, «la valutazione volta ad accertare che uno Stato non appartenente all’Unione Europea è un paese di origine sicuro si basa sulle informazioni fornite dalla Commissione Nazionale per il diritto di asilo». Tale consultazione, sebbene raccomandata anche nello stesso appunto n. 181962 del MAECI, non risulta dagli atti, né risultano consultate nell’iter procedimentale schede Paese redatte dalla Commissione Nazionale come invece era avvenuto per l’emanazione del d.m. del 2019.

Altro rilievo sottostante il decreto è che lo Stato italiano non abbia adempiuto (e continui a non adempiere) all’obbligo di riesame prescritto dall’articolo 37 della Direttiva e dall’articolo 2-bis D.Lgs. 25/2008. Implicitamente, il Tribunale ha quindi riconosciuto che lo Stato italiano sta violando quanto disposto dalla direttiva c.d. “procedure”, che impone sullo stesso l’onere di aggiornare la lista di Paesi di origine sicura escludendo la Tunisia.

 

 

[1] Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione). La stessa previsione era già contenuta nella prima direttiva procedure 2005/85/CE.

[2] Le zone di transito e di frontiera sono individuate dal D.M del 5 agosto 2019 in quelle esistenti nelle seguenti province: a) Trieste, Gorizia; b) Crotone, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi; c) Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Messina; d) Trapani, Agrigento; e) Città Metropolitana di Cagliari, Sud Sardegna.

[3] CGUE, Grande Sezione, sentenza del 14 maggio 2019, cause riunite C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17: «a prescindere dai diritti che gli Stati membri sono tenuti a garantire agli interessati in applicazione… della direttiva 2011/95, occorre sottolineare che quest’ultima non può essere interpretata in nessun modo nel senso che essa produca l’effetto di incitare detti Stati a sottrarsi agli obblighi internazionali a loro incombenti, quali derivanti dalla Convenzione di Ginevra, limitando i diritti che tali soggetti traggono da questa convenzione» (punto 108).