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15 Ottobre 2024


Normal organizational wrongdoing? Grandi imprese e devianza organizzativa


1. Diverse indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Milano a partire dal 2021, sin ora oggetto di primissime conferme, permettono di desumere un modello di gestione della subfornitura da parte di imprese di grandi dimensioni, anche multinazionali, basato sullo sfruttamento della manodopera e su illeciti fiscali e amministrativi (evasione Iva e contributi), attraverso l’utilizzo di società che operavano come meri serbatoi di manodopera, spesso di irregolari stranieri.

Il dato rilevante che emerge è che le numerose imprese coinvolte sono imprese floride, ad alto rendimento economico e con brand di elevata reputazione, anche internazionale. In altre parole, non vi erano fattori di costrittività organizzativa, di logiche di mercato ineluttabili che potevano motivare tali comportamenti. Non si è in presenza di fattori riconducibili alla “teoria della tensione” (strain theory) di Robert Merton (1938), teoria secondo la quale le persone tendono a perseguire mezzi illegittimi per raggiungere le loro aspirazioni quando i mezzi legittimi sono bloccati. Tutt’altro[1].

Le ventinove imprese operavano in otto settori diversi: moda, logistica-trasporti, allestimenti fieristici, sicurezza, alimentari, grande distribuzione, costruzioni, pulizie. Trattasi, dal punto di vita tecnico, di casi nei quali sono state adottate iniziative giuridiche di diversa natura, in particolare, per alcune società, è stata richiesta l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche ex art. 34 del d.lgs. 159/2011[2]; per altre vi è stato decreto di controllo giudiziario ex l. 199/2016[3]; per altre ancora c’è stata richiesta di archiviazione ex art. 58 d.lgs. 231/2001[4], infine in un’altra ampia casistica sono state applicate misure cautelari di diversa natura (personali, reali, interdittive, secondo le disposizioni del c.p.p. e del d.lgs. 231/2001) a persone fisiche e/o giuridiche[5].

Secondo la ricostruzione della Procura – per il vero non seguita dal definitivo accertamento di eventuali responsabilità penali – pur nella diversità dei settori, dei modelli organizzativi e di business, si riscontrerebbe un comune modus operandi, esemplificato dal grafico seguente (vedi fig. 1).

 

Il pattern comune a molti casi, prevede che la lead firm, la società committente, esternalizza tutta l’attività di produzione o di servizi ad una società filtro, priva di reparti di manifattura o di adeguata capacità produttiva, e che a sua volta esternalizza le attività a società (cooperative oppure S.r.l) mere serbatoio di manodopera straniera illegale o talvolta italiana.

La società committente agevola “colposamente” il fenomeno a causa di deficit organizzativi e di controllo dei propri fornitori. Nel caso di una nota impresa dell’alta moda, l’ispettore “controllo qualità del prodotto finito”, dipendente della società, ha dichiarato che da almeno sei mesi accertava con visite mensili direttamente negli opifici illegali se il tipo di collanti utilizzati per la produzione fosse resistente ai raggi UV[6]. Ma i lavoratori cinesi che lavoravano negli opifici e producevano pelletteria erano immigrati irregolari, sottopagati (per 4 ore a fronte di turni di anche 10 e più ore di lavoro), ogni ora di lavoro veniva retribuita tre o quattro euro. Le attrezzature di lavoro erano prive dei dispositivi di sicurezza così da consentire una maggiore capacità produttiva, anche se questo accresceva il rischio di infortuni. Le sostanze chimiche, pericolose e infiammabili, erano prive di contenitori e alloggi sicuri. I lavoratori in molti casi dormivano negli stessi opifici, in condizioni alloggiative e igienico sanitarie degradanti, fuorilegge. E tutto ciò, stando alle informazioni sin ora disponibili e che dovranno essere accertate definitivamente, accadeva a Milano, la città della moda.

La distanza tra la casa madre e questi opifici era soltanto di pochi chilometri in linea d’aria. Come sia possibile che un brand di livello mondiale, quale la società coinvolta nel procedimento giudiziario in questione, possa utilizzare fornitori operanti in tali condizioni, è certamente una domanda che meriterebbe una risposta. Una possibile risposta sta nel valore di questo sistema illegale. Una borsa completa e finita prodotta dagli opifici costava alla committente circa 90 euro ed era rivenduta a 1.800 euro[7]. Nel solo mese di marzo 2023 sono state prodotte circa mille di queste borse. Simili situazioni lavorative e alloggiative si ritrovano in altri casi della moda. In uno di questi, la catena dei contratti sarebbe servita ad abbattere i costi: una bustina portachiavi prodotta dagli opifici cinesi in subfornitura costava 3 euro e veniva rivenduta al cliente finale al prezzo di 48 euro, una borsa a mano costava 19 euro e veniva rivenduta a 350 euro.

Passando ad altri settori, per quanto è dato sapere, una società multinazionale impegnata nella consegna a domicilio di pasti organizzava e controllava i lavoratori che dipendevano da un’altra società attraverso un software che definiva ritmi di lavori e relative attività[8]. I manager e proprietari di questa organizzazione, oltre a imporre ritmi di lavoro defatiganti e malpagati, si appropriavano addirittura delle mance che i clienti pagavano online ai ciclofattorini.

Un ulteriore caso significativo è quello che ha coinvolto un’impresa leader mondiale nella fornitura di soluzioni logistiche all’avanguardia per società multinazionali e grandi aziende leader di mercato, con 130.000 dipendenti in 27 Paesi (di cui 4.900 nei 45 siti in Italia). La società in questione avrebbe creato un sistema fraudolento, articolato su tre livelli di subfornitura di società di servizi di logistica e basato sulla “transumanza” classica, con il passaggio degli stessi lavoratori, che di fatto operavano nei depositi dell’impresa, da una cooperativa fallita a un’altra[9]. Tale sistema avrebbe consentito di commettere vantaggiosi reati fiscali (evasione IVA e di contributi fiscali del personale) ripetuti nel corso degli anni. La società sarebbe stata consapevole di questo sistema fraudolento e di ciò che avveniva nei diversi livelli dei sistemi di subappalto.

 

2. Le caratteristiche comuni. Pur nella diversità dei settori, dalle notizie ad ora disponibili, si riscontrano alcune caratteristiche comuni nei ventotto casi.

Dal punto di vista delle imprese:

  • si tratta di condotte qualificate come illecite da parte della Procura e riguardanti aziende floride e ad alta reputazione; condotte di cui beneficia principalmente l’organizzazione e che minano una sana competizione di mercato;
  • le azioni sono eseguite da persone “normali” che operano nell’ambito di un contesto professionale (lecito) e non mostrano anomalie psichiche significative, se non una tendenza all’indifferenza;
  • si tratta di aziende labour-intensive, dove gli eventi riguardano principalmente le attività operative e la logistica (in entrata e in uscita) della catena del valore dell’impresa;
  • all’interno di modelli organizzativi basati sull’outsourcing totale delle attività produttive o di servizio;
  • con pratiche di sfruttamento situate nell’anello finale della catena di subfornitura;
  • con una condizione di prossimità fisica tra l’organizzazione committente e l’organizzazione operativa finale;
  • con frodi fiscali di vario tipo ripetute nel tempo;
  • con una cultura organizzativa deficitaria dal punto di vista dei controlli sulla legalità delle operazioni, in totale assenza, sembrerebbe, di whistleblower interni;
  • in una condizione di “normalizzazione della devianza” (Vaughan 2016), dove i confini tra ciò che è accettabile per l’impresa committente e ciò che non lo è si modificano nel tempo, a vantaggio dei primi. La devianza diventa via via una normale condizione.

 

Dal punto di vista dei lavoratori, in taluni casi questi:

  • operavano in condizioni di lavoro paraschiavistico, una forma di “modern slavery” (Buccellato e Rescigno 2015; Crane, 2013);
  • erano sottopagati con una retribuzione che risultava inferiore (anche fino al 50%) rispetto a quanto richiesto dai minimi tabellari previsti dai contratti collettivi nazionali di settore; in alcuni casi addirittura, percepivano solo tre-quattro euro per ora e con soltanto una parte delle ore lavorate loro riconosciute e senza contributi fiscali versati;
  • lavoravano in condizioni di rischio e sprovvisti di strumenti e tutele per la sicurezza del lavoro;
  • operavano in condizioni lavorative e abitative degradanti, pericolose e incivili;
  • erano poco o per nulla sindacalizzati;
  • prevalentemente, anche se non esclusivamente, erano lavoratori stranieri irregolari, sia dal punto di vista lavorativo, sia residenziale.

 

3. Perché lo fanno? “Perché lo fanno?” s’interrogava Eugene Soltes (2016), perché manager e imprenditori di successo e senza apparenti costrizioni economiche danno luogo a crimini d’impresa. Soltes mostra che la maggior parte degli esecutivi che hanno commesso crimini ha preso decisioni nel modo in cui tutti facciamo — sulla base delle loro intuizioni e sensazioni viscerali. Il problema è che queste sensazioni viscerali sono spesso poco adatte al mondo degli affari moderno, dove i leader sono sempre più distanti dalle conseguenze delle loro decisioni e dagli individui che esse influenzano. In altre parole, hanno messo poco impegno in queste decisioni perché non hanno mai sentito profondamente che le decisioni fossero effettivamente dannose per loro stessi o per gli altri. Sembra una spiegazione che lascerebbe spazio a possibili cambiamenti, volti a ridurre la miopia esistente la decisione di un manager e le sue conseguenze.

Tuttavia, queste ed altre vicende giudiziarie simili, anche se non ancora confermate da veri e propri “verdetti” di colpevolezza, fanno emergere numerosi interrogativi su alcuni modelli d’impresa e di business e i relativi modelli di organizzazione a rete delle corporations, e più in generale su un certo tipo (senza alcune pretesa di generalizzazione) di capitalismo contemporaneo. Le scelte tra make or buy (Williamson 1988), dei modelli organizzativi decentrati rispetto alla “catena del valore” (Gereffi 2018), con totale esternalizzazione delle attività produttive, sembrerebbero derivare non tanto o soltanto dalla ricerca di migliori criteri di efficienza o di efficacia, quanto dalla possibilità che questi modelli offrono per poter realizzare quei comportamenti qui analizzati[10]. Ad esempio, il reshoring, ovvero il rientro a casa delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato in altri paesi ma sempre con un sistema di subfornitura, consente un migliore controllo della qualità dei prodotti e del lavoro, senza al contempo perdere i vantaggi economici del costo del lavoro che assicurava l’offshoring. Scaricando i rischi e i costi nel sistema della subfornitura.

Queste scelte strategico-organizzative rendono poco utilizzabile la distinzione tra le due vie alla qualità da parte di un’impresa: la via “alta”, basata sull’innovazione, e la via “bassa” basata prevalentemente sul contenimento del costo del lavoro. In tutti questi casi, le due vie coesistono, anzi l’una sembra supportare l’altra, in assenza di fattori di tensione che possano spingere, o quantomeno favorire certi comportamenti illeciti. Anzi, la via alta in alcuni casi dista solo pochi chilometri dalla via bassa, ed è costituita da un’infrastruttura lavorativa paraschiavistica. In un continuum tra legale e illegale, dove questi due mondi convivono in equilibrio.

 

4. Stati di negazione: il silenzio dei controllori. Sorgono non pochi dubbi sull’efficacia dei programmi e dei sistemi di controllo, sia interni all’impresa (corporate compliance), sia esterni (enti e istituzioni deputate al controllo). In una situazione di evidente decoupling tra le teorie dichiarate (sistemi di gestione e controllo, sistemi di certificazione per la sostenibilità, codici etici) e le teorie in uso (il reale sistema di lavoro della subfornitura), dove le prime servono a produrre rassicurazioni formali ai controlli esterni, anche se prive di qualsiasi efficacia. Nel silenzio dei controllori, sembra che soltanto la magistratura sia in grado di fungere da attore di controllo sociale, e questo è certamente un segnale preoccupante. Emerge, dunque, un problema di social control della devianza organizzativa (Piazza, Bergemann e Helms 2024) che non è riducibile soltanto alla logica della deterrenza e della punizione, in quanto tale logica rischia di essere “troppo poco” (i casi scoperti sono una minoranza rispetto al numero oscuro degli eventi accaduti) e “troppo tardi” (gli eventi negativi sono accaduti).

 

5. Alcuni interrogativi. Sulla base delle evidenze derivanti dalle inchieste, emergono alcuni interrogativi, anche di carattere generale. Innanzitutto, questi comportamenti devianti da parte delle imprese, traggono origine da una insaziabile sete di lucro che dà luogo a forme devianti, oppure si tratta di un nuovo modo di essere di un certo capitalismo contemporaneo? Al riguardo, scriveva Max Weber ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-5) che «La sete di lucro, l’aspirazione a guadagnare danaro più che sia possibile, non ha di per se stessa nulla in comune col capitalismo. Quest’aspirazione si ritrova presso camerieri, medici, cocchieri, artisti, cocottes, impiegati corruttibili, soldati, banditi, presso i crociati, i frequentatori di bische, i mendicanti; si può dire presso all sorts and conditions of men, in tutte le epoche di tutti i paesi della terra, dove c’era e c’è la possibilità obiettiva. Dovrebbe ormai entrare nei più rudimentali elementi della educazione storica l’abbandonare una volta per tutte questa ingenua definizione del concetto di capitalismo» (1965, p. 67). Secondo Weber, dunque, questa brama immoderata di guadagno non corrisponderebbe allo “spirito” del capitalismo, che anzi deve identificarsi con un disciplinamento o per lo meno un razionale temperamento. Evidentemente, però, qualcosa non ha funzionato e continua a non funzionare nel disciplinamento.

Un secondo interrogativo è se si tratta di casi devianti oppure di un nuovo modus operandi di imprese, anche ad alto valore aggiunto, che si muovono sempre più in una logica di sfruttamento del lavoro, come modo “normale” di operare. Per riprendere la distinzione introdotta da Mariana Mazzucato (2018), tra imprese volte a “creare” valore, dove risorse diverse sono impiegate per creare nuove merci e servizi, e imprese volte a “estrarre” valore, ovvero imprese le cui attività si concentrano sul trasferimento di risorse e prodotti esistenti, e che guadagnano in modo sproporzionato dalla loro commercializzazione. Oltre a diffondersi in molteplici settori, questa logica estrattiva sembra ritrovarsi nei casi analizzati assieme alla logica di creazione di valore. Più che denotare due tipi diversi di imprese, le due logiche (di creazione e di estrazione di valore) sembrerebbero coesistere nello stesso modello d’impresa.

Labirinti morali? Dalle inchieste è emerso che alcuni manager e funzionari delle lead firms erano a conoscenza delle condizioni di lavoro e ambientali delle imprese che operavano come “società serbatoio” di manodopera. In uno degli opifici, come è stato evidenziato, operava le normali attività di controllo qualità un funzionario dell’impresa d’alta moda. Senza nulla eccepire né tantomeno segnalare delle condizioni di lavoro degradanti e fuorilegge che egli stesso ben vedeva durante le visite. Interrogato sul perché non avesse segnalato le inumane condizioni di lavoro e abitative dei lavoratori, replicava che lui era lì soltanto per fare il suo lavoro di controllo della qualità dei prodotti. Un evidente esempio di “disimpegno morale” (Bandura 2016) che gli consente di liberarsi dalla responsabilità, dislocandola verso l’alto e giustificandosi affermando di eseguire solo i compiti che gli erano stati affidati. È la stessa risposta utilizzata da Adolf Eichmann durante il suo processo. È certamente molto difficile, ma sarebbe importante studiare i “labirinti morali” (Jackall 2009) all’interno dei quali manager e professional operano, e di come questi stabiliscono linee di demarcazione, una specie di trade-off tra lecito e illecito, tra principi e convenienza. È noto che le organizzazioni creano meccanismi, che poi si rivelano utili, volti a tenere separate le persone dalle loro azioni, allontanando così il decisore dalle visibili conseguenze delle sue azioni. Nel caso descritto, tuttavia, funzionari dell’organizzazione committente operavano all’interno dell’organizzazione degli sfruttati. Non c’era distanza né fisica né cognitiva.

Un altro interrogativo riguarda quali siano i giusti confini per la valutazione di un’impresa. Molte di queste imprese, avevano ricevuto premi e altri riconoscimenti di eccellenza. Tuttavia, quando si valuta o si premia un’impresa occorrerebbe prendere in esame l’intera rete e filiera produttiva che consente la realizzazione del servizio-prodotto finale, e non soltanto la sua agenzia strategica (lead firm), ovvero la casa madre che dà il nome all’azienda e all’interno della quale si svolgono le operazioni di strategia, marketing, ricerca e sviluppo, ecc.

Come mitigare i corporate misconduct? Si rende necessario avviare un programma di studi e di ricerche interdisciplinare su cause, processi, conseguenze e natura del wrongdoing nelle organizzazioni, oltre la dimensione individuale, per poter comprendere meglio quei fattori organizzativi, ambientali e delle “logiche istituzionali” (Thornton, Ocasio e Lounsbury 2012) che influenzano e caratterizzano alcuni di questi ambienti organizzativi, e che possono favorire l’occorrenza e la ricorrenza di eventi criminosi. Al fine di promuovere politiche di controllo e di regolazione più efficaci oltre la sola azione della magistratura. In primo luogo, occorre rafforzare il monitoraggio esterno e il ruolo di auditors, investitori, analisti e dei media. Questo richiede alcune condizioni che ne facilitino il compito, quali (Braun e Eulitz 2024): la prossimità per l’acquisizione delle informazioni; la credibilità dei soggetti per l’interpretazione delle informazioni; l’attenzione per la disseminazione delle informazioni.

 

6. In conclusione, considerando la pluralità dei settori coinvolti scoperti in soli tre anni e da parte di una Procura della Repubblica soltanto, quella di Milano, quanto sinora emerso sembra essere un fenomeno fisiologico, più che patologico di un certo agire d’impresa: dei normal crimes (Sudnow 1965), un normal organizational wrongdoing (Palmer 2012), reso legittimo e tollerato all’interno di un ambiente deviante. Una specie di wrongdoing istituzionalizzato, dove la devianza sembra essere parte delle routines dell’organizzazione (Nelson e Winter 1982), e che diventa un ingranaggio del funzionamento del sistema sociale.

Tutto ciò dovrebbe interrogare la politica, che sembra poco interessata a tali questioni se non in modo del tutto occasionale, i sindacati, spesso assenti, le associazioni imprenditoriali, che hanno al loro interno queste imprese. E il più ampio tema della grande impresa azionaria, la corporation, e della sua sostenibilità tra shareholderism e stakeholderism (Barcellona 2022; Tombari 2019; Wolf 2023), dove una certa logica dello shareholder value (senza pretesa di generalizzazione) sembra rendere sempre più tollerate e tollerabili alcune forme di estrazione del valore.

E dovrebbe interrogare e preoccupare la società nel suo complesso che beneficia dei prodotti e dei servizi di questa tipologia di imprese.

 

 

 

[1] L’articolo si basa sui procedimenti giudiziari della Procura della Repubblica e del Tribunale di Milano relativi alle 29 imprese coinvolte nelle indagini. Delle indagini relative alle inchieste in parola è stato dato atto in numerosi articoli giornalistici che sono stati pubblicati sulle principali testate (italiane ma anche straniere), a titolo esemplificativo si vedano Corriere della Sera (Ferrarella, 6 aprile 2024), la Repubblica (Carra, 11 giugno 2024), il Sole 24 Ore (Santaniello e Murru, 19 luglio 2024), Financial Times (Sciorilli Borrelli e Chitrakorn, 29 giugno 2024) e discussi anche in pubblicazioni specialistiche. A tal riguardo si vedano, tra gli altri, Ferraresi e Seminara (a cura di, 2024), Pellegrini (2024), Silvestri (2024), Vulcano (2024), Merlo (2020 a, 2020 b), Quattrocchi (2020). Per una riflessione giusletteraria in materia Trashaj (2022). Nel contributo, che non ha l’obiettivo di associare fatti illeciti ad alcuna persona fisica o giuridica ma di porre attenzione (sulla base delle informazioni al momento reperibili) su un allarmante fenomeno economico-sociale, si analizza la prospettiva adottata dalla Procura nell’ambito di vicende giudiziarie assai diverse dal punto di vista tecnico-giuridico e che vedono talora indagate le sole persone fisiche, talora gli individui unitamente alle società ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 e, in alcuni casi, applicate soltanto misure di prevenzione ex D. Lgs. n. 159/2011. È utile precisare che non vi sono state allo stato sentenze di condanna volte a stabilire la responsabilità da reato dell’ente o degli esponenti aziendali.

[2] Dal punto di vista giuridico, si precisa che il presupposto per l’applicazione della misura in questione è la “non consapevolezza” dell’ente rispetto all’agevolazione del reato posto in essere da terzi. Con riferimento alla casistica in questione si vedano: i) Tribunale di Milano, Sezione autonoma misure di prevenzione, decreto n. 10/2024 del 03.04.2024, il decreto è stato pubblicato l’11 aprile 2024 sulla rivista Giurisprudenza penale web (https://www.giurisprudenzapenale.com/2024/04/11/il-tribunale-di-milano-torna-sulla-agevolazione-colposa-del-caporalato-ai-fini-dellapplicazione-della-amministrazione-giudiziaria-art-34-d-lgs-159-2011/ ultima consultazione il 28 settembre 2024); ii) Tribunale di Milano, Sezione autonoma misure di prevenzione, decreto n. 1/2024 del 15.01.2024, il decreto è stato pubblicato il 23 gennaio 2024 sulla rivista Giurisprudenza penale web (https://www.giurisprudenzapenale.com/2024/01/23/amministrazione-giudiziaria-ex-art-34-d-lvo-159-2011-il-tribunale-di-milano-chiarisce-i-profili-della-agevolazione-colposa/, ultima consultazione il 28 settembre 2024); iii) Tribunale di Milano, Sezione autonoma misure di prevenzione, decreto n. 12/2024 del 05.06.2024, il decreto è stato pubblicato il 14 giugno 2024 sulla rivista Giurisprudenza penale web (https://www.giurisprudenzapenale.com/2024/01/23/amministrazione-giudiziaria-ex-art-34-d-lvo-159-2011-il-tribunale-di-milano-chiarisce-i-profili-della-agevolazione-colposa/, ultima consultazione il 28 settembre 2024); iv) Tribunale di Milano, Sezione autonoma misure di prevenzione, decreto n. 9/2024 del 27.05.2020, il decreto è stato pubblicato il 7 luglio 2020 sulla rivista Giurisprudenza penale web (https://www.giurisprudenzapenale.com/2020/07/07/lamministrazione-giudiziaria-di-uber-un-possibile-cortocircuito-tra-il-sistema-giuslavoristico-e-le-misure-di-prevenzione/, ultima consultazione il 28 settembre 2024); v) Trinchella (2023); vi) Trinchella (2022); vii) Tribunale di Milano, Sezione autonoma misure di prevenzione, decreto n. 9/2024 del 27.05.2020, il decreto è stato pubblicato il 7 luglio 2020 sulla rivista Giurisprudenza penale web (https://www.giurisprudenzapenale.com/2020/07/07/lamministrazione-giudiziaria-di-uber-un-possibile-cortocircuito-tra-il-sistema-giuslavoristico-e-le-misure-di-prevenzione/, ultima consultazione il 28 settembre 2024); viii) Tribunale di Milano, Sezione autonoma misure di prevenzione, decreto n. 6/2016 del 23.06.2016, il decreto è stato pubblicato l’11 luglio 2016 sulla rivista Diritto penale contemporaneo web (https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/4885-ancora-una-decisione-innovativa-del-tribunale-di-milano-sulla-prevenzione-antimafia-nelle-attivitai, ultima consultazione il 28 settembre 2024); ix) Pioppi (2023); x) Ferrarella (2023 a); xi) Galeazzi, 2022; xii) doc. XXIII, n. 38 pubblicato dalla Camera dei Deputati, relativamente alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (istituita con legge 19 luglio 2013, n. 87), si veda in particolare pp. 307 ss.;  xiii) Tribunale di Milano, Sezione autonoma misure di prevenzione del 06.10.2021, il decreto è stato pubblicato l’11 ottobre 2021 su rivista Giurisprudenza penale web (https://www.giurisprudenzapenale.com/2021/10/11/dopo-il-caso-uber-unaltra-applicazione-della-misura-della-amministrazione-giudiziaria-ex-art-34-d-lgs-159-2011-da-parte-del-tribunale-di-milano/, ultima consultazione il 28 settembre 2024); xiv) Ferrarella (2022).

[3] Sul punto si vedano Ferrarella (2023 b); De Riccardis (2023); Rossi (2023).

[4] Cfr. il decreto di archiviazione della Procura della repubblica presso il Tribunale di Milano, pubblicato sulla rivista Sistema penale in data 25 novembre 2022 (https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1669375886_procura-milano-9-novembre-2022-archiviazione-caso-dhl-reati-tributari-responsabilita-ente-231-ne-bis-in-idem.pdf, ultima consultazione il 28 settembre 2024); il provvedimento del Tribunale di Milano, Sezione autonoma misure di prevenzione, pubblicato il 31 luglio 2023 sul sito sulla rivista Sistema penale, https://www.sistemapenale.it/it/scheda/merlo-alla-ricerca-della-via-italiana-ai-non-prosecution-agreement-il-caso-esselunga, ultima consultazione il 28 settembre 2024) è successivamente intervenuta archiviazione dell’indagine a carico dell’ente (cfr. art. 58 d.lgs. 231/2001).

[5] Cfr. Ferrarella (2022); Giuzzi (2022); Riccio (2023); Siravo (2024 a), Siravo (2024 b), De Riccardis e De Vito (2022), Netti, (2024); Ferrarella (2021).

[6] Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, richiesta di amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche (art. 34 d.lgs. 159/2011) depositata il 28.02.2024. La misura è stata disposta da: Tribunale di Milano, Sezione autonoma misure di prevenzione, decreto n. 10/2024 del 03.04.2024.

[7] A tal proposito si veda lo “Schema esemplificativo sistema prodotto” di cui al video realizzato dai Carabineri tutela lavoro e pubblicato in data 05.04.2024 sul sito di La7.it, reperibile al seguente link: https://www.la7.it/intanto/video/giorgio-armani-operations-nella-bufera-per-sfruttamento-di-operai-cinesi-05-04-2024-535629 (ultima consultazione il 28 settembre 2024).

[8] Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, richiesta di amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche (art. 34 d.lgs. 59/2011) depositata il 13.05.2020. La misura è stata disposta da: Tribunale di Milano, Sezione autonoma misure di prevenzione, decreto n. 9/2020 del 27.05.2020.

[9] Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, decreto di sequestro preventivo d’urgenza (artt. 321 c.p.c., 12-bis d.lgs. 74/2000) del 18.06.2024, eseguito il 02.07.2024. Il decreto è stato convalidato da: Tribunale di Milano, Ufficio dei Giudici per le indagini preliminari, decreto di convalida del 12.07.2024.

[10] Sono in corso in Europa iniziative a livello di singoli paesi (es. Germania, Norvegia, Svezia, ecc.) per limitare la lunghezza di quelle catene di subfornitura finalizzate a creare condizioni di bassa trasparenza e di sfruttamento dei lavoratori in molteplici settori, tra i quali costruzioni, alimentare, pulizia ed altri. Il 24 maggio 2024 il Consiglio UE ha approvato il testo della Direttiva relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità, Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D, CSDDD o Supply Chain Act). Stando alla nuova Direttiva, le aziende saranno destinatarie di obblighi di controllo sull’intera catena di fornitura globale (supply chain).

 

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