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  Scheda  
08 Febbraio 2023


La riforma Cartabia per prevenire la 'sindrome clinico-giudiziaria'. A proposito d’indizi e d’iscrizione nel registro degli indagati


1. Che cos’è la 'sindrome clinico-giudiziaria'? – Sembra un’espressione di stampo giornalistico e invece corrisponde ad un inquadramento nosografico[1]. “Nessun medico è più lo stesso medico dopo un procedimento giudiziario”. Una frase stereotipa che esprime una generalizzazione, dettata dall’alta frequenza di questa sindrome. Ma per fortuna non insorge in tutti i medici. È stata messa a fuoco per la prima volta nel 1993 da Elias Hurtado-Hoyo e altri in una relazione all’Associazione Medica Argentina[2]. La sindrome insorge quando un professionista sanitario ha notizia di essere sottoposto a procedimento giudiziario, in particolar modo penale. Alla base ci sono principalmente rabbia e senso d’ingiustizia.

È sindrome con varie manifestazioni, talvolta polidistrettuali, patognomoniche se interpretate con il vissuto attuale di chi le soffre. Segni e sintomi sono sia psichici che fisici, molto simili a quelle del disturbo d’ansia e del disturbo post traumatico da stress. Può indurre anche lutto, per la perdita della sicurezza di sé. E per la perdita d’immagine professionale, indotta spesso in modo spettacolare mediante la stampa, la televisione, la radio, i social network. Ciò può avvenire per qualunque evento giudiziario, ma i casi di mortalità neonatale sono i più appetiti. L’evento viene immesso in una piazza virtuale senza confini. E a volte senza nessuna considerazione del danno reputazionale, professionale ed economico che potrebbe derivare al professionista sanitario. Non sempre si può contare sulla solidarietà dei colleghi per mitigare la sindrome. A volte vengono incontro in modo sincero e generoso. Altre volte invece promuovono o alimentano voci screditanti, per sentimenti poco nobili o per concorrenza carrieristica.

La sindrome può colpire anche altre categorie professionali, può colpire chiunque. Ma i professionisti sanitari sono i più colpiti. Per ragioni che non sono ancora chiare, appare la categoria professionale che peggio sopporta un procedimento a carico. Peraltro, è fuori discussione che la generale solvibilità della categoria e le numerosissime occasioni di cura dei pazienti la rendono più facilmente aggredibile giudizialmente. Com’è facile immaginare, i danni purtroppo possono ricadere, oltre che sul medico, anche su altri pazienti che nulla hanno a che vedere con l’eziologia della sindrome clinico-giudiziaria e che entrano poi in relazione con il medico.

 

2. Rimedi. – Quali i rimedi? Data la sede, non si parla qui di rimedi psico o farmacoterapici alla sindrome, ma di rimedi giudiziari. Con la riforma Cartabia è stato fatto un passo in avanti per prevenire la sindrome, inserendo nell’art. 335 c.p.p. il comma 1 bis., che impone al pubblico ministero l’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è attribuito non appena risultino indizi a suo carico. Quest’obbligo per il pubblico ministero già da tempo corrispondeva a un principio giurisprudenziale[3]. Adesso è una previsione di legge, che lega la nascita dell’obbligo dell’iscrizione solo al sorgere degli indizi. “Non prima e non dopo”, così suona la legge in termini di pratica applicazione.

Non prima, per evitare le conseguenze negative dell’iscrizione sul piano personale e sociale. Non dopo, per evitare conseguenze negative sul piano difensivo e cioè la preclusione del diritto dell’indagato a partecipare a taluni atti d’indagine. Questa è la ratio della novella, già chiaramente espressa nella relazione illustrativa al d. lgs. di delega al governo per la riforma[4]. Si è voluta evitare la pratica dell’iscrizione “facile”, spesso giustificata con la nota frase “L’iscrizione è un atto dovuto”. Mentre l’iscrizione non è un atto dovuto, ma è un atto da fare a ragion veduta. Si è voluto evitare lo “sparare nel mucchio” di tutti i professionisti sanitari che hanno avuto in cura il paziente. Senza che fra l’altro il “pescare a strascico”, come anche si dice, dia la certezza di avere iscritto il responsabile. Infatti se un responsabile c’è, potrebbe essere, ad es., un medico esterno al reparto, sfuggito allo “strascico” e che è stato chiamato correttamente a consulenza, ma che ha escluso erroneamente la patologia sospettata dal richiedente, patologia che ha poi causato la morte del paziente.

 

3. Indizi: nozione giurisprudenziale. – Ovviamente a questo punto ci si deve chiedere che cosa s’intenda per indizi. La questione non è certo nuova. Ciò che nella giurisprudenza di legittimità appare fuori discussione che gli indizi sono qualcosa di più dei sospetti. Con riguardo alla responsabilità sanitaria, la questione si pone riguardo all’avviso per il conferimento al consulente del pubblico ministero dell’incarico di eseguire l’esame autoptico, in quanto atto non ripetibile ex art. 360 c.p.p. e al quale l’indagato ha diritto di partecipare. Si afferma in giurisprudenza che l’obbligo del pubblico ministero di iscrivere e di dare avviso all’indagato per detto esame sussiste solo se la qualità d’indagato emerge alla stregua di specifici e concreti elementi indizianti, non essendo sufficienti generici sospetti[5].

Si sostiene anche con diverse parole, ma senza che muti la sostanza, che il detto obbligo del pubblico ministero sussiste solo in presenza di consistenti sospetti di reato[6]. La “consistenza” dei sospetti li trasforma quindi in indizi. Canta un po’ fuori dal coro Cass. Sez. IV, 16819/21, per la quale fra le persone indiziate debbono ricomprendersi i soggetti indicati nominativamente in denunce circostanziate che danno l'avvio all'indagine, quando, al di là della successiva valutazione sulla fondatezza, risulti dalle medesime la necessità della persona indicata come autore di difendersi dall'accusa. Ciò avviene in presenza di una denuncia nominativa che indichi le ragioni dell'attribuzione del fatto ad un determinato soggetto, nonché le circostanze che determinano la sua indicazione come autore del reato. E si è quindi ritenuta l’inutilizzabilità degli esiti dell’esame autoptico nei confronti dei medici non avvisati del conferimento d’incarico al consulente[7]. È un’opinione non condivisibile. In tal modo si attribuisce indirettamente al denunciante il potere di stabilire chi va iscritto nel registro degli indagati e si priva il pubblico ministero di una valutazione che invece è tutta sua, in quanto titolare esclusivo del potere di iscrizione, coma aveva riconosciuto in quel caso la Corte d’Appello.

Avviene talvolta che vengano denunciate nominativamente, con l’indicazione delle relative ragioni, persone che invece non sono da iscrivere. Ad es., vengono denunciati medici del reparto dove il paziente era ricoverato, sostenendo l’inappropriatezza del trattamento antibiotico, che invece risulta appropriato, già dalla sola lettura della cartella clinica. L’attribuzione in denuncia del reato è talvolta frutto non di un trattamento medico inappropriato, ma di un trattamento umano inadeguato del paziente e dei familiari. La reazione aggressiva esplode nella denuncia, che è il precipitato di fattori emotivi che nulla hanno a che vedere con l’accertamento di un illecito penale, ma solo con l’accertamento di un illecito disciplinare.

Anche se la denuncia è nominativa e circostanziata, l’iscrizione presuppone comunque un’attività di controllo d’indagine e di verifica logica. È un atto che non è frutto di puro recepimento, ma è frutto di ricerca di dati e di creazione intellettuale[8].

 

4. Maggiore determinatezza. – Ma come dare più determinatezza alla nozione d’indizi assunta in giurisprudenza? In termini generali non si vede come questo sia possibile. Si propone invece un’analisi separata della questione, in ragione del singolo settore di responsabilità penale che viene in considerazione. Ad es., l’iscrizione di un imprenditore per bancarotta fraudolenta è qualcosa di diverso dall’iscrizione di un medico. C’è una sentenza di fallimento, c’è una relazione di un curatore, ci sono indagini della Guardia di Finanza sulla sottrazione o no dei beni d’impresa ecc. Interessando qui la responsabilità sanitaria, va tenuto presente che nella quasi totalità dei casi, il percorso d’indagine passa attraverso tre tappe fondamentali:

  • posizione di garanzia e cioè rapporto diagnostico-terapeutico fra indagato e paziente
  • inosservanza di buone pratiche clinico-assistenziali[9], come preteso dall’art. 5 legge Gelli, siano o no le buone pratiche raccomandate da linee guida pubblicate nel sito dell’Istituto Superiore della Sanità nell’apposita sezione
  • nesso causale fra inosservanza ed evento, secondo il giudizio controfattuale modello Franzese.

Non sono qui in discussione il percorso e l’oggetto dell’accertamento, perché poggiano sul piano sostanziale: si ha qui riguardo al solo piano processuale. E quindi chiediamoci: costituisce indizi la sola assunzione della posizione di garanzia? È sufficiente cioè l’avere avuto in cura il paziente? Parrebbe proprio di no. Anche se il paziente ha riportato il danno estremo e cioè la morte, potrebbe essere stato appropriatamente curato. Dal momento tuttavia che la relazione di cura si è instaurata e che il danno c’è stato, ci possono essere sospetti. E ciò non impone quindi l’iscrizione, ma approfondimenti d’indagine, per accertare se chi ha avuto in cura il paziente, a questo punto il sospettato, si sia attenuto o no a buone pratiche clinico-assistenziali.

Costituisce indizi l’inosservanza di buone pratiche? Parrebbe proprio di sì. Il non essersi il professionista sanitario attenuto a buone pratiche segna la colpa ex art. 43 alinea terzo c.p., per inosservanza di legge e cioè dell’art. 5 della legge Gelli. Ad es., la causa di morte è una dissecazione dell’aorta toracica risultante dalla cartella clinica. Il quadro di dolore toracico del paziente risulta indagato solo per infarto del miocardio dal medico del Pronto Soccorso, che poi ha dimesso il paziente, senza mettere in diagnosi differenziale altre ipotesi generanti il quadro. È questo il medico da iscrivere nel registro degli indagati e non i medici del 118, che hanno tempestivamente trasportato il paziente in Pronto Soccorso e che quindi solo hanno assunto la posizione di garanzia. E a prescindere in questo stato del procedimento dal grado dell’inosservanza, dal grado della colpa[10], che in ipotesi può avere rilievo dopo per altre valutazioni, ad es., per la non punibilità ex art. 590 sexies c.p.[11], così come interpretato con la sentenza Mariotti[12]. L’accertamento dell’inosservanza di buone pratiche può essere svolto anche nei casi di c.d. morto caldo, prima dell’indagine autoptica. Una salma adeguatamente conservata in cella frigorifero alla c.d. temperatura neve (circa 0 gradi) si mantiene bene per 10-12 giorni, senza che le operazioni settorie e gli esami istologici ne soffrano. È un tempo che consente l’acquisizione della documentazione sanitaria e dei dati circostanziali e la c.d. consulenza lampo, allo stato degli atti, sulla causa di morte e sull’appropriatezza o no delle cure. Solo dopo si può fare l’iscrizione con cognizione di causa e quindi gli avvisi per il conferimento dell’incarico per l’autopsia. In questo modo, quasi mai l’indagine autoptica rivela sorprese e nei rari casi in cui ciò avviene si è sempre in tempo per ricollocare la salma in cella frigorifero e fare altre iscrizioni e avvisi.

Ovviamente l’osservanza o no di buone pratiche poi potrà essere oggetto di confronto. E ciò già in sala autoptica, dove il contraddittorio avviene più liberamente che nell’aula giudiziaria: il camice rispetto alla toga favorisce il confronto. 

E il nesso causale? Stante quanto precede, l’accertamento del nesso causale non è necessario per l’attribuzione della qualifica d’indagato. Può accadere che il suo accertamento sia coevo a quello dell’inosservanza di buone pratiche, ad es., all’esito di una globale consulenza medico legale nei casi di c.d. morto freddo o di lesioni personali colpose. In questi casi e a maggior ragione è necessaria l’iscrizione. L’accertamento del nesso causale segna infatti il passaggio dagli indizi alla prova della responsabilità, salve ovviamente le successive verifiche in giudizio. In sintesi e molto semplicemente:

  • posizione di garanzia: sospetti
  • inosservanza di buone pratiche: indizi
  • nesso causale: prova.

Dunque: assume la qualifica indiziato l’esercente una professione sanitaria che ha rivestito la posizione di garanzia e non si è attenuto a buone pratiche.

Il messaggio, non certo da poco, per i professionisti sanitari:

  • non vieni iscritto nel registro degli indagati se ti attieni a buone pratiche.

Anche una prevenzione quindi per la tanto dannosa sindrome clinico-giudiziaria. E allo stesso tempo anche un invito ad attenersi a buone pratiche. Ma non solo: ora come ora, in un momento storico di fuga dai servizi sanitari, si offre un motivo in più per non lasciare, ma per continuare a curare e a prendersi cura di chi ne ha bisogno.

 

 

[1] V. E. Santoro, Clinical-judicial syndrome: how a doctor becomes a patient through general indifference, in Pubmed, 24 agosto 14

[2] E. Hurtado-Hoyo, H. Gutiérrez Zaldivar, L. N. Iraola, A. Rodrìguez De Salvi, Sindrome clinico Judicial, nel sito dell’autore con rinvio a Asociaciòn Médica Argentina, 31 agosto 18

[3] Ex plurimis, Sez. IV, 10147/06, Gravaglia, e. Campanato, p. Coco.

[4] Relazione illustrativa del decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134, p. 79.

[5] Sez. IV, 22206/11, Zamboni, e. Foti, p. Zecca: ritenuti utilizzabili, nonostante il mancato avviso, gli esiti di un esame autoptico; gli indizi a carico del medico erano stati ravvisati dal p.m. solo dopo il deposito della relazione del consulente.

[6] Sez. IV, 20093/21, Del Papa, e. Bellini, p. Dovere; Sez. IV, 42118/21, Mecarini, est. Pezzella, p. Piccialli; Sez. IV, 21449/22, Bisogni, e. Ferranti, p. Piccialli; Sez. IV, 27566/22, Pondrelli, e. Cenci, p. Ferranti

[7] Sez. IV, 16819/21, Bonfitto,  e. Nardin, p. Izzo.

[8] In termini più ampi: F. Giunta, Metodo e Sapienza. Frammenti di un discorso sul giudizio penale, in Discrimen, 2 gennaio 23

[9] In dottrina: D. Micheletti, Attività medica e colpa penale. Dalla prevedibilità all’esperienza, Ed. Scientifiche Italiane, 2021, 65 e ss.; M. Caputo, Colpa medica, in Enc. Dir., estratto da I Tematici, II, Reato Colposo, diretto da M. Donini, Giuffrè, 2021, 167 e ss.

[10] In questo senso, con particolare chiarezza: D.lgs. 150/2022: primi orientamenti dalla Procura generale della Corte di cassazione, in questa Rivista 20 Gennaio 2023, p. 9. Sulla colpa grave in dottrina: M. L. Mattheudakis, La punibilità del sanitario per colpa grave, Aracne, 2021

[11] Sul tema: P. Piccialli, La responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario, in La responsabilità penale in ambito medico sanitario, Giuffrè, 2021, 139

[12] Sez. Un., 8770-18, Mariotti, e. Vessichelli, p. Canzio, in Dir. pen. cont., 1 mar. 18, con nota di C. Cupelli, L'art. 590-sexies c.p. nelle motivazioni delle Sezioni Unite: un'interpretazione 'costituzionalmente conforme' dell'imperizia medica (ancora) punibile. V. anche: A. Perin, Prudenza, dovere di conoscenza e colpa penale, Editoriale Scientifica, 2020, 137 e ss.