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31 Luglio 2023


Riforma Cartabia: mutamento del giudice e rinnovazione dell’istruzione probatoria, tutto cambia e nulla cambia?

Trib. Tempio Pausania, ord. 10 luglio 2023 (procedimento relativo al caso Ciro Grillo e a.)



1. Il pregresso. – Il provvedimento in commento costituisce una delle prime ordinanze edite che affronta la questione del nuovo regime della rinnovazione dibattimentale, nel caso di mutamento del giudice, regolato dall’ art. 495, comma 4 ter c.p.p. La previsione dà attuazione al criterio direttivo stabilito all’art. 1, comma 11 lett. d) della legge-delega n. 134 del 2021. Quest’ultimo rimette al legislatore delegato l’impegno a stabilire che, nell’ipotesi di mutamento del giudice o di uno o più componenti del collegio, il giudice disponga, a richiesta di parte, la riassunzione della prova dichiarativa già  assunta e che, quando la prova dichiarativa è stata verbalizzata tramite videoregistrazione, nel dibattimento svolto innanzi  al giudice diverso o al collegio diversamente composto, nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, il giudice disponga la riassunzione della prova solo quando lo ritenga necessario sulla base  di specifiche esigenze[1].

Fedele appare la traduzione all’art. 495, comma 4 ter c.p.p., a mente del quale: «Se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte che vi ha interesse ha diritto di ottenere l’esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. In ogni caso, la rinnovazione dell’esame può essere disposta quando il giudice la ritenga necessaria sulla base di “specifiche esigenze”». La riforma ha affidato ad un solo comma, aggiunto alla norma appena richiamata, il delicatissimo tema della reiterazione dell’acquisizione delle dichiarazioni già prodotte innanzi al primo giudice.

Il testo, come chiarisce la Relazione di accompagnamento alla Riforma, rispetto al criterio della legge delega, che già appare sufficientemente specifico rispetto al bilanciamento realizzato, è stato meglio declinato, facendo generico riferimento al mutamento del giudice, per includere sia il giudice monocratico che il giudice collegiale – in quanto la norma si colloca nelle disposizioni dettate per il rito collegiale e opera, invece, nel giudizio monocratico per effetto di quanto previsto dagli articoli 549 e 555 c.p.p. – e per consentire che la disposizione operi anche quando la composizione del giudice collegiale muti per effetto della sostituzione di uno solo dei suoi membri. Si è, inoltre, specificato che le prove utilizzabili siano state assunte nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, in quanto, malgrado si tratti di prove assunte nello stesso dibattimento e, quindi, normalmente assunte nel contraddittorio con tutte le parti del medesimo processo: è parso utile ribadire il presupposto decisivo per la rinnovazione, nel pieno rispetto di quanto stabilisce l’art. 111, comma 3 Cost.[2]

La previsione, com’è noto, ha inteso superare la non irrilevante questione legata al regime applicabile a fronte del mutamento del giudice (o uno dei giudici del collegio giudicante), affrontata, in maniera del tutto discutibile, dalla sentenza costituzionale n. 132 del 2019, prima e dalla nota decisione delle Sezioni Unite Bajrami, poi. Com’è noto se i giudici costituzionali hanno configurato la concentrazione e l’immutabilità del giudice come un “simulacro” tanto da suggerire la necessità di un intervento legislativo teso ad accelerare il giudizio e declinare la possibilità di stabilire delle deroghe alla necessaria rinnovazione, fra cui quella della videoregistrazione[4], la seconda, dettando delle precise linee-guida, ha aggravato il diritto alla rinnovazione, che attua il diritto alla prova delle parti e del giudice che delibera a “partecipare” al dibattimento, vale a dire il diritto del giudice sopravvenuto di mantenere un diretto rapporto con la prova dichiarativa in modo da averne la diretta percezione, nel momento della sua formazione, così da poterne cogliere tutti i connotati espressivi, anche di carattere non verbale, prodotti dal metodo dialettico dell’esame e del controesame[5].

Le “incursioni” della giurisprudenza costituzionale e di legittimità dando prevalenza, nel rapporto fra la durata ragionevole del processo e l’immediatezza probatoria, alla riduzione dei tempi processuali e quindi alla celerità e speditezza del dibattimento, hanno incrementato un quadro degenerativo dei principi dell’oralità e del contraddittorio, con sopravvento della prova verbalizzata – posta la priorità spesso accordata alla lettura dei verbali precedenti, in ragione  del consenso delle parti, anche preventivo, alla lettura – paiono espressione del reiterato tradimento delle promesse accusatorie, con conseguente indebolimento dei canoni costituzionali sui quali dovrebbe risposare la conformazione del nostro rito penale.

Se la concentrazione del processo è solo un’aspirazione e la sostituzione del giudice usualmente compiuta, se l’oralità e l’immediatezza – sebbene si è voluto con forza che fossero i principi ispiratori dell’attuale assetto processuale – sono, ormai, delle “chimere”, è chiaro che l’affievolimento di un canone incide, inevitabilmente, sugli altri principi e il rapporto che intercorre fra regole e deroghe, vede prevalere quest’ultime. Preso atto di tale decadenza, il legislatore delegato nell’accingersi a riformare il processo penale, scartata la più favorevole e opportuna soluzione avanzata dalla Commissione Lattanzi[6], tesa ad agire attraverso regole ordinamentali che riducano gli effetti più evidenti e prevedibili di un trasferimento di ufficio, posto che già vi sono spazi organizzativi – tanto da norme primarie che secondarie – per ridurre le disfunzioni collegate al mutamento del giudice che, se utilizzati in modo rigoroso ridurrebbero la rilevanza del problema,  ha agito esclusivamente attraverso le designate regole processuali[7].

 

2. Le ragioni della difesa. Nel caso di specie, i difensori, a fronte dell’intervenuto mutamento del collegio giudicante e dell’entrata in vigore dell’art. 495 c.p.p., hanno formulato la richiesta di ri-assumere delle dichiarazioni assunte nel corso del 2023. La domanda muove, principalmente, dalla lettura della subentrata norma: questa parrebbe, letteralmente, distinguere due o tre possibili sviluppi sul piano della rinnovazione (o meno)[8].

La previsione parrebbe offrire più percorsi procedurali, come indicano correttamente i difensori, a seconda che le dichiarazioni precedentemente rese siano state verbalizzate o meno: il primo percorso è quello del diritto alla rinnovazione delle dichiarazioni delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate; un secondo iter ,   neutralizza quella rinnovazione ogniqualvolta il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva; infine, si ammette, in ogni caso,  la rinnovazione dell’esame quando il giudice la ritenga necessaria sulla base di “specifiche esigenze”.

La difesa ha così formulato la necessità di operare la rinnovazione delle prove dichiarative assunte nel procedimento dal 1 ° gennaio 2023 al 30 giugno 2023, alla luce dell’entrata in vigore il 30 giugno 2023 del nuovo regime, data l’assenza della riproduzione audio-visiva dell’attività precedente. Quest’ultima possibilità conferma la soluzione avanzata dalla Consulta[9], qual è quella di sfruttare la previsione della necessaria videoregistrazione dell’assunzione di prove dichiarative: tale modalità di verbalizzazione – indica la stessa Commissione Lattanzi[10] – consentirà al nuovo giudice o componente del collegio, di apprezzare, ben oltre il limite intrinseco del verbale tradizionale, le dichiarazioni già assunte in precedenza, fermo il diritto delle parti di chiedere la rinnovazione della prova orale ad ogni mutamento di composizione del giudice[11], la situazione oggi affermatasi (…) sarebbe significativamente migliorata dalla possibilità, per il giudice, di visionare la videoregistrazione e di disporre successivamente la rinnovazione della prova solo se sussistono specifici motivi. Si tratta, peraltro, di una novità da leggersi in sintonia con le altre e molteplici disposizioni destinate a introdurre la registrazione audiovisiva delle prove dichiarative come forma ulteriore e tendenzialmente elettiva di documentazione dell’atto, in virtù della diversa scansione stabilita in base alla funzione ed alle caratteristiche dei diversi adempimenti: massimo livello per le prove dichiarative e per gli interrogatori tenuti fuori udienza (ovvero senza compresenza delle parti in contraddittorio), e dunque ricorso alla videoregistrazione, facendo salva la possibilità di eccettuare situazioni di indisponibilità dei mezzi o del personale tecnico necessari; livello intermedio per le sommarie informazioni (audioregistrazione), con possibilità di eccettuare determinate situazioni, pur con la previsione che non debba necessariamente trascriversi il discorso registrato.

È in tale contesto che si colloca la norma fin qui esaminata[12].

 

3. Le ragioni del rigetto. Ebbene, nonostante la linearità della motivazione addotta a sostegno della domanda, il Collegio ha rigettato la richiesta e dichiarato di procedere alla lettura dei verbali contenenti le precedenti dichiarazioni. Il Tribunale giunge alla soluzione negativa affermando che la rinnovazione sarebbe interdetta data la constatazione dell’assenza della video-registrazione: di qui l’inammissibilità della richiesta.

La conclusione muove dalla premessa che la rinnovazione ai sensi della prima parte della nuova disposizione opererebbe solo in quanto sia avvenuta la preventiva video-registrazione delle dichiarazioni: l’esegesi della nuova disciplina non appare condivisibile.

Così come ricostruita nel nuovo “sistema”, la rinnovazione appare obbligata nel caso esaminato, posto che la sussistenza o meno della verbalizzazione esclude la rinnovazione solo nel primo caso e non già quando essa è assente. In altri termini, il giudicante perviene alla decisione negativa invertendo, a nostro avviso i termini del problema, ergo, la sequenza prevista dalla nuova disposizione. Una interpretazione “lineare” del “nuovo” art. 495 comma 4 ter c.p.p. lascia emergere, infatti, come a decorrere dal 30 giugno 2023 operi per il giudice l’impegno, alle ricorrenza delle altre condizioni previste dalla legge, a disporre la rinnovazione, quando la parte sia in grado di rappresentare gli elementi comprovanti l'utilità dell'atto istruttorio; certamente la riassunzione sembrerebbe passare anche attraverso quella valutazione circa la “utilizzabilità” che importa un vaglio discrezionale del giudice, ma la legge non pare far dipendere dalla videoregistrazione una tale possibilità. D’altro canto, una tale impostazione esce rafforzata dalla lettura della Relazione di accompagnamento alla Riforma che pare tendere all’esclusione di una qualsiasi discrezionalità o sindacabilita’ del giudice nella parte in cui indica «in concreto, si dispone che in caso di mutamento di almeno uno dei componenti del collegio (e, quindi, in caso di rito monocratico, dell’unico giudice), a richiesta della parte che vi ha interesse, “debba sempre essere disposta” la riassunzione della prova dichiarativa già assunta»: è racchiusa qui l’indicazione offerta dal d. lgs. n. 150 del 2022 secondo il quale “portata” della (potenziale) rinnovazione è da escludere nel solo caso in cui vi sia stata, appunto, la precedente videoregistrazione.

Sotto tale profilo , si ricorda , infatti, che l’art. 94 delle disposizioni transitorie di cui al d.lgs. 150/2022, ha posticipato l’operatività della previsione dal 1 luglio 2023 e analoga decorrenza vale per l'obbligo di videoregistrazione delle prove dichiarative previsto dall’art. 510 comma 2 bis c.p.p.: di qui la conclusione illogica del decisione. In altri termini, posto che all’epoca dell'assunzione delle stesse non risultava essere in vigore quest’ultimo impegno, è stata negata la rinnovazione e ammessa la lettura delle dichiarazioni precedentemente rese, facendo prevalere -come annunciato- ancora una volta la deroga e non la norma generale.

 

4. La mancata applicazione del nuovo regime ricorda antiche resistenze giurisprudenziali. Ora, non v’è dubbio, che la disciplina in esame è, dal punto di vista della successione, alquanto farraginosa: a dispetto della modifica del rito penale operato dal d.lgs. n. 150 del 2022 entrata in vigore il 30 dicembre 2022, la l. n. 199 del 2022 ha, posticipato l’applicabilità dell’art. 495, comma 4 ter c.p.p. a decorrere dal 1° luglio 2023, stabilendo che per le dichiarazioni assunte prima del 1° gennaio 2023 continua ad applicarsi il regime delineato dalla giurisprudenza della Cassazione. Al di là di tale scelta, l’art. 495 comma 4 ter  c.p.p. è oggi vigente e la legge, quanto alla sua modalità applicativa, non opera – a differenza di quanto afferma il decidente chiamato ad esprimersi sulla richiesta difensiva – alcuna distinzione circa il momento dell’avvenuta video-registrazione o meno delle dichiarazioni. D’altro canto, ad interdire la percorribilità dell’interpretazione offerta dal Tribunale induce il fatto che così ritenendo – facendo, cioè, dipendere la validità della nuova disciplina tesa, come premesso, a superare la censurabile lettura offerta dalle Sezioni Unite Bajarami e a garantire quel diritto alla prova di cui agli artt. 190, 190-bis, 493, 495 c.p.p. e ss. secondo quanto costituzionalmente stabilito all’art. 111 comma 3 Cost. – l’art. 495, comma 4 terc.p.p. sarà applicabile solo quando l’autorità disporrà della completa e idonea strumentazione per la videoregistrazione.

È questo un termine non prognosticabile, a cui la legge non potrebbe fare riferimento se non in via residuale così come fa, correttamente. D’altro canto, se così fosse, v’è da chiedersi quale regime vada applicato nel caso in cui la strumentazione non sia idonea o momentaneamente non sia funzionante: sono questi casi nei quali dovrà, del pari, operare la regola generale indicata nella prima parte della nuova disposizione.

Ma al di là di quanto precede, è pacifico che il tema non si muove, dunque, lungo il regime intermedio riguardante le dichiarazioni assunte dal 1° gennaio 2023 ad oggi, quanto piuttosto sull’opzione metodologica imposta al giudice che si fonda, al di là delle altre condizioni previste dalla legge, unicamente sulla ricorrenza o meno della documentazione più avanzata o meno, senza consentire, così come si è ammesso finora, alcun rinvio alla possibile lettura o meno delle precedenti dichiarazioni. Se la volontà della riforma è stata quella di superare quella tormentata stagione tesa alla neutralizzazione dei valori a cui è improntato l’intero regime dibattimentale del rito penale di stampo accusatorio, chiara appare la necessità di una decisa presa di posizione della Cassazione a cui, sicuramente, la questione verrà devoluta, per non tornare – per l’ennesima volta – all’abrogazione tacita, operata in sede applicativa dalla giurisprudenza di merito, delle regole processuali tese a valorizzare il dibattimento quale luogo “naturale” di formazione della prova e al valore dell’oralità-immediatezza,  strumento capace di consentire al giudice quella formazione del suo libero convincimento, idoneo a superare il ragionevole dubbio, su cui riposa la colpevolezza di un soggetto, attraverso l’apprensione diretta del contenuto delle acquisizioni istruttorie che ad esso devono giungere, senza alcuna intermediazione. Una diversa direttrice finirebbe, infatti, per far disperdere gran parte dei benefici di un’escussione condotta a viva voce che l’impiego dei verbali – è noto – avvilisce. La soluzione abbracciata dal Tribunale pare riposare, ancora, su vecchie e censurate tecniche acquisitive, escluse dall’ambito di operatività della nuova norma: è questo il recupero che in una visione moderna, costituzionalmente orientata, è sottesa al modello dettato dal nuovo legislatore all’art. 495, comma 4 ter c.p.p., che pur ammette un meccanismo “tecnico” di acquisizione e spendibilità delle dichiarazioni nel processo penale.

Ma il tema, come si è cercato di chiarire non attiene alla sola dogmatica o filosofia giuridica, è tema pragmatico e concreto.  Il punto di “mediazione” raggiunto nelle diverse alternative normative pare, dunque, espressione ed essenza del diritto di difendersi provando, del diritto al contraddittorio e dell’oralità che, è noto, serve anche al giudice. La nuova disciplina  dà, così, attuazione al “processo giusto”, che, secondo la lezione dei Maestri è principio “naturale” del giudizio, senza il rispetto del quale non può darsi un giudizio penale in senso proprio[14].

Le letture, d’altro canto, hanno carattere, a loro volta, eccezionale e tassativo e ciò in quanto solo il giudizio pronunciato sulla base di conoscenze costruite dialetticamente rende socialmente accettabile, sul piano politico, l’enorme potere esercitato dal giudice penale quando pronuncia la sentenza. Il principio assolve, fra l’altro, due funzioni fondamentali: da un lato fonda e tutela il diritto delle parti di contribuire direttamente alla ricostruzione del fatto per cui si procede; dall’altro, costituisce la tecnica di accertamento dei fatti reputata più efficace, attraverso la contrapposizione dialettica tra le parti, innanzi “al” giudice. E’ proprio la garanzia costituzionalmente stabilita all’art. 111 Cost. a rendere inaccettabile ogni cedimento o limitazione del diritto che il nuovo art. 495 il comma 4 ter c.p.p. pare declinare in maniera “oggettiva”,in coerenza con la vocazione cognitiva del processo penale. D’altro canto, quanto più controllato è il metodo con cui l’elemento di prova è ottenuto, tanto più è attendibile il risultato probatorio conseguente. Ma un tale assetto risponde ad ulteriori esigenze eminentemente politiche: da un lato, assicura alla funzione giurisdizionale il grado di trasparenza coessenziale a un sistema democratico, consentendo il controllo pubblico sul percorso conoscitivo che ha giustificato la sentenza; dall’altro, rende palese il decisivo condizionamento che la società civile infonde sull’accertamento penale, poiché nessun giudice potrà mai essere in grado di accertare alcunché senza il contributo ricostruttivo delle parti. E’, per concludere, questo il fondamento storico-politico alla base della regola dell’immediatezza quale «scelta di civiltà» traslata nell’art. 525, comma 2 c.p.p. che, tuttavia, si limita ad enunciare il principio di immutabilità del giudice, sanzionandolo con la comminatoria di una nullità assoluta, senza, però, prevedere le ulteriori conseguenze che il mutamento del giudice determina e che oggi, invece, la riforma Cartabia ha tratteggiato e non ammette retrocessione alcuna.

 

[1] Cfr., fra i molti, G. RANALDI, Il dibattimento che verrà: prologòmeni di una riforma in fieri, in, A.A. VV. “Riforma Cartabia” e rito penale, a cura di A. Marandola, Cedam. Milano, 2022, p. 222

[2] Segnatamente, E. M. MANCUSO, Le nuove dinamiche del giudizio, in AA. VV., Riforma Cartabia, La nuova giustizia penale, a cura di D. Castronuovo, M. Donini, E.M. Mancuso, G. Varraso, Padova, 2023, p. 820

[3] Cass., Sez. un., 30 maggio 2019, Bajrami, in C.E.D. Cass., n. 276754/01/02/03/04, su cui cfr. G. ALTIERI, È ancora garantito il principio di oralità nel processo penale?, in Arch. proc. pen., 2020, p. 232; A. CALIGARIS, Quando l’immediatezza soccombe all’efficienza: un discutibile (ma annunciato) sviluppo giurisprudenziale in tema di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, in Cass. pen., 2020, p. 1030; S. DI PAOLA, Mutamento del giudice, rinnovazione del dibattimento e consenso delle parti dell'utilizzazione delle prove già assunte: il tramonto di un "mito"?, in Foro it., 2020, f. 3, p. II, p. 185; M.G. GALLUCCIO, Sezioni unite e ideale accusatorio: una relazione in crisi, in Cass. pen., 2020, p. 1030; L. MAGI, intervista P. FERRUA, C. INTRIERI, F. CASCINI e N. RUSSO, Tramonto dell’immediatezza o sano realismo? Le Sezioni Unite Bajrami e il novum processuale, in Giust. insieme.it, 30 ottobre 2019; A. MANGIARACINA, Immutabilità del giudice versus inefficienza del sistema: il dictum delle Sezioni Unite, in Proc. pen. giust., 2020, p. 151; A. NATALINI, Nuovo dibattimento con collegio diverso: riassunzione limitata, in Guida dir., 2019, f. 46, p. 64; G. PECCHIOLI, Le SS.UU. ed il principio di immutabilità del giudice: una "quadratura del cerchio?, in Dir. pen. proc., 2020, p. 1219; F. PORCU, Mutamento della composizione del giudice e nuova semantica (preagonica) del principio di immediatezza, in Giur. it., 2020, p. 1218; G. SPANGHER, Sentenza Bajrami, il nuovo dibattimento nel solco delle divisioni, in Guida dir., 2019, f. 47, p. 13.

[4] Per una serrata critica, O. MAZZA, Distopia del processo a distanza, in Arch. pen., n. 1/2020, pp. 1 ss., e ID.Immediatezza e crisi sanitaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, pp. 461 ss., ove si asserisce perentoriamente che «l’udienza penale è fatta di riti, di forme esteriori, come le toghe indossate dalle parti e dal giudice, di mosse e contromosse, anche corporee, che postulano l’empatia assicurata solo dalla compresenza sulla scena processuale di tutti i soggetti protagonisti», e che «[a]nche all’epoca dell’intelligenza artificiale e della digitalizzazione diffusa il processo penale rimane una immane tragedia che richiede unità di tempo, di luogo e di azione.

[5] In senso contrario, P. FERRUA, La prova nel processo penale, I, Struttura e procedimento, Torino, 2017, p. 124.

[6] V., Riforma del processo penale, del sistema sanzionatorio e della prescrizione del reato: la Relazione finale della Commissione Lattanzi, in questa Rivista, 25 maggio 2022, p. 30.

[7] Sul punto, v. P. BRONZO, La “Riforma Cartabia” e la razionalizzazione dei tempi processuali nella fase dibattimentale, in Cass. pen., 2022, 1310 ss.

[8] Fra i primi commenti, v. L. LUDOVICI, II "nuovo" giudizio di primo grado sospeso tra le ombre del passato e i chiaro-scuri del futuro, cit., p. 511.

[9] Come indica M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia (profili processuali), in questa Rivista, 2 novembre 2022, p. 62: l’intervento abbandona l’impostazione “estremista” contenuta nella versione originaria della “bozza Bonafede” (la quale era incentrata su un’estensione pressoché generalizzata dell’ambito di applicazione dell’art. 190-bis c.p.p., al contesto in esame), ma accoglie, in buona sostanza, un suggerimento proveniente dalla Consulta. Il giudice delle leggi – nella celebre sentenza n. 132 del 2019 (Corte cost. 132/2019) – ha, infatti, individuato nella videoregistrazione delle prove dichiarative uno strumento “compensativo” idoneo ad assicurare la correttezza della decisione, salvaguardando, contemporaneamente, l’efficienza dell’amministrazione della giustizia penale. Il che – è evidente – finisce per attribuire una sorta di “patente” di legittimità costituzionale ex ante al meccanismo ideato dal delegante – sulla base delle indicazioni maturate in seno alla Commissione Lattanzi – e ora sviluppato dal decreto legislativo in commento

[10] V., ancora, Riforma del processo penale,cit.,  p. 30.

[11] V., da ultimo e per tutti, quanto all’analogo impegno in sede d’appello, anche dopo le modifiche della riforma Cartabia, V. Aiuti, Contributo allo studio dell’appello penale, Torino, 2023, passim.

[12] V., R. APRATI, Giudizio di primo grado, in Giur. it. 2023, 1205 ss.; A. CONTE, L’immediatezza nella “riforma Cartabia”, in Giur. Pen. on line, 7 giugno 2022; L. LUDOVICI, La disciplina del giudizio nella riforma cd. Cartabia, in Dir. pen. e proc., 2021158

[13] Così, anche, M. GIALUZ op. e loc. ult. cit.

[14] V., D. CHINNICI, L’immediatezza nel processo penale, Milano, 2005, p. 221 ss; F. DINACCI, L’immutabilita’ del giudice quale valore euristico da preservare attraverso ortodossie interpretative, in Dir. di difesa, 6 luglio 2022. Cfr., altresì, per tutti, G. GIOSTRA., voce Contraddittorio (principio del). Diritto processuale pena- le, in Enc. giur. Treccani, vol. VIII, Roma, 1988, p. 1 s