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06 Novembre 2023


Riforma Cartabia e durata media del processo penale: - 29% nel primo semestre del 2023. Raggiunto (al momento) il target del PNRR. I dati del monitoraggio statistico del Ministero della Giustizia


*Contributo pubblicato nel fascicolo 11/2023. 

 

Molto si è scritto e si è detto a proposito della riforma del processo e del sistema sanzionatorio penale (c.d. riforma Cartabia) e degli obiettivi del PNRR al cui raggiungimento essa è diretta. In particolare, la riduzione del 25% della durata media del processo penale, in ciascuno dei tre gradi di giudizio, entro il 2026. Come stanno andando le cose? Quali indicazioni si traggono dai dati statistici disponibili? Dovrebbero essere le domande centrali nel dibattito pubblico sulla giustizia; invece l’impressione è che, dopo il Governo Draghi, il PNRR sia diventato il grande assente in quel dibattito.

Per tale ragione, riteniamo utile e interessante segnalare come, tra le pagine del sito del Ministero della Giustizia, sia disponibile – qui allegata – la Relazione sul monitoraggio statistico sugli indicatori PNRR aggiornata al I semestre 2023 e predisposta dalla Direzione Generale di Statistica e Analisi Organizzativa. Sul sito stesso sono disponibili ulteriori dati, qui pubblicati e segnalati limitatamente al settore della giustizia penale. Va peraltro rimarcato che, nonostante siano trascorsi ormai due anni dalla legge istitutiva (l. n. 134/2021), non risulta ancora predisposta la relazione annuale del Comitato tecnico-scientifico per il monitoraggio sull'efficienza della giustizia penale, sulla ragionevole durata del procedimento e sulla statistica giudiziaria, istituito presso l’Ufficio di Gabinetto dello stesso Ministero ai sensi dell’art. 2, co. 6 e 16 della legge n. 134/2021; relazione che la legge prevede debba essere trasmessa, tra l’altro, al Consiglio Superiore della Magistratura. È un vero peccato, se si considera che la Commissione europea aveva visto in questa innovazione legislativa il recepimento nel nostro Paese di una cultura del monitoraggio statistico che è ormai patrimonio delle democrazie europee.

L’analisi dei dati mette in evidenza un risultato senza precedenti nella storia repubblicana: nel settore penale il disposition time (DT) – che si desume, come noto, dall’applicazione della formula 365x[Pendenti finali / Definiti] – si è ridotto del 29% rispetto al 2019 e supera pertanto, per il momento, la richiesta del target PNRR.

Come si può vedere dalla tabella qui sotto riportata, tratta dal sito del Ministero, nel primo semestre di quest’anno la riduzione del DT rispetto al 2019 è del 29,7% in Tribunale, del 27,1% in Corte d’Appello e del 39,1% in Cassazione. Dati molto positivi, segnaliamo per inciso, sono anche quelli del settore civile (-19,2% come variazione complessiva). La narrazione pessimista sul PNRR, in materia di giustizia, deve quindi essere sottoposta a un serio fact-checking.

 

Particolare significato assume il dato relativo alla durata dell’appello penale (la fase notoriamente più critica del nostro processo, quanto a tempi): la media nazionale è di 613 giorni, cioè poco più di venti mesi. Ciò significa che è scesa al di sotto del termine massimo di durata ragionevole (due anni) previsto dalla legge Pinto e alla quale la riforma Cartabia ha agganciato il nuovo istituto della improcedibilità dell’azione penale ex art. 344-bis c.p.p. Con una media della durata dell’appello inferiore ai due anni l’improcedibilità non sarà affatto una tagliola destinata a mandare in fumo migliaia di processi, come paventato dai (non pochi) detrattori dell’istituto, anche con toni apocalittici: sarà un evento eccezionale e limitato, non sistemico come la prescrizione del reato, che ancora nel 2022, per i fatti commessi prima del 1° gennaio 2020, ha interessato oltre 30.000 procedimenti penali in appello. Tanto più che, nei procedimenti con impugnazioni presentate entro il 31 dicembre 2024, il termine di improcedibilità è di tre anni in appello (e di diciotto mesi in Cassazione, dove la durata media è oggi di poco più di tre mesi!).

I dati relativi ai singoli distretti di corte d’appello sono a dir poco stupefacenti, dal momento che evidenziano miglioramenti netti, squadernati come non meglio si potrebbe da questa immagine, tratta dal sito del Ministero della Giustizia:

 

Le aree in verde brillante sono quelle in cui nel primo semestre 2023 il DT è in linea con l’obiettivo PNRR perché, rispetto al 2019, si è registrata una riduzione pari o superiore al 25%. Sono la maggior parte.

Le aree in grigio-verde sono quelle in cui vi è stata una riduzione del DT, anche significativa, ma non ancora però pari o superiore al 25%.

Le aree in rosso brillante sono quelle in cui il dato è peggiorato di molto rispetto al 2019.

Le aree in rosso sfumato, infine, sono quelle in cui il dato è di poco peggiorato rispetto al 2019.

 

 

Riportiamo di seguito un elenco dei distretti di corte d’appello italiani (e sezioni di corte d’appello) in ordine decrescente rispetto all’entità percentuale della riduzione del DT. In calce all’elenco, con il segno +, si trovano le sole sei sedi nelle quali la durata media dell’appello è maggiore rispetto al 2019.

 

 

Considerato che sul risultato di riduzione del DT ha un peso notevole il numero dei procedimenti pendenti, particolare menzione merita il dato della Corte d’Appello di Napoli, prima tra le grandi sedi per riduzione percentuale del DT. Basti pensare che la durata media del processo in appello era pari a 5 anni e mezzo, nel 2019, ed è pari a due anni e quattro mesi, nel primo semestre del 2023.

Rinviamo ad altra sede più diffusi commenti su questi dati, che ci premeva qui segnalare con l’opportuno risalto. Non v’è dubbio che, per un verso, andranno approfonditi per comprendere bene a cosa si deve l’aumento significativo delle definizioni; per altro verso, andranno stabilizzati per fare in modo che quella che è una durata stimata si traduca concretamente in una riduzione altrettanto significativa della durata effettiva

Nondimeno, senza toni trionfalistici – siamo ancora nell’ambito di un work in progress e la meta del 2026 non è ancora dietro l’angolo, per quanto non lontanissima – merita svolgere due considerazioni.

La prima è che la magistratura e il personale tecnico amministrativo meritano un plauso per essere riusciti, anche grazie all’utilizzo dell’ufficio per il processo e alle risorse del PNRR, a imboccare la strada che porta il Paese verso il raggiungimento dell’obiettivo PNRR e l’attuazione, finalmente, del principio costituzionale della ragionevole durata del processo. L’organizzazione del lavoro ha dato i suoi frutti; e nelle poche sedi in cui ciò non è accaduto e sono emerse criticità sarebbe opportuno intervenire subito per adottare best practices e investire le necessarie risorse di personale. Questo deve fare, ragionevolmente, chi amministra e organizza i servizi della giustizia.

La seconda considerazione è che questi risultati sono frutto del lavoro organizzativo, degli investimenti che sono stati fatti e, non ultimo, delle norme che sono state introdotte con la riforma Cartabia. Un dato notevole è quello della riduzione delle pendenze (-17,5% nei tre gradi di giudizio, rispetto al 2019; - 18,7 in tribunale, - 11% in appello e -32% in Cassazione); a questo dato hanno senz’altro contribuito, tra l’altro, le riforme del processo in assenza (nuova sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato), l’ampliamento del regime di procedibilità a querela e dell’ambito di operatività dell’art. 131 bis c.p. E senz’altro, per quanto riguarda l’appello, ha avuto un’importanza strategica la prospettiva dell’improcedibilità ex art. 344 bis c.p.p.: non v’è dubbio che, proprio al fine di incrementare il denominatore (aumentando il numero di definizioni) e di ridurre il numeratore (abbassando le pendenze), si siano tirati fuori dall’armadio i fascicoli anche per constatare la prescrizione. Ma questo è comunque il frutto della terapia d’urto rappresentata dall’improcedibilità. Come cerchiamo di mostrare in un contributo pubblicato oggi stesso su questa Rivista, e abbiamo già scritto in un articolo apparso nei giorni scorsi sul Sole24Ore[1], gli uffici giudiziari hanno predisposto i loro progetti organizzativi, da due anni a questa parte, per ridurre i tempi dell’appello sotto i tre anni (due a regime) ed evitare l’improcedibilità (la Cassazione penale era già in linea con questi termini ed ha ancora di più migliorato i propri dati). Valutiamo allora con stupore e preoccupazione, in rapporto al PNRR e al principio costituzionale di ragionevole durata del processo, l’improvvida proposta di legge volta ad abrogare l’art. 344-bis c.p.p. e a reintrodurre la prescrizione nei giudizi di impugnazione, vanificando gli sforzi e gli investimenti di risorse fin qui compiuti e quando al 2026 non manca ormai molto. Ma su questo rinviamo i lettori al nostro contributo critico sulla proposta di legge, pubblicato su questa Rivista.

 

 

[1] G.L. Gatta, M. Gialuz, I tempi del processo penale e i prossimi obiettivi del PNRR, Il Sole24Ore, 25 ottobre 2023, p. 19.