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14 Aprile 2025


La Cassazione precisa i confini dei delitti colposi di evento in ambito lavorativo

Cass. Sez. IV, 7 maggio 2024, (dep. 26 luglio 2024), n. 30616, Pres. Piccialli, Rel. Miccichè



1. Con la pronuncia qui allegata, la Quarta Sezione della Corte di Cassazione ha posto fine alla vicenda giudiziaria relativa ai fatti del 7 maggio 2013, giorno in cui l’imbarcazione “Jolly Nero”, intenta a compiere una manovra c.d. di evoluzione e non di ormeggio, ha impattato la Torre Piloti sita presso il molo “Giano” del Porto di Genova, causandone il crollo e il conseguente decesso di nove persone.

Con la sentenza n. 30616/2024, infatti, la Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Genova e da una delle parti civili costituite, confermando l’esito assolutorio del provvedimento impugnato e, dunque, chiudendo il procedimento a carico dei progettisti dell’edificio crollato, dell’ingegnere che ne ha curato la messa in opera, del direttore marittimo del porto di Genova, accusati di omicidio e disastro colposo aggravato[1],dell’ammiraglio della Capitaneria del medesimo porto oltre che del capo dell’ente Corporazione Piloti, questi ultimi due come datori di lavoro di alcuni dei deceduti ai quali erano stati contestati l’omicidio e le lesioni colpose aggravate dalla violazione delle norme antinfortunistiche[2].

Nella pronuncia, la Corte si è soffermata soprattutto sulla struttura del reato colposo, arricchendo il discorso già avviato dalla giurisprudenza con le Sezioni unite 2014 “Espenhan[3] sul giudizio di prevedibilità postulato dall’art. 43 c.p., con particolare attenzione all’individuazione delle “classi di eventi” su cui perimetrarlo. Sul punto, è approdata alla conclusione che: “in tema di responsabilità per colpa, il giudizio di prevedibilità postula l’individuazione della ‘classe di evento’ di riferimento, che deve essere determinata avendo riguardo alla descrizione di quanto è avvenuto e procedendo, poi, a ricondurre l’evento verificatosi a una più ampia categoria, tenuto conto anche alla realtà morfologica, geografica e spaziale del luogo del sinistro”).

La decisione in epigrafe si segnala, inoltre, per le puntualizzazioni fornite circa la tipicità della circostanza aggravante speciale di cui all’art. 589, comma 2, c.p., circoscrivendone l’ambito applicativo sulla falsariga anche di precedenti decisioni della Suprema Corte. In particolare, a tele riguardo si è affermato che: “ai fini dell’integrazione dell’aggravante del ‘fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro’, non è sufficiente che l’evento si sia verificato in occasione dello svolgimento di un’attività lavorativa, ma è necessario che sia stata violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione rischiosa dei predetti e che l’evento sia concretizzazione di tale rischio lavorativo”.  

Nella fitta trama argomentativa, non mancano poi statuizioni foriere di risvolti che trascendono il piano sostanziale e si assestano nella dimensione processuale.

Segnatamente, il terzo principio di diritto derivante dalla sentenza in commento, nel distinguere tra efficacia extra-penale del giudicato e legittimazione a proporre impugnazione, sancisce che “sussiste l’interesse processuale della parte civile ad impugnare la pronuncia assolutoria con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, in quanto le limitazioni all’efficacia del giudicato, previste dall’art. 652 cod. proc. pen., non incidono sull’estensione del diritto all’impugnazione, riconosciuto, in termini generali, alla parte civile dall’art. 576 doc. proc. pen., imponendosi, altrimenti, alla stessa di rinunciare agli esiti dell’accertamento compiuto in sede penale e di riavviare “ab initio” tale accertamento in sede civile, con conseguente allungamento dei tempi processuali”.

 

2. Può essere interessante ripercorrere in modo più analitico le scansioni argomentative utilizzate dalla Corte di legittimità in ciascuno di questi snodi.

Per quel che concerne il primo punto, i.e. la struttura del reato colposo, la Corte, dopo aver superato le censure relative all’obbligo di motivazione rafforzata connesso alla riforma in senso assolutorio di una precedente pronuncia di condanna da parte dalla C.d.A. di Genova[4], si è soffermata sull’asserito malgoverno delle regole sulla colpa da parte della Corte territoriale, fornendo condivisibili indicazioni su quelle corrette da seguire.

Secondo la tesi del ricorrente, infatti, la pronuncia assolutoria poggerebbe su una duplice fallacia.

La prima sarebbe afferente alla ritenuta assenza di regole cautelari specifiche, e, quindi, della componente normativa della tipicità colposa[5], al contrario invece, correttamente individuate dal giudice di prime cure in quelle poste a presidio delle operazioni in porto da parte di imbarcazioni di notevoli dimensioni.

La seconda, invece, riguarderebbe un altro cruciale elemento costitutivo dei reati colposi, la cd. causalità della colpa[6], ritenendosi errata l’individuazione dell’evento che le predette regole avrebbero dovuto scongiurare; in particolare, la sentenza impugnata avrebbe circoscritto eccessivamente il termine del giudizio di prevedibilità, non ricomprendendo anche la sequenza causale che nel caso di specie ha poi determinato il crollo della torre.

2.1. Nell’esaminare la posizione dei progettisti della Torre piloti, la Corte si sofferma sull’indagine circa la sussistenza di regole cautelari eventualmente violate nella fase ideativa della costruzione, nella duplice forma della colpa specifica, oggetto di contestazione, e, in subordine, della colpa generica.

In particolare, il focus si concentra sull’esistenza, all’epoca dei fatti, di norme inerenti alla distanza tra la struttura – ovvero la torre poi crollata – e la banchina portuale, poste a governo del rischio impatti con le navi in manovra. Sul punto la Corte dà atto, confutando la tesi del ricorrente, dell’inadeguatezza delle regole individuate da quest’ultimo, in coerenza con quanto sostenuto dal giudice di prime cure il quale ha collocato la porzione normativa della colpa nell’antinomia tra il progetto e le norme sul rischio collisioni tra navi e strutture portuali. Ed infatti la pronuncia in commento circoscrive l’ambito di interesse di eventuali regole cautelari a quello delle manovre cd. di evoluzione e non a quello, adottato come parametro dal giudice di prime cure, delle manovre di approdo, considerato che il molo Giano, sul quale sorgeva la Torre, non era destinato all’ormeggio delle navi.

Constatato ciò, nel risolvere il primo snodo giuridico relativo alla dogmatica della colpa, la Corte ribadisce il proprio orientamento circa l’eventualità in cui manchi una regola cautelare specifica sulla cui violazione incardinare la tipicità colposa, imponendo in questi casi una valutazione circa il parametro di prevedibilità ed evitabilità[7], cui l’individuazione della regola cautelare conduce, che sia ex ante rispetto alla condotta in esame, censurando dunque qualsiasi elaborazione creativa che operi ex post[8]. In sostanza, in assenza di norme che nel disciplinare quel tipo di attività a rischio consentito godano del credito della comunità scientifica, va ripudiata ogni forma di elaborazione creativa della regola cautelare non scritta, dovendo, quello dell’individuazione della stessa, rappresentare un momento ricognitivo che valorizzi tutti gli aspetti dell’evento per poi saggiarne la prevedibilità e, successivamente, l’evitabilità.

Ed è proprio su quali tratti caratterizzanti dell’evento da scongiurare debbano essere valorizzati ai fini dell’indagine in corso, che si sofferma lungamente la pronuncia in commento. La questione risulta di fondamentale pregnanza poiché rappresenta il presupposto per la circoscrizione dell’ambito operativo delle regole cautelari esistenti e, quindi, del giudizio di prevedibilità. Aderendo ad una concezione analitica delle tipologie di eventi su cui parametrare le regole cautelari e, quindi, la prevedibilità, infatti, si finirebbe con considerare l’evento hic et nunc realizzato come sempre imprevedibile poiché irripetibile in quella che è la totalità di elementi caratteristici dello stesso. Operando, invece, una eccessiva dilatazione delle cd. classi di evento, si finirebbe per trascurare le specificità del caso concreto, rischiando di accomunare accadimenti che non rispondono a regole di cautela sovrapponibili.

Nel risolvere la questione, la Suprema Corte, dopo aver evidenziato sia i rischi implicati da un approccio eccessivamente analitico che da uno troppo generalista, recupera e condivide la soluzione mediana già patrocinata dalla menzionata sentenza delle Sezioni unite 2014. Adottando come riferimento la “classe di evento[9]” e, quindi, rifiutando già in questo modo l’atomizzazione del fenomeno da scongiurare e propendendo per una catalogazione dello stesso, la Corte disegna un percorso ermeneutico da seguire, stabilendo come punto di partenza quello della descrizione di quanto accaduto, per poi inserire il fatto all’interno di una categoria più ampia. Nel far ciò, tuttavia, la Corte non si limita a valorizzare esclusivamente il termine finale del giudizio di prevedibilità, ovvero l’accadimento storico/naturalistico da scongiurare, ma arricchisce la medesima valutazione anche di un ulteriore elemento, ovvero il nesso di causalità tra la violazione della regola cautelare predata e la sua concreta verificazione, in ossequio a quanto sostenuto da tempo dalla dottrina.

Ed infatti per garantire la corretta valorizzazione dei connotati dell’evento, è necessario prendere in considerazione anche la genesi dello stesso, ovvero, sia il presupposto d’innesco che la sequenza eziologicamente connessa a quanto poi accaduto. Ciò in quanto, a parità di evento realizzato, ad un differente decorso causale corrisponde una differente area di rischio da considerare, con la conseguenza che sarà questa, nella sua singolarità, ad assumere il ruolo di parametro del giudizio di prevedibilità. Ancora, al fine di attribuire maggior precisione alla valutazione che sottende l’imputabilità dell’evento a titolo di colpa, la Corte impone di considerare, oltre all’evento inteso come accadimento naturalistico e alla sequenza causale che ne ha determinato la realizzazione, anche le specificità del luogo in cui questo è avvenuto. Fondamentali risultano dunque le caratteristiche morfologiche e geografiche del luogo dell’evento le quali consentono di verificare se in quelle condizioni spaziali l’evento, così come realizzatosi, avrebbe potuto essere preveduto ed evitato adottando le necessarie cautele.

Nel caso di specie, dunque, il fatto descritto, ovvero l’impatto tra nave e struttura portuale, non va collocato, così come invece sostenuto dal giudice di prime cure, all’interno della categoria generale degli incidenti tra navi e fabbricati pertinenti al porto, bensì in quella più specifica delle collisioni derivanti non dalle manovre di ormeggio, bensì dall’evoluzione all’interno del bacino portuale, ambito nel quale non esistono regole specifiche che non attengano esclusivamente alle dimensioni dello specchio d’acqua in cui operare.

È quello appena esposto, probabilmente, il profilo più innovativo di una pronuncia che ha contribuito ad arricchire di connotati il giudizio di prevedibilità dell’evento, sancendo quelle che sono le coordinate che consentono di addivenire ad un complicato punto di equilibrio tra l’eccessiva generalizzazione, derivante dall’adozione, sic et simpliciter, delle “categorie di evento”, e la lettura restrittiva basata sull’irripetibilità dell’evento hic et nunc realizzato.

2.2. Una volta individuati i parametri idonei ad elaborare la classe di eventi di riferimento, la Corte prosegue nel giudizio circa la sussistenza della responsabilità colposa in capo ai progettisti, escludendo in concreto la prevedibilità dell’impatto tra imbarcazione e torre piloti nel corso della manovra c.d. di evoluzione.

Dopo aver ribadito la necessaria adozione del parametro dell’agente modello[10] - da individuare attraverso una valutazione che riguardi la capacità dello specifico agente, collocato anch’egli in classi omogenee per abilità e conoscenze[11], di adeguarsi alla regola nel caso concreto - ed evidenziata l’assenza di regole cautelari che governano il rischio di incidenti durante l’inversione del senso di marcia delle imbarcazioni di notevoli dimensioni, come era quella che ha impattato con la Torre piloti, la Corte poggia la propria decisione sulla totale assenza di precedenti idonei a rendere l’evento, poi accaduto, in qualche modo prevedibile già in sede di progettazione. Superando i richiami alla giurisprudenza operati dal ricorrente, secondo il quale l’evento sarebbe imprevedibile solo quando del tutto eccezionale ma non “raro”[12], la pronuncia opera una distinzione, ritenendo che laddove l’evento non si sia mai verificato nell’ambito cautelare di riferimento, ovvero quello delle manovre di evoluzione calate nel contesto del porto di Genova, considerato nel periodo tra la costruzione del molo e la progettazione della Torre, questo non possa essere in alcun modo apprezzato sul versante statistico e, quindi, considerato “raro”, ma esuli dall’ambito del rischio prevedibile

3. La differente posizione del direttore marittimo, invece, consente alla Corte di coniugare quanto già affermato in tema di responsabilità colposa con l’accertamento di una condotta di natura omissiva. Ed infatti, punto comune ad entrambe le pronunce che hanno poi condotto al giudizio di legittimità è rappresentato dall’aver individuato nel comandante del porto, qual è il direttore marittimo, la figura posta a presidio della sicurezza della zona marittima di competenza, così come emerge anche dalla legislazione in materia di navigazione[13].

Collocata dunque, già per dato normativo, la posizione del direttore marittimo all’interno di quelle di garanzia, la Corte evidenzia come la consistenza dei poteri impeditivi ex ante rispetto all’evento da scongiurare, requisito necessario per integrare la responsabilità omissiva di cui all’art. 40 cpv c.p.[14], avrebbe imposto al comandante del porto di emanare delle direttive circa l’esecuzione, in piena sicurezza, delle manovre all’interno del porto, scongiurando così il rischio di collisioni.

Tuttavia, la Corte ribadisce, arricchendo il ragionamento già avviato dai giudici di secondo grado, che al fine di attribuire responsabilità colposa ad un contegno omissivo non basta verificare l’adempimento o meno della condotta doverosa ma è necessario anche formulare un giudizio controfattuale atto a verificare se, avendo adottato un contegno conforme a quello imposto dall’ordinamento, l’evento da evitare si sarebbe comunque realizzato o meno. Sono infatti questi i termini di un giudizio bifasico composto da un momento esplicativo, che si rivolge al passato con l’obiettivo di accertare l’eziologia dell’evento secondo un alto grado di probabilità logica, e da uno, successivo, di natura predittiva, mirante a verificare in chiave prognostica le probabili conseguenze impeditive della realizzazione del comportamento doveroso[15].

Sulla base di tale ragionamento la Corte ha ritenuto che l’adozione da parte del direttore marittimo di raccomandazioni, seppur a contenuto generico, impositive di condotte immediatamente comunicative di eventuali avarie o disfunzioni sistemiche, ha soddisfatto l’obbligo di protezione[16] su questi gravante in quanto, secondo quanto già accertato con efficacia di giudicato, laddove l’equipaggio della Jolly Nero si fosse conformato ad esse, segnalando l’avaria al contagiri in plancia, la collisione non si sarebbe verificata poiché la nave non avrebbe avuto l’ok a lasciare gli ormeggi da parte della Torre Piloti.4. Come si è anticipato in premessa, il novero delle questioni affrontate dalla Corte non si esaurisce nella dogmatica sulla responsabilità colposa, ma intercetta anche i presupposti applicativi dell’aggravante di cui all’art. 589 comma 2 c.p.[17], contestata a taluni degli imputati in qualità di datori di lavoro dei marittimi deceduti[18].

Nel circoscrivere il fuoco applicativo della circostanza in parola, la Corte, confermando la decisione impugnata, ha ribadito il proprio insegnamento nel senso di ritenerla operante solo laddove l’evento lesivo o fatale rappresenti la concretizzazione del cd. rischio lavorativo, ovvero la realizzazione di quanto le norme cautelari violate mirano a scongiurare. Precisando, però che in tale circoscritto ambito, il rischio lavorativo assume una dimensione oggettiva e più ampia che prescinde dalla qualifica di lavoratore del soggetto eventualmente coinvolto, ricomprendendo anche quello che può potenzialmente interessare la sicurezza di terzi non addetti ai lavori laddove vengano a trovarsi nelle medesime contingenze del lavoratore stesso[19].

Dopo aver operato una distinzione dalla nozione di rischio ambientale adottato in particolare in materia previdenziale[20], poco conciliabile con le esigenze di tassatività proprie della branca penalistica, la Corte esclude dal rischio lavorativo e, quindi, dall’ambito applicativo dell’ipotesi aggravata di cui all’art. 589, comma 2, c.p., tutti quegli eventi lesivi che siano collegati all’ambiente di lavoro sulla scorta del solo nesso di occasionalità.

Si approda così alla conclusione che è necessario, ai fini del riconoscimento della circostanza in esame, che le lesioni o il decesso costituiscano il termine finale di quel rapporto di causalità che informa anche l’attribuzione della responsabilità a titolo di colpa, dovendo rappresentare la realizzazione di quanto la norma violata mirava ad evitare e non soltanto una parte del ventaglio di rischi che possono realizzarsi in occasione dello svolgimento di attività lavorative. In sostanza, sono proprio le norme cautelari e, in particolare, il rapporto tra queste e l’evento da scongiurare, a circoscrivere il rischio lavorativo, restando al di fuori di tale ambito qualsiasi evento che, pur realizzatosi sul luogo di lavoro e/o durante l’espletamento dell’attività lavorativa, non sia considerato come eziologicamente connesso alla violazione di una regola antinfortunistica vigente al momento dei fatti.

Nel caso di specie, adottando tale ottica, il rischio concretizzatosi, ovvero quello di collisione tra imbarcazioni e strutture poste sul molo, non appartiene, per decisione della Corte, all’ambito lavorativo necessario ad integrare l’aggravante in questione, non sussistendo, all’epoca dei fatti, alcuna norma cautelare diretta a scongiurarne la realizzazione, in quanto non vi era alcuna previsione di pericolo derivante da urti di navi in manovra dalla quale proteggere i lavoratori. Né tale assunto può essere smentito, secondo quanto sostenuto dalla Corte, valorizzando il disposto della norma di chiusura ex art. 2087 c.c. che impone al datore di lavoro di adottare le misure che, per le specificità del caso concreto, siano necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro, considerata l’estraneità all’ambito lavorativo, così come circoscritto dalla decisione in commento, del pericolo poi concretizzatosi[21]. Lo scontro poi tragicamente avvenuto, invece, si pone soltanto come termine finale di una relazione di occasionalità con l’ambiente lavorativo considerato, ovvero quello portuale, rappresentando una possibilità soltanto astrattamente ipotizzabile ma non governata dalle regole all’epoca vigenti poiché, in concreto, imprevedibile.

 

5. Come già anticipato, il novero delle questioni all’attenzione della Corte intercetta anche l’ambito processualistico. Ed infatti, nel ribaltare la tesi della procura ricorrente, secondo la quale l’atto di gravame proposto dalla parte civile avrebbe dovuto condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’istanza, considerato il difetto di interesse nell’ottenere una pronuncia che non avrebbe goduto dell’efficacia di giudicato di cui all’art. 652 c.p.p.[22], la Suprema Corte coglie l’occasione per perimetrare il concetto di interesse a ricorrere, attribuendo a questi una rilevanza autonoma rispetto all’ambito di efficacia del giudicato extra-penale. Ed infatti, il motivo di ricorso non accolto si poggia sulla circostanza che la parte civile ha proposto analogo rimedio avverso una sentenza conclusasi con la formula assolutoria “il fatto non costituisce reato”, formula che, così come precisato dal legislatore di rito, consente di ritenere comunque accertata solo l’esistenza oggettiva del fatto illecito, ma non la riferibilità soggettiva dello stesso in capo all’imputato e che, pertanto, impone in ogni caso al giudice civile di svolgere un autonomo giudizio di accertamento, applicando le regole di responsabilità proprie di tale branca del diritto[23]. La formula assolutoria in questione, infatti, non rientra tra quelle cui l’art. 652 c.p.p. riconosce piena valenza extra-penale, ma si limita a statuire sul difetto di riferibilità soggettiva della condotta all’imputato secondo le regole di accertamento proprie del giudizio penale e, soprattutto, secondo il cd. criterio minimo di imputabilità, che è quello della colpa. Nel giudizio civile, invece, le regole che informano il giudizio di allocazione della responsabilità risarcitoria godono di una latitudine ben differente e, pertanto, non consentono di mutuare sic et simpliciter le conclusioni cui è giunto il giudice penale. Pertanto, secondo la ricostruzione offerta dal ricorrente trasversale, considerata comunque la necessità di un ulteriore giudizio civile, sarebbe venuto meno l’interesse del danneggiato a ricorrere in sede penale avverso tale pronuncia. In sostanza, secondo la tesi in parola, alcun esito favorevole avrebbe potuto avere l’accoglimento del ricorso della parte civile, considerato che anche l’accoglimento dello stesso, avendo come possibile oggetto solo i profili civilistici, non avrebbe attribuito alcuna utilità ulteriore al ricorrente.

Sul punto la Corte, pur dando atto dell’esistenza di un orientamento in senso conforme a quanto sostenuto dalla procura generale[24], ribadisce quanto già affermato dalla giurisprudenza delle SSUU[25] nel senso dell’esistenza di una discrasia tra l’inefficacia extra-penale del giudicato, connesso alla formula assolutoria utilizzata, e il diritto all’impugnazione, riconosciuto, salvo limitati e tassativi casi, dall’art. 576 c.p.p. Secondo la Cassazione, infatti, diverso è circoscrivere l’ambito di efficacia del giudicato, attribuendone pienezza solo alle formule assolutorie considerate dall’art. 652 c.p., dal ritenere che tale ultima norma limiti ulteriormente il diritto costituzionalmente riconosciuto a dolersi di una pronuncia giurisdizionale a sé sfavorevole.

E neppure il fatto che la parte civile abbia già ottenuto il massimo dell’importo risarcibile secondo le tabelle liquidatorie vigenti consente di censurare di inammissibilità il ricorso presentato dalla stessa, considerata la possibilità, riconosciuta dall’ordinamento, di provare conseguenze ulteriori rispetto a quelle già liquidate ex art. 1226 c.c.

 

6. Alla luce di quanto esposto, può dirsi che i principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte all’interno della pronuncia in commento risultano essere ampiamente condivisibili. In particolare, la riflessione relativa all’individuazione delle cd. classi di evento si innesta all’interno della ricostruzione maggioritaria sulla dogmatica della colpa, sviluppando, in ottica di maggior certezza, il parametro della prevedibilità attraverso l’individuazione di categorie di eventi che ad un tempo consentano di valorizzare le specificità del caso concreto, ma senza trascendere nel paradosso dell’imprevedibilità dell’hic et nunc

Di assoluto spessore risulta poi essere l’elaborazione del concetto di rischio lavorativo, il quale consente di circoscrivere l’ambito applicativo dell’aggravante di cui all’art. 589, comma 2, c.p. scongiurando letture non tassativizzanti della stessa.

L’approdo cui è giunta la Suprema Corte sul punto appare poi coerente con quella che è la maggior attenzione che il legislatore, in prospettiva de iure condendo, sta dedicando alla delicata tematica degli infortuni sul lavoro. Ed infatti è stata da ultimo elaborata una proposta di riforma la quale, sulla scorta di quanto già accaduto a proposito dei reati di lesioni ed omicidio stradale[26], mira ad attribuire agli analoghi eventi, causati dall’inosservanza delle previsioni antinfortunistiche, dignità di fattispecie autonoma, disegnando una disciplina costellata sia di circostanze aggravanti in grado di valorizzare il mancato adeguamento agli obblighi di prevenzione, sia di trattamenti premiali che, tenendo fermi gli obblighi risarcitori, enfatizzino l’adozione dei modelli organizzativi previsti dalla legislazione in materia di responsabilità degli enti dal d.lgs. n. 231/01.

 

 

 

 

[1] Il capo di imputazione era costituito dai delitti di cui agli artt. 113, 589 comma 1 e 3, c.p. e 113, 449, 434 e 40, comma 2, c.p.

[2] In questo caso, il riferimento al rispetto delle norme antinfortunistiche è effettuato sia per il tramite dell’art. 2087 c.c., il quale impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, sia ai più specifici artt. 17, 28 e 33 del d.lgs. 81/2008.

[3] Cass., Sez. un. 18 settembre 2014, Espenhan.

[4] Cass., Sez. un., 3 aprile 2018, Troise

[5] T. Padovani, Diritto penale, 10° ed., Milano, 2012, p. 209; F. Mantovani, Diritto penale, 10° ed., p. 324; F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, 16° ed., Milano, 2003, p. 367.

[6] Cfr. MARINUCCI, DOLCINI E GATTA, Manuale di diritto penale. Parte generale, nona edizione, Milano, Giuffrè, p. 425 ss; G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte generale, ottava edizione, Bologna, Zanichelli, 2019, pp. 595-596

[7] Cfr., tra gli altri, MANTOVANI, Diritto penale, cit., p. 328; G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale, cit., p. 539.

[8] Cass. Sez. IV, n. 9390 del 13.12.2016, Di Pietro, Rv. 269254 – 01; Cass. Sez. IV., n. 40050 del 29.03.2018, Leonarduzzi, Rv. 273871 – 01; Cass. sez. IV, n. 32899 del 8.10.2021, PG. c/Castaldo, Rv. 281997 – 01 in relazione al disastro ferroviario di Viareggio.

[9] Cass. sez. IV, n. 39606 del 28.06.2007, Marchesini, Rv. 237880.

[10] T. Padovani, Diritto penale, cit., p. 209; F. Mantovani, Diritto penale, cit., 325; F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte generale, cit., p. 367;

[11] cfr. tra gli altri, G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale, cit., p. 546.

[12] Cass., Sez. IV, n. 27186 del 10.1.2019, D’Ottavio, RV 27670 – 01.

[13] V. artt. 17 R.D. 327/1942, riempito di contenuto dagli artt. 62, 63 e 81 del medesimo complesso normativo.

[14] F. Mantovani, Diritto Penale – Parte generale, 10° edizione, Padova, 2012, p. 156 e ss.

[15] Cass., sez. IV, n. 23339 del 31.1.2013, Giusti, Rv. 256941-01, Cass. sez. IV, n. 416 del 12.11.2021, Castriotta, Rv. 282559 – 01.

[16] F. Mantovani, op. cit., pp. 169 e ss.

[17]Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni”.

[18] Cfr. Cass. Sez. IV n. 32899 del 8.1.2021, PG c/Castaldo, Rv. 281997 – 02 in relazione al disastro ferroviario di Viareggio

[19] Cass. Sez. IV, n. 21478 del 26.05.2022, Gatti, Rv. 283457 – 01.

[20] Cfr. art. 2 D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 nella parte in cui fa riferimento a infortuni avvenuti per causa violenta “in occasione di lavoro”.

[21] V. ancora Cass. Sez. IV n. 32899 del 8.1.2021, PG c/Castaldo, Rv. 281997 – 02, in relazione al disastro ferroviario di Viareggio.

[22]La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile a norma dell'articolo 75 comma 2”.

[23] P. Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2024, pp. 902.

[24] Ex multis, v. Cass., Sez. IV, n. 33255 del 9.7.2019 PC Gancia c/Luparelli Rv. 276598.

[25] Cass., Sez. un., n. 40049 del 29.5.2008, Guerra, Rv. 240815.

[26] È infatti con L. 23 marzo 2016 n. 41 che sono stati introdotti i delitti di lesioni ed omicidio stradale, prima sanzionati come circostanze aggravanti delle lesioni ed omicidio colposi.