1) Cambiamo la Costituzione “per attuarla”; 2) Dopo che l’abbiamo modificata ne eliminiamo le criticità con legge ordinaria successiva; 3) La vittoria del no è il ritorno alla sottomissione della Repubblica da parte dei magistrati
Il dibattito sulla riforma costituzionale della magistratura e dell’assetto dei poteri dello Stato si arricchisce ogni giorno di grandi novità. Alcune tra le tante meritano di essere segnalate. Vediamone alcune, almeno tre: quelle segnalate nel sottotitolo.
1. La riforma in corso della Costituzione, che viene significativamente cambiata, sarebbe in realtà funzionale all’attuazione della Costituzione[1]. È una affermazione un po’ ardita. L’attuazione della Costituzione viene fatta con legge ordinaria, non attraverso la soppressione di regole costituzionali e la loro sostituzione con norme antitetiche.
La soppressione/sostituzione è puramente e semplicemente il contrario dell’attuazione. Se ci sono regole costituzionali ancora non attuate, devono essere attuate attraverso il procedimento legislativo[2]. Con la modifica della Costituzione abbiamo invece nuove disposizioni, nuovi principi, nuovi valori. Sembra cosa ovvia, ma come sempre non per tutti.
Ma a maggior ragione la “modifica” è il contrario dell’attuazione in un caso in cui la stessa porta a due i C.S.M. a fronte dell’unico C.S.M., garante dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura da ogni altro potere, come previsto dalla Costituzione che si dice di volere attuare (art. 104 Cost. ancora in vigore).
Il contrario vistoso rispetto al concetto di attuazione è – se possibile – ancora più marcato con l’introduzione della sorte come criterio di scelta dei componenti dei Consigli e dell’Alta Corte, sorte che sostituisce l’elezione costituzionalmente prevista. Dovrebbe essere evidente a tutti, tranne a chi parla di “attuazione”, che la sorte è cosa radicalmente diversa dalla elezione imposta dalla Costituzione vigente. Così radicalmente diversa da dubitare fortemente della stessa legittimità costituzionale della legge di riforma costituzionale, per contrasto con i principi supremi non suscettibili di modifica neppure attraverso la procedura di revisione[3]: “...la regola della elettività delle cariche pubbliche costituisce un principio supremo dell’ordinamento costituzionale, cioè è un fattore identitario della nostra Repubblica”.
Molto problematico il rapporto del meccanismo del sorteggio anche con le regole europee relative alla composizione dei Consigli di giustizia previsti in ciascuno Stato. È infatti noto – dovrebbe esserlo – che secondo le norme europee almeno la metà dei membri dei Consigli di giustizia dovrebbero essere magistrati scelti dai loro pari[4] e con garanzia del pluralismo interno all’ordine giudiziario. “Scelti” e “con garanzia del pluralismo”: semplicemente il contrario del sorteggio, come ricordato e segnalato nella Relazione sullo stato di diritto nella UE della Commissione Europea per il 2024[5], nel capitolo sulla situazione dello stato di diritto in Italia. Lo dico incidentalmente: bellissimo il riferimento al “pluralismo” interno all’ordine giudiziario (pluralism inside the judiciary”), sia come fatto che come valore (“with respect for pluralism”). Anche il Vice Presidente del CSM Fabio Pinelli ha segnalato i rischi del possibile contrasto con le norme europee, ma non pare sia stato ascoltato[6].
Il tema non è qui quello – del quale già ampiamente si discute – della possibilità o meno per il Presidente della Repubblica di rinviare alle Camere la legge di riforma costituzionale, nell’ipotesi di vittoria del sì al referendum. Ma di una così radicale contrapposizione della riforma con la Costituzione, addirittura con i suoi principi fondamentali, che appare veramente un mero e triste slogan propagandistico il parlare di attuazione della Costituzione.
Così come radicalmente diversa è la creazione di un giudice speciale per gli illeciti disciplinari dei Magistrati ordinari, l’Alta Corte di Disciplina; competenza disciplinare che viene pertanto sottratta al Consiglio Superiore della magistratura, in antitesi a quanto previsto dalla Costituzione vigente. Ma ancora. Pare difficile pensare che “attui” regole costituzionali la previsione dell’impugnazione delle sentenze disciplinari dell’Alta Corte “anche per motivi di merito, soltanto dinanzi alla stessa Alta Corte”[7]. È nota semmai la molto difficile compatibilità di tale previsione con la regola prevista dall’art. 111 comma 7 della Costituzione. Sembra anche evidente il tendenziale svilimento del ruolo e della figura del Presidente della Repubblica, chiamato dalla nuova Costituzione a fare la spola tra due organi costituzionali di sorteggiati (“secchi” e “temperati”), portatori di interessi diversi, potenzialmente contrapposti, e senza previsione di forme di raccordo.
Quindi la nuova Costituzione diventa cosa profondamente diversa rispetto a quello che c’era prima, così radicalmente diversa da fare persino sorgere dubbi sulla possibilità stessa di procedere alla riforma per violazione di principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale. Ma – si dice – siamo “fuori tema” perché l’“attuazione” è quella dell’art. 111 della Costituzione. Obiezione del tutto infondata perché la riforma – come si cerca di fare dimenticare – non è la separazione delle carriere (e quindi possibile tema dell’art. 111 Cost.), ma lo svuotamento del Consiglio Superiore della Magistratura previsto dalla Costituzione attraverso la triplicazione degli organi, la sottrazione della funzione disciplinare al C.S.M. e la costituzionalizzazione della sorte come criterio di scelta dei componenti dei tre organi costituzionali. Anche restando nel campo dell’art. 111 Costituzione è evidente che non si “attua” un bel niente.
Se il Parlamento volesse “attuare” avrebbe tutti gli strumenti per farlo, certamente non dovrebbe cambiare la Costituzione inserendo – come detto – la triplicazione degli organi costituzionali ed il sorteggio come criterio di scelta dei componenti. Se vi fossero, o vi fossero state, regole di legge ordinarie contrastanti con l’art. 111 Cost. sarebbe stato azionabile il meccanismo di controllo di costituzionalità, espungendo così le norme illegittime dal sistema legale.
In sintesi: nuove regole costituzionali, radicalmente diverse ed in alcuni casi antitetiche rispetto alla Costituzione vigente; difficile compatibilità con altre regole costituzionali; difficile compatibilità con i principi fondamentali quanto meno rispetto all’eliminazione del sistema elettorale dei componenti dei nuovi organi costituzionali. Abbastanza per dire che chi vota no, o sostiene le ragioni del no, vuole puramente e semplicemente difendere la Costituzione vigente ed i valori che esprime.
2. Ma c’è un altro aspetto che pare oggi “illuminato”. Si sostiene molto autorevolmente che “le criticità” delle nuove disposizioni costituzionali – ormai evidenti a tutti – potranno essere eliminate dalla legge ordinaria successiva. Addirittura, sarebbero già in corso di preparazione le leggi ordinarie di rimozione delle criticità. Queste novità assolute, e straordinarie, sono molto autorevolmente sostenute: provengono addirittura dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio. È difficile commentare un simile ambizioso progetto per la semplice ragione che è del tutto impossibile da realizzare, e sconta una strana inversione del valore e del peso delle fonti nel nostro ordinamento costituzionale.
Sembrerebbe tutto sommato abbastanza semplice. Non ci possono essere leggi ordinarie successive che “eliminano le criticità” delle nuove disposizioni costituzionali. Le leggi successive devono semmai attuare la Costituzione, non modificare le nuove regole in prospettiva di correzione. È quindi l’esatto contrario di quello che si sostiene: la legge ordinaria successiva “di correzione” si porrebbe in insanabile contrasto con la legge costituzionale prevalente e quindi dovrebbe essere espunta dall’ordinamento.
Veramente curioso sostenere – a titolo di esempio – che la legge ordinaria successiva, di correzione delle storture, potrebbe inserire il sorteggio “temperato”, a fronte di quello secco introdotto per i componenti togati dei tre organi. Non sembra proprio possibile.
Se il riformatore costituzionale decide – come fa espressamente – la regola del sorteggio secco come criterio di scelta per i componenti togati, e temperato (o qualunque altro termine simile) per i membri laici, la legge ordinaria successiva non può introdurre per i togati il sorteggio temperato, essendo tale soluzione esclusa dal legislatore costituzionale.
Sino a prova del contrario, è la Costituzione che fissa la regola sovraordinata: non la legge ordinaria successiva. Si tratta di considerazioni assolutamente basiche, ed il fatto che si debba invocare la legge ordinaria successiva per correggere le storture della riforma costituzionale dimostra soltanto la grande debolezza del pensiero del novello costituente e della riforma prodotto di quel pensiero.
Ma c’è di più ed il di più non è poco. La nostra Costituzione, per fortuna di tutti, prevede l’“autorità giudiziaria” come garante di fondamentali diritti, ed all’“autorità giudiziaria” rinviano numerose fondamentali disposizioni costituzionali (art. 13; art. 14 che rinvia all’art. 13; art. 15; art. 21: si tratta dei diritti fondamentali). C’è da chiedersi che cosa succederà domani, quando l’“autorità giudiziaria” verrà sostituita dai “magistrati della carriera giudicante” e dai “magistrati della carriera requirente”, con i due Consigli Superiori, l’uno della magistratura giudicante e l’altro di quella requirente.
C’è già infatti chi sostiene che dovrà sparire il concetto di “autorità giudiziaria” grazie alla riforma costituzionale, tanto che una parte della dottrina arriva a dire che “oggi si sta portando a compimento il percorso di aggiornamento del dettato costituzionale attraverso il definitivo superamento del concetto di autorità giudiziaria, ormai incompatibile con l’idea stessa di un giusto processo di parti” (corsivo mio)[8].
3. C’è anche un terzo aspetto altrettanto sorprendente, quasi come gli altri due, forse un po’ meno, ma che vale la pena di essere sottolineato. Si dice autorevolmente, molto autorevolmente, che “se dovesse vincere il no, non sarebbe una vittoria del centro-sinistra, ma delle Procure. Torneremmo a una Repubblica sottomessa o condizionata dai magistrati”. Si tratta di un concetto molto chiaro, espresso – davvero – dal Ministro Carlo Nordio all’ultimo congresso delle Camere Penali di Catania. Dico “davvero” perché è riportato in modo assolutamente coincidente, tra virgolette, e senza smentite, da numerosi quotidiani.
Pare curioso che il Ministro della Giustizia pensi a forme di sottomissione della Repubblica da parte dei magistrati, ma vale la pena di ricordare che il no al referendum rappresenterebbe soltanto la contrarietà alla riforma da parte dei cittadini, secondo il meccanismo previsto dalla Costituzione. Vale la pena anche di ricordare che – nel caso di vittoria del no – rimarrebbe inalterata la Costituzione, la nostra Costituzione: che non sa di sottomissione o altre cose simili. Lo sanno tutti, forse anche chi sulla Costituzione vigente ha giurato.
[1] Si tratta di una affermazione ricorrente tra i sostenitori della riforma e quindi non appare necessario procedere a specifiche indicazioni.
Cito soltanto una recente intervista dell’onorevole Nazario Pagano, Presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, al quotidiano Ilsole24 ore (20 settembre 2025). Il parlamentare afferma il principio con grande chiarezza tanto che il giornale dedica il titolo al relativo concetto: “con la separazione delle carriere attuiamo finalmente la Costituzione”.
Altrettanto chiaro il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro (intervento del 26 maggio 2025 al convegno di Torino “Giustizia è sicurezza”): “la separazione delle carriere è una necessità della Costituzione. Anche mio figlio di nove anni capisce che due CSM sono meglio di uno” (La Stampa, 27 maggio 2025).
In modo altrettanto netto in dottrina Oliviero Mazza, Le ragioni del garantismo in favore della separazione delle carriere, in Diritto di difesa, 9 settembre 2025.
Sostiene l’Autore che “oggi si sta portando a compimento il necessario percorso di aggiornamento del dettato costituzionale attraverso il definitivo superamento del concetto di autorità giudiziaria, ormai incompatibile con l’idea stessa di un giusto processo di parti. Deve quindi essere chiaro che la separazione ordinamentale è il portato logico e necessario della struttura del giusto processo imposta dall’art. 111 Cost.” (p. 11).
[2] Con grande chiarezza R. Romboli, Magistratura e politica dalla finestra del C.S.M. I progetti di revisione costituzionale e la pratica di delegittimazione della magistratura, in Questione Giustizia, 11 giugno 2025.
Si veda in particolare p. 16: “difficile condividere le ripetute affermazioni dei presentatori della riforma nel senso che essa si muoverebbe nel solco dei principi costituzionali e per dare attuazione ai medesimi. A parte l’ovvia considerazione, nota a qualsia studente di giurisprudenza, nel senso che lo strumento per l’attuazione della Costituzione è rappresentato dalla legge ordinaria, mentre la revisione costituzionale può essere utilizzata, nei limiti fissati dall’art. 138 Cost., per portare una modifica della stessa, appare innegabile che il Consiglio Superiore della magistratura risulterebbe, per quanto detto, un organo del tutto diverso da quello voluto dal Costituente ed attorno al quale si è venuto a realizzare quello che è stato definito il modello italiano di ordinamento giudiziario”.
[3] V. con grande chiarezza ed efficacia, S. Bartole, Ragionando sulla separazione delle carriere: è legittimo il sorteggio per la formazione degli organi di governo giudiziario?, sul blog laCostituzione.info. Prosegue l’Autore: “come tale fa parte di quel plesso normativo che, secondo la nota sentenza n. 1146/1988, anche il legislatore costituzionale è chiamato a rispettare, e quindi non è suscettibile di revisione costituzionale, salvo ad abbandonare il presente ordinamento e con scelta rivoluzionaria transitare ad altro e diverso” (il corsivo è mio).
[4] Raccomandazione CM/Rec(2010)12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, articolo 27: “Not less than half the members of such councils should be judges chosen by their peers from all levels of the judiciary and with respect for pluralism inside the judiciary”
[5] “...la procedura proposta non sembra garantire che tali membri siano eletti dai loro pari e pertanto suscita dubbi al riguardo”.
[6] La Stampa del 13.2.2025, “Allarme CSM sulla riforma della giustizia. Senza ritocchi rischiamo la censura UE”.
[7] Nuovo art. 105 comma 7 della Costituzione secondo quanto previsto dal disegno di legge costituzionale.
[8] Oliviero Mazza, articolo sopra citato.