Cass., Sez. VI, sent. 14 novembre 2024 (dep. 13 gennaio 2025), n. 1268, Pres. De Amicis, rel. Di Nicola Travaglini
*Contributo destinato alla pubblicazione nel fascicolo 1/2025.
1. Con la sentenza in esame, la Sesta sezione della S.C. ha riconosciuto l’integrazione del delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi al cospetto di condotte di c.d. violenza economica.
Segnatamente, la Cassazione ha rigettato il ricorso avverso una pronuncia di condanna della Corte di Appello di Torino (che a sua volta confermava il verdetto del giudice di prime cure) resa nei confronti di un soggetto, che ha sottoposto la moglie ad episodi versatori per un lasso temporale di circa venti anni, dal 2000 al 2019, privandola, nella sostanza, dell’autonomia e dell’indipendenza economica.
A detta del ricorrente la scelta della donna di non lavorare e di dedicarsi in via esclusiva all’accudimento dei figli sarebbe stata frutto di una autonoma decisione e non, invece, causata dalle sue continue azioni vessatorie, che rientrerebbero piuttosto in una fisiologica dinamica di lite familiare.
Tuttavia, la S.C., all’esito di un’attenta disamina delle risultanze probatorie disponibili, ha integralmente condiviso le valutazioni compiute dai giudici di merito, avallando un’interpretazione evolutiva e convenzionalmente orientata della fattispecie di cui all’art. 572 c.p. Interpretazione che, lo anticipiamo sin d’ora, non si pone affatto in contrasto con la lettera della legge – è del resto noto che la condotta tipizzata (il maltrattare) risulta piuttosto vaga ed elastica[1] – ma appare, anzi, del tutto coerente con la ratio dell’incriminazione, ossia assicurare una tutela pregnante nei confronti di individui «che non hanno la possibilità di sottrarsi» agli abusi di cui sono vittime in ragione del rapporto che li lega all’autore del reato[2].
2. La sentenza de qua prende le mosse dal rilievo secondo cui ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 572 c.p. è necessario valorizzare tutte le componenti in cui può tendenzialmente esprimersi la violenza del maltrattante, incluse «quella psicologica ed economica»[3].
L’assunto trova robuste conferme in plurime fonti sovranazionali ed euro-unitarie: il pensiero corre, innanzitutto, alla Convenzione del Consiglio di Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, sottoscritta a Istanbul nel 2011 e ratificata dall’Italia con la l. 27 giugno 2013, n. 77[4], che riconduce alla “violenza nei confronti delle donne” tutti quegli atti fondati sul genere «che provocano o sono suscettibili di provocare sofferenza di natura fisica, sessuale, psicologica ed economica». Il concetto di “violenza economica” si ritrova, altresì, nella definizione convenzionale di violenza domestica, ossia quella esercitata «all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner».
Indicazioni similari sono rinvenibili nei Considerando 17 e 18 della Direttiva 2012/29/UE (che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato), in cui vengono fornite alcune importanti coordinate ermeneutiche sulle nozioni di «violenza di genere» e «violenza nelle relazioni strette». Il legislatore europeo ha, infatti, precisato che entrambe le forme di violenza posso provocare alla vittima danni fisici, sessuali ed emotivi e, per l’appunto, perdite economiche. Inoltre, la direttiva chiarisce che tra le modalità di perpetrazione della «violenza nelle relazioni strette» rientra pure la violenza economica, oltre – naturalmente – a quella fisica, sessuale e psicologica[5].
Nello stesso solco si colloca la recentissima Direttiva 2024/1385 UE sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica[6]. Segnatamente: a) il considerando 32 – soffermandosi sulla possibile estensione del patrocinio a spese dello Stato alle vittime di tali tipologie delittuose – stabilisce che «la violenza domestica può tradursi in un controllo economico da parte dell'autore del reato, e le vittime potrebbero non avere un accesso effettivo alle proprie risorse finanziarie»; b) il considerando 39 – nell’analizzare le situazioni che richiedono speciale protezione e assistenza della vittima – sottolinea la necessità di prender «in considerazione anche il grado di controllo esercitato dall'autore del reato o dall'indagato sulla vittima, sia dal punto di vista psicologico che economico»; infine, c) l’art. 2 lett. b) qualifica come “violenza domestica” «qualsiasi atto di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica, consumato all'interno della famiglia o del nucleo familiare».
Orbene, è fuor di dubbio che le univoche definizioni fornite in sede euro-convenzionale, impongano al giudicante di procedere a una «interpretazione conforme» della norme interne e, laddove queste ultime si prestino a divergenti letture, «di scegliere quella che consenta il rispetto degli obblighi internazionali»[7]. Deve allora senz’altro condividersi l’orientamento che riconduce nell’alveo dei maltrattamenti contro familiari e conviventi gli episodi inquadrabili nella violenza domestica, così come definita a livello sovranazionale. Prova ne sia il fatto che il nostro legislatore, al fine «di rafforzare la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere», non ha previsto l’introduzione di una figura delittuosa ad hoc, ma è, intervenuto sull’art. 572 c.p., elevandone a più riprese il trattamento sanzionatorio ed ampliandone lo spettro applicativo[8].
3. Sulla scorta di tali premesse, la S.C. ha avuto gioco facile nell’affermare la sussistenza del delitto di cui all’art. 572 c.p. in capo all’imputato, il quale – a quanto emerso in sede dibattimentale – ha posto in essere una documentata serie di condotte «vessatorie e sistematicamente reiterate nel tempo» in modo da impedire alla coniuge la ricerca di un’occupazione e da ostacolare lo sviluppo di relazioni sociali esterne al nucleo familiare[9]. Basti pensare – a mero titolo di esempio – all’installazione di una telecamera di sorveglianza lungo il perimetro dell’abitazione così da sorvegliare i suoi movimenti, all’imposizione di una lunga serie di divieti, talora accompagnati da minacce e umiliazioni, al suo impiego quale contabile dell’azienda dell’imputato senza versare però lo stipendio, né corrispondere utili: tutte condotte, nel loro complesso, volte ad annullare la libertà economica della vittima, relegandola «a un ruolo casalingo sulla base di una rigorosa e discriminatoria ripartizione dei ruoli»[10].
Ebbene, se è vero che le «scelte economiche ed organizzative in seno alla famiglia, sebbene non pienamente condivise da entrambi i coniugi, non possono di per sè integrare gli estremi dei maltrattamenti»[11], discorso diverso vale quando – come nel caso di specie – emerge l’esistenza di un «un sistema di potere asimmetrico», nel quale le decisioni vengono assunte in maniera «unilaterale» da parte del coniuge economicamente forte e non all’esito di un fisiologico confronto dialettico tra i membri del nucleo familiare[12].
A ben vedere, il tratto distintivo tra liti penalmente irrilevanti e veri e propri maltrattamenti sta proprio nell’esistenza o meno di questa condizione relazionale di asimmetria[13]: nel primo caso «le parti sono in posizione paritaria e si confrontano, anche con veemenza, su un piano di riconoscimento e di accettazione reciproca del diritto di ciascuno di esprimere il proprio punto di vista»[14]; nel secondo caso, invece, «un soggetto impedisce ad un altro, in modo reiterato, persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza o dell'offesa»[15]. Siamo di fronte, se non a violenze fisiche, a «forme manipolatorie e pressioni psicologiche», tali da incidere sull’autonomia, sulla dignità e sull’integrità psico-fisica della vittima, provocandole uno stato di prostrazione incompatibile con le normali condizioni di esistenza[16].
4. Una volta appurata la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di cui all’art. 572 c.p., la sentenza de qua passa in rassegna gli ulteriori motivi di ricorso e, in particolar modo, quello concernente il momento consumativo del reato, che – come ben noto – ha natura necessariamente abituale[17].
La determinazione del tempus commissi delicti non ha solamente impatto sull’individuazione del termine di decorso della prescrizione, in quanto – a seguito dell’entrata in vigore della l. 19 luglio 2019, n. 69 (il c.d. codice rosso) – il delitto in parola è andato incontro ad un non trascurabile inasprimento della risposta repressiva (prima della riforma, la forbice edittale prevista dall’art. 572 co. 1 era ricompresa tra i due e i sei anni di reclusione, mentre oggi va dai tre ai sette anni di reclusione).
Si tratta allora di comprendere quale sia la disciplina applicabile nel caso di specie.
Le sentenze di merito si erano allineate all’orientamento seguito dalla prevalente giurisprudenza di legittimità in tema di reato abituale, in base a cui «il momento della consumazione coincide con la cessazione dell'abitualità e nel caso di condotta, protrattasi sotto la vigenza di due differenti regimi normativi, la disposizione applicabile è solo quella vigente al momento della consumazione»[18]. Sulla scorta di tali principi, dopo aver collocato le ultime condotte vessatorie in un tempo successivo all’entrata in vigore della Novella del 2019, le Corti territoriali avevano coerentemente assoggettato l’intera vicenda delittuosa al nuovo e più aspro trattamento sanzionatorio.
Ad avviso del ricorrente, tali conclusioni andrebbero più attentamente rimeditate alla luce di una recente pronuncia della S.C., la quale – sempre con riguardo all’art. 572 c.p. – ha escluso l’applicabilità della norma sfavorevole sopravvenuta, laddove «nel vigore della nuova legge, si realizzi un segmento insignificante di abitualità, un singolo episodio, magari […] penalmente neutro, che non aggiunge alcunché» e che, tuttavia sortisce «l'effetto di trascinare con sé e verso un trattamento punitivo più severo l'intera condotta abituale compiuta in precedenza, rispetto alla quale, essendosi il reato già perfezionato, era già sorto il diritto ad essere giudicato applicando la pregressa norma più favorevole»[19]. Ecco allora che, a fronte di una sola condotta vessatoria verificatasi sotto il regime sanzionatorio più severo e «disancorata» da quelle dei precedenti diciannove anni, andrebbe riconosciuta l’operatività della lex mitior.
Se così non fosse, assisteremmo a una occulta violazione del principio di irretroattività, in quanto «l’agente, per un reato sostanzialmente commesso in precedenza, sarebbe punito da una norma successiva più sfavorevole».
Orbene, la Cassazione – pur prendendo atto dell’esistenza di tale isolato precedente – rigetta anche questo motivo di ricorso e si allinea all’indirizzo maggioritario, in forza del quale allorché «la condotta si sia protratta successivamente all’entrata in vigore della l. 69/2019» deve trovare applicazione «il regime previsto da quest’ultima normativa, a prescindere dal numero di episodi commessi durante la sua vigenza» e senza che sia necessario che «essi integrino, di per sé soli, l’abitualità del reato»[20].
L’ultimo episodio vessatorio – verificatosi dopo l’entrata in vigore del c.d. codice rosso – si pone, peraltro, in linea di continuità rispetto al disvalore delle condotte tipiche pregresse, essendo il prodotto di una «abitudine relazionale in senso gerarchico ed impositivo» dell’agente nei confronti della partner.
Una conclusione siffatta non sembra affatto pregiudicare il rispetto delle garanzie di prevedibilità e calcolabilità sottese all’operare del principio di irretroattività della legge sfavorevole[21]. L’autore del reato che, in pendenza della nova lex, rinnovi od aggravi «l’offesa prodotta dalla non interrotta condotta antigiuridica incidente su diritti umani inalienabili» è, infatti, pienamente in grado di conoscere e, appunto, calcolare le conseguenze deteriori a suo carico[22].
Infine, nulla rileverebbe il fatto che i contegni vessatori dell’agente siano «proseguit[i] nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare», dal momento che «con il matrimonio o con l’unione civile la persona resta comunque familiare» ai fini dell’applicazione dell’art. 572 c.p.[23]. A ciò si aggiunga che tali episodi si collocano in un «quadro di insieme e non parcellizzato della relazione tra autore e vittima», essendo nel complesso orientati verso «verso la lesione della dignità e della identità della persona offesa»[24].
***
5. A quanto emerge da una lettura a caldo delle motivazioni della sentenza in esame, ci pare che i profili di interesse siano essenzialmente due.
In primo luogo, abbiamo visto come la pronuncia de qua attribuisca espresso rilievo alla violenza economica perpetrata in contesto familiare, ricomprendendola nell’alveo dell’art. 572 c.p. Una simile opzione ermeneutica è a nostro avviso pienamente condivisibile, poiché consente di assicurare un’efficace repressione avverso una forma di manifestazione della “violenza domestica” tutt’altro che isolata[25] e da tempo nota al legislatore europeo a livello sovranazionale.
Ciò a maggior ragione se consideriamo il fatto che impedire al partner di sesso femminile la ricerca o lo svolgimento di un’attività lavorativa costituisce – come noto – un retaggio del passato, frutto di una concezione patriarcale della società, che vedeva il marito, in una posizione gerarchicamente sovraordinata, occuparsi del mantenimento della famiglia e la moglie, in un ruolo subalterno, dedita all’accudimento della prole ed alle faccende domestiche[26]. Le condotte di violenza economica – talora sfuggenti – risultano pertanto particolarmente «velenose, insidiose ed infestanti», in quanto, al pari delle altre e più percepibili forme di violenza (fisica, psichica e sessuale), ledono la dignità della vittima, ponendola in una condizione di soggezione e dipendenza rispetto al soggetto agente, privandola di gusti, desideri, ambizioni e – in definitiva – della libertà di autodeterminazione[27]. Ha dunque ragione chi sostiene che la c.d. violenza economica «nei confronti della parte femminile della società» preclude de facto l’attuazione di plurimi diritto costituzionali, su tutti quello al lavoro e alla parità fra coniugi[28].
Peraltro, la scelta operata dalla sentenza in commento non comporta alcuna forzatura della lettera della legge. Come infatti rilevato da un autorevole studioso, l’elastica condotta di maltrattare tipizzata dall’art. 572 c.p. è dilatabile e modellabile in base «alle mutevolezze insospettabili della realtà» e si presta «a raccogliere molto ampli contenuti»[29]. Non a caso, essa è stata, in passato, tacciata di incostituzionalità per la violazione del fondamentale principio di determinatezza[30]. Ciò non di meno, la giurisprudenza ha agevolmente superato tali obiezioni, riuscendo a definire in via interpretativa il contenuto del precetto in maniera piuttosto «chiara, intelleggibile e precisa»[31], innanzitutto facendo leva sul comune significato del termine “maltrattare”, che indica il «comportamento di chi tratta una persona in malo modo, con durezza, violenza, crudeltà, sottoponendola a vessazioni», a umiliazioni, a ingiurie e a qualsiasi altro tipo di sopraffazione[32]. Il nucleo essenziale del reato risiede, allora, nell’abitualità di tali comportamenti, la cui ripetizione nel tempo finisce con il determinare «una continua sofferenza fisica o morale» della vittima che, pur non vedendo necessariamente annullata la propria personalità, viene ridotta in uno stato di «disagio continuo ed incompatibile con normali condizioni di vita»[33].
Da ultimo, l’inquadramento delle condotte di violenza economica nell’alveo dell’art. 572 c.p. è perfettamente coerente alla ratio che giustifica la criminalizzazione dei maltrattamenti in famiglia[34]. Se in origine, la fattispecie de qua era posta a salvaguardia dell’interesse della famiglia in sé, quale istituzione sociale[35], dottrina e giurisprudenza sono oggi concordi nel ritenere che essa tuteli la personalità morale del singolo e, segnatamente, il suo interesse a non essere sottoposto a un sistema di vessazioni e violenze durature e ripetitive[36], in un contesto caratterizzato da «legami affettivi forti e stabili, tali da rendere particolarmente difficoltoso per colui che patisce i maltrattamenti sottrarsi ad essi e particolarmente agevole per colui che li perpetua proseguire»[37]. È proprio questa – a ben vedere – la deteriore dinamica che sembra essersi instaurata nel caso di specie, che è stato dunque correttamente inquadrato nell’alveo dell’art. 572 c.p.
6. Il secondo profilo di interesse della pronuncia qui segnalata è quello riguardante l’individuazione del momento consumativo del reato abituale. La sentenza in commento aderisce all’orientamento consolidato, identificando il tempus commissi delicti con il compimento dell’ultima condotta vessatoria. Da una simile premessa – lo si è visto – consegue l’operatività del regime sanzionatorio più aspro introdotto dalla lex posterius. È però lecito domandarsi se quella raggiunta sia una soluzione obbligata o se invece avrebbe potuto applicarsi la lex mitior, in considerazione del fatto che la porzione quantitativamente maggiore degli episodi vessatori è stata perpetrata prima dell’entrata in vigore del Codice rosso.
Sul punto, a quanto ci consta, non sussiste un vero e proprio contrasto in seno alla S.C.: alla granitica giurisprudenza di legittimità condivisa dalla pronuncia in commento, fa eco una sola decisione di senso contrario, giustamente richiamata dal ricorrente. In questa sentenza del 2023[38], la Sesta Sezione ha affermato che la legge sfavorevole trova applicazione soltanto quando sotto la sua vigenza siano stati commessi «segmenti di condotta abituali autosufficienti», da soli capaci «di integrare la fattispecie incriminatrice». Un simile approccio ambisce a implementare il divieto di retroattività, da intendersi anche come divieto di «rivalutazione in peius» delle condotte realizzate in pendenza della disciplina favorevole[39]. Va, infatti, ricordato che tale divieto non rappresenta soltanto una irrinunciabile garanzia soggettiva per il reo – funzionale rispetto della libertà autodeterminazione e al fondamentale principio di colpevolezza – ma ha anche un contenuto oggettivo, in quanto salvaguarda la stabilità del diritto, mettendo al riparo i consociati dai rischi di veder aggravate ex post le pene per i fatti già compiuti[40].
Orbene, se è vero che, nei casi affrontati dalla sentenza oggi in esame e da quella del 2023, l’agente «si trovava nelle condizioni di interrompere la condotta a fronte dell'intervento della legge più sfavorevole»[41], e non poteva dunque ravvisarsi alcuna violazione del canone della retroattività in chiave di garanzia soggettiva, appare al tempo stesso innegabile che l’introduzione di una disciplina più sfavorevole comporti una rivalutazione in peius di una vicenda delittuosa realizzata, per larga parte, nel vigore della legge più favorevole.
Per quanto l’impostazione qui sinteticamente richiamata riveli una apprezzabile sensibilità garantistica, riteniamo vada tenuto fermo l’orientamento seguito dalla sentenza in commento, che fa coincidere il momento consumativo del reato di cui all’art. 572 c.p. con quello dell’ultimo atto che protrae la situazione antigiuridica.
A favore di una conclusione siffatta militano plurimi argomenti, che in questa sede possono essere soltanto accennati. In particolar modo, non può esser trascurato il rischio che, per effetto della mancata considerazione del segmento non autosufficiente di abitualità, si «applichi un regime punitivo meno grave a chi, pur dopo la previsione di una pena più elevata, ha protratto e aggravato la lesione del bene giuridico tutelato nella consapevolezza delle precedenti aggressioni, così dimostrando […] una maggiore determinazione criminale»[42]. Si considerino, inoltre, le criticità che potrebbero presentarsi nell’individuazione del termine prescrizionale, che – nei delitti abituali – decorre oggi pacificamente dal giorno dell’ultima condotta[43]. Infine, il criterio che fa leva sul concetto di segmento insignificante di abitualità è foriero di inevitabili incertezza applicative – con ovvie ricadute in punto di prevedibilità e certezza – e, a ben vedere, trascura «la peculiarità ontologica» dei reati abituali, il cui tratto caratteristico risiede proprio nella «concentrazione del disvalore del tipo «attorno alla reiterazione, senza che rivesta particolare significato la circostanza che il singolo episodio risulti penalmente lecito o illecito»[44]. Questa categoria di delitti ha una struttura unitaria, «che implica che ogni nuova azione si saldi a quelle precedenti, trasferendo il momento della consumazione all'ultima delle condotte tipiche realizzate»[45]. Non rileva, dunque, che i singoli contegni del maltrattante siano eventualmente sprovvisti di portata lesiva: ciò che conta è che essi si inseriscano in un’unica cornice, dando luogo – come più volte rimarcato in queste pagine – a una relazione asimmetrica basata sull’abuso sistematico di una posizione di soggezione.
A questo proposito, essenziale si rivela il fattore tempo, nel senso che la presenza di un unico reato andrebbe esclusa allorché le nuove condotte intervengano dopo un «significativo intervallo di tempo», facendo venire meno la «necessaria concatenazione» tipica «del carattere abituale del delitto in esame»[46]. Evenienza che non sembra essersi verificata nella vicenda passata al vaglio dalla sentenza in esame, nella quale è stato puntualmente verificato che le ultime condotte vessatorie del ricorrente costituivano una mera riproduzione «di modalità cicliche di prevaricazione e controllo» inscindibilmente connesse, «anche sotto il profilo psicologico», alla precedente «serie di atti di maltrattamento»[47].
6.1. Ci sia consentita un’ultima osservazione. Ferma restando la condivisibilità delle conclusioni cui è pervenuta la S.C. in ordine all’applicazione della legge in vigore al momento della consumazione del crimine, quand’anche sfavorevole al reo, il fatto che parte delle condotte integranti il reato di durata siano state perpetrate nella vigenza di una legge più favorevole potrebbe eventualmente rilevare sul piano della commisurazione della pena ex art. 133 c.p.[48]. Una simile opzione – suggerita da autorevole dottrina e demandata al prudente apprezzamento del singolo giudice – rappresenterebbe, per lo meno a nostro avviso, un passo in avanti nell’implementazione in action del divieto di retroattività e delle garanzie ad esso sottese, senza che ciò pregiudichi le esigenze di difesa sociale alla base della modifica normativa in peius.
[1] Sull’elasticità del termine “maltrattare”, ex plurimis: G.D. Pisapia, Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in Dig. disc. pen., Torino, 1995, consultato su One Legale; G. Pavich, Il delitto di maltrattamenti. Dalla tutela della famiglia alla tutela della personalità, Milano, 2012, 13 ss.; Id., Luci e ombre nel 'nuovo volto' del delitto di maltrattamenti. Riflessioni critiche sulle novità apportate dalla legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, in Dir. pen. cont., 9 novembre 2012. Più di recente: R. Bartoli, La tutela della persona dalle aggressioni violente, in M. Bertolino (a cura di), I reati contro la famiglia. Trattato teorico-pratico di diritto penale, diretto da F.C. Palazzo-C.E. Paliero-M. Pelissero, Torino, 2022, 205; T. Trinchera, Maltrattamenti contro familiari o conviventi: tra riforme già compiute e riforme ancora da scrivere, in Dir. pen. proc., 2023, 697 ss.
[2] Cfr. Corte cost., 14 maggio 2021, n. 98, commentata da F. Palazzo, Costituzione e divieto di analogia, in Dir. pen. proc., 2021, 1218 ss.; L. Risicato, Argini e derive della tassatività. Una riflessione a margine della sentenza costituzionale n. 98/2021, in Discrimen, 16 luglio 2021; C. Cupelli, Divieto di analogia in malam partem e limiti dell'interpretazione in materia penale: spunti dalla sentenza 98 del 2021, in Giur. cost., 2021, 1797 ss.
[3] Cass., Sez. VI, 13 gennaio 2025, n. 1268.
[4] Su cui A. Di Stefano, La Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, in Dir. pen. cont., 11 ottobre 2012.
[5] Cfr. S. Recchione, Le vittime da reato e l’attuazione della direttiva 2012/29 UE: le avanguardie, i problemi, le prospettive, in Dir. pen. cont., 25 febbraio 2015.
[6] Trattasi del primo atto normativo dell’Unione espressamente dedicato alla violenza domestica e alla violenza di genere: esso ambisce a fornire un quadro generale e armonizzato, così da «prevenire e combattere efficacemente» tali perniciose forme di criminalità. Per una disamina in chiaroscuro di tale provvedimento si legga il commento di S. Braschi, La nuova direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica e le sue ricadute nell’ordinamento nazionale, in Dir. pen. proc., 2024, 1367 ss., nonché M. Bianchi, L’abuso dell’immagine intima nella Direttiva (UE) 2024/1385, in questa Rivista, 8 novembre 2024.
[7] In senso conforme: Cass., S.U., 16 marzo 2016, n. 10959, commentata da A. Peccioli, Delitti commessi con violenza alla persona e atti persecutori: un problema processuale privo di riflessi sostanziali, in Dir. pen. proc., 2016, 1063 ss.
[8] Sull’evoluzione normativa e sull’incidenza delle fonti sovranazionali sulla definizione del campo operativo dell’art. 572 c.p. v. M. Miedico, Sub art. 572 c.p., in E. Dolcini-G.L. Gatta (diretto da), Codice penale commentato, III, Milano, 2021, 740 s.
[9] Cass., Sez. VI, 13 gennaio 2025, n. 1268.
[10] Ibidem.
[11] Cass, Sez. VI, Sent. 30 ottobre 2015, n. 43960
[12] Cass., Sez. VI, 13 gennaio 2025, n. 1268.
[13] Ibidem.
[14] Così nitidamente: Cass., Sez. VI, 15 settembre 2023, n. 37978; Cass., Sez. VI, 6 agosto 2024, n. 32042.
[15] Ex plurimis: Cass., Sez. VI, 12 marzo 2023, n. 17656; Cass., Sez. VI, 6 agosto 2024, n. 32042.
[16] L’affermazione è, invero, ricorrente. A mero titolo esemplificativo richiamiamo: Cass., Sez. VI, 20 dicembre 2024, n. 47041; Cass., Sez. VI, 5 dicembre 2024, n. 44525; Cass., Sez. III, 19 ottobre 2020, n. 28838; Cass., Sez. VI, 4 dicembre 2003, n. 7192.
[17] Per tutti: A. Madeo, Reati contro la famiglia, in F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale, I, XVII ed., a cura di A. Rossi, Milano, 2022, 758 s., nonchè A. Spena, Sub art. 572 c.p., in T. Padovani (a cura di), Codice penale, II, Milano, 20219, 3614 s.
[18] Ex multis: Cass., Sez. VI, 25 gennaio 2021, n. 2979.
[19] Cass., Sez. VI, 28 giugno 2023, n. 28218. Su questa interessante sentenza, si leggano le notazioni di: S. Braschi, Successione di leggi e reato abituale: la disciplina del tempus commissi delicti alla prova del principio di irretroattività della legge penale, in Cass. pen., 2023, 4050 ss.; A. Aimi, Nuove precisazioni in merito al tempus commissi delicti nei reati necessariamente abituali, in questa Rivista, 7 luglio 2023; F. Bellagamba, Modificatio legis e maltrattamenti in famiglia: una questione tutt’altro che definita, in Giur. it., 2023, 2465 ss.; C. Verucci, Tempus commissi delicti e successione di leggi modificative nei reati necessariamente abituali: brevi note a margine di Cassazione, Sez. VI, 28218/2023, in Arch. pen., 3/2023.
[20] Cass., Sez. VI, 13 gennaio 2025, n. 1268. In senso conforme, ex multis: Cass., Sez. VI, 10 giugno 2024, n. 23204; Cass., Sez. VI, 23 maggio 2023, n. 29928.
[21] In questo senso: Cass., Sez. VI, 22 maggio 2023, n. 21998, che riprende i dicta di una importante pronuncia delle Sezioni unite concernenti il reato permanente, ma valevoli anche in relazione ai reati abituali: Cass., S.U., 24 settembre 2018, n. 40986, con nota di M. Gambardella, Tempus commissi delicti e principio di irretroattività sfavorevole. Il caso dell’omicidio stradale, in Dir. pen. proc., 2019, 65 ss.; S. Zirulia, Le Sezioni Unite sul tempus commissi delicti nei reati c.d. ad evento differito (con un obiter dictum sui reati permanenti e abituali), in Dir. pen. cont., 4 ottobre 2018. Le Sezioni unite hanno precisato che «il protrarsi della condotta sotto la vigenza della nuova, più sfavorevole, legge penale assicura la calcolabilità delle conseguenze della condotta stessa che, come si è visto, dà corpo alla ratio garantistica del principio di irretroattività. […] Naturalmente, l'applicazione della legge più sfavorevole introdotta quando la permanenza del fatto delittuoso era già in atto presuppone, come ha rimarcato la dottrina, la colpevole violazione della nuova legge e, dunque, la possibilità - di regola assicurata dalla vacatio legis - di conoscerla e, "calcolandone" le conseguenze penali, di adeguare la condotta dell’agente».
[22] Cass., Sez. VI, 13 gennaio 2025, n. 1268.
[23] Cass., Sez. VI, 13 gennaio 2025, n. 1268; in senso analogo: Cass., Sez. VI 18 ottobre 2023, n. 46797, in cui viene precisato che «il coniuge resta persona della famiglia fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza».
[24] In senso conforme: Cass., Sez. VI, 10 giugno 2024, n. 23204.
[25] Se veda, in precedenza: Cass., Sez. VI, 6 ottobre 2017, n. 49997, nella quale all’imputato «era stato contestato di aver maltrattato la moglie, rendendole la vita impossibile, con ripetute percosse, minacce di morte e condotte di intimidazione psicologica e vessazione, atteggiamenti di umiliazione e svilimento, quali, [per l’appunto], volerle impedire di svolgere attività lavorativa».
[26] Cfr. il quadro tracciato da Cass. civ., VI, 21 aprile 2015, n. 8094.
[27] Approfondimenti sul punto in I. Pellizzone, La violenza economica contro le donne, in Dir. di difesa, 28 ottobre 2021.
[28] Ibidem.
[29] Così F. Coppi Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, 228 ss.; per una panoramica sulle forme meno consuete di realizzazione del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, v. M. Miedico, Sub art. 572 c.p., cit., 751.
[30] Cfr. M. Mazza, Maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione, in Enc. giur., XIX, Roma, 1990, 26. Siffatto deficit di determinatezza – osserva giustamente T. Trinchera, op. cit., 697 ss. - appare difficilmente colmabile anche in una prospettiva de jure condendo, poste le difficoltà nel definire con maggior nettezza le condotte oggi riportabili nell’alveo dell’art. 572 c.p.
[31] Si veda a riguardo M. Bertolino, Maltrattamenti e abuso dei mezzi di correzione, in Enc. dir. I tematici, IV, Famiglia, Milano, 2022, consultato on line sul portale De Jure. L’autrice osservare come, nel variegato panorama giurisprudenziale, non manchino pronunce tese a dilatare, talora inopinatamente, i margini applicativi del tipo delittuoso.
[32] Cfr. Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2022, n. 2627.
[33] Testualmente: Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2022, n. 2627; Significativa è anche Cass., Sez. VI, 17 maggio 2019, n. 21768, ove afferma che «l’ampiezza dei confini della materialità del reato» viene «controbilanciata in via interpretativa dalla duplice prescrizione che, da un lato, le condotte vessatorie siano state reiterate nel tempo (id est che sussista la c.d. abitualità); dall'altro lato, che l’agire criminoso sia connotato da idoneità offensiva rispetto al bene giuridico tutelato, che abbia cioè cagionato uno stato di sofferenza psico-fisica nella vittima». Nella manualistica recente, S. Seminara, Delitti contro la libertà personale, in R. Bartoli-M. Pelissero-S. Seminara, Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, III ed., Torino, 2024, 128.
[34] Sulla questione, per tutti: A. Madeo, Opacità normativa e licenza interpretativa giurisprudenziale sui concetti di familiare e convivente: lo sconfinamento del delitto di maltrattamenti contro familiari o conviventi nel campo applicativo degli atti persecutori aggravati, in LP, 17 maggio 2023, 1 ss.
[35] In proposito, si leggano di riflessioni di A. Roiati, La fattispecie dei maltrattamenti contro familiari e conviventi tra interventi di riforma, incertezze interpretative e prospettive de iure condendo, in questa Rivista, 30 marzo 2023, 9.
[36] Cfr. Cass., Sez. VI, 27 maggio 2003, n. 37019; in dottrina: A. Spena, Sub art. 572 c.p., cit.; T. Delogu, Commentario al diritto italiano della famiglia, in G. Cian-G. Oppo-A. Trabucchi, Diritto penale, VII, Padova, 1995, 642 ss.; ma già F. Mantovani, Riflessioni sul reato di maltrattamenti in famiglia, in Studi in onore di Francesco Antolisei, II, Milano, 1965, 267 ss.
[37] Cfr. ancora Corte cost., 14 maggio 2021, n. 98.
[38] Cfr. Cass., Sez. VI, 28 giugno 2023, n. 28218.
[39] Ibidem.
[40] Si tratta di una questione estremamente delicata e che – evidentemente – merita un approfondimento che esula dal ristretto perimetro di questo scritto. Sul tema e sulle questioni dogmatiche ad esso sottese, rimandiamo a S. Braschi, Successione di leggi e reato abituale, cit., 4067 ss. e all’approfondimento monografico di F. Bellagamba, Il reato abituale. Prospettive per una possibile lettura rifondativa, Torino, 2023, 179 ss. Nella manualistica, G. Marinucci-E. Dolcini-G.L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, XIII ed., Milano, 2024, 123 s.
[41] Cass., Sez. VI, 28 giugno 2023, n. 28218.
[42] Cass., Sez. VI, 10 giugno 2024, n. 23204.
[43] Tra le tante pronunce in tal senso: Cass., Sez. VI, 4 novembre 2016, n. 52900; Cass., Sez. VI, 25 gennaio 2021, n. 2979.
[44] Condivisibile a riguardo F. Bellagamba, Modificatio legis e maltrattamenti in famiglia: una questione tutt’altro che definita, cit., 2465 ss.
[45] Cass., Sez. VI, 22 maggio 2023, n. 21998.
[46] Cass., Sez. VI, 22 maggio 2023, n. 21998; Cass., Sez. VI, 31 marzo 2021, n. 24710.
[47] Cass., Sez. VI, 13 gennaio 2025, n. 1268.
[48] È questa la suggestiva proposta avanzata da M. Romano, Pre-art. 39, in Commentario sistematico del codice penale, I, Milano, 2004, 348 e recentemente ripresa da F. Bellagamba, Il reato abituale. Prospettive per una possibile lettura rifondativa, cit., 180.