G.i.p. Monza, ord. 10.3.2025, Maccarani, Giud. Colella
Pubblichiamo in allegato, per l'interesse, l'ordinanza con la quale il Gip presso il Tribunale di Monza ha rigettato la richiesta di richiesta di archiviazione e ha ordinato l'imputazione per il delitto di cui all'art. 572 c.p. del procedimento penale promosso contro Emanuela Maccarani, allenatrice di ginnastica e Commissario tecnico della nazionale italiana di ginnastica ritmica, promosso a seguito di denunce di maltrattamenti subiti da giovani atlete. La vicenda giudiziaria ha avuto ampio risalto mediatico e, dal punto di vista dell'interesse giuridico, si segnala in particolare per l'affermazione, nell'ordinanza allegata, di rilevanti principi di diritto relativi al delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p., ravvisato nel caso di specie, attraverso condotte sia commissive sia omissive, in un contesto peculiare, quale è quello di una palestra per gli allenamenti funzionali ad attività agonistica e di una squadra di giovani atlete minorenni, affidate dai genitori per lo svolgimento dell'attività sportiva. Riportiamo di seguito l'incipit del provvedimento, che ne riassume i contenuti.
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La fattispecie di cui all’art. 572 c.p. trova, infatti, pacificamente applicazione in tutti i contesti in cui il soggetto passivo del reato sia sottoposto all’autorità del soggetto attivo o a questi affidato “per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia” e configura un reato di mera condotta, per la cui realizzazione è sufficiente che il comportamento dell’agente sia idoneo sotto il profilo oggettivo a determinare nella vittima una condizione di sofferenza psico-fisica non semplicemente transitoria, indipendentemente dalla sua effettiva realizzazione e manifestazione. Opinando altrimenti si finirebbe, infatti, per attribuire o meno rilevanza penale a condotte oggettivamente identiche in ragione della diversa sensibilità della vittima o del suo grado di resistenza psichica individuale (a sua volta legato ad una serie di variabili non predeterminabili ed eterogenee, non solo fisiche e psicologiche ma anche di tipo sociale e culturale).
La formulazione dell’art. 572 co. 1 c.p. consente, inoltre, di attribuire autonomo rilievo a condotte omissive idonee a ledere i beni giuridici protetti dalla norma, che vanno identificati nell’integrità psico-fisica del soggetto passivo e nella personalità dell’individuo nella sua formazione e nella sua evoluzione, secondo l’interpretazione evolutiva tracciata dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, ratificata dall’Italia nel 1991.
Gli elementi di prova acquisiti nel corso delle indagini – e in particolare, le dichiarazioni delle persone offese, riscontrate da quelle di numerose altre atlete, gli esiti dell’attività di captazione e, soprattutto, l’analisi dei contenuti estrapolati dai dispositivi elettronici in sequestro – hanno disvelato una pluralità di condotte maltrattanti di natura attiva poste in essere dall’allenatrice ai danni di tutta la squadra (urla incontrollate, insulti, e talvolta manifestazioni più eclatanti quali lanciare oggetti o rovesciare tavoli e sedie) e così pure delle singole atlete di volta in volta prese di mira (battute di scherno, insulti, in un caso il lancio di un guinzaglio e in più di un’occasione l’imposizione di effettuare gli allenamenti e/o particolari esercizi nonostante le condizioni di salute della ginnasta non lo consentissero).
Hanno, altresì, fatto emergere condotte omissive di portata lesiva non certo inferiore, quali l’omessa predisposizione di un supporto nutrizionale e psicologico, a dispetto delle richieste in tal senso avanzate da alcune ginnaste, e l’omesso controllo a fronte di situazioni di rischio già verificatesi in passato (quali l’assunzione di lassativi in dosi massicce o l’induzione del vomito per scongiurare gli aumenti di peso).
Tali ultime condotte assumono rilievo penale, ai sensi dell’art. 572 co. 1 c.p., in considerazione dell’obbligo di protezione ravvisabile in capo all’allenatrice in forza dei vincoli contrattuali discendenti dall’iscrizione delle atlete alla F.G.I., nonché della “responsabilità da contatto sociale qualificato” derivante dall’affidamento delle ginnaste – inizialmente minorenni – all’Accademia di Desio, di cui la stessa era direttrice tecnica. Le caratteristiche del rapporto rendevano, infatti, impossibile l’esercizio di un effettivo controllo da parte degli esercenti la responsabilità genitoriale, atteso che le atlete vivevano lontane dalle famiglie, non frequentavano istituti scolastici e trascorrevano la gran parte delle loro giornate in palestra. Ciò accresceva l’ampiezza dell’obbligo di protezione gravante sui soggetti cui le stesse erano affidate, rendendo necessaria una supervisione a trecentosessanta gradi sul loro benessere psico-fisico.
Tra le condotte attive maltrattanti va, poi, menzionata la cd. violenza assistita, subita dalle ginnaste che hanno assistito visivamente alle vessazioni perpetrate ai danni di altre atlete.
Non può, invece, attribuirsi rilevanza penale alle operazioni di rilevazione del peso corporeo di per sé considerate, anche se poste in essere più volte alla settimana o addirittura giornalmente. Destano, al contrario, più di qualche perplessità le modalità inutilmente afflittive connaturate alla loro “dimensione pubblica”, atteso che le ginnaste venivano pesate una dopo l’altra negli spogliatoi, al loro arrivo in palestra, e attendevano il proprio turno in fila, in mutande, diventando bersaglio di insulti da parte delle allenatrici anche nel caso di aumenti di pochi etti e venendo prese di mira nel corso dei successivi allenamenti.
Le suddette condotte attive ed omissive, unitariamente considerate, paiono sufficienti ad integrare il nesso di abitualità e il dolo unitario richiesti dall’art. 572 c.p. Dal punto di vista processuale, non può infatti condividersi la lettura delle emergenze probatorie effettuata dall’Ufficio di Procura, che ha valutato gli elementi di prova interpretando la fattispecie di cui all’art. 572 co. 1 c.p. come reato di evento, e non di condotta (così negando rilevanza alle condotte attive) e non ha preso in alcuna considerazione le condotte omissive e la cd. violenza assistita.
Nel sostenere che tutte le ginnaste escusse a sommarie informazioni avrebbero detto il vero, restituendo agli inquirenti ciascuna la propria percezione soggettiva degli eventi, non si è adeguatamente considerata la valenza probatoria delle dichiarazioni convergenti a carico rese dalle denuncianti (omissis). Si tratta di una conclusione che si discosta dall’orientamento, granitico nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui le deposizioni della vittima possono essere da sole poste a fondamento della ricostruzione dei fatti e della affermazione di responsabilità, anche in assenza di riscontri esterni, purché siano sottoposte a vaglio la sua credibilità soggettiva e l’attendibilità intrinseca del suo racconto.
Alla luce delle ipotetiche ragioni di risentimento e degli altrettanto ipotetici moventi calunniosi prospettati dalle difese delle indagate (tra i quali l’asserito ritorno economico e in termini di visibilità, omissis), è di fondamentale importanza rilevare come i racconti di (omissis) presentino numerose corrispondenze con quelli di altre ginnaste, solo alcune delle quali individuate come persone offese, e abbiano trovato significativi elementi di riscontro in molte delle altre deposizioni testimoniali, oltre che nelle conversazioni oggetto di intercettazione e nei contenuti estrapolati dai dispositivi elettronici in sequestro.
In considerazione di quanto si è detto, il materiale probatorio raccolto nel corso delle indagini consente di formulare, nei confronti di E.M., una ragionevole previsione di condanna.
La richiesta di archiviazione deve, invece, trovare accoglimento in relazione alla posizione di O.T., a carico della quale sono emersi, in sostanza, soltanto commenti poco rispettosi nei confronti delle atlete, a stigmatizzare i loro aumenti di peso. Le carenze linguistiche dell’indagata – non di madrelingua italiana – e, soprattutto, la posizione di subalternità rispetto alla direttrice M. e le frequenti manifestazioni di vicinanza emotiva nei confronti delle atlete di volta in volta prese di mira non consentono, infatti, di ritenere integrata la fattispecie oggetto dell’incolpazione provvisoria quantomeno dal punto di vista soggettivo.
(Omissis)