1. Lo scorso 25 giugno è stata presentata a Palazzo Chigi la Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia[1]. Il documento si articola in cinque capitoli, concernenti, generalmente, lo stato del mercato italiano delle sostanze stupefacenti e i numeri dei reati droga-correlati; gli andamenti dei consumi di sostanze stupefacenti, specialmente tra i giovani, e le relative implicazioni sanitarie; le caratteristiche degli interventi di contrasto, di prevenzione e di assistenza promossi dalle istituzioni nazionali e gli obiettivi da esse raggiunti.
I dati contenuti nella Relazione, afferenti principalmente all’anno 2023, sono stati raccolti dalle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, dagli Enti pubblici competenti in materia e dal Privato sociale. Nel complesso, delineano un contesto contrassegnato da tendenze di crescita: tra le altre cose, sono aumentati i consumi di sostanze stupefacenti, le richieste di assistenza da parte di persone affette da dipendenza e i crimini associati alla droga. A riguardo, è importante precisare che tali valori in ascesa non sempre sono indice di trend di crescita di lungo periodo: l’uso e l’abuso di sostanze stupefacenti, così come i reati droga-correlati, sono stati infatti interessati da cali fisiologici nel periodo pandemico. In conseguenza, si sta verificando, almeno in alcuni casi, un progressivo riassestamento dei dati ai livelli pre-pandemici. Ciò vale in parte anche per il rapporto tra le sostanze stupefacenti, la criminalità e il sistema italiano della giustizia penale, su cui intendiamo in questa sede soffermarci maggiormente.
2. Di particolare interesse paiono innanzitutto i numeri della tossicodipendenza nelle carceri italiane: nel 2023, gli ingressi in carcere di persone dipendenti da sostanze stupefacenti sono stati 15.492 (38% degli ingressi totali), mentre, al 31 dicembre del 2023, la popolazione detenuta tossicodipendente era pari a 17.405, cifra corrispondente al 29% della popolazione complessiva (60.166 persone)[2]. Più di un ingresso in carcere su tre ha riguardato quindi un tossicodipendente, come accade invariabilmente dal 2016[3]. Si noti che i dati citati risultano in lieve diminuzione rispetto al 2022[4]. Tale circostanza non sembra però sufficiente a rassicurare rispetto a una situazione intuitivamente preoccupante: se è vero che l’Amministrazione penitenziaria si fa carico dei disturbi correlati alla droga attraverso l’operato inframurario delle Aziende sanitarie territoriali e di équipe per le dipendenze, è altrettanto vero che i percorsi terapeutici scontano in carcere numerose limitazioni, legate, per esempio, ai tassi di sovraffollamento, alla carenza di personale qualificato e alla fatiscenza delle strutture.
2.1. In questo contesto, non sembra neppure venire in aiuto l’applicazione dell’affidamento in prova nei casi particolari di tossicodipendenza o alcol dipendenza (art. 94 D.P.R. 309/1990), che consente alla persona detenuta di proseguire o intraprendere l’attività terapeutica fuori dalle mura del carcere. Nonostante la giustizia italiana ricorra sempre più spesso alle misure alternative alla detenzione (+14,2% sul 2022)[5], la quota degli affidamenti in prova per tossicodipendenza o alcol dipendenza risulta, infatti, in progressivo calo: se nel 2013 i tossicodipendenti in carico agli Uffici di esecuzione penale esterna erano pari al 15% dei beneficiari di una misura alternativa alla detenzione, oggi tale percentuale è scesa al 9,5%[6]. La Relazione non riporta invece dati relativi all’applicazione delle pene sostitutive alle persone tossicodipendenti o alcol dipendenti condannate a pene inferiori ai quattro anni di reclusione (art. 20 bis c.p.), limitandosi a riscontrare un aumento della concessione del lavoro di pubblica utilità (+23% rispetto al 2022) nel caso di condanna per reati droga-correlati[7]. Il documento in esame non consente quindi alcuna considerazione in merito all’efficacia delle pene sostitutive quali possibili strumenti di bilanciamento tra dipendenze, detenzione, diritto alla salute e, più generalmente, diritti umani.
2.2. Ancora in riferimento alla popolazione detenuta tossicodipendente, la Relazione fornisce infine qualche spunto utile a un corretto inquadramento del rapporto tra crimine e uso di sostanze. In particolare, sembra importante chiarire, da un lato, l’incidenza degli effetti degli stupefacenti sulla commissione dei reati e, dall’altro, la frequenza degli illeciti perpetrati al fine di procurarsi la sostanza da cui si dipende – crimini definiti rispettivamente psicofarmacologici ed economici compulsivi[8]. Con riguardo al primo aspetto, la letteratura tende a escludere un rapporto causale diretto tra criminalità e assunzione di sostanze psicoattive, riconoscendo l’eterogeneità dei percorsi criminali di chi fa uso di droga e ritenendo di doversi in ogni caso distinguere tra le differenti tipologie di sostanza: solo per fare un esempio, raramente vengono attribuiti riflessi criminogeni all’uso di oppiacei e cannabis, che invece sono maggiormente associati al consumo di alcol[9]. Si noti che tale rapporto sembra essere moderato anche nel caso di criminalità colposa: la Relazione in esame riporta che, nel 2022, gli incidenti stradali con lesioni per guida sotto l’effetto di alcol o di sostanze stupefacenti sono stati, rispettivamente, il 9,1% e il 3,3% del totale degli incidenti verificatisi[10]. Quanto ai reati economici compulsivi, alcuni studi rilevano un rapporto causale indiretto tra i crimini e l’uso di stupefacenti: esiste in effetti criminalità – specialmente contro il patrimonio – indotta dalla necessità di alimentare lo stato di tossicodipendenza dell’autore del reato. La Relazione non fornisce dati specifici in tema; tuttavia, la ricerca suggerisce di identificarne la causa non tanto nel bisogno esasperante della sostanza da cui si dipende quanto nelle politiche proibizioniste, che determinano prezzi insostenibili per i consumatori e danno adito a dinamiche criminali[11]. A riguardo, si noti che i prezzi medi dello spaccio in Italia hanno mostrato tendenze di crescita nell’ultimo decennio, con l’unica eccezione del costo al grammo di eroina bianca e brown, sostanzialmente stabile[12]. Da questo punto di vista, la legislazione e le strategie di politica criminale in materia di stupefacenti sembrano decisive nella definizione del rapporto tra uso di droga e criminalità.
3. Se, come abbiamo visto, la presenza di detenuti tossicodipendenti nelle carceri italiane incide notevolmente sul numero complessivo della popolazione ristretta, i dati relativi alle persone recluse per violazioni della normativa sugli stupefacenti (D.P.R. 309/1990) sono ancora più rilevanti: si tratta di 20.515 detenuti e detenute, il 34% del totale, quota che, come ci ricorda la Relazione, dal 2015 risulta piuttosto stabile. Tra questi, il 63% è recluso per Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 73 del D.P.R. 309/1990), il 4,8% per Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (74 del D.P.R. 309/1990) e il 32% per violazione di entrambe le norme[13]. La netta prevalenza di carcerazioni ex art. 73 D.P.R. 309/1990 rispetto alla più grave fattispecie di cui all’art. 74 dello stesso Decreto merita di essere sottolineata, lasciando emergere una maggiore efficacia del sistema repressivo italiano nell’intercettare piccoli delinquenti piuttosto che nel risalire le gerarchie criminali. Ciò, tuttavia, non deve stupire, trattandosi di un probabile effetto indiretto della legislazione proibizionista vigente nel nostro Paese. La lotta alla droga, infatti, costringerebbe i criminali a adottare sofisticate strategie di sopravvivenza: solo i più efficienti e potenti ci riuscirebbero, mentre il peso della criminalizzazione finirebbe per gravare quasi esclusivamente sui competitor marginali, secondo una sorta di darwinismo sociale (c.d. Darwinian Trafficker Dilemma)[14]. Ancora una volta, la legislazione e le strategie di politica criminale in materia di stupefacenti sembrano cruciali nella determinazione del rapporto tra droga e crimine.
3.1. In questo quadro, la Relazione evidenzia l’aumento degli ingressi di minorenni e giovani adulti (14-25 anni) negli Istituti penali per reati in violazione della normativa sulle sostanze stupefacenti: nel 2023 sono stati 167, ovvero il 15% degli ingressi totali, mentre nel triennio 2000-2022 la percentuale si attestava intorno al 13%[15]. Come recentemente rilevato dall’associazione Antigone[16], è possibile che tale dato debba essere letto in rapporto alle novità introdotte dal c.d. decreto Caivano (d.l. 15 settembre 2023 n. 123, convertito, con modificazioni, dalla l. 13 novembre 2023, n. 159)[17] e, in particolare, agli aumenti di pena da esso previsti e alla conseguente possibilità di disporre la custodia cautelare per fatti di lieve entità concernenti sostanze stupefacenti (art. 73, co. 5 D.P.R. 309/1990). I giovani presi in carico dai Servizi sociali per i minorenni per reati legati alle sostanze stupefacenti sono stati, nel 2023, 3.674, di cui il 98% per violazione dell’art. 73 D.P.R. 309/1990, lo 0,4% per violazione dell’art. 74 D.P.R. 309/1990 e l’1,6% per violazione di entrambe le norme. Il dato complessivo è gradualmente aumentato tra il 2013 e il 2020, per poi declinare nell’ultimo triennio[18]. Infine, i giovani sottoposti a misure alternative alla detenzione o penali di comunità per reati droga-correlati sono stati, nel 2023, 77, ovvero il 13% sul totale di coloro che hanno beneficiato delle misure. La Relazione sottolinea che il dato è in continuità con quello dell’anno precedente[19].
4. Quanto invece alle denunce per reati droga-correlati, dopo un trend in diminuzione dal 2018, si è verificato nel 2023 un aumento di quasi il 3% rispetto all’anno 2022: più precisamente, nel 2023 sono state denunciate complessivamente 27.674 persone per violazione degli artt. 73 (90% delle denunce) e 74 (10% delle denunce) D.P.R. 309/1990. Citando solo i dati più significativi riportati dalla Relazione, il 48% circa delle denunce è correlato a cocaina o crack e il 37% a cannabis e a prodotti da essa derivati[20]. Al 31 dicembre 2023, i procedimenti pendenti per violazione degli artt. 73 e 74 D.P.R. 309/1990 erano 86.524, dato in progressivo aumento dal 2015 (+8% in riferimento alla violazione dell’art. 73 e +12% a quelle dell’art. 74). A fronte delle denunce, sono state condannate 12.963 persone con sentenza definitiva, di cui, coerentemente con i dati relativi alle presenze in carcere, la maggior parte per violazione dell’art. 73 D.P.R. 309/1990 (ovvero il 97%, quota in aumento nell’ultimo quinquennio)[21]. Si noti che si tratta dell’11% delle persone condannate complessivamente nel 2023 in Italia, dato che, insieme ai precedenti, testimonia l’enorme peso dei procedimenti per reati droga-correlati nell’economia del sistema di giustizia penale nazionale.
5. Anche le segnalazioni al Prefetto per detenzione di sostanze stupefacenti ad uso esclusivamente personale (art. 75 D.P.R. 309/1990) hanno raggiunto, nel 2023, numeri non trascurabili, sebbene inferiori a quelli rilevati nell’ultimo quadriennio: si è trattato di 34.676 segnalazioni nei confronti di 32.346 persone. Tra queste, la Relazione precisa che il 12% circa era minorenne, quota tornata ai livelli pre-pandemici dopo un momentaneo declino. È interessante notare che il 76% delle segnalazioni ha riguardato l’uso di cannabis e derivati, ovvero di c.d. droghe leggere, percentuale che si attesta al 97% nel caso di segnalazione di minorenni (valori in aumento nell’ultimo biennio)[22]. Parimenti interessante pare l’esito dei 20.395 colloqui svolti dagli assistenti sociali dei Nuclei operativi per le tossicodipendenze nel 2023: la netta maggioranza, il 64%, si è concluso con l’invito formale del Prefetto a non fare più uso di sostanze stupefacenti, il 34% ha implicato una sanzione amministrativa e solo il 2% un invito a seguire un percorso terapeutico e socioriabilitativo[23] (ex art. 75 D.P.R. 309/1990). Alla luce di ciò, sorgono alcuni interrogativi circa l’adeguatezza del sistema delineato dall’art. 75 D.P.R. 309/1990 in riferimento alle finalità educative e riabilitative che lo stesso intenderebbe perseguire. In particolare, per quanto la Corte costituzionale abbia escluso che le sanzioni amministrative previste dalla norma abbiano natura punitiva[24], la percentuale di applicazione delle stesse e, parallelamente, la scarsissima percentuale di inviti a seguire percorsi terapeutici, attribuiscono all’art. 75 D.P.R. 309/1990 una valenza in concreto repressiva.
6. Infine, vale la pena evidenziare che, nel 2023, le Forze di polizia hanno eseguito in Italia 20.489 operazioni antidroga (+6% rispetto al 2022), che hanno portato al sequestro di 89 tonnellate di sostanze stupefacenti (+17% rispetto al 2022) e di 156.575 piante di cannabis. In confronto al 2022, si riscontra una diminuzione dei quantitativi di cocaina ed eroina o altri oppiacei sequestrati: nel 2023, le Forze dell’ordine sono entrate in possesso di 19.827 kg di cocaina/crack (-25% rispetto al 2022) e 260 kg di eroina/altri oppiacei (-53% rispetto al 2022). Cresce, invece, l’ammontare di droghe sintetiche e cannabis oggetto di sequestro: sono stati sottratti al mercato 137 kg di droghe sintetiche (+33% rispetto al 2022) e 67.361 kg di prodotti della cannabis (27.136 kg di hashish, +81% rispetto al 2022, e 40.225 kg di marijuana, +22 rispetto al 2022). Si noti che le operazioni di polizia finalizzate al contrasto del mercato della cannabis sono state 9.714, pari al 47% del totale delle operazioni antidroga svolte a livello nazionale e che la cannabis rappresenta 76% delle sostanze sequestrate in totale, quota che risulta in aumento rispetto al 2022 (63%), in controtendenza rispetto all’andamento decrescente che aveva caratterizzato gli anni 2018-2020[25].
6.1. Queste ultime osservazioni sono piuttosto importanti, specialmente se accostate a quanto detto in precedenza: che si tratti di operazioni antidroga, di denunce o di segnalazioni, la cannabis sembra al centro dell’attenzione delle istituzioni italiane. Per quanto ciò consegua inevitabilmente all’ampia disponibilità della sostanza sul nostro territorio, tale evidenza è anche motivo di non poche perplessità, attinenti, principalmente, alla ragionevolezza delle strategie di contrasto alla droga in atto. Innanzitutto, occorre ribadire che il rapporto tra uso di cannabis e criminalità, specialmente violenta, è piuttosto labile, trattandosi di una sostanza che riduce l’aggressività[26]. Inoltre, le intossicazioni e le dipendenze da consumo di cannabis paiono, sulla base dei dati forniti dalla stessa Relazione, poco significative: per l’anno 2023, si possono imputare alla cannabis il 12% dell’utenza dei SerD, il 7% dell’utenza delle strutture terapeutiche del Privato sociale e il 6% dei ricoveri presso i Pronto soccorso[27]. Non è un caso che, su indicazione dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, nel 2020 la Commissione stupefacenti delle Nazioni Unite abbia eliminato la cannabis dall’elenco delle sostanze “particolarmente dannose” e di “valore medico o terapeutico estremamente ridotto” (Tabella IV della Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961), anche in ragione della sua possibile applicazione in ambito farmaceutico[28]. A ciò si aggiunga che lo stigma sociale della cannabis è in netta riduzione, come testimoniato dall’enorme successo che ha recentemente avuto la mobilitazione per la promozione del referendum popolare “Cannabis legale”[29]. Su questa base, ci si chiede se sia ragionevole insistere su politiche proibizioniste[30], specialmente in relazione alle condotte di acquisto, detenzione, consumo e coltivazione della cannabis. Come già detto, le politiche proibizioniste definiscono il rapporto tra crimine e droga, e alimentano scontri violenti tra organizzazioni criminali per il controllo del mercato (c.d. crimini sistemici)[31]. Inoltre, sono responsabili di un gran numero di carcerazioni[32] e di procedimenti giudiziari, che, oltre a impegnare la magistratura italiana, rischiano di produrre gravi effetti desocializzanti, specialmente quando interessano soggetti minorenni. Infine, il proibizionismo sembra ignorare la differenza che pure esiste tra la cannabis e le altre sostanze stupefacenti illegali. Da questo punto di vista, si capisce che applicare un approccio riduzionista del diritto penale alla materia degli stupefacenti rappresenta, più che un’opzione utopica o irresponsabile[33], una necessità logica e, forse, prima di tutto, un atto di equità.
[1] Presidenza del Consiglio dei ministri (PCM), Dipartimento per le politiche antidroga, Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia, 2024.
[2] PCM, Relazione, cit., p. 75 e Tavola 3.3.
[3] Cfr. PCM, Relazione, cit., Tavola 3.3; G. Zuffa, F. Corleone, S. Anastasia, L. Fiorentini, M. Perduca, M. Cianchella (a cura di), Il gioco si fa duro - Quindicesimo Libro Bianco sulle Droghe, 2024, p. 11.
[4] PCM, Relazione, cit., Tavola 3.3. Si veda anche G. Zuffa et al. (a cura di), Il gioco si fa duro, cit., pp. 11 e 13.
[5] G. Zuffa et al. (a cura di), Il gioco si fa duro, cit., p. 16. Cfr. Antigone, Nodo alla gola - XX Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, 2024, in particolare, sezione “Misure alternative e di comunità”.
[6] PCM, Relazione, cit., p. 76 e Tavola 3.3.
[7] PCM, Relazione, cit., p. 76.
[8] Tali appellativi derivano dalla matrice concettuale tripartita proposta da Goldstein, ormai di uso comune negli studi in tema di rapporto tra droga e crimine. Più precisamente, l’autore distingue tre diverse topologie tipi di crimine correlato alla droga, ovvero i crimini farmacologici, quelli economici compulsivi e i crimini sistemici – vale a dire i crimini associati al sistema di consumo e di distribuzione della droga. Si veda P. J. Goldstein, The Drugs/Violence Nexus: A Tripartite Conceptual Framework, in Journal of Drug Issues, 15(4), 1985, pp. 493-506.
[9] European Union Drugs Agency (EUDA), Drugs and crime — a complex relationship, 2007; I. Merzagora Betsos, Proibire o permettere? Un punto di vista criminologico, in Questione giustizia, 4, 2000, pp. 663-673; H. R. White, D. M. Gorman, Dynamics of the drug-crime relationship, in Criminal Justice, 1, US Department of Justice, Washington DC, 2000, pp. 151-218.
[10] Si noti che si tratta di dati forniti esclusivamente dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri e dalla Polizia stradale, organi che rilevano un terzo del totale degli incidenti stradali con lesioni. Si veda PCM, Relazione, cit., p. 98. La Relazione non contiene dati relativi all’omicidio stradale.
[11] EUDA, Drugs and crime, cit.; M. Cianchella, Il nesso tra droga e crimine secondo Goldstein nel sistema penale italiano, in Studi sulla questione criminale, 3, 2018, pp. 29-39; I. Merzagora Betsos, Proibire o permettere?, cit.
[12] PCM, Relazione, cit., p. 20 e Tavola 1.2.
[13] PCM, Relazione, cit., p. 105 e Tavola 5.2. Si noti che tali dati si discostano significatamene dalle media europea: in Europa, solo 18% delle presenze in carcere è riconducibile a reati droga-correlati. Cfr. G. Zuffa et al. (a cura di), Il gioco si fa duro, cit., p. 7.
[14] J. H. Skolnick, Rethinking the Drug Problem, in Daedalus, 1992, 121(3), pp. 133-159.
[15] PCM, Relazione, cit., pp. 105-106 e Tavola 5.2.
[16] Si veda Prospettive minori - VII Rapporto di Antigone sulla giustizia minorile e gli Istituti penali per minorenni, 2024.
[17] Per approfondimenti in merito al Decreto, si veda S. Bernardi, Convertito in legge il d.l. “Caivano” in tema di contrasto al disagio e alla criminalità minorili: una panoramica dei numerosi profili d’interesse per il penalista, in questa Rivista, 2023; A. Massaro, La risposta “punitiva” a disagio giovanile, povertà educativa e criminalità minorile: profili penalistici del c.d. decreto Caivano, in Processo Penale e Giustizia, 2, 2024, pp. 488-500.
[18] PCM, Relazione, cit., p. 106 e Tavola 5.2.
[19] Ibidem.
[20] PCM, Relazione, cit., pp. 99-100 e Tavola 5.1.
[21] PCM, Relazione, cit., pp. 100-101 e Tavola 5.1.
[22] PCM, Relazione, cit., p. 99 e Tavola 5.1.
[23] PCM, Relazione, cit., p. 99 e Tavola 5.1.
[24] Corte cost. sent. 14 giugno 2022, n. 148. Per approfondimenti, si veda in commento di L. Masera, La Corte costituzionale ritiene che le sanzioni amministrative previste per i consumatori di stupefacenti abbiano finalità preventiva e non punitiva, in questa Rivista, 2022.
[25] PCM, Relazione, cit., pp. 16-18 e Tavola 1.2.
[26] EUDA, Drugs and crime, cit.; I. Merzagora Betsos, Proibire o permettere?, cit.; W. Pedersen, T. Skardhamar, Cannabis and crime: findings from a longitudinal study, in Addiction, 105, 2010, pp. 109-118.
[27] PCM, Relazione, cit., pp. 69, 74 e 66.
[28] Si veda Camera dei deputati, Studi - Affari sociali, Nuove raccomandazioni OMS sulla cannabis accolte dalla Commissione droga delle Nazioni unite, 15 dicembre 2020.
[29] Per alcuni dati relativi alle firme raccolte, si veda quanto pubblicato sul sito dell’Associazione Luca Coscioni.
[30] È attualmente in discussione in Parlamento il Disegno di legge Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela delle Forze di Polizia nonché di vittime dell’usura e dei reati di tipo mafioso che, tra le altre cose, vieterebbe le infiorescenze di canapa indipendentemente dal fatto che contengano THC; essenzialmente, si tratterebbe di proibire anche la c.d. cannabis light. In un appello pubblicato dal Forum droghe sul proprio blog e sottoscritto di 27 esperti nazionali e internazionali, si legge che il provvedimento “produrrebbe il paradossale effetto giuridico di punire con le sanzioni penali e amministrative previste per le sostanze psicotrope anche chi produce o utilizza infiorescenze prive di effetti psicoattivi” e “rischierebbe di consegnare i consumatori di ‘cannabis light’ alle narcomafie”, a riprova degli effetti criminogeni del proibizionismo.
[31] Si veda la nota 8 del presente lavoro.
[32] Anche se non in esplicito riferimento alla criminalità connessa alla cannabis, è stato rilevato che, in assenza di detenuti ex art. 73 D.P.R. 309/1990 e di quelli dichiarati tossicodipendenti, non vi sarebbe il problema del sovraffollamento carcerario. G. Zuffa et al. (a cura di), Il gioco si fa duro, cit., p. 14.
[33] Del resto, la depenalizzazione delle droghe, non solo c.d. leggere, è una realtà in diversi paesi. In Europa, il caso più emblematico è rappresentato dal Portogallo, che, nel 2001, ha depenalizzato l'uso personale, l’acquisto e il possesso di ogni tipo di sostanza stupefacente. Ciò ha comportato, tra le altre cose, la diminuzione tanto del consumo della maggior parte delle sostanze nel Paese, quanto dei casi di AIDS tra i tossicodipendenti e dei tassi di mortalità per droga. Per approfondimenti, si veda G. Greenwald, Drug Decriminalization in Portugal: Lessons for Creating Fair and Successful Drug Policies, Cato Institute Whitepaper Series, 2009.