Testo, ampliato e corredato da note bibliografiche, di una relazione presentata dall'Autore al Seminario Urgenza Sicurezza, Palazzo del Tribunale, Milano, 5 maggio 2025, organizzato dalla Camera Penale di Milano.
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1. Il d.l. 11 aprile 2025, n. 48 (c.d. decreto-legge sicurezza) ha dato luogo a critiche tanto forti, quanto consonanti da parte della comunità degli studiosi del diritto penale. Sono a conoscenza di un'unica voce fuori dal coro dell’accademia dei penalisti: quella di Mauro Ronco, che giudica l’ispirazione di fondo che sta alla base delle critiche “scarsamente realistica, ideologicamente orientata, astratta, avulsa dalla previa individuazione dei nodi che, da lungo tempo irrisolti, attentano al funzionamento umanitario, ordinato ed efficace della giurisdizione penale”[1].
Il mio punto di vista è in linea con quello della grande maggioranza dei colleghi, che ha trovato espressione in due comunicati diramati dal Consiglio direttivo dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale (AIPDP), un’associazione che rappresenta oltre duecento professori. Riporto il passo conclusivo di un primo comunicato, emesso lo scorso 3 ottobre, in una fase in cui l’associazione era presieduta da Marco Pelissero: “Nel complesso, le norme del disegno di legge che intervengono sulle disposizioni penali destano forte preoccupazione, in quanto l'ampliamento del ricorso al diritto penale confligge con i principi di proporzionalità e sussidiarietà ed opera in funzione essenzialmente simbolico-comunicativa, senza che ciò significhi assicurare strumenti dotati di maggior efficacia nella tutela della sicurezza individuale e collettiva. Queste norme segnalano un ulteriore spostamento del baricentro delle riforme legislative verso un diritto penale d'autore che si traduce nella repressione di condotte che esprimono dissenso, emergono da contesti di marginalità sociale e denotano un pericoloso scivolamento verso una gestione securitaria dell'emergenza carceraria”[2].
Un secondo comunicato, emesso a fronte del travaso dell’originario disegno di legge[3] nel decreto-legge che si trovava in quei giorni al vaglio del Presidente della Repubblica, è stato diramato il 9 aprile di quest’anno, ad opera del nuovo direttivo dell’associazione, ora presieduta da Gian Luigi Gatta. In questo documento, intitolato “Sul ‘pacchetto sicurezza’ varato con decreto-legge”, l’AIPDP “ribadisce la seria… preoccupazione per un così vasto intervento espressione di un ricorso al diritto penale in chiave simbolica di rafforzamento della sicurezza pubblica, per di più realizzato con lo strumento della decretazione d’urgenza”[4].
Una valutazione, dunque, marcatamente negativa, che viene ad aggiungersi a quelle, dello stesso segno, provenienti dall’ Associazione Nazionale Magistrati[5], dall’Unione Italiana delle Camere Penali[6], nonché da un folto gruppo di giuspubblicisti di estrazione accademica, aderenti ad un appello che vede tra i promotori Ugo De Siervo, Gaetano Silvestri e Gustavo Zagrebelsky[7]: anche questa un’uniformità di vedute tutt’altro che frequente.
Il carattere illiberale, discriminatorio e a tratti criminogeno del decreto-legge sicurezza ha realizzato questo prodigio.
2. Il decreto-legge sicurezza è espressione di una linea politico-criminale autoritaria che si manifesta almeno su tre piani (tra gli schemi di analisi proposti dai primi commentatori, faccio mio quello proposto da Stefano Zirulia[8]): il piano dei rapporti tra cittadini e forze dell’ordine; quello della repressione del dissenso; quello, infine, delle deviazioni dal diritto penale del fatto a favore di un diritto penale d’autore. Dedicherò inoltre qualche considerazione a una componente del decreto-legge sicurezza che non è riconducibile a nessuno di quei tre piani: farò cenno alle disposizioni del decreto che riguardano la cannabis sativa.
3. Il primo piano riguarda il potenziamento della tutela dei pubblici ufficiali nello svolgimento delle loro funzioni[9]: ovvero, per meglio dire, riguarda l’ipertutela delle forze dell’ordine[10] realizzata dal decreto-legge sicurezza.
Un esempio emblematico di questa linea politico-criminale è offerto dalle nuove aggravanti speciali introdotte per i delitti di violenza e di resistenza a pubblico ufficiale (artt. 336 co. 4, 337 co. 2 e 339 co. 4 c.p.).
Le nuove aggravanti di cui agli art. 336 e 337 c.p. – che riguardano il fatto commesso nei confronti di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza – suscitano seri dubbi di illegittimità costituzionale.
Su una di tali aggravanti – quella prevista dall’art. 337 co. 2 c.p. – si è già fermata l’attenzione della magistratura. Lo scorso 18 aprile la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Foggia ha chiesto che venga sollevata questione di legittimità costituzionale[11], mettendo in evidenza l’irragionevole disparità di trattamento creata dalla disposizione tra colui che, usando violenza o minaccia, si oppone ad un atto dell’ufficio di un ufficiale/agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza e colui che realizza la medesima condotta nei confronti di altri pubblici ufficiali: una disparità di trattamento che non si legittima, in effetti, sul piano dell’offensività delle due condotte. La parola passa, a questo punto, al Tribunale di Foggia: in seguito, eventualmente, alla Corte costituzionale.
Osservo inoltre che le aggravanti di cui agli artt. 336 e 337 c.p. prevedono un aumento di pena fino alla metà, un aumento di entità a mio avviso incompatibile con il principio di proporzionalità della pena[12].
Se poi prendiamo in considerazione disposizioni del decreto-legge sicurezza che, senza investire la materia penale, mirano comunque ad una tutela rafforzata delle forze dell’ordine, se ne traggono ulteriori motivi di perplessità. Penso, ad esempio, alla norma relativa alla dotazione di videocamere indossabili per gli agenti di polizia impegnati in servizi di ordine pubblico (art. 21 d.l. sicurezza): una dotazione non obbligatoria, così come non è previsto alcun obbligo per gli agenti di portare un visibile codice identificativo. Segnalo, poi, la generosa copertura delle spese legali a carico degli agenti indagati o imputati per fatti inerenti al servizio (fino a 10.000 euro per ogni fase del procedimento) (art. 22 d.l. sicurezza): come ricorda Gian Luigi Gatta[13], a favore degli avvocati che si recano in Albania per la difesa dei migranti trattenuti nei centri italo-albanesi è previsto un rimborso non superiore a 500 euro! Il decreto-legge prevede inoltre che gli agenti di pubblica sicurezza possano portare armi anche quando non sono in servizio (art. 28 d.l. sicurezza): una disposizione dotata di una spiccata potenzialità criminogena[14]. L’esistenza di una stretta relazione tra diffusione delle armi da fuoco e tassi di omicidio trova in effetti puntuale conferma nella ricerca criminologica[15].
4. Una componente centrale del decreto-legge sicurezza è rappresentata da disposizioni che mirano, o almeno si prestano ampiamente, alla repressione delle più svariate forme di dissenso.
Spicca, in proposito, la previsione del nuovo delitto di “rivolta all’interno di uno stabilimento penitenziario” (art. 415 bis c.p.), al quale si affianca, all’art. 14 co. 7.1. T.u. immigrazione, l’omologo delitto di rivolta in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio o in un Punto di crisi (i c.d. hotspot: centri, cioè, nominalmente destinati al soccorso e alla prima accoglienza dei migranti rintracciati nell’attraversamento irregolare di una frontiera o a seguito di operazioni di salvataggio in mare). Per chi partecipa alla rivolta in carcere è prevista la reclusione da 1 a 5 anni, per chi promuove, organizza o dirige la rivolta la pena è da 2 a 8 anni; pene lievemente più basse sono previste per le analoghe ipotesi del T.u. immigrazione (reclusione da 1 a 4 anni per la partecipazione; da 1 anno e mezzo a 6 anni per la seconda ipotesi).
La rivolta in carcere ex art. 415 bis c.p. viene, per di più, inserita nel ‘ricchissimo’ catalogo dei reati che in varia forma ostacolano la concessione di benefici penitenziari, misure alternative alla detenzione e liberazione condizionale. Il delitto di cui all’art. 415 bis trova posto, infatti, nel comma 1 ter dell’art. 4 bis, accanto alla nuova ipotesi aggravata di istigazione a disobbedire alle leggi di cui all’art. 415 co. 2 c.p. (istigazione commessa all'interno di un istituto penitenziario ovvero a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute): il lavoro all’esterno, i permessi-premio, la semilibertà e la liberazione condizionale possono essere concessi al condannato non collaborante solo a condizione che “non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva”.
Quali le condotte costitutive dei nuovi delitti di rivolta? Rilevano sia “atti di violenza o minaccia”, sia “atti di resistenza all’esecuzione degli ordini”. Per espressa previsione legislativa, “costituiscono atti di resistenza anche le condotte di resistenza passiva che, avuto riguardo al numero delle persone coinvolte e al contesto in cui operano i pubblici ufficiali o gli incaricati di un pubblico servizio, impediscono il compimento degli atti dell’ufficio o del servizio necessari alla gestione dell’ordine e della sicurezza”. Va dato atto che, nel passaggio dal disegno di legge al decreto-legge, è stata specificata la tipologia degli ordini rilevanti (devono essere in gioco l’ordine e la sicurezza nell’istituto), una tipologia di ordini che non incontrava limiti nella versione originaria del provvedimento. È comunque aberrante che la rivolta possa realizzarsi mediante la mera mancata esecuzione di un ordine: detto diversamente, che la rivolta possa concretarsi nel non obbedire[16].
Come ha osservato Francesco Palazzo, a condizioni di vita nelle carceri spesso inumane, si reagisce non già rimuovendo, o attenuando, le cause del gravissimo disagio dei detenuti, bensì si reagisce “sul piano repressivo, elevando l’ordine e sicurezza carceraria a valore preminente dell’istituzione penitenziaria”[17].
Solo un cenno al delitto di blocco stradale o ferroviario, previsto in una legge complementare (art. 1 bis d. lgs. 22 gennaio 1948, n. 66, relativo all’impedimento della libera circolazione su strada). In passato il blocco stradale o ferroviario costituiva reato se realizzato con materiali che impedivano la circolazione (c.d. blocco reale), mentre il blocco stradale realizzato soltanto con il proprio corpo (c.d. blocco personale) integrava un illecito amministrativo, punito con sanzione pecuniaria. Con il decreto sicurezza hanno invece assunto rilevanza penale anche condotte di protesta pacifica[18]: la disobbedienza civile è diventata reato. Nell’Italia di oggi Gandhi finirebbe in carcere![19]
5. Vengo a quello che ho indicato come terzo connotato che caratterizza, in senso negativo, le componenti penalistiche del decreto sicurezza: la presenza di deviazioni da un diritto penale del fatto, inteso come fatto offensivo di un bene giuridico, a favore di un diritto penale d’autore[20], un diritto penale che guarda non a ciò che l’uomo fa, bensì a quel che l’uomo è, dove per ‘uomo’ deve intendersi una categoria di uomini, ritagliata secondo stereotipi più o meno plausibili.
Penso, soprattutto, alle modifiche apportate alla disciplina del rinvio dell’esecuzione della pena (artt. 146 e 147 c.p.). Il rinvio è ora facoltativo anche nei confronti della donna incinta o madre di prole di età inferiore ad un anno: si è dunque estesa a questa ipotesi la disciplina originariamente prevista per la madre di prole di età compresa tra uno e tre anni.
Il decreto sicurezza punta l’indice (o meglio, punta l’arma della pena carceraria) contro le donne di etnia Rom, alle quali si imputa – in un coro assordante e ossessivo, largamente alimentato da pubblici proclami[21] – di essere autrici di frequenti borseggi e di sottrarsi sistematicamente al carcere attraverso gravidanze e maternità.
In questa scelta operata dal decreto sicurezza scorgo una patente violazione dei principi costituzionali di tutela della maternità e dell’infanzia (art. 31 co. 2 Cost.) e di umanità della pena (art. 27 co. 3 Cost.), tanto più in considerazione delle condizioni in cui versano le carceri italiane e dei pochi posti disponibili nei soli quattro istituti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM): tre istituti nel nord Italia e uno solo al sud, il che pone anche un problema di distanza dal luogo di residenza del resto della famiglia[22]. Il minore ha un evidente interesse a vivere fuori dal carcere: non è certo necessaria una valutazione discrezionale del giudice per confermare tale interesse nel caso di specie.
Oltre che con la Costituzione, la nuova disciplina del rinvio dell’esecuzione pone problemi di compatibilità con le Regole penitenziarie europee, adottate dal Consiglio d’Europa nel 2006 e aggiornate nel 2010, sulla falsariga delle Regole delle Nazioni Unite per il trattamento delle donne detenute e le misure non detentive per le donne autrici di reati (c.d. Regole di Bangkok)[23]: in particolare, il decreto-legge sicurezza, riformulando gli artt. 146 e 147 c.p., sembra confliggere con la Regola delle Nazioni Unite 34.3, secondo la quale “le donne detenute devono essere autorizzate a partorire fuori dal carcere”, essendo evidentemente impossibile prevedere quando avverrà il parto. Si consideri inoltre la Regola 64, secondo la quale, in nome dell’“interesse superiore del bambino o dei bambini”, “le pene non privative della libertà devono essere privilegiate, quando ciò sia possibile…, per le donne incinte e per le donne con bambini”.
6. Tra i molti, disparati contenuti del decreto-legge sicurezza, non hanno ottenuto particolare attenzione nei primi commenti da parte dei penalisti gli interventi del decreto relativi a condotte che hanno per oggetto infiorescenze di cannabis sativa.
Mi riferisco all’art. 18 d.l. sicurezza, che reca in rubrica “Modifiche alla legge 2 dicembre 2016, n. 242, recante disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”. Secondo quanto si legge nel co. 1 dell’articolo citato, le modifiche alla l. 242/2016 sarebbero rivolte ad “evitare che l’assunzione di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (Cannabis sativa L.) o contenenti tali infiorescenze possa favorire, attraverso alterazioni dello stato psicofisico del soggetto assuntore, comportamenti che espongano a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica ovvero la sicurezza stradale”. La tutela di tali beni giuridici è affidata – o si pretende affidata – a un nuovo co. 3 bis inserito nell’art. 2 della l. 242/2016. Tale disposizione, dopo aver vietato una serie di condotte relative alla cannabis sativa L.[24], al divieto fa immediatamente seguire questo periodo: “Si applicano le disposizioni sanzionatorie previste dal titolo VIII del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309”.
Quali gli effetti della nuova disciplina?
Quando, nel corso dei lavori parlamentari relativi al disegno di legge, si affacciò l’introduzione del divieto relativo alla cannabis, il Forum sulle droghe, nel blog “Fuori luogo”, pubblicò un appello teso a contrastare la normativa in gestazione: nell’appello si denunciava come tale normativa avrebbe comportato l’inclusione della cannabis light tra le sostanze stupefacenti, con conseguente applicabilità delle sanzioni penali e amministrative previste agli artt. 73 e 75 T.u. stupefacenti, rispettivamente per la produzione o traffico e per il consumo. Con buona pace delle evidenze scientifiche, che mostrano l’assenza di effetti droganti quando il principio attivo della cannabis si collochi al di sotto di una soglia legale (ricavabile dall’art. 4 l. 242/2016).
Nella letteratura penalistica Guido Piffer[25] propone però una diversa interpretazione della riforma. La chiave di volta viene individuata nel principio di offensività. Si dà atto che fatti relativi a derivati della coltivazione di cannabis sativa L. siano ora riconducibili alle previsioni dell’art. 73 T.u. stupefacenti. L’integrazione dei reati dovrebbe tuttavia ritenersi esclusa per difetto dell’elemento dell’offesa, quando il derivato della coltivazione di cannabis sia in concreto privo di efficacia drogante o psicotropa: decisivo in questo senso, e tuttora attuale, l’insegnamento della Corte di cassazione a Sezioni Unite, 30 maggio 2019, n. 30475, Castignani, CED 275956.
Peraltro, la stessa applicazione del principio di offensività in questa sfera appare problematica, come sottolinea anche la citata pronuncia delle Sezioni Unite, evidenziando come non possa individuarsi una precisa percentuale di principio attivo che segni il confine tra commercializzazione lecita e illecita dei derivati della cannabis. La disciplina in esame sembra dunque porsi in contrasto con il principio di determinatezza della legge penale, cioè con la componente del principio di legalità che vieta l’incriminazione di fatti che non siano suscettibili di essere accertati e provati nel processo[26].
In attesa di un eventuale intervento della Corte costituzionale, alla quale il decreto-legge sicurezza promette di dare molto lavoro, sottoscrivo quanto di recente ha affermato il presidente di una associazione di imprenditori (Imprenditori Canapa Italia) che promuove il libero accesso alla canapa e ai suoi derivati: l’art. 18 d.l. sicurezza ha generato “confusione tra cittadini, operatori e forze dell’ordine”[27]; è dunque “urgente ristabilire un quadro normativo coerente e giuridicamente sostenibile”.
7. Ho cercato di mettere a fuoco alcuni – soltanto alcuni – fra gli innumerevoli punti critici del decreto-legge sicurezza. Anche limitandoci ai profili penalistici, molto rimarrebbe da dire: non è possibile farlo in questa sede. Al fondo, il provvedimento in esame riflette in modo emblematico quella “bulimia punitiva” della quale ha parlato di recente Giovanni Fiandaca[28]: “una bulimia punitiva… strumentale al consenso”, ma, “per lo più, priva di reale efficacia preventiva e destinata a una prevalente funzione simbolica”.
Come ha scritto Gian Luigi Gatta, “anni di pacchetti sicurezza non hanno reso l’Italia un Paese migliore e più sicuro”[29], qualunque cosa si intenda per ‘Paese migliore’. Si potrebbe discutere se bloccare o diminuire l’immigrazione irregolare significhi migliorare il Paese: è indiscutibile, invece, che l’introduzione del reato di clandestinità con il Pacchetto sicurezza 2009 non ha prodotto l’effetto al quale quella scelta era, o sembrava, rivolta.
Il decreto-legge sicurezza produrrà un aggravamento della situazione delle carceri. Non è facile stabilire a priori quali tra i nuovi reati e tra gli aggravamenti di pena introdotti dal d.l. 48/2025 avranno un reale impatto sulla prassi e quali invece esauriranno i loro effetti sul piano espressivo-comunicativo, come accade non di rado per disposizioni introdotte in risposta a isolati fatti di cronaca (penso, ad esempio, ai rave party). In ogni caso, il d.l. sicurezza porterà a un aumento delle presenze in carcere: inciderà dunque sul sovraffollamento, causa prima della drammatica situazione di crisi dell’istituzione penitenziaria. Aggraverà, inoltre, il fenomeno – tanto imponente, quanto inquietante – dei c.d. liberi sospesi[30], di quanti, cioè, condannati a pene non superiori a quattro anni attendono per anni, in libertà, la decisione del tribunale di sorveglianza sull’applicazione di una misura alternativa.
Il decreto-legge sicurezza promette, in definitiva, un Paese meno sicuro.
8. Molto ci sarebbe da dire sullo strumento adottato per varare il pacchetto sicurezza 2024-2025: il decreto-legge, uno strumento al quale si era fatto ampiamente ricorso anche in passato in materia di sicurezza pubblica. Mi limito, in proposito, ad un cenno al “Corso di diritto penale”, un’opera alla quale Giorgio Marinucci ed io ci siamo dedicati nell’ultima decade degli anni Novanta. Nel “Corso” Marinucci ed io prendevamo posizione, in modo netto, contro la presenza del decreto-legge (e del decreto legislativo) tra le fonti del diritto penale: questa tesi, minoritaria in dottrina e disattesa nella prassi istituzionale, veniva sviluppata in un capitolo intitolato “La riserva di legge come riserva di legge formale dello Stato”.
Un ulteriore quesito, che evidentemente presuppone la mancata adesione alla nostra tesi, riguarda la presenza, nel caso del d.l. sicurezza 2025, degli estremi della straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’art. 77 Cost.
Di questi temi mi riservo di trattare in altra sede.
9. Per concludere, ritorno ai contenuti del decreto-legge sicurezza.
Ad uno sguardo minimamente ravvicinato, quale mi proponevo oggi, non posso che confermare il giudizio critico che già mi era stato suggerito da approccio di insieme, concentrato sulle linee di fondo del provvedimento. Il d.l. sicurezza rappresenta un nuovo attacco ai principi fondamentali dello Stato di diritto[31], fortemente compromessi su più fronti in questo periodo storico, in Italia e altrove: e gli attacchi in Italia proseguono senza sosta, come attesta il recentissimo Disegno di legge Valditara che modifica l’art. 583 quater c.p., estendendone l’ambito applicativo alle lesioni personali cagionate a un dirigente scolastico o a un membro del personale docente della scuola nell'esercizio o a causa delle funzioni o del servizio, e inoltre prevede per tale reato l’arresto obbligatorio in flagranza a norma dell’art. 380 c.p.p.[32]
L’enfasi che il d.l. 48/2025 pone sul diritto alla sicurezza sacrifica la sicurezza dei diritti.
Come ha scritto Vincenzo Mongillo[33], il richiamo alla sicurezza pubblica come formula magica – “specchio deforme delle nostre inesauribili paure” – si traduce nel sacrificio dei diritti umani al prestigio degli apparati, nel sacrificio della tutela dei più deboli all’interesse dei più forti. Non sarà facile invertire questa tendenza, ma è un impegno ineludibile al quale siamo chiamati tutti, studiosi e operatori del diritto.
[1] M. Ronco, Pacchetto sicurezza, in Centro Studi Livatino, 28 aprile 2025.
[2] Per il testo integrale del comunicato è pubblicato in questa Rivista.
[3] AC 1660 del 2024, approvato dalla Camera dei Deputati il 18 settembre 2024, e successivamente passato all’esame del Senato, come AS 1236. Cfr. M. Pelissero, A proposito del disegno di legge in materia di sicurezza pubblica: i profili penalistici, in questa Rivista, 27 maggio 2024, ; L. Rossi, A proposito del nuovo disegno di legge in materia di sicurezza, in questa Rivista, 7 marzo 2024, ; C. Pasini, Il disegno di legge sicurezza e il nuovo reato di rivolta in carcere e in strutture di accoglienza e trattenimento per migranti, in questa Rivista, 29 maggio 2024.
[7] Con D.l. sicurezza “l’autoritarismo si fa sistema”, 1° maggio 2025.
[8] S. Zirulia, Il decreto sicurezza 2025 interrompe il processo di adeguamento del codice Rocco alla Costituzione. Criticità e possibili rimedi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2025, in corso di pubblicazione.
[9] Così si esprime la Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del decreto-legge sicurezza: Ddl AC 2355, 11 aprile 2025, primo firmatario Meloni, sub art. 20, pubblicata in questa Rivista.
[10] Così G. Giostra, Con il Decreto Sicurezza il Governo ignora lo Stato di diritto e maltratta la Costituzione, il Domani, 6 maggio 2025, .
[12] In proposito, fondamentale F. Viganò, La proporzionalità della pena, 2021, nonché Id., La proporzionalità nella giurisprudenza recente della Corte costituzionale: un primo bilancio, in questa Rivista, 8 gennaio 2025. Nella manualistica, può vedersi G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, pt. gen., XIV ed., in corso di pubblicazione, p. 15 ss.
[13] G.L. Gatta, Il pacchetto sicurezza e gli insegnamenti, dimenticati, di Cesare Beccaria, in questa Rivista, 7 novembre 2024.
[14] “Si favorisce la proliferazione delle armi nelle strade e, più in generale, nei luoghi pubblici, consentendo a circa 300 mila persone appartenenti alle forze dell’ordine di usare un’altra arma, diversa da quella di servizio, mettendo a rischio la sicurezza delle persone, in una deriva del modello securitario che tenderebbe così ad assomigliare sempre più a quello statunitense. Più armi ci sono per le strade, più morti ammazzati ci saranno”: così DDL sicurezza. Antigone e Asgi: "Una minaccia per il nostro Stato di Diritto", 17 maggio 2024.
[15] Cfr. R. Cornelli, Il Ddl Sicurezza alla prova della ricerca criminologica: prime annotazioni critiche, in questa Rivista, 27 maggio 2024.
[16] In controtendenza rispetto alla legge sull’ordinamento penitenziario del 1975, il pacchetto sicurezza 2024-2025, introducendo i nuovi delitti di rivolta in carcere e in CPR, echeggia il regolamento penitenziario del 1931 (r.d. 18 giugno 1931, n. 787): in proposito, cfr. DDL sicurezza. Antigone e Asgi: "Una minaccia per il nostro Stato di Diritto", cit. Nel regolamento del 1931 si prevedeva, fra l’altro, che “quando non è obbligatorio il silenzio, i detenuti debbono parlare a bassa voce” (art. 82), che “per rispondere a domande o per dare spiegazioni alle persone incaricate della sorveglianza… i detenuti sono obbligati a parlare a bassa voce” (art. 84) e che “sono assolutamente proibiti i canti, le grida, le parole scorrette, le domande e i reclami collettivi” (art. 86): peraltro, il legislatore fascista non aveva avvertito l’esigenza di prevedere delitti di rivolta analoghi a quelli introdotti nel 2025.
[17] F. Palazzo, Decreto sicurezza e questione carceraria, in questa Rivista, 1° maggio 2025.
[18] Cfr. M. Pelissero, A proposito del disegno di legge in materia di sicurezza pubblica: i profili penalistici, in questa Rivista, 27 maggio 2024,
[19] Cfr. DDL sicurezza. Antigone e Asgi: "Una minaccia per il nostro Stato di Diritto", cit.
[20] Per analoghi rilievi relativi al ‘pacchetto sicurezza 2009’, che consta del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito nella l. 23 aprile 2009, n. 38, e della l. 15 luglio 2009, n. 94, cfr. O. Mazza, F. Viganò (a cura di), Il “pacchetto sicurezza” 2009, 2009, p. VII s. I curatori individuano in quel contesto alcune direttrici corrispondenti a specifiche categorie di autori identificati quali minacce per la sicurezza del cittadino: l’immigrato clandestino, l’automobilista ubriaco o drogato, il piccolo o medio delinquente di strada, etc., sottolineando come tali categorie siano largamente sovrapponibili a quelle assunte da Günther Jakobs come ideali destinatarie del modello teorico del diritto penale del nemico.
[21] Lo sottolinea con particolare efficacia R. Cornelli, Verso democrazie autoritarie? Paradossi, presupposti e tendenze delle politiche di sicurezza contemporanee, in Riv. it. dir. proc. pen., 2025, in corso di pubblicazione.
[22] Cfr. M. Palma, Il limite costituzionale travolto dal decreto «sicurezza», Il Manifesto, 8 aprile 2025.
[23] Cfr. S. Grieco, Il trattamento delle donne in esecuzione penale, in Rivista italiana di criminologia, 2023, p. 14 ss.
[24]“Sono vietati l'importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l'invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa coltivata ai sensi del comma 1 del presente articolo” – e cioè della cannabis sativa L. –, “anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati”.
[25] G. Piffer, in Codice penale commentato, diretto da E. Dolcini e G.L. Gatta, VI ed., in corso di pubblicazione, sub art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990.
[26] Cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di diritto penale, pt. gen., XIV ed., cit., p. 90 s.
[27] L. Stasi, Ieri lavoratori, oggi spacciatori, il Domani, 27 aprile 2025.
[28] G. Fiandaca, La bulimia punitiva aumenterà il consenso, ma non serve a niente, in questa Rivista, 22 marzo 2025.
[29] G.L. Gatta, Il pacchetto sicurezza e gli insegnamenti, dimenticati, di Cesare Beccaria, cit.
[30] Cfr. R. Bartoli, La gloriosa dissoluzione del mito populista “certezza della pena come certezza del carcere”, in questa Rivista, 22 aprile 2024, ; M. Bortolato, Percorsi alternativi alla pena detentiva nel giudizio di sorveglianza. I “liberi sospesi” e gli effetti della riforma Cartabia, in questa Rivista, 28 febbraio 2023; F. Fiorentin, I “liberi sospesi” tra criticità presenti e prospettive di riforma, in questa Rivista, 4 novembre 2024; Id., La crisi sistemica dell’esecuzione penale e la problematica dei liberi sospesi, in questa Rivista, 8 maggio 2025. V. inoltre G.L. Gatta, Il pacchetto sicurezza e gli insegnamenti, dimenticati, di Cesare Beccaria, cit., il quale, dopo aver descritto l’impatto del pacchetto sicurezza 2024-2025 sul fenomeno dei liberi sospesi, solleva alcuni interrogativi: “Seguendo il legislatore sul piano securitario, perché la politica non si occupa della sicurezza dei cittadini lasciando 90.000 condannati liberi sospesi a piede libero? Non c’è forse anche dietro ai liberi sospesi, questi negletti del sistema penale, un tema di sicurezza?” Questa la risposta di Gatta: “Sicuramente sì, ma per risolvere quel problema servono investimenti e lungimiranza nelle scelte politico-criminali, volte a valorizzare le alternative al carcere. Proprio quel che servirebbe e che, purtroppo, manca”.
[31] Sui ‘pacchetti sicurezza’ (quello del 2024-2025, ma non solo quello) come strumenti tesi a “irrigidire il quadro delle libertà e delle garanzie democratiche, intervenendo su quel delicato rapporto tra cittadino e autorità che costituisce il nucleo essenziale del progetto democratico”, cfr. R. Cornelli, Verso democrazie autoritarie?, cit.
[32] Cfr. E. Bruno, C. Tucci, Scuola, dall’educazione sessuale ad aggressioni e condotta: tutte le novità approvate dal governo, Il Sole 24 ore, 1° maggio 2025.
[33] V. Mongillo, Ordine pubblico e sicurezza nel diritto penale: per un’ecologia concettuale quale viatico di razionalizzazione, in Archivio penale, 20 marzo 2025.