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20 Agosto 2025


La detenzione amministrativa nei Centri per il rimpatrio (CPR): un’illegittima privazione della libertà personale

A proposito di Corte cost. sent. 9 giugno 2025 (dep. 3 luglio 2025), n. 96, Pres. Amoroso, Red. Petitti



La sentenza della Corte costituzionale, già segnalata in questa Rivista, è consultabile qui

 

1. Il 3 luglio 2025 è stata pubblicata la sentenza n. 96/2025 della Corte costituzionale, con la quale è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice di pace di Roma[1] in relazione all'art. 14, comma 2, D.lgs. 286/1998, per contrasto con gli artt. 13, comma 2 e 117, comma 1, Cost., nonché con l’art. 3, in combinato disposto con gli artt. 2, 10, comma 2, 24, 25, comma 1, 32 e 111, comma 1, Cost. La disciplina delle modalità di trattenimento amministrativo all’interno dei Centri per il rimpatrio (CPR) di persone di cittadinanza straniere, sprovviste di un regolare titolo di soggiorno, era stata ritenuta di dubbia costituzionalità principalmente per violazione della riserva assoluta di legge, prevista dall’art. 13, comma 2, Cost.; un profilo condiviso dalla Corte, che tuttavia ha dichiarato di non avere gli strumenti per intervenire, essendo riservata al legislatore l’introduzione di una disciplina rispettosa dei diritti fondamentali e della dignità delle persone detenute nei CPR.

 

2. In particolare, nelle quattro diverse ordinanze, molto simili tra loro nei contenuti, con le quali la Giudice di pace di Roma ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale, si contestava il fatto che l’art. 14 del D.lgs. 286/1998 si limitasse a definire principi generali, rinviando a una fonte secondaria per la disciplina di dettaglio relativa ai modi del trattenimento e non prevedesse alcuna autorità giurisdizionale competente per il controllo delle modalità di esecuzione del trattenimento all’interno dei CPR, diversamente da quanto accade per le persone ristrette negli istituti penitenziari: per queste ultime l’ordinamento penitenziario (L. 354/1975) disciplina analiticamente i modi della detenzione e prevede il controllo da parte della magistratura di sorveglianza. Inoltre, si riteneva che l’articolo 14 del D.lgs. 286/1998 violasse anche il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., in riferimento al diritto alla libertà personale (artt. 2 e 13 Cost.), al diritto di difesa dinanzi a un giudice terzo e precostituito per legge (artt. 24, 25, comma 1, e 111 Cost.) e al diritto alla salute (art. 32 Cost.). La disparità di trattamento, anche in questo caso rispetto alla detenzione in sede penale, si coglieva nell’assenza di un sistema di tutela giurisdizionale effettivo per le persone trattenute nei CPR.

 

3. Il trattenimento nei centri per il rimpatrio è un istituto del diritto amministrativo «finalizzato a garantire il controllo fisico sui migranti irregolari destinatari di provvedimenti di espulsione per evitarne la dispersione sul territorio e consentire la materiale esecuzione del rimpatrio»[2]. Esso è un unicum nel nostro ordinamento perché rappresenta la sola situazione in cui un soggetto può essere privato della libertà personale, per un periodo che può avere una durata significativa - fino a 18 mesi[3] -, senza aver commesso alcun fatto penalmente rilevante[4]. Frequentemente, inoltre, le condizioni di detenzione all’interno di questi Centri sono addirittura peggiori di quelle riscontrabili nelle carceri: oltre alla libertà personale, pur in assenza di esigenze securitarie, vengono compressi molti altri diritti, tra i quali quello alla libertà di corrispondenza[5] e il diritto alla salute[6]. La detenzione amministrativa è stata inizialmente introdotta nel nostro ordinamento con il Testo Unico sull’Immigrazione (D.lgs. 286/1998), a conferma che la legislazione in materia di immigrazione è stata orientata, fin da subito, nella prospettiva del contrasto, più che della gestione inclusiva, del fenomeno. Essa segna una cesura con la tradizionale logica garantista in tema di libertà personale: «un soggetto che non ha commesso alcun reato, e che non è affetto da alcuna patologia che lo renda pericoloso per sé o per gli altri, può essere privato della propria libertà in attesa che sia possibile procedere all’esecuzione del rimpatrio»[7].

 

4. Questa condizione di privazione della libertà suscita grandi perplessità, alla luce anche del Report del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT)[8], pubblicato nel dicembre 2024, a seguito della visita effettuata ad aprile dello stesso anno in quattro CPR. Il Comitato ha evidenziato gravi criticità, in relazione sia al trattamento delle persone trattenute, sia alle condizioni materiali delle strutture. Sono stati denunciati casi di maltrattamenti fisici e di uso eccessivo della forza da parte del personale di polizia, in assenza di un sistema indipendente di monitoraggio e di una registrazione accurata e oggettiva delle lesioni riportate dalle persone trattenute, oltre alla somministrazione sistematica di psicofarmaci. In riferimento alle condizioni strutturali, il CPT ha rilevato un’impronta fortemente carceraria degli ambienti, caratterizzati da sbarre e cortili simili a gabbie. Altri rilievi hanno riguardato la scarsa qualità del vitto, l’insufficienza di articoli per l’igiene, nonché l’inadeguatezza di capacità relazionali da parte del personale di sorveglianza. È stata, inoltre, riscontrata una sostanziale assenza di attività offerte alle persone presenti a fronte dell’avvio di numerosi procedimenti penali relativi alla gestione dei Centri e a episodi di violenza verificatisi al loro interno. Infine, uno degli aspetti più problematici riguarda l’inadeguatezza dell’assistenza sanitaria, che si manifesta in primis nel sistema di accertamento dell’idoneità alla vita in comunità, effettuato da personale sanitario privo di specifiche competenze rispetto al contesto sostanzialmente detentivo. 

 

5. La Giudice remittente sottolineava come proprio l’art. 14 del D.lgs. 286/1998 - che regola le modalità di esecuzione del provvedimento di espulsione, tra le quali vi è il trattenimento amministrativo - non rispetti il dettato dell’art. 13 della Costituzione, e quindi i limiti e le garanzie stabiliti per la privazione della libertà personale. In particolare, l’art. 14 D.lgs. 286/1998, al primo comma, prevede una di quelle ipotesi eccezionali di privazione della libertà personale che sono richiamate dal comma 3 del parametro costituzionale indicato: si attribuisce all’autorità di pubblica sicurezza, nello specifico al questore, il potere di adottare un provvedimento provvisorio di restrizione della libertà personale del cittadino straniero, per il tempo strettamente necessario, nel caso in cui non sia possibile «eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perché occorre procedere al soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo». Si può altresì osservare come l’art. 14 D.lgs. 286/1998 definisca una chiara situazione di confinamento coatto, disponendo al comma 7 che il questore, anche con l’uso della forza pubblica, debba adottare misure di vigilanza efficaci per impedire l’allontanamento del trattenuto, dando così luogo a una situazione «di assoggettamento fisico all’altrui potere, che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale»[9]. Appare dunque evidente che le garanzie dell’art. 13 Cost. debbano essere rispettate anche in caso di trattenimento amministrativo, come del resto riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza 105/2001, nella quale si dice espressamente che la detenzione amministrativa determina una privazione della libertà personale, nonostante «il legislatore [abbia] avuto cura di evitare, anche sul piano terminologico, l’identificazione con istituti familiari al diritto penale, assegnando al trattenimento anche finalità di assistenza e prevedendo per esso un regime diverso da quello penitenziario»[10].

 

6. Chiarito, dunque, che le garanzie dell’art. 13 della Costituzione operano anche per l’ipotesi della detenzione amministrativa, occorre verificare che tali garanzie siano effettivamente rispettate. La prima tutela imposta dalla Costituzione è la riserva assoluta di legge in relazione alla privazione della libertà personale, che può avvenire «nei soli casi e modi previsti dalla legge». Tuttavia, analizzando la disciplina sul trattenimento, si osserva che l’unica disposizione dedicata alle modalità del trattenimento è contenuta nel comma 2 dell’art. 14, D.lgs. 286/1998, il quale dispone che «lo straniero è trattenuto nel centro, presso cui sono assicurati adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo status, l'assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, secondo quanto disposto dall'art. 21 del DPR 394/1999. Oltre a quanto previsto dall'articolo 2, comma 6, è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l'esterno»[11]. Si può osservare chiaramente come la fonte primaria si limiti a fornire prescrizioni generiche e indeterminate, non conformi allo standard di precisione imposto dalla riserva di legge assoluta, rinviando a fonti secondarie per la disciplina dei ‘modi’ della detenzione amministrativa, quali il Regolamento per l’organizzazione e la gestione dei centri (il D.P.R. 394/1999), il decreto del Ministero dell’Interno n. 12700/2014 e la direttiva del Ministero dell’Interno del 19 maggio 2022, recante i criteri per la loro organizzazione. Tali enunciazioni generali e di principio appaiono inidonee a porre un vincolo alla discrezionalità della pubblica amministrazione, alla luce dello standard minimo di precisone che si può desumere sia dalle norme dell’ordinamento penitenziario (artt. 59 e ss. o.p.) sia dalle fonti sovranazionali, in considerazione del vincolo di cui all’art. 117 Cost. In definitiva, affinché la riserva assoluta di legge possa dirsi rispettata, la fonte primaria avrebbe dovuto necessariamente indicare le modalità del trattenimento, le procedure e le garanzie giurisdizionali a tutela dei diritti dei trattenuti.

 

7. Dalla riserva assoluta di legge dell’art. 13 Cost. deriva un’ulteriore garanzia fondamentale, rappresentata dalla riserva di giurisdizione in materia di misure privative della libertà personale. Come ribadito dalla Corte costituzionale nella sentenza 22/2022 - in tema di assegnazione alle REMS - è indispensabile che risultino chiaramente definite le competenze delle autorità deputate ad esercitare il controllo di legalità sulle strutture in cui si realizza la privazione di libertà. Nel caso della detenzione amministrativa, invece, manca l’indicazione del giudice competente a controllare il rispetto dei diritti delle persone detenute nei CPR. Dunque, l’autorità giudiziaria competente finisce per coincidere con quella che ha convalidato il trattenimento, ossia la Corte d’appello, per le persone richiedenti asilo, e il Giudice di pace negli altri casi. D’altra parte, solo con il D.L. 130/2020 (convertito con modifiche nella L. 173/2020) è stato introdotto il comma 2-bis nell’art. 14 D.lgs. 286/1998, che prevede la possibilità di presentare istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. A tale previsione ha fatto seguito l’attribuzione al Garante del potere di formulare reclami all’amministrazione interessata, privi peraltro di carattere vincolante. Continua quindi a mancare una forma di reclamo avente natura giurisdizionale, assimilabile a quanto previsto, per le persone detenute negli istituti penitenziari, dagli artt. 35 e ss. o.p.[12].

 

8. La Giudice romana rilevava, inoltre, come fosse rimasto inascoltato anche il monito della Corte Europea dei diritti dell’uomo, la quale già nel 2016, con la sentenza Khlaifia, aveva auspicato l’introduzione di un ricorso giurisdizionale, attivabile dalle persone straniere, con riguardo alle condizioni di detenzione[13]. I giudici di Strasburgo, infatti, avevano riscontrato la violazione da parte dell’Italia dell’art. 5 Cedu, in relazione al trattenimento, privo di base legale e di garanzie, di tre cittadini tunisini presso il Centro di soccorso e prima accoglienza di Lampedusa (oggi Centro hotspot), nonché dell’art. 13 Cedu - in riferimento all’art. 3 Cedu – per l’assenza di una procedura per presentare reclami relativi alle condizioni del trattenimento. Era dunque evidente la violazione dell’art. 13 della Costituzione che, nel porre una riserva assoluta di legge, vuole impedire che sia l’autorità amministrativa a determinare autonomamente i limiti di esercizio del potere statuale di incidere sulla libertà personale; al contrario, essa esige che sia il Parlamento, mediante l’approvazione di una legge, a regolare tale materia, assumendosi allo stesso tempo la responsabilità politica delle sue scelte[14].

 

9. A questi rilievi di incostituzionalità, come già accennato, la Corte costituzionale, con la sentenza in esame, ha risposto in modo contraddittorio: da un lato, ha riconosciuto la violazione del parametro costituzionale, essendo «la normativa del tutto inidonea a definire, in modo sufficientemente preciso, quali siano i diritti delle persone trattenute nel periodo – che potrebbe anche essere non breve – in cui sono private della libertà personale»[15], dal momento che la fonte primaria, l’art. 14 D.lgs. 286/1998, rinvia a una disposizione regolamentare, che prevede anche la possibilità che le modalità di trattenimento – rimesse ad atti del prefetto, sentito il questore della provincia in cui è ubicato il CPR – risultino disciplinate difformemente sul territorio nazionale. Dall’altro lato, però, ha dichiarato la questione inammissibile non avendo gli strumenti per «rimediare al difetto di una legge che [non] descriva e disciplini con un sufficiente grado di specificità i «modi» del trattenimento dello straniero presso il CPR, non rinvenendosi nell’ordinamento una soluzione adeguata a colmare la riscontrata lacuna mediante l’espansione di differenti regimi legislativi»[16]. Tuttavia, occorre rilevare come, nel caso di specie, la Corte avrebbe potuto fare ricorso allo strumento dell’incostituzionalità differita, come avvenuto in precedenza, ad esempio, in materia di fine vita. In quella circostanza, la Consulta aveva emesso un’ordinanza interlocutoria, contenente un preciso monito per il legislatore, rinviando la decisione a un momento successivo, così da consentire un intervento normativo idoneo a sanare il vulnus costituzionale riscontrato[17]. Nel caso in esame, tale soluzione non è stata perseguita, sebbene il Garante nazionale, nel depositare la propria opinione in qualità di amicus curiae, avesse evidenziato che risultavano trattenute nei CPR oltre cinquecento persone[18]. A fronte di un numero così elevato di individui sottoposti a una privazione della libertà personale che la Corte stessa ha riconosciuto in contrasto con i principi costituzionali, ci si poteva aspettare che questa fosse la strada da percorrere, per garantire un intervento tempestivo, capace di offrire una tutela immediata ed effettiva ai diritti delle persone trattenute.

 

10. Passando al secondo profilo di incostituzionalità, come già anticipato, la Giudice a quo aveva ravvisato una violazione del principio di uguaglianza, ex art. 3 Cost., in connessione con il diritto alla libertà personale proclamato inviolabile dagli artt. 2 e 13 Cost., il diritto di difesa davanti a un giudice terzo, imparziale e precostituito per legge di cui agli artt. 24, 25, co. 1, 111, co. 1 Cost. nonché con il diritto alla salute (art. 32 Cost.). Tale violazione emergeva dal confronto con la detenzione in sede penale che, al contrario, è analiticamente disciplinata dall’ordinamento penitenziario, con l’attribuzione del controllo sulla legalità delle modalità di detenzione alla magistratura di sorveglianza, organo specializzato nella materia. In particolare, non risultano chiaramente individuate né le modalità di tutela dei diritti fondamentali – anche con riferimento al diritto alla salute – né gli standard minimi di protezione né, ancora, l’autorità giudiziaria competente a garantirne il rispetto in caso di violazione. La Giudice a quo riteneva che vi fosse una disparità di trattamento non giustificata dal perseguimento di fini costituzionali, poiché «la necessità di contrastare “l’immigrazione irregolare” non può essere considerata valido criterio di differenziazione, per l’adozione di discipline diverse, ostandovi l’inviolabilità, con efficacia erga omnes, del diritto alla libertà personale, riconosciuto all’essere umano in quanto tale»[19]. Al riguardo, la dottrina ha osservato come, tanto nell’ordinamento interno quanto in quello sovranazionale, la detenzione delle persone di origine straniera tenda a essere considerata distinta rispetto a quella penale «come se la libertà personale possa godere di livelli diversi di tutela a seconda dello status del suo titolare»[20].

 

11. Con la sentenza che possiamo leggere in allegato, il Tribunale di Siena in composizione monocratica ha dichiarato di non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di un soggetto, che – in ipotesi accusatoria – avrebbe sottratto, per mezzo di un allacciamento abusivo, energia elettrica alla rete nazionale, utilizzandola per alimentare gli elettrodomestici e gli impianti della propria abitazione. Di qui la contestazione del delitto di cui all’art. 624 c.p., aggravato ai sensi dell’art. 625, comma 1 n. 7 c.p., in quanto commesso “su cose destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità”.Anche questa seconda questione è stata dichiarata inammissibile «per incompleta ricostruzione del quadro normativo di riferimento». La Corte ha richiamato l’attenzione su alcuni strumenti che possono essere esperiti a tutela della persona trattenuta: il rimedio risarcitorio generale di cui all’art. 2043 c.c. e il ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. che, per la sua dimensione di tutela preventiva cautelare può essere utilizzato in presenza di violazioni o limitazioni dei diritti fondamentali subite da chi sia trattenuto presso un CPR. È tuttavia la stessa Corte a riconoscere i limiti strutturali di questi rimedi, perché si tratterebbe «pur sempre di una forma di tutela giurisdizionale che sconta necessariamente la mancanza di una puntuale disciplina, da parte del legislatore, dei diritti di cui è titolare la persona trattenuta all’interno delle strutture deputate all’esecuzione dei trattenimenti, oltre che l’assenza di una specifica disciplina processuale per la tutela di tali diritti, paragonabile a quella assicurata alle persone detenute dalla legge sull’ordinamento penitenziario»[21]. In altre parole, pur sussistendo dei rimedi teoricamente esperibili, è a tutti evidente che essi non sono in grado di offrire una tutela effettiva e tempestiva alle persone trattenute.

12. I profili di illegittimità costituzionale di un istituto così incisivo sui diritti fondamentali della persona, come la detenzione amministrativa, assumono particolare rilevanza alla luce della volontà degli Stati di ampliare le ipotesi di trattenimento – come emerge dal nuovo Patto Ue su migrazione e asilo, che troverà piena applicazione a partire dal giugno 2026 – non solo delle persone straniere in attesa di rimpatrio, ma anche dei richiedenti asilo durante lo svolgimento delle procedure in frontiera[22]. In questa prospettiva, la detenzione amministrativa, infatti, non sarà più finalizzata esclusivamente al rimpatrio dei cittadini stranieri privi di un titolo di soggiorno, ma verrà impiegata, secondo una fictio iuris, anche per impedire l’ingresso nel territorio nazionale di persone provenienti da altri Stati, inclusi i richiedenti asilo, nelle more del procedimento di definizione del loro status[23].  Ad oggi la privazione della libertà personale – che costituisce un diritto fondamentale - continua ad avvenire in un contesto normativo lacunoso, privo di una regolazione organica e dettagliata, che lascia ampio margine ad arbitri e possibili abusi. Considerando poi che lo scopo del rimpatrio delle persone trattenute nei CPR viene effettivamente raggiunto solo in una percentuale oscillante tra il 40 e il 50% dei casi[24], è lecito chiedersi quale sia l’effettiva funzione di questo istituto. L’analisi condotta mette in evidenza come l’attuale disciplina della detenzione amministrativa si discosti in maniera significativa dai principi costituzionali, come rilevato anche dalla stessa Corte costituzionale. Quest’ultima ha rimesso al legislatore il compito di intervenire per colmare questa lacuna, in particolare con riguardo ai principi di legalità, uguaglianza e all’accesso a una tutela giurisdizionale, che sia effettiva. Rimane però, il timore che questo intervento normativo possa tradursi nel rafforzamento di un istituto di dubbia costituzionalità in sé, quale la detenzione amministrativa. Il rischio è che l’azione del legislatore si limiti a ricondurre questo istituto a una legalità meramente formale. Non si è infatti sicuri che l’introduzione di una disciplina di rango primario, che regoli i modi del trattenimento amministrativo, sia in grado di migliorare le condizioni di vita all’interno dei CPR, in assenza di una riflessione sulle criticità strutturali che li caratterizzano e sulla stessa necessità della loro esistenza. Va altresì sottolineato che qualsiasi disciplina avrà un impatto determinante non solo sui CPR presenti sul territorio italiano, ma anche sulla struttura collocata in Albania, dove, in seguito all’emanazione d.l. 37/2025 (convertito con modificazioni dalla L. 75/2025), possono essere detenute anche persone provenienti dai CPR italiani, destinatarie di un provvedimento di trattenimento convalidato o prorogato.

 

13. In conclusione, va evidenziato come la sentenza 96/2025 della Corte costituzionale – in attesa di un intervento legislativo che integri la normativa vigente – ponga un serio problema per i giudici che si trovano a dover applicare una disciplina formalmente in vigore, ma giudicata nella sostanza incompatibile con il dettato costituzionale. Una prima manifestazione di questo disagio si è registrata con l’ordinanza della Corte d’Appello di Cagliari, che ha negato la proroga del trattenimento di un richiedente asilo presso il CPR di Macomer. Se è vero che la Corte ha rilevato una violazione procedurale sui termini previsti per la richiesta di proroga, l’ordinanza recepisce chiaramente le implicazioni della Consulta laddove afferma che «in assenza di quella determinazione dei “modi” della detenzione, non “ancora” disciplinati dal legislatore con fonte primaria, non può che riespandersi il diritto alla libertà personale, il cui vulnus è chiaramente espresso dalla Consulta, perché qualunque “modo” non disciplinato da norma primaria non riveste il crisma della legalità costituzionale, ed è legalmente inidoneo a comprimerla»[25]. Pochi giorni dopo, anche la Corte d’Appello di Genova, rigettando una richiesta di trattenimento di un richiedente asilo, ha richiamato la sentenza n. 96/2025, sottolineando che la disciplina relativa alla detenzione amministrativa presenta un evidente vulnus costituzionale, e questo non può essere ignorato nel giudizio di convalida del trattenimento, perché compito della magistratura è proprio quello di valutare se l’applicazione della norma possa tradursi in una lesione dei diritti: si afferma quindi la necessità di «evitare lesioni di diritti fondamentali che già si sia in grado di individuare come diretta conseguenza dell'assenza della disciplina legislativa ritenuta mancante»[26]. La pronuncia della Corte costituzionale apre dunque scenari rilevanti per l’attività dei giudici italiani, chiamati a decidere sulla convalida dei trattenimenti in CPR, i quali si troveranno di fronte al bivio tra applicare una misura che comporta la privazione della libertà personale in condizioni incompatibili con la Costituzione, o rifiutarsi di applicare la norma, visto il già accertato contrasto con l’art. 13, comma 2, della Costituzione. C’è tuttavia chi suggerisce una terza possibilità per l’autorità giudiziaria: quella di sospendere il giudizio di convalida e sollevare nuovamente questione di legittimità, ritenendo “non manifestamente infondato” un dubbio di legittimità costituzionale che la stessa Consulta ha già accertato essere fondato. Questa soluzione, visti i tempi fisiologici del giudizio di legittimità, permetterebbe alla Corte costituzionale di effettuare un ulteriore controllo di legittimità dopo il decorso di un ragionevole periodo di tempo e quindi (a quel punto) di intervenire qualora dovesse prendere atto della rinuncia del legislatore ad assumersi le proprie responsabilità[27].

 

 

 

[1] Ordinanze n. 209, 210, 211, 212 del 2024, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 20 novembre 2024. 

[2] A. DELLA BELLA, Trattenimento, in AA. VV. (a cura di), Studi in onore di Carlo Enrico Paliero, Giuffrè, Milano, 2022, pp. 1951 e ss.

[3] Così dopo la modifica dell’art. 14, comma 5, D.lgs. 286/1998, introdotta dall’art. 20 del d.l. 124/2023, convertito con modificazioni dalla L. 162/2023.

[4] L. MASERA, Stranieri irregolari e misure detentive: una libertà diversa?, in AA. VV. (a cura di), Libertà dal carcere libertà nel carcere: affermazione e tradimento della legalità nella restrizione della libertà personale. Atti del Quinto ginnasio dei penalisti, svoltosi a Pisa il 9-10 novembre 2012, Giappichelli, Torino, 2014, p. 81.

[5] Ad esempio, la libertà di corrispondenza è tutelata e garantita in modo diverso a seconda del CPR in cui si è trattenuti. Esclusivamente a Gradisca d’Isonzo e a Milano è ammesso il possesso del telefono cellulare. Nel CPR di via Corelli a Milano, ciò è stato reso possibile dall’azione promossa nell’interesse di uno dei trattenuti nella struttura, con un ricorso ex art. 700 c.p.c. al Tribunale: cfr. G. MENTASTI, La libertà di corrispondenza nel CPR e la (mancata) regolamentazione delle condizioni di trattenimento degli stranieri in attesa di espulsione, Trib. Di Milano, sez. XII, ord. 23 febbraio 2021, in questa Rivista, 15 settembre 2022.

[6] Per un approfondimento sulle condizioni di detenzione all’interno dei CPR italiani si veda L. FIGONI, L. RONDI, Gorgo CPR, Tra vite perdute, psicofarmaci e appalti milionari, in Altreconomia, Milano, 2024.

[7]  L. MASERA, Stranieri irregolari e misure detentive: una libertà diversa?, cit., pp. 86 e ss.

[8] Il CPT, istituito a seguito della “Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti” del 1989, è uno strumento non giudiziario, a carattere preventivo, finalizzato a proteggere le persone private della libertà dalla tortura e da altre forme di maltrattamenti, che affianca e completa le attività giudiziarie della Corte europea dei diritti dell’uomo. Il Report è consultabile in questa Rivista, cliccando qui.

[9] L. MASERA, L’incostituzionalità dell’art. 14 d.lgs. 286/98 nella parte in cui non contiene una disciplina sufficientemente precisa dei “modi” del trattenimento nei CPR. Spunti di riflessione alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale sulle REMS, in Questione Giustizia, 10 maggio 2022.

[10] Cfr. C. cost. sent. 105/2001, § 4 Considerato in diritto.

[11] Il comma 2 dell’art. 14 D.lgs. 286/1998 è stato modificato con il d.l. 130/2020 convertito con modificazioni dalla L. 173/2020, con l’aggiunta della previsione di “adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, con modalità tali da assicurare la necessaria informazione relativa al suo status”. Questa disposizione originariamente si limitava a stabilire che “Lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Oltre a quanto previsto dall'art. 2, comma 6, è assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza anche telefonica con l'esterno”.

[12] Gli artt. 35 e ss. o.p. sanciscono il diritto di reclamo, anche davanti alla magistratura di sorveglianza, con la previsione di un’udienza procedimentalizzata dove sia il singolo, sia l’amministrazione hanno il diritto di partecipare. Particolare poi, è la disciplina dell’art. 35-ter o.p. - introdotto come rimedio al sovraffollamento strutturale delle carceri italiane, a causa della condanna dell’Italia da parte della Corte EDU nel 2013 con la sentenza Torreggiani - che prevede espressamente rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’art. 3 CEDU nei confronti dei soggetti detenuti, qualora la magistratura di sorveglianza accerti che le condizioni detentive consistano in un trattamento inumano o degradante per la grave mancanza di spazio o altre condizioni, quali, ad esempio, la mancanza di acqua calda, illuminazione, ventilazione che causano nelle persone detenute una sofferenza ulteriore rispetto a quella inevitabile insita nella detenzione in sé.

[13] Corte EDU, Grande Camera, 15 dicembre 2016, Khlaifia c. Italia.

[14] L. MASERA, L’incostituzionalità dell’art. 14 d.lgs. 286/98, cit.

[15] Cfr. C. cost. sent. 96/2025, § 10.2 Considerato in diritto.

[16] Idem, § 11 Considerato in diritto.

[17] Cfr. C. cost. ord. 207/2018 nella quale la Corte aveva rinviato la decisione all’udienza successiva così da poter «valutare l’eventuale sopravvenienza di una legge che regoli la materia in conformità alle segnalate esigenze di tutela». Di fronte al silenzio del legislatore, a un anno di distanza, i giudici costituzionali sono poi intervenuti dichiarando l’illegittimità parziale dell’art. 580 c.p., con la sent. 242/2019; si veda D. PULITANÒ, A prima lettura. L’aiuto al suicidio dall’ordinanza n. 207/2018 alla sentenza n. 242/2019, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 12; M. BIGNAMI, Il caso Cappato alla Corte costituzionale: un’ordinanza di incostituzionalità differita, in Questione Giustizia, 19 novembre 2018.

[18] Cfr. C. cost. sent. 96/2025, § 6 Ritenuto in fatto.

[19] Ordinanza n. 209 del 2024, pag. 19, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20 novembre 2024. 

[20] A. DELLA BELLA, Trattenimento, cit.; cfr. sul punto anche L. MASERA, Stranieri irregolari e misure detentive: una libertà diversa?, cit., pp. 67 e ss.

[21] Cfr. C. cost. sent. 96/2025, § 13 Considerato in diritto.

[22] Si veda il nuovo Patto UE su migrazione e asilo, adottato dal Consiglio Europeo nel maggio 2024, composto da 9 regolamenti e 1 direttiva, che dovranno essere pienamente applicati dagli Stati membri dell’UE a partire da giugno 2026. Questo Patto implementa le ipotesi di trattenimento dei richiedenti asilo e le procedure di frontiera, che ad oggi sono regolate dagli artt. 6 e 6-bis D.lgs. 142/2015.

[23] Cfr. F. BIONDI DAL MONTE, I centri per il rimpatrio in Italia: condizioni di trattenimento e lacune normative, in ADiM Blog, Analisi & Opinioni, gennaio 2025.

[24] Cfr. G. FABINI, I numeri della detenzione amministrativa in Italia, in ADiM Blog, Analisi & Opinioni, marzo 2024.

[25] Ordinanza Corte d’Appello di Cagliari, Sez. distaccata di Sassari specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, N.R.G. 290/2025, 4 luglio 2025.

[26] Decreto Corte d’Appello di Genova, Sez. III specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, N.R.G. 651/2025, 11 luglio 2025. Tale orientamento era già stato assunto nell’ordinanza della Corte d’Appello di Roma, Sez. specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, N.R.G. 3642/2025, 7 luglio 2025.

[27] Cfr. A. NATALE, I CPR e la Costituzione. Il rischio di una impasse. Il rischio di zone franche, in Questione Giustizia, 7 luglio 2025.