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23 Settembre 2020


Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto non demorde: il “d.l. antiscarcerazioni” di nuovo alla Consulta


1. Con la pronuncia qui pubblicata, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha sollevato un’articolata questione di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, per violazione degli artt. 3, 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost., «nella parte in cui prevede che proceda a rivalutazione del provvedimento di amissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena[,] per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19, il magistrato di sorveglianza che lo ha emesso»[1]. Com’è noto, tale ordinanza di rimessione si pone all’esito di un iter normativo e giurisprudenziale alquanto articolato, che è indispensabile ripercorrere al fine di assicurare una compiuta comprensione delle censure oggi devolute al giudice delle leggi.

 

2. La genesi di questo percorso va individuata nel clima di aspra polemica politico-mediatica, venutosi a determinare, sin dal primo periodo della pandemia da Covid-19, a seguito delle scarcerazioni, disposte per ragioni legate all’emergenza sanitaria, di noti esponenti della criminalità organizzata[2]. È proprio per placare l’allarme sociale, sviluppatosi a questo riguardo, che l’esecutivo è intervenuto sul punto tramite lo strumento della decretazione d’urgenza, emanando – con i d.l. 30 aprile 2020, n. 28[3] e 10 maggio 2020 n. 29[4] – una serie di norme, volte a imporre un secco giro di vite sulle misure non detentive applicate dalla magistratura di sorveglianza.

Orbene, fra le previsioni introdotte in tale contesto, quella senza dubbio più discussa è l’art. 2 del d.l. 29/2020[5]. Com’è noto, quest’ultimo ha ideato un inedito sistema di “monitoraggio continuo” delle decisioni applicative, per motivi legati all’emergenza sanitaria, della detenzione domiciliare o del differimento della pena nei confronti di detenuti o internati per una serie di gravi delitti, tra cui l’associazione per delinquere di stampo mafioso. Più in particolare, siffatta norma ha imposto ai magistrati e ai tribunali di sorveglianza di valutare, entro precisi e assai stringenti intervalli di tempo[6], la permanenza delle ragioni legate al COVID-19, che li abbiano portati a emanare i provvedimenti citati, essendo tenuti, se del caso, a revocare gli stessi mediante una decisione immediatamente esecutiva.

Da un punto di vista processuale, siffatto meccanismo di “rivalutazione continua” è stato configurato come un rito officioso, attivato ex lege dall’organo giudicante (monocratico o collegiale) che abbia emesso la misura, operante in assenza di uno specifico avviso all’interessato di inizio della procedura. Su un piano istruttorio, la disposizione ha previsto, inoltre, una serie di adempimenti in capo ai giudici di sorveglianza. Da un lato, questi sono stati chiamati ad acquisire un parere (non vincolante) in proposito dal Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato[7] e dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati ed internati sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ord. penit. Da un altro, si è stabilita la necessità di sentire l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della regione, nonché di assumere dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria informazioni sull’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta, tali da permettere all’interessato di riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudicare le sue condizioni di salute. Per contro, occorre rilevare che – come posto in evidenza in modo singolarmente convergente tanto dal CSM[8], quanto dai rappresentanti dell’avvocatura[9] – la disposizione de qua, sin dalla sua configurazione originaria, non ha fatto un riferimento espresso alla necessità di coinvolgere la difesa e il condannato/internato nella procedura di revoca in questione.

In definitiva, introducendo tale meccanismo di rivalutazione accelerata dei provvedimenti di detenzione domiciliare e di differimento, il Governo ha perseguito un obiettivo politico chiaro: spingere la magistratura di sorveglianza «a far rientrare il più presto possibile in cella i detenuti mafiosi già scarcerati»[10].

 

3. Com’era prevedibile, l’art. 2 del d.l. n. 29 del 2020 non ha tardato a suscitare plurimi dubbi esegetici, rapidamente tramutatisi in una serie di ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale[11].

A chiamare in causa la Consulta in proposito è stato, anzitutto, proprio il Magistrato di sorveglianza di Spoleto[12], il quale era intervenuto a questo riguardo già una prima volta nell’ambito del medesimo procedimento da cui è originata l’ordinanza di rimessione qui pubblicata. A tal proposito, è bene ricordare che già allora il giudice umbro aveva sostenuto che il rito introdotto dall’esecutivo si sarebbe posto in contrasto con i medesimi parametri oggi denunciati. In estrema sintesi, le doglianze del rimettente si erano in tale occasione concentrate, soprattutto, sul tentativo di dimostrare che il procedimento di cui all’art. 2 d.l. 29 del 2020 avrebbe dato vita, laddove si fosse svolto dinnanzi all’organo monocratico, a una procedura de plano – del tutto atipica rispetto alle altre previste dinnanzi alla giurisdizione di sorveglianza – confliggente con il diritto di difesa del condannato/internato e con il principio del contraddittorio. A supporto di tale tesi, il rimettente aveva, in particolare, osservato che la disciplina d’urgenza non prevedeva alcuna forma di previo coinvolgimento dell’interessato o del suo difensore rispetto alla decisione del magistrato di sorveglianza, non venendo il beneficiario informato, né dell’instaurazione del procedimento officioso finalizzato alla revoca, né del contenuto dell’istruttoria raccolta. Per di più, il giudice umbro aveva già allora sostenuto non solo che il rito in questione avrebbe leso anche il canone di parità delle parti, visto il coinvolgimento formale dell’accusa e non della difesa prima della decisione, ma anche che lo stesso non avrebbe potuto considerarsi conforme alla Carta fondamentale neppure facendo leva sull’orientamento della Consulta, secondo cui sarebbero compatibili con i diritti della difesa i procedimenti a contraddittorio eventuale o differito, vale a dire caratterizzati da una decisione assunta de plano a cui segue il contraddittorio pieno[13]. A tal proposito, era stato, infatti, osservato, tra l’altro, che, anche a voler ammettere che alla revoca ex art. 2 del d.l. 29/2020 facesse seguito una pronuncia del tribunale di sorveglianza, in ossequio al procedimento di cui all’art. 684 c.p.p., ciò sarebbe avvenuto in un tempo eccessivamente lungo, essendo l’organo collegiale chiamato a intervenire entro sessanta giorni, ai sensi del combinato disposto tra gli artt. 47-ter, comma 1-quater e 47, comma 4, ord. penit. Termine, quest’ultimo, meramente ordinatorio, alla cui inosservanza non sarebbe seguita, pertanto, neppure l’inefficacia del provvedimento di revoca.

Come anticipato, l’ordinanza appena richiamata non è rimasta isolata. A pochi giorni di distanza, il Magistrato di sorveglianza di Avellino[14] e il Tribunale di sorveglianza di Sassari[15] hanno, invero, a loro volta presentato due ampi provvedimenti di rimessione alla Consulta, aventi a oggetto l’art. 2 del d.l. 29 del 2020. Peraltro, senza che ci si possa dilungare sul punto in questa sede, merita rilevare che siffatti atti di promovimento alla Consulta hanno denunciato l’incompatibilità del novum normativo, tra l’altro, direttamente anche con l’art. 32 Cost; una previsione quest’ultima che, invece, era stata richiamata solo in modo incidentale dal giudice umbro, rimanendo sullo sfondo. A tal proposito, si è, più precisamente, sostenuto che la procedura officiosa di revoca di cui all’art. 2 del d.l. 29/2020 avrebbe dato vita a una disciplina del tutto sbilanciata sulle esigenze di sicurezza della collettività rispetto a quelle – ben più pregnanti – di tutela della salute. Il rito accelerato de quo, infatti, sottoponendo il condannato/internato a una rivalutazione incessante delle misure della detenzione domiciliare e del differimento, sarebbe tale da inficiare la «continuità delle cure», nonché la «progettazione e la realizzazione»[16] di un efficace percorso diagnostico-terapeutico, rischiando pertanto di mettere in pericolo persino la vita dell’individuo, visto l’esito spesso tragicamente infausto del virus COVID-19.

 

4. La presentazione di questa serie di ordinanze di rimessione non ha lasciato indifferente il Parlamento. Quest’ultimo, preso atto dei dubbi di costituzionalità, sollevati nei confronti dell’art. 2 del. d.l. 29 del 2020, è intervenuto in proposito in sede di conversione dell’atto d’urgenza, quantomeno onde assicurare una migliore tutela del diritto di difesa e del contraddittorio nel corso della procedura di rivalutazione de qua.

Se un tanto è vero, merita però precisare che le forze politiche si sono, anche in questa occasione, dimostrate divise sul come agire a questo riguardo.

Dalla lettura dei lavori preparatori, si desume, infatti, che alcuni parlamentari hanno proposto, tanto al Senato[17], quanto alla Camera[18], vari emendamenti volti a consentire un’effettiva partecipazione del legale del condannato/internato già nella fase antecedente a quella della decisione del giudice sull’eventuale revoca accelerata della misura della detenzione domiciliare o del differimento. Così, ad esempio, un emendamento al Senato aveva proposto di inserire nell’articolo un nuovo comma, volto a stabilire che il decisore avrebbe dovuto avvisare l’avvocato «dell’imputato della richiesta del Pubblico Ministero e degli elementi acquisiti dall’autorità sanitaria regionale e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria con possibilità di visionarli e di estrarne copia e di depositare entro tre giorni proprie deduzioni e osservazioni»[19].

Questa linea garantista non è stata, però, condivisa dalla maggioranza, la quale ha, invece, preferito attestarsi su una posizione più compromissoria. Essa ha, invero, scelto di abrogare, mediante la l. di conversione 25 giugno 2020 n. 70[20], la regola de qua, riproducendola, però, solo con alcune lievi modifiche, nel vigente nuovo articolo 2-bis del (convertito) d.l. 30 aprile 2020, n. 28. Orbene, per quanto qui rileva, merita osservare come il cambiamento principale apportato dal Parlamento in proposito sia stata l’interpolazione di un inedito comma 4 in tale articolo, ove si è stabilito che, «nel caso in cui il magistrato di sorveglianza abbia disposto la revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena adottati in via provvisoria», la questione è devoluta al tribunale di sorveglianza, il quale è chiamato a pronunciarsi «sull’ammissione alla detenzione domiciliare o sul differimento […] entro trenta giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca», pena, altrimenti, la perdita di efficacia di quest’ultimo. In altre parole, anche secondo la disciplina riformata la revoca è rimasta immediatamente esecutiva; «tuttavia, entro un massimo di trenta giorni, tale provvedimento appare destinato a cadere nel nulla, salvo che, nel frattempo, il Tribunale di sorveglianza si sia pronunciato, questa volta al termine di una procedura caratterizzata da contraddittorio»[21], perché svoltasi secondo le forme tipiche del rito di cui agli artt. 666 e 678 c.p.p.

Insomma, è chiaro come la l. 70 del 2020, proprio al fine di fugare i dubbi di costituzionalità rispetto agli articoli 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost., tratteggiati dai Magistrati di sorveglianza di Spoleto e di Avellino, abbia quantomeno cercato di assicurare con l’art. 2-bis del d.l. 28/2020 una tutela più incisiva, seppur differita, del diritto di difesa e del contraddittorio, nel caso in cui la decisione sulla revoca sia presa dall’organo monocratico. Un tale obiettivo è stato perseguito prevedendo la necessità di un controllo del collegio sulla pronuncia del magistrato di sorveglianza, da svolgersi entro un arco cronologico più stringente rispetto ai termini generali di cui al combinato disposto tra art. 684 e artt. 47-ter, comma 1-quater e 47, comma 4, ord. penit. Non sfuggirà, peraltro, che il legislatore, nel dare vita a tale modifica, ha creato un meccanismo speciale di sospensione cautelativa – riferito ai delitti di criminalità organizzata e valevole per l’emergenza da COVID-19 – chiaramente ispirato a quello di cui all’art. 51-ter ord. pen. Com’è noto, infatti, il comma 2 della norma da ultimo citata prevede, in materia di misure alternative, una disciplina fondata su una decisione presa in assenza di contraddittorio dal magistrato di sorveglianza, da convertirsi entro un lasso di tempo di trenta giorni dal tribunale, pena l’inefficacia del primo provvedimento.

 

5. Giunti a questo punto, è necessario ricordare che, a stretto giro dall’entrata in vigore della l. n. 70 del 2020, la Consulta si è effettivamente pronunciata con l’ordinanza n. 185/2020 sulle questioni di legittimità costituzionale presentate dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto nei confronti dell’art. 2 del d.l. 29/2020[22]. Com’era inevitabile, la Corte costituzionale ha preso atto dell’avvenuta abrogazione della disposizione censurata, ponendo al centro della propria analisi lo ius superveniens, il quale – è bene precisarlo – risulta applicabile in modo retroattivo anche alla fattispecie pendente di fronte al giudice umbro, in forza della disciplina intertemporale cristallizzata al comma 5 dell’art. 2-bis d.l. 28/2020. Quest’ultimo stabilisce, infatti, che il novum opera per tutti i provvedimenti di revoca della detenzione domiciliare o del differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020. Preso atto di ciò, la Consulta ha affermato non solo che le modifiche, introdotte in sede di conversione, «mirano a una più intensa tutela del diritto di difesa del condannato, cui è ora garantita una piena partecipazione al procedimento avanti il tribunale di sorveglianza nel termine perentorio di trenta giorni decorrenti dal provvedimento di revoca», ma anche che le stesse «sono orientate “nella stessa direzione dell’ordinanza di rimessione” […], con un effetto che potrebbe essere ritenuto suscettibile di ridimensionare, o al limite di emendare, i vizi denunciati dal rimettente»[23]. Orbene, partendo da tali premesse, la Corte ha sostenuto che, ferma restando la rilevanza della questione sollevata in precedenza, dovesse spettare necessariamente al magistrato umbro «la responsabilità di valutare in concreto l’incidenza di tali modifiche in riferimento alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate»[24]. Da qui la decisione – comunque indicativa del fatto che la Consulta abbia considerato le modifiche apportate dal legislatore, in sede di conversione, di una qualche importanza – di restituire gli atti al giudice a quo.

 

6. Ebbene, mediante la pronuncia in commento, il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha adempiuto alle indicazioni della Corte costituzionale, rivalutando la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità presentate, alla luce dello ius superveniens. Peraltro, come si è già avuto modo di anticipare, il giudice umbro ha dimostrato di non essere persuaso del fatto che il meccanismo di revoca accelerata in esame, per come modificato dalla l. 70 del 2020, si ponga ora in linea con la Carta fondamentale[25]. Nell’atto di promovimento qui pubblicato, questi ha, invero, sostenuto che anche l’art. 2-bis del d.l. 28/2020 presenterebbe profili di frizione con gli artt. 3, 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost., che spetterebbe al giudice delle leggi eliminare.

Ciò posto, è bene precisare che, a supporto di tale valutazione critica, il decisore ha portato molti argomenti analoghi a quelli già utilizzati nella propria originaria ordinanza di rimessione alla Consulta.

Così, ad esempio, anche nella nuova pronuncia, il giudice a quo ha richiamato una serie di riti tipici della giurisdizione di sorveglianza, in cui il contraddittorio viene a subire limitazioni, onde dimostrare come la procedura di cui all’art. 2-bis del d.l. 28/2020 presenti, dal punto di vista testuale, uno standard di garanzie inferiore rispetto ad essi, ponendosi, pertanto, oltre il filo del rasoio della legittimità costituzionale.

Per un altro verso, il rimettente ha continuato a ritenere impraticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata della previsione de qua, secondo cui, pur in assenza di un richiamo testuale, il difensore del condannato/internato potrebbe comunque interloquire efficacemente con il magistrato di sorveglianza sulla revoca della detenzione domiciliare o del differimento. A suo dire, infatti, anche ove si ammettesse che l’avvocato fosse autorizzato a presentare una memoria in proposito (come avvenuto nel caso di specie), tale attività difensiva non potrebbe che svolgersi “alla cieca[26], risultando, pertanto, di scarsa utilità, dal momento che l’art. 2-bis non attribuisce in modo espresso in capo all’interessato e al suo legale un diritto di accedere all’istruttoria compiuta dall’autorità giudiziaria.

Allo stesso tempo, l’ordinanza in commento ha prospettato un contrasto della nuova disciplina con l’art. 3 Cost. sotto due profili in toto sovrapponibili rispetto a quelli già indicati nell’atto di promovimento antecedente. In primo luogo, è stata, infatti, censurata la sussistenza di una disparità di trattamento tra la fattispecie in cui a decidere sulla revoca sia l’organo monocratico rispetto ai casi in cui a ciò provveda il tribunale di sorveglianza; e ciò sulla base dell’idea per cui sarebbe scorretto che, solo in tale seconda ipotesi, «il procedimento di rivalutazione [venga] condotto nel pieno rispetto del contraddittorio»[27]. Di talché, in buona sostanza, la violazione dell’art. 3 Cost. verrebbe sotto questo profilo in rilievo «nella misura in cui si applicherebbe la procedura di rivalutazione secondo le forme del contraddittorio pieno o, viceversa, senza alcuna facoltà della difesa o dello stesso interessato di replicare sui risultati istruttori, “soltanto in base al dato del tutto casuale che rispetto alla pronuncia interinale del magistrato di sorveglianza sia già intervenuta la decisione in via definitiva dinanzi al tribunale di sorveglianza, oppure la stessa risulti calendarizzata in tempi successivi”»[28]. In secondo luogo, il rimettente ha continuato a censurare la ragionevolezza del modo in cui il legislatore ha selezionato i gravi delitti per cui opera il procedimento di rivalutazione in esame, non essendo l’elenco ivi cristallizzato neppure corrispondente con quello di cui all’art. 4-bis ord. penit. In tal senso, si è, infatti, nuovamente osservato come «questa opzione normativa finisca per assegnare ad alcuni autori di reato soltanto, senza che questa cernita si colleghi in alcun modo ad una speciale incidenza sugli stessi dell’emergenza sanitaria da COVID19 […] un procedimento meno garantito e fortemente orientato verso il ripristino della detenzione».

Peraltro, com’era inevitabile, il cuore dell’ordinanza in epigrafe è rappresentato dal passaggio in cui il magistrato di sorveglianza ha valutato più specificatamente l’idoneità delle innovazioni introdotte all’istituto in esame dalla l. di conversione n. 70 del 2020 a fugare i dubbi concernenti il rispetto del diritto di difesa e di quello al contraddittorio. Orbene, a questo proposito merita precisare che il rimettente è giunto a sostenere che i profili di frizione tra l’art. 2-bis del d.l. 28/2020 e gli artt. 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost. continuerebbero a permanere, valorizzando in modo più significativo, rispetto alla sua prima ordinanza, l’incidenza negativa che l’istituto in esame è in grado di produrre sul diritto fondamentale di cui all’art. 32 Cost.; il quale – è bene chiarirlo – ha continuato a non essere però richiamato nel dispositivo tra i parametri indicati alla Consulta, ma solo nel corpo del testo.

A tal proposito, si è, più precisamente, insistito sul fatto che il termine di trenta giorni dalla ricezione del provvedimento di revoca della misura da parte dell’organo monocratico, entro cui il tribunale di sorveglianza è chiamato a pronunciarsi, secondo la procedura garantita di cui agli artt. 666 e 678 c.p.p., sarebbe eccessivamente lungo rispetto al pericolo, potenzialmente repentino, di contagio dell’interessato, derivante dalla sua (re)introduzione nel circuito detentivo. A detta del magistrato di sorveglianza, infatti, «la rivalutazione collegiale di eventuale ripristino della misura diversa dalla detenzione potrebbe giungere oramai tardivamente», stante «la subitanea[,] implacabile rapidità» della pandemia da COVID-19. Insomma, secondo il ragionamento seguito dal giudice a quo, se, in linea generale, i modelli processuali a contraddittorio eventuale e differito non si porrebbero in contrasto con la Carta fondamentale, un tanto non potrebbe affatto valere per il meccanismo di frequente rivalutazione di cui all’art. 2-bis del d.l. 28/2020. Quest’ultimo, infatti, data la sua idoneità a incidere in tempi brevi «anche drammaticamente sulla tutela della salute dell’interessato», richiederebbe per forza un coinvolgimento del condannato/internato e del suo difensore prima di una sua riconduzione in vinculis; e ciò in quanto il vaglio collegiale ex post sulla decisione di revoca immediatamente esecutiva, presa dall’organo monocratico, correrebbe il rischio di dimostrarsi «oramai tardivo e inefficace» per tutelare adeguatamente l’individuo.

Il giudice a quo non si è peraltro limitato a tali considerazioni, ma ha anche affermato che la mancata previsione da parte dell’art. 2-bis del d.l. 28/2020 di un contraddittorio anticipato con il beneficiario circa la possibile revoca della misura, disposta per ragioni legate all’epidemia, sarebbe idonea a produrre esiziali deficit di conoscenza in capo al magistrato di sorveglianza. A parere del rimettente, infatti, il malato «potrebbe all’esterno aver intrapreso accertamenti diagnostici od essersi sottoposto […] a[] cure, di cui [l’autorità giudiziaria] non può avere cognizione e che, soprattutto, non può confrontare con l’offerta di cura e di protezione dal contagio propostegli dall’amministrazione penitenziaria», trovandosi, pertanto, costretta a prendere una decisione – quantomai delicata – sulla base di un compendio istruttorio non sufficientemente esaustivo.

Non è però tutto. Si è ulteriormente precisato che, a seguito della fissazione del termine perentorio di trenta giorni per l’intervento del tribunale di sorveglianza, da parte della l. n. 70 del 2020, siffatta situazione di «difetto di conoscenza» rischierebbe di affliggere anche il procedimento dinnanzi al tribunale di sorveglianza. A sostegno di tale affermazione è stato, in particolare, osservato che la sanzione dell’inefficacia della revoca della misura, conseguente al mancato rispetto di detto termine per l’intervento del collegio, finirebbe per porre l’autorità giudiziaria «di fronte al possibile nodo gordiano di una valutazione tempestiva, ma privata della possibilità di svolgere, ad esempio, approfondimenti peritali, oppure di un rinvio a tale scopo che inevitabilmente travolge[rebbe] la intervenuta revoca e riconduce in libertà, per un’ulteriore frazione di tempo, il condannato». Ciò posto, il rimettente ha ulteriormente precisato che, in un tale contesto, «lo stesso intervento della difesa, finalmente chiamata ad interloquire in questo momento collegiale, rischia […] di apparire non soltanto tardivo ma, [….] rispetto ad un procedimento in cui la tutela della salute è al cuore della decisione da assumersi, non pienamente efficace».

 

7. Nonostante gli sforzi argomentativi del giudice a quo, l’ordinanza non appare impeccabile.

Anzitutto, non si può fare a meno di notare come già il petitum del provvedimento presenti qualche profilo di ambiguità. Se, infatti, dalla lettura del solo dispositivo, si sarebbe portati a pensare che il rimettente abbia inteso ottenere una pronuncia totalmente ablativa della norma de qua (quantomeno nella parte in cui essa affida anche all’organo monocratico il potere di revocare in modo accelerato la detenzione domiciliare e il differimento), da un’analisi complessiva della stessa le cose non sembrano stare esattamente così. Deve, infatti, essere rilevato come larga parte dell’atto pare, invece, strutturato, almeno nella sostanza, in forma manipolativa. Il rimettente ha, invero, fatto chiaramente trasparire l’opinione per cui, laddove il meccanismo in esame venisse integrato, prevedendo adeguati spazi difensivi dinnanzi al magistrato di sorveglianza prima che questi prenda le proprie determinazioni in proposito, allora sarebbero superati molti dei profili di attrito con la Carta fondamentale. Ciò nonostante, «ai fini del conseguimento di tale obiettivo, è stata omessa [pressoché] ogni indicazione in ordine alla direzione e ai contenuti dell’intervento correttivo […], tra i molteplici astrattamente ipotizzabili»[29]. Alla luce di un tanto, non pare remota l’ipotesi che la Consulta finisca per dichiarare le censure oggi presentate inammissibili, sulla base della propria consolidata giurisprudenza per cui tale pronuncia in rito si impone in caso di indeterminatezza e ambiguità del petitum presentato dal rimettente[30].

Ciò posto, è bene in ogni caso chiarire che uno dei punti cardine del ragionamento del giudice a quo sembra, effettivamente, cogliere nel segno. Si allude, in particolare, all’affermazione secondo cui la strada del rafforzamento del contraddittorio differito sulla revoca della misura disposta dal magistrato di sorveglianza, seguita dalla l. n. 70 del 2020, non si adatta in modo soddisfacente alla fattispecie in esame. A ben vedere, non sembra che il nuovo comma 4 dell’art. 2-bis del d.l. 28/2020 abbia introdotto un “rimedio effettivo”, se parametrato ai diritti fondamentali che vengono in gioco in questo contesto. Difatti, l’intervento del collegio ivi previsto in tempi più certi e rapidi (ma comunque a distanza di decine di giorni) rischia comunque di essere tardivo e del tutto inefficace, visto il pericolo, potenzialmente immediato, per la salute del condannato/internato, laddove l’organo monocratico revochi, con un provvedimento subito esecutivo, la detenzione domiciliare o il differimento, concesso per ragioni legate al COVID-19. Di talché, pare difficile negare che il legislatore abbia fatto male a puntare su una categoria tradizionale, quale per l’appunto, quella del contraddittorio differito, tarata solo sui diritti di cui agli artt. 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost., quando, invece, nel caso in esame viene in gioco anche un rischio repentino per la salute dell’individuo. Una situazione emergenziale inedita e in continua evoluzione, quale quella odierna, richiede, del resto, scelte quantomai tempestive, che, inevitabilmente, non si conciliano in modo armonico con l’idea di posporre in un periodo successivo garanzie fondamentali. Se un tanto è vero risulta, a ogni modo, criticabile il fatto che, sebbene la connessione tra artt. 24, comma 2/111, comma 2, Cost. e art. 32 Cost. rappresenti la vera a propria chiave di volta dell’intero atto di promovimento, il giudice a quo non abbia inserito un richiamo a quest’ultimo parametro nel dispositivo.

 

8. Sennonché, i dubbi di legittimità avanzati nell’ordinanza in commento non sembrano comunque fondati nel merito. Ci pare, infatti, che la pronuncia del rimettente presenti un difetto significativo: questa non ha sperimentato con la dovuta cura ogni tentativo ammesso dalla lettera della legge di interpretare in modo costituzionalmente orientato l’art. 2-bis del d.l. 28/2020. Per contro, tale strada non è del tutto preclusa, dal momento che sembra possibile individuare una norma, idonea a ridurre radicalmente le frizioni tra il meccanismo in esame e le garanzie fondamentali di cui agli artt. 3, 24, comma 2, 32 e 111, comma 2, Cost.

Ci si riferisce, in particolare, all’art. 121 c.p.p., il quale stabilisce, per un verso, che «in ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito nella cancelleria», e, per un altro, che «sulle richieste ritualmente formulate il giudice provvede senza ritardo e comunque, salve specifiche disposizioni di legge, entro quindici giorni». Quella appena citata è, com’è noto, una previsione caratterizzata da una portata generale[31], connessa a doppio filo ai principi di cui all’art. 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost., la quale è già stata ritenuta operante anche dalla Cassazione nell’ambito della giurisdizione di sorveglianza[32]. Del resto, a tale riguardo, non si può fare a meno di notare come il legislatore, stabilendo che l’art. 121 c.p.p. si applichi «in ogni stato e grado del procedimento», ne abbia tarato la portata temporale da un punto di vista testuale esattamente sull’art. 24, comma 2, Cost., il quale, senza dubbio alcuno, opera anche in executivis[33]. Di conseguenza, essendo la previsione codicistica una delle regole chiave previste dall’ordinamento processuale al fine di dare attuazione al diritto di difesa, non si vede perché la stessa dovrebbe avere una portata applicativa cronologica più limitata. Negare l’operatività in assoluto dell’art. 121 c.p.p. in sede di sorveglianza significherebbe, infatti, abbassare radicalmente lo standard di tutela di cui all’art. 24, comma 2, c.p.p. in siffatto contesto, compiendosi così un’operazione esegetica del tutto incoerente rispetto ai beni fondamentali (come la libertà e la salute), che vengono in gioco in tale delicata fase. È, d’altra parte, del tutto ovvio che la possibilità per il condannato di “difendersi argomentando” tramite memorie risulta essenziale anche dopo il formarsi del giudicato; il che è vero tanto più nei casi in cui la giurisdizione di sorveglianza si configuri in termini di processo di parti, come avviene proprio nel caso di revoca delle misure alternative.

Né, è d’uopo precisarlo, all’interno dell’art. 2-bis del d.l. 28/2020 può individuarsi alcuna norma speciale espressa, idonea a impedire l’operatività della previsione di cui all’art. 121 c.p.p., nel caso in cui a decidere sulla revoca sia il magistrato di sorveglianza[34]. La regola in esame è, invero, del tutto silente circa le forme da seguire per effettuare la rivalutazione, essendovi, di conseguenza, lo spazio per riempire tale lacuna tramite una regola di portata generale, quale l’art. 121 c.p.p. E ciò, si badi, tanto più laddove un’operazione interpretativa siffatta sia in grado di riportare nell’alveo della compatibilità con i principi fondamentali un meccanismo altrimenti a rischio di legittimità costituzionale.

Applicare le garanzie di cui all’art. 121 c.p.p. nell’ambito del meccanismo di revoca accelerata in questione, in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata, produce, infatti, conseguenze evidenti sulla tenuta dell’art. 2-bis del d.l. 28/2020 rispetto alla Carta. Ove, infatti, si ritenga possibile far operare lo stesso in questo contesto, il condannato/internato o il suo difensore potrebbero, anzitutto, presentare una richiesta – a cui il giudice dovrebbe necessariamente rispondere[35] – finalizzata a ottenere la trasmissione dei pareri istruttori, che il magistrato di sorveglianza deve raccogliere per poter decidere[36]. In secondo luogo, la difesa potrebbe depositare una propria memoria (se del caso avvalorata pure da attività di indagine difensiva, la quale – è bene ricordarlo – è esperibile anche nell’esecuzione penale ex art. 327-bis c.p.p.[37]), volta a spiegare al decisore perché, per le condizioni di salute dell’individuo o la tipologia di cure iniziate all’esterno, risulti ancora necessario mantenere in vigore il provvedimento di detenzione domiciliare o di differimento dell’esecuzione della pena assunto in precedenza.

Ci pare pertanto, che, mediante l’applicazione dell’art. 121 c.p.p. in questo contesto, si risolverebbe la quasi totalità delle critiche sollevate dal rimettente nei confronti dell’art. 2-bis[38]. In tal modo, infatti, diventerebbe, anzitutto, possibile instaurare quantomeno un contraddittorio cartolare tra la difesa e l’autorità giudiziaria antecedente al momento in cui il magistrato di sorveglianza è chiamato ad assumere le proprie determinazioni, dando così vita a una disciplina in linea con i crismi minimi della giurisdizionalità di cui agli artt. 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost. Per di più, l’organo monocratico, potendo leggere anche l’opinione dell’interessato, verrebbe messo nelle condizioni di decidere in modo maggiormente informato su una questione chiave per la salute dell’individuo, assicurandosi così una migliore tutela del diritto fondamentale di cui all’art. 32 Cost. Infine, di tutto questo materiale potrebbe, ovviamente, giovarsi anche il tribunale di sorveglianza, allorquando è chiamato a confermare o meno la misura in via definitiva. A quest’ultimo avere già a disposizione la documentazione difensiva siffatta (se del caso, integrata da altra eventualmente emersa in seguito) potrebbe, invero, servire per valutare in tempi più rapidi la necessità di disporre eventuali approfondimenti istruttori ulteriori ex art. 666, comma 5 e 185 disp. att. c.p.p.[39] sulle condizioni di salute dell’interessato, ottenendosi così un risparmio di tempo utile a rispettare il termine di trenta giorni di cui all’art. 2-bis, comma 4, d.l. 28/2020.

In definitiva, se è vero che il legislatore, mediante l’articolo in esame, ha dato vita a un istituto decisamente mal costruito, frutto di un criticabile clima ispirato al “populismo penale”, non sembra che il destino della costituzionalità dello stesso sia per forza segnato.

 

 

 

[1] Per un primo commento dell’ordinanza, cfr. V. Manca, “The match goes on”: il Magistrato di Sorveglianza solleva nuovamente questione di legittimità costituzionale sul decreto legge n. 29/2020, in il Penalista, 9 settembre 2020.

[2] In tema, cfr. G. Fiandaca, Scarcerazioni per motivi di salute, lotta alla mafia e opinione pubblica, in questa Rivista, 19 maggio 2020, nonché G. Daraio, Emergenza epidemiologica da Covid-19 e sistema penitenziario, in Dir. pen. proc., 2020, p. 947 e s.

[3] Al riguardo, cfr. P. Canevelli, La magistratura di sorveglianza tra umanità della pena e contrasto alla criminalità organizzata: le soluzioni contenute nel D.L. 30 aprile 2020, n. 28, in Giustizia insieme, 8 maggio 2020; A. Della Bella, Emergenza COVID e 41 bis: tra tutela dei diritti fondamentali, esigenze di prevenzione e responsabilità politiche, in questa Rivista, 1° maggio 2020; G. Pestelli, D.L. 28/2020: nuove misure urgenti su intercettazioni, ordinamento penitenziario, giustizia e sanità, in il Quotidiano Giuridico, 4 maggio 2020; nonché, M. Gialuz, L’emergenza nell’emergenza: il decreto-legge n. 28 del 2020, tra ennesima proroga delle intercettazioni, norme manifesto e “terzo tempo” parlamentare, in questa Rivista, 1° maggio 2020.

[4] Sul quale, cfr., tra i molti, M. Brucale, Decreto legge n. 29, 10 maggio 2020. Alcune riflessioni, in Penale. Diritto e Procedura, 14 maggio 2020; L. Cesaris, Il d.l. n. 29 del 2020: un inutile e farraginoso meccanismo di controllo, in Giurisprudenza Penale Web, 23 maggio 2020; F. Fiorentin, Con controlli cadenzati sui casi blindate le procedure per i benefici, in Guida dir., 2020, n. 23, p. 114 e ss.; C. Minnella, Ennesimo d.l. per “monitorare” le scarcerazioni legate all’emergenza coronavirus di imputati e condannati, in il Penalista, 11 maggio 2020; G. Pestelli, D.L. 29/2020: obbligatorio rivalutare periodicamente le scarcerazioni connesse all’emergenza Covid-19, in il Quotidiano Giuridico, 13 maggio 2020.

[5] In proposito, v., in particolare, L. Cesaris, Il d.l. n. 29 del 2020, cit.; F. Gianfilippi, La rivalutazione delle detenzioni domiciliari per gli appartenenti alla criminalità organizzata, la magistratura di sorveglianza e il corpo dei condannati nel d.l. 10 maggio 2020 n. 29, in Giustizia insieme, 12 maggio 2020; A. Pulvirenti, COVID-19 e diritto alla salute dei detenuti: un tentativo, mal riuscito, di semplificazione del procedimento per la concessione dell’esecuzione domiciliare della pena (dalle misure straordinarie degli artt. 123 e 124 del d.l. n. 18/2020 alle recenti novità del d.l. n. 29/2020), in Leg. pen., 26 maggio 2020, p. 32 e ss.

[6] Il magistrato o il tribunale di sorveglianza devono, infatti, procedere alla rivalutazione, di norma, entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile. Per contro, essi sono chiamati a intervenire immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini appena indicati, nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunichi la disponibilità di strutture o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla misura.

[7] Dopo le modifiche intervenute in sede di conversione del d.l. 29/2020 (sul punto cfr. sub § 4) il legislatore ha stabilito, invece, che a rendere il parere sia il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna.

[8] Cfr. il C.S.M., Parere sul Decreto legge 10 maggio 2020 n. 29, in materia penitenziaria, delibera 17 giugno 2020, in www.csm.it, p. 9.

[9] Ci si riferisce alla nota della Giunta dell’U.C.P.I., I penalisti sul DL scarcerazioni: una vergogna, 10 maggio 2020, in www.camerepenali.it, nonché al documento Memoria per l’audizione dinanzi alla Commissione Giustizia del Senato della Repubblica del 13 maggio 2020. Le considerazioni dell’Unione delle Camere Penali Italiane, in www.senato.it.

[10] La citazione è tratta da G. Fiandaca, Scarcerazioni per motivi di salute, cit.

[11] Cfr., in proposito, U.C.P.I., Prime Osservazioni sulle questioni di legittimità costituzionale del decreto 29/20, in www.camerepenali.it, 12 giugno 2020.

[12] Ci si riferisca a Mag. sorveglianza Spoleto, ord. 26 maggio 2020, in questa Rivista, 5 giugno 2020, con nota di M. Gialuz, Il d.l. antiscarcerazioni alla Consulta: c’è spazio per rimediare ai profili di illegittimità costituzionale in sede di conversione. Tra i vari commenti a tale ordinanza, cfr. S. Amato-M. Passione, Vuoti a perdere, in Diritto di difesa, 1o giugno 2020; M. Bortolato, Alla Corte costituzionale il decreto-legge sulle “scarcerazioni”, in Quest. giust., 29 maggio 2020; I. Conti, L’art. 2 del D.L. n. 29/20, c.d. Scarcerazioni, è incostituzionale?, in il Quotidiano Giuridico, 23 giugno 2020; L. Granozio, Dubbi sulla costituzionalità del decreto legge in materia di “scarcerazioni”, in Penale. Diritto e Procedura, 31 maggio 2020; A. Marandola, D.l. n. 29 del 2020: sollevati i primi dubbi di legittimità costituzionale, in il Penalista, 3 giugno 2020.

[13] Si veda, ad esempio, Corte cost., 5 dicembre 2003, n. 352, in www.cortecostituzionale.it.

[14] Cfr. Mag. sorveglianza Avellino, 3 giugno 2020, in Giurisprudenza penale web.

[15] Il rinvio va a Trib. sorv. Sassari, ord. 9 giugno 2020, in questa Rivista, 10 giugno 2020, con nota di A. Cabiale, Un’altra questione di legittimità costituzionale si abbatte sul d.l. antiscarcerazioni: questa volta entra in gioco il diritto alla salute. Sulla medesima pronuncia, cfr. anche V. Manca, Il decreto legge n. 29/2020 non trova pace: sollevata un’altra questione di legittimità costituzionale, in il Penalista, 15 giugno 2020.

[16] Le citazioni sono tratte da Trib. sorv. Sassari, ord. 9 giugno 2020, cit.

[17] Cfr., ad esempio, gli emendamenti n. 2.0.1/7 e 2.0.1/12 a firma dei Senatori Caliendo, Modena, Dal Mas, disponibile in Atti Senato, Commissione Giustizia, Seduta n. 169 (ant.) del 4 giugno 2020.

[18] V. l’emendamento 2-bis.5, proposto dall’On. Bartolozzi e a., pubblicato nel Bollettino delle Giunte e Commissioni della Camera del 22 giugno 2020.

[19] Ci si riferisce al già citato emendamento 2.0.1/12.

[20] Sulla quale cfr. A. Cabiale, Covid e “scarcerazioni”: diventano legge, con alcune novità, i contenuti dei dd.ll. nn. 28 e 29 del 2020, in questa Rivista, 13 luglio 2020. In argomento, cfr. anche L. Cesaris, La conversione in legge del d.l. 28 del 2020 con legge n. 70 del 2020 non elide i dubbi e le perplessità sulle scelte del legislatore, in Giurisprudenza Penale Web, 5 agosto 2020; G. Daraio, Emergenza epidemiologica da Covid-19, cit., p. 952 e s.; L. Degl’Innocenti-F. Faldi, I decreti di primavera e le novità in materia di ordinamento penitenziario: la conversione del d.l. 28/2020 e l’“abrogazione” del d.l. 29/2020, in il Penalista, 6 luglio 2020; F. Fiorentin, Poche modifiche alle regole sui benefici a chi è recluso, in Guida dir., 2020, n. 32, p. 65 e ss.; G. Pestelli, D.L. 28/2020 e D.L. n. 29/2020: tutte le modifiche apportate in sede di conversione, in il Quotidiano Giuridico, 26 giugno 2020.

[21] Le citazioni sono tratte da A. Cabiale, Covid e “scarcerazioni”, cit.

[22] Ci si riferisce a Corte cost., 22 luglio 2020, n. 285, in questa Rivista, 1o agosto 2020, con osservazioni di E. Andolfatto, Un’ordinanza interlocutoria della Consulta sul “decreto antiscarcerazioni”. In proposito, cfr. anche I. Conti, Conversione del D.L. Scarcerazioni: la Consulta rimanda gli atti a Spoleto, in il Quotidiano Giuridico, 29 luglio 2020.

[23] Cfr. Corte cost., ord. 22 luglio 2020, n. 285, cit.

[24] La citazione è tratta sempre da Corte cost., ord. 22 luglio 2020, n. 285, cit.

[25] In dottrina, nello stesso senso, cfr., ad esempio, L. Cesaris, La conversione in legge, cit., p. 8 e ss. Contra, invece, G. Pestelli, D.L. 28/2020 e D.L. n. 29/2020: tutte le modifiche apportate in sede di conversione, cit., secondo cui le modifiche avrebbero assicurato il pieno rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio.

[26] In termini analoghi, cfr. L. Cesaris, Il d.l. n. 29 del 2020, cit., p. 6.

[27] La citazione è tratta da M. Gialuz, Il d.l. antiscarcerazioni alla Consulta, cit.

[28] Cfr. ancora M. Gialuz, Il d.l. antiscarcerazioni alla Consulta, cit.

[29] La citazione è tratta da Corte cost., 17 luglio 2015, n. 269, in www.cortecostituzionale.it e da Corte cost., 18 luglio 2014, n. 220, ivi.

[30] Cfr., tra le pronunce più recenti, oltre a quelle citate alla nota precedente, Corte cost., 24 maggio 2019, n. 125, in www.cortecostituzionale.it.

[31] In proposito, cfr., ad esempio., Cass., sez. II, 16 maggio 2019, n. 32736, in DeJure.

[32] Si vedano, ad esempio, a tal proposito, Cass., sez. I, 25 marzo 2011, n. 18600, in DeJure (in materia di riabilitazione); Cass., sez. I, 3 marzo 2011, n. 15134, ivi (in materia di affidamento in prova) e Cass., sez. I, 25 febbraio 2011, n. 11481, ivi (in materia di reclamo), ove si afferma che «il legislatore del 1988 ha inteso accordare il diritto di presentare memorie e richieste scritte al giudice in ogni stato e grado del procedimento. Come si desume dalla relazione al testo definitivo del codice, l’originario riferimento al processo è stato rimosso, al fine di consentire l’applicazione generalizzata della norma».

[33] In proposito, cfr., da ultimo, F. Della Casa-G. Giostra, Manuale di diritto penitenziario, Torino, 2020, p. 263.

[34] Nella previsione in questione non compare neppure, ad esempio, la dicitura “senza formalità di procedura”, ossia quella classicamente utilizzata dal legislatore per indicare che un rito debba svolgersi del tutto de plano.

[35] Cfr., Cass., sez. I, 3 marzo 2011, n. 15134, cit.

[36] A ben vedere, a fronte della possibilità che il procedimento di rivalutazione accelerato venga avviato ex officio “immediatamente” (e non entro il termine di quindici giorni), laddove il D.a.p. comunichi la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto, sembra consigliabile alla difesa adottare una cautela. Onde essere certa di poter visionare in tempo i pareri istruttori, sembra utile che la stessa chieda all’autorità giustizia, fin dall’emissione della misura della detenzione domiciliare o del differimento, di trasmettere, non appena disponibili, i pareri di cui all’art 2-bis d.l. 28/2020.

[37] In proposito, cfr., per tutti, E. Lorenzetto, Il diritto di difendersi indagando nel sistema processuale penale, Napoli, 2013, p. 746 e s.; M. Ruaro, La magistratura di sorveglianza, Milano, 2009, p. 381 e ss.

[38] L’unica censura su cui non impatta l’applicazione dell’art. 121 c.p.p. allo strumento in esame è quella che riguarda l’ambito di operatività dello stesso (considerato lesivo dell’art. 3 Cost.). Ciò nonostante, anche tale dubbio di legittimità non pare destinato ad avere successo, tenuto conto del fatto che, da un lato, il legislatore ha comunque un’ampia discrezionalità nello stabilire a quali reati far applicare un regime speciale quale quello in esame e, da un altro, che, avendo comunque selezionato solo fattispecie di particolare allarme sociale, non pare aver compiuto una scelta del tutto irragionevole in proposito.

[39] Pare utile ricordare come in dottrina si sia affermato, a più voci, che il giudice potrebbe fare applicazione di tali previsioni generali in materia istruttoria anche all’interno del rito in esame: cfr., in proposito, ad esempio, L. Cesaris, Il d.l. n. 29 del 2020, cit., p. 6; G. Pestelli, D.L. n. 28/2020 e D.L. n. 29/2020, cit., nonché lo stesso F. Gianfilippi, La rivalutazione delle detenzioni domiciliari, cit.