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12 Giugno 2020


Un’interessante pronuncia di merito sulla configurabilità degli arresti domiciliari “a termine” tra assetto codicistico e decreto-legge n. 29 del 2020

Trib. Lecce, Sez. Riesame, ord. 1° giugno 2020



1. Nell’ordinanza in commento, il Tribunale del riesame di Lecce ha affrontato un tema di particolare interesse, attinente alla possibilità di concedere la misura degli arresti domiciliari “a termine”, vale a dire in relazione a una situazione di incompatibilità temporanea, dettata da ragioni di salute, con la custodia cautelare in carcere. La questione è strettamente correlata alla disciplina di cui all’art. 275, comma 4-bis, c.p.p., la quale, come noto, prevede una presunzione in bonam partem di incompatibilità della custodia cautelare in carcere, in ragione dello stato di salute dell’imputato[1].

Al riguardo, va precisato che l’assetto codicistico è silente sul punto; e ciò a dispetto della disciplina dell’esecuzione e, in particolare, in materia di detenzione domiciliare cosiddetta umanitaria o surrogatoria di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit. Tale disposizione, infatti, prevede espressamente che all’applicazione della misura domiciliare in analisi si accompagni la fissazione di un termine di durata, che può essere prorogato.

Dal canto suo, la giurisprudenza di legittimità, con una recente pronuncia – sollecitata, peraltro, proprio a seguito di un ricorso avverso un’ordinanza del Tribunale di Lecce – ha escluso la configurabilità di una soluzione analoga in ambito cautelare, in ragione della riserva di legge e giurisdizione che viene in rilievo nella specifica materia, ai sensi dell’art. 13 Cost.[2]. La Corte di cassazione ha, in particolare, stabilito l’illegittimità di un’ordinanza che, rispetto a «una temporanea incompatibilità con il regime carcerario determinata da motivi di salute […], disponga la sostituzione a termine della misura custodiale con gli arresti domiciliari prevedendone il rispristino alla scadenza, previa verifica della condizione di compatibilità carceraria»[3].

A fronte di tale assetto è intervenuto, da ultimo, il d.l. 10 maggio 2020, n. 29, nell’ambito della decretazione d’urgenza dettata dall’emergenza sanitaria da COVID-19[4].

Come noto, la novella, al pari del d.l. 30 aprile 2020, n. 28[5], si colloca sull’onda delle polemiche politico-mediatiche in ordine alle scarcerazioni di detenuti condannati o in attesa di giudizio appartenenti alla criminalità organizzata[6]. Ma al di là delle perplessità che possono destare tali ragioni[7], in questa sede preme valorizzare quanto previsto dall’art. 3 della nuova disciplina, specificamente dedicato alla materia cautelare. La previsione pare infatti aver apportato una rilevante novità al tema in esame, limitatamente agli imputati di determinati gravi delitti – tra cui quello ex artt. 416-bis c.p. – o sottoposti al regime detentivo speciale ai sensi dell’art. 41-bis ord. penit.

In queste ipotesi, è stata configurata – in analogia, del resto, con quanto stabilito nell’art. 2 d.l. n. 29 del 2020 – una rivalutazione costante della permanenza dei «motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19», che hanno determinato la sostituzione della misura ex art. 285 c.p.p. con quella degli arresti domiciliari. E questo nell’ottica di un eventuale ripristino della custodia cautelare in carcere.

In particolare, è stato previsto che il pubblico ministero sia tenuto a vagliare in modo continuativo la sussistenza dei motivi correlati all’emergenza sanitaria, che hanno giustificato la sostituzione della misura custodiale maggiormente gravosa. In particolare, ciò deve avvenire entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento applicativo degli arresti domiciliari e, successivamente, a intervalli mensili; tuttavia, la pubblica accusa è tenuta a procedere a prescindere da tali termini, se il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di adeguate strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta[8].

A seguito di tale verifica, il pubblico ministero ha il potere-dovere di chiedere – purché sussistano le originarie esigenze cautelari – il ripristino della custodia cautelare in carcere in presenza di due situazioni: il sopravvenuto mutamento delle condizioni che hanno determinato la sostituzione della misura o la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta, idonee a salvaguardare le condizioni di salute del prevenuto.

Il comma 2 dell’art. 3 d.l. n. 29 del 2020 prevede altresì che il giudice, salvo che disponga la revoca della misura ai sensi dell’art. 299, comma 1, c.p.p., sia tenuto a effettuare precisi adempimenti istruttori. In linea con quanto sancito dall’art. 2 della novella, devono essere, in particolare, sentiti sia l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale, sia il DAP in ordine alla disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta, in cui l’imputato può essere nuovamente sottoposto alla misura di cui all’art. 285 c.p.p., senza pregiudizio delle condizioni di salute. Da ultimo, nel caso in cui l’autorità giudiziaria non sia in grado di decidere allo stato degli atti, la disposizione precisa che possono essere disposti, «d’ufficio e senza formalità», accertamenti sullo stato di salute del prevenuto o procedere a perizia.

Ebbene, l’intervento in analisi sarebbe stato dettato da un quadro normativo che appariva carente[9]. In particolare, con riferimento al sistema delle misure cautelari, si è rilevato che la facoltà di sostituzione in peius della misura cautelare disposta sarebbe prevista esclusivamente in caso di aggravamento dei pericula libertatis ai sensi dell’art. 299 c.p.p. o di trasgressione delle prescrizioni attinenti alla misura cautelare ex art. 276 c.p.p.[10]; situazioni dunque ben diverse da un superamento delle ragioni connesse all’emergenza sanitaria, correlate alle condizioni di salute dell’imputato, tale da far venire meno l’eventuale incompatibilità con la custodia cautelare in carcere.

 

2. In tale articolato assetto si colloca l’ordinanza in commento.

In particolare, nel caso di specie, era stata disposta la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di una persona sottoposta alle indagini, in relazione ai delitti di partecipazione ad associazione di tipo mafioso e di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico ex artt. 416-bis c.p. e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, nonché per detenzione illegale di armi e spaccio di sostanze stupefacenti. Avverso l’ordinanza applicativa della misura, era stata presentata istanza di riesame, la quale veniva rigettata, con provvedimento, poi confermato da parte della Corte di cassazione ex art. 311 c.p.p.

Il 17 marzo 2020, nell’ambito dell’emergenza sanitaria da coronavirus, veniva formulata dalla difesa istanza di sostituzione della misura con quella degli arresti domiciliari, alla luce dello stato di salute del prevenuto, ritenuto incompatibile con il regime custodiale di massimo rigore. Tuttavia, il giudice per le indagini preliminari rigettava tale richiesta, sulla scorta della considerazione secondo cui la malattia dell’interessato non avrebbe esposto il medesimo a un maggiore rischio di contagio, derivante dall’emergenza epidemiologica in corso, rispetto agli altri detenuti.

Contro tale provvedimento veniva formulato appello ai sensi dell’art. 310 c.p.p., su cui si è pronunciato il Tribunale della libertà con l’ordinanza in esame.

Alla luce dei risultati della perizia disposta, i Giudici hanno ritenuto l’appello della difesa fondato e, dunque, meritevole di accoglimento. Si è, in particolare, affermato che, sulla scorta delle conclusioni del perito, sussisterebbe nel caso di specie una «”incompatibilità temporanea” delle condizioni di salute dell’indagato con la custodia cautelare in carcere» per un lasso temporale di circa sei mesi, giustificato in ragione delle patologie di cui sarebbe affetto l’interessato, nonché dal suo maggior rischio di contagio da COVID-19.

Sennonché, proprio tale considerazione ha indotto il Tribunale di Lecce a svolgere un’approfondita disamina sull’applicabilità dei cosiddetti arresti domiciliari “a tempo”, alla luce sia della disciplina codicistica, sia del recente d.l. n. 29 del 2020. In merito, preme anticipare che i Giudici hanno risolto la questione ritenendo certamente applicabile al caso di specie la recente novella normativa; nondimeno, il carattere controverso del tema sembra aver sollecitato il Tribunale a dedicarvi un’ampia analisi sul piano della legislazione ordinaria, per poi poter trattare la novità introdotta dalla decretazione d’urgenza.

 

3. Così, quanto al primo profilo, i Giudici hanno messo in evidenza il recente arresto della Corte di cassazione sopra richiamato, che, come visto, ha escluso, sulla scorta della disciplina dettata dal codice di procedura penale, la legittimità di una misura coercitiva disposta “a termine”[11].

Tuttavia, il Tribunale è pervenuto a una soluzione opposta, sulla scorta di diversi argomenti.

Al riguardo, va precisato che la pronuncia in esame ha dato atto dell’assenza di una previsione codicistica, tale da configurare espressamente il ripristino della custodia cautelare in carcere, una volta che siano stati disposti gli arresti domiciliari, per una “incompatibilità temporanea” con la misura ex art. 285 c.p.p.

Del pari, sono state richiamate le disposizioni di cui agli artt. 276 e 299, comma 4, c.p.p., che, come già emerso, prevedono la sostituzione della misura cautelare applicata con una più grave, ma solo in presenza, rispettivamente, di una violazione delle prescrizioni riguardanti la cautela, o di un mutamento in negativo dei pericula libertatis.

I Giudici, però, hanno ravvisato il fondamento normativo della soluzione proprio nell’art. 275, comma 4-bis, c.p.p. Si è, in particolare, osservato che la previsione, nel caso di incompatibilità temporanea, si applicherebbe «solo ed esclusivamente per il tempo strettamente necessario ad effettuare i trattamenti terapeutici richiesti». Pertanto, una volta cessate le esigenze sanitarie, dovrebbe essere ripristinata la custodia cautelare in carcere, «salvo che, nel frattempo, siano venuti meno o si siano affievoliti i pericula libertatis posti a fondamento del provvedimento genetico di adozione del regime cautelare».

Nel pervenire a tale impostazione, il Tribunale ha in primo luogo ritenuto non condivisibile la motivazione della Suprema Corte. Secondo quanto emerso dalla pronuncia in commento, quest’ultima, in particolare, avrebbe basato il suo ragionamento, sulla scorta di una giurisprudenza ormai risalente, che aveva escluso la possibilità, al di fuori delle ipotesi normativamente previste, di applicare in maniera cumulativa le misure cautelari[12].

Ebbene, – ha osservato il Tribunale – tali decisioni sarebbero ormai superate sulla base della più recente giurisprudenza di legittimità, intervenuta successivamente alla riforma introdotta dalla l. n. 47 del 2015[13]. Pertanto, l’attuale quadro giurisprudenziale costituirebbe un argomento a favore e non contro l’ammissibilità di misure cautelari “a tempo”.

Inoltre, – hanno proseguito i Giudici – nella fattispecie sottoposta al vaglio della Corte, in linea, peraltro, con il caso di specie oggetto dell’ordinanza in commento, non sarebbe venuta in rilievo un’applicazione cumulativa di molteplici misure cautelari, ma l’«adozione “a termine” di un’unica misura […] con successivo ripristino della custodia cautelare in carcere».

In aggiunta a tali argomenti, il Tribunale ha affermato che la prospettata interpretazione dell’art. 275, comma 4-bis, c.p.p. sarebbe imposta da una lettura costituzionalmente orientata della previsione.

Ammettere diversamente, infatti, comporterebbe una lesione dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., laddove si andrebbe a parificare due situazioni – quali l’incompatibilità temporanea e permanente – assai differenti tra loro. Inoltre, sarebbe ravvisabile una disparità di trattamento tra l’imputato che godrebbe della misura meno gravosa, nonostante il superamento della fase transitoria di incompatibilità, e tutti coloro che, con il medesimo quadro cautelare, si troverebbero, invece, privati nel massimo grado della libertà personale.

Peraltro, – hanno continuato i Giudici – un eventuale contrasto con la Costituzione, e, in particolare, con il diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. si verificherebbe, qualora si interpretasse l’art. 275, comma 4-bis, c.p.p., nel senso di assumere rilievo esclusivamente nelle ipotesi di “incompatibilità permanente” con la custodia cautelare in carcere. Così facendo, infatti, si impedirebbe al prevenuto con problemi di salute meramente temporanei di beneficiare degli arresti domiciliari, in modo tale da poter godere delle cure mediche necessarie.

Quanto a quest’ultimo profilo, preme precisare che il Tribunale ha dato atto dell’istituto di cui all’art. 11, comma 4, ord. penit., che consente il trasferimento dell’imputato presso strutture sanitarie esterne di diagnosi o di cura, laddove «siano necessarie cure o accertamenti sanitari che non possono essere apprestati dai servizi sanitari presso gli istituti».

Tuttavia, si è osservato che la previsione sarebbe idonea a far fronte a esigenze di trattamento sanitario brevi e non di lunga durata. A detta del Tribunale, ciò, in particolare, sarebbe desumibile dal comma 5 del medesimo articolo, che prescrive, come regola, il cosiddetto piantonamento dell’interessato presso la struttura sanitaria; il che risulterebbe «inesigibile per prolungati periodi di tempo alla luce delle attuali risorse del nostro sistema penitenziario». Del pari, si è rilevato che spesso il trattamento medico richiesto può essere effettuato presso l’abitazione dell’interessato, onde per cui non sarebbe giustificabile un ricovero in apposite strutture, con conseguente – pure in tale prospettiva – aggravio delle risorse a disposizione.

Per di più, a supporto dell’impostazione, i Giudici hanno avanzato un argomento di carattere sistematico, sulla base di quanto previsto dall’art. 286-bis, comma 3, c.p.p. La previsione, in particolare, stabilisce, sia in presenza di esigenze diagnostiche al fine di accertare la sussistenza delle condizioni di salute di cui all’art. 275, comma 4-bis, c.p.p., sia a fronte di esigenze terapeutiche in favore di soggetti che si trovano già in stato di incompatibilità accertata, «il ricovero provvisorio in idonea struttura del Servizio sanitario nazionale». Ebbene, è stato considerato dirimente l’inciso contenuto nel medesimo comma, secondo cui, una volta terminate le delineate esigenze, «il giudice provvede a norma dell’art. 275 c.p.p.».

Del resto, – si è ulteriormente argomentato – la soluzione prospettata sarebbe in perfetta linea con i caratteri di elasticità e duttilità che connotano l’intera materia cautelare; a ben vedere, proprio tale flessibilità che informa il contesto in esame «mal si concilier[ebbe] con la “cristallizzazione” di una misura cautelare oltre il tempo strettamente coincidente con la persistenza dei presupposti che ne hanno propiziato l’applicazione».

Ancora, si è rilevato che un’interpretazione diversa dell’art. 275, comma 4-bis, c.p.p., così come sostenuta dalla Corte di cassazione, si porrebbe in contrasto con lo stesso regime di presunzioni fissato dal comma 3 del medesimo articolo, in relazione ai delitti ivi contemplati. Considerato che, in siffatte ipotesi, la regola è la custodia cautelare in carcere non si comprenderebbe la ragione per cui, venute meno le condizioni problematiche di salute, non debba essere ripristinata la misura ex art. 285 c.p.p., sempre che – si è ulteriormente chiarito – permangano le originarie esigenze cautelari.

A maggiore conferma dell’impostazione, si è peraltro sostenuto che una soluzione differente finirebbe per trasformare il comma 4-bis dell’art. 275 c.p.p. «da norma garantista di civiltà in un inaccettabile salvacondotto». In tale modo, infatti, si permetterebbe al prevenuto di sottrarsi alla custodia cautelare in carcere per l’intera durata del procedimento, a fronte di un breve periodo di incompatibilità per temporanei motivi di salute.

Da ultimo, un ulteriore argomento è stato poggiato proprio sulla scorta della previsione di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit., con riferimento alla detenzione domiciliare surrogatoria, la quale, come già ricordato, è configurata sempre a termine. Ebbene, a detta dei Giudici, sarebbe difficile spiegare la differenza di disciplina in materia cautelare con quella appena richiamata, specie se si considera l’importanza di far fronte ai pericula libertatis.  

A chiusura del quadro delineato, occorre, d’altra parte, precisare che il Tribunale ha osservato come il recente arresto della Suprema Corte parrebbe in contrasto con una decisione più risalente della giurisprudenza di legittimità[14]. Invero, quest’ultima pronuncia ha stabilito che, sebbene non sia ammissibile un ripristino automatico della custodia cautelare in carcere, non sarebbe ravvisabile alcun ostacolo – a fronte di un mutamento in melius delle condizioni di salute che avevano giustificato l’applicazione degli arresti domiciliari – a rivalutare il quadro cautelare, al fine di vagliare quale misura possa ritenersi più adeguata.

Ebbene, il Tribunale ha ritenuto siffatto arresto maggiormente in linea con i principi vigenti in materia. D’altra parte, giova mettere in luce che non è stato condiviso l’inquadramento dogmatico attribuito alla fattispecie dalla pronuncia. Essa ha, infatti, configurato l’ipotesi nell’ambito della sostituzione in peius della misura di cui all’art. 299, comma 4, c.p.p.: qualificazione giuridica che – a detta del Tribunale – non sarebbe sostenibile, visto che la disposizione, come più volte ricordato, si applica esclusivamente a fronte di un aggravamento delle esigenze cautelari.

Insomma, i Giudici hanno ribadito che la base giuridica della fattispecie in esame sarebbe quella di cui all’art. 275, comma 4-bis, c.p.p. Tale presa di posizione – ha del resto precisato il Tribunale – non sarebbe una mera questione teorica, in quanto propendere per la rilevanza dell’art. 275 c.p.p. o dell’art. 299 c.p.p. avrebbe un’immediata conseguenza sul piano pratico. Solo nella seconda ipotesi, infatti, troverebbe applicazione il principio della domanda cautelare e, pertanto, la sostituzione della misura potrebbe essere disposta esclusivamente a seguito di una apposita richiesta da parte della pubblica accusa. Per converso, secondo quanto esplicitato dai Giudici, qualora si opti per la prima soluzione, l’istanza cautelare sarebbe quella originariamente formulata dal pubblico ministero, con la conseguenza che, in questo caso, la custodia cautelare in carcere sarebbe applicabile, senza una necessaria previa reiterazione della richiesta da parte della pubblica accusa.

Nondimeno, al di là delle considerazioni svolte, il Tribunale non ha potuto che concludere, dando atto che il tema in analisi risulta indubbiamente controverso nell’ambito della disciplina codicistica.

È dunque a questo punto del ragionamento che è stato analizzato il d.l. n. 29 del 2020: è stata, in particolare, valorizzata la portata innovativa della novella, la quale costituirebbe una risposta al problema delineato. Si è, infatti, affermato che la nuova disciplina affronterebbe specificamente la questione in esame, «rappresentata dalla possibilità di applicazione degli arresti domiciliari “a tempo”, per il lasso cronologico strettamente necessario a superare una condizione di incompatibilità con il regime carcerario».

La pronuncia ha svolto un’approfondita disamina della novella dal punto di vista soggettivo, oggettivo e procedimentale: al riguardo, pare utile segnalare alcuni degli aspetti affrontati.

Sotto il profilo oggettivo, è stata chiarita la portata da attribuire al presupposto rappresentato dai «motivi connessi all’emergenza sanitaria da Covid-19», in forza del quale verrebbe in rilievo il provvedimento normativo. Secondo il Tribunale, la formula sarebbe da intendere in senso lato, quale «connessione debole». In sostanza, la disciplina troverebbe applicazione tutte le volte in cui l’emergenza epidemiologica abbia inciso, anche in modo non esclusivo, sulla decisione del giudice a sostituire la misura ex art. 285 c.p.p. con quella degli arresti domiciliari.

Sulla scorta della disposizione transitoria di cui all’art. 5 d.l. n. 29 del 2020, si è altresì esplicitato che la disciplina sarebbe applicabile ai provvedimenti cautelari sostitutivi, emessi successivamente al 23 febbraio 2020. Termine ultimo della previsione sarebbe, invece, il 31 luglio 2020, data finale dello stato di emergenza da COVID-19, ai sensi della Delibera del 31 gennaio 2020, adottata dal Consiglio dei Ministri.

Ancora, giova rilevare che il Tribunale, a differenza di quanto esplicitato alla luce della disciplina codicistica, ha osservato che nel d.l. n. 29 del 2020 opererebbe il principio della domanda cautelare. Difatti, spetta al pubblico ministero attivarsi, al fine di formulare un’istanza di ripristino della custodia cautelare in carcere. In merito, i Giudici hanno comunque precisato che tale scelta non sarebbe da ritenere scontata e imposta al legislatore; e invero vi sarebbero ipotesi normative, come l’art. 276, comma 1-ter, c.p.p., tali da prevedere un’attivazione d’ufficio del giudice, volta a sostituire in senso peggiorativo una precedente misura cautelare.

Da ultimo, importanti considerazioni sono state svolte con riferimento al diritto di difesa, da ritenersi salvaguardato. Nello specifico, si è argomentato che l’assenza, nella previsione in esame, dell’interrogatorio di garanzia, dopo che sia stata disposta la sostituzione degli arresti domiciliari con la misura più grave, sarebbe in linea con le altre ipotesi previste dal codice di procedura penale, quali, in particolare, quelle ex artt. 276 e 299, comma 4, c.p.p. Inoltre, secondo la pronuncia, le prerogative difensive sarebbero in ogni caso tutelate: contro l’ordinanza sostitutiva della misura cautelare sarebbe infatti proponibile appello ex art. 310 c.p.p. ed, eventualmente, ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 311 c.p.p.

In definitiva, sulla scorta di quanto emerso, il Tribunale ha ritenuto applicabile la novella normativa al caso di specie. Difatti, nella fattispecie concreta, a venire in rilievo sarebbe il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., contemplato dal d.l. n. 29 del 2020; il provvedimento di sostituzione, costituito dall’ordinanza in esame, rientrerebbe nella cornice temporale di applicazione della disciplina. Da ultimo, si è osservato che tale ordinanza, sostitutiva della custodia cautelare in carcere, sarebbe dettata, almeno in parte, dall’emergenza epidemiologica. Insomma, i Giudici hanno esplicitato che, concessi gli arresti domiciliari con il provvedimento in analisi, la pubblica accusa sarà tenuta a effettuare il continuo monitoraggio ex art. 3 d.l. n. 29 del 2020, al fine di formulare l’istanza di ripristino della misura cautelare più gravosa, nel caso in cui siano cessate le esigenze sanitarie riscontrate.

 

4. L’ordinanza in commento ha certamente il pregio di aver sollevato un problema di grande rilevanza pratica, oltre che di estrema attualità, alla luce dell’emergenza sanitaria in corso. Ad ogni modo, al di là della disciplina dettata dalla decretazione d’urgenza di cui al d.l. n. 29 del 2020, che sembra effettivamente apprestare una copertura normativa al tema in esame, non pare ammissibile, nell’attuale disciplina del codice di rito, una misura coercitiva disposta “a tempo”, in relazione a una situazione temporanea di incompatibilità con la custodia cautelare in carcere.

Certo, le ragioni di fondo inerenti all’esigenza di un ripristino della cautela di cui all’art. 285 c.p.p., una volta venute meno le condizioni di salute che ne avevano giustificato la sostituzione con quella degli arresti domiciliari e salva, in ogni caso, la persistenza dei presupposti applicativi della misura, appaiono fondate. Tuttavia, in assenza di una previsione espressa sul punto, sembra opportuno concludere nei medesimi termini della recente decisione della Corte di cassazione, secondo cui «non s[arebbero] possibili a fronte di situazioni temporanee che si manifestano in corso di esecuzione della misura, prescrizioni “a tempo”, con previsione di un automatico ripristino»[15].

D’altra parte, proprio la disposizione di cui all’art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit., nell’ambito della disciplina dell’esecuzione, pare rappresentare un argomento contrario e non a favore dell’ammissibilità di una soluzione analoga in materia cautelare. L’assenza, infatti, di una previsione simile nell’ambito del procedimento incidentale de libertate sembrerebbe far propendere per l’impossibilità, allo stato, di disporre gli arresti domiciliari “a termine”.

Desta inoltre perplessità l’effetto pratico ricavato dal ricorso all’art. 275, comma 4-bis, c.p.p., quale fondamento normativo della soluzione prospettata dall’ordinanza: si è precisato che, in tale ipotesi, si prescinderebbe da una previa istanza formulata dalla pubblica accusa. Al riguardo, occorre però osservare che il principio del ne procedat iudex ex officio pare immanente in materia, qualora si intenda disporre o aggravare una misura cautelare[16]. È ben vero che vi sono limitate ipotesi di iniziative officiose in peius, come chiarito dalla stessa pronuncia; tuttavia, nel silenzio dell’art. 275, comma 4-bis, c.p.p., dovrebbe trovare applicazione il principio della domanda cautelare, maggiormente rispondente a un modello di processo di parti, cui è ispirato il codice del 1988.

In conclusione, fermi restando i rilievi espressi, appare condivisibile la sollecitazione formulata nell’ordinanza in ordine all’opportunità, al di là della parentesi rappresentata dal d.l. n. 29 del 2020, di «una sistematica modifica codicistica», volta a fornire una puntuale risposta alle ipotesi di incompatibilità solo temporanea con la custodia cautelare in carcere. In tale prospettiva, sarebbe comunque auspicabile rispettare il principio della domanda cautelare, oltre che assicurare una rivalutazione che tenga conto non solo dell’eventuale sopravvenuto mutamento in positivo delle condizioni di salute dell’interessato, ma anche della persistenza delle esigenze cautelari che avevano portato a optare per il regime cautelare di massimo rigore.

 

 

[1] In merito, v., per tutti, E. Aprile-F. D’Arcangelo, Le misure cautelari nel processo penale, Milano, 2017, p. 216 e ss.; A. Bassi, I presupposti ed i criteri di scelta delle misure cautelari personali, in Aa.Vv., La cautela nel sistema penale. Misure e mezzi di impugnazione, a cura di A. Bassi, Padova, 2016, pp. 66 e 67; A. De Caro, Presupposti e criteri applicativi, in Aa.Vv., Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, vol. II, t. II, Le misure cautelari, a cura di A. Scalfati, Torino, 2008, pp. 88-89; C. De Robbio, Le misure cautelari personali, Milano, 2016, p. 198 e ss.; G. Spangher, Le misure cautelari personali, in Aa.Vv., Procedura penale. Teoria e pratica del processo, diretto da G. Spangher-A. Marandola-G. Garuti-L. Kalb, vol. II, Misure cautelari. Indagini preliminari. Giudizio, a cura di A. Marandola, Milano, 2015, p. 65 e ss.

[2] Cfr. Cass., Sez. I, 19 luglio 2019, n. 42713, in CED. Cass., n. 277455-01.

[3] In questi termini, cfr., ancora, Cass., Sez. I, 19 luglio 2019, n. 42713, cit.

[4] Al riguardo, v. F. Gianfilippi, La rivalutazione delle detenzioni domiciliari per gli appartenenti alla criminalità organizzata, la magistratura di sorveglianza e il corpo dei condannati nel d.l. 10 maggio 2020 n. 29, in Giustizia Insieme, 12 maggio 2020; G. Pestelli, D.L. 29/2020: obbligatorio rivalutare periodicamente le scarcerazioni connesse all’emergenza Covid-19, in Quotidiano Giuridico, 13 maggio 2020; A. Pulvirenti, COVID-19 e diritto alla salute dei detenuti: un tentativo, mal riuscito, di semplificazione del procedimento per la concessione dell’esecuzione domiciliare della pena (dalle misure straordinarie degli artt. 123 e 124 del d.l. n. 18/2020 alle recenti novità del d.l. n. 29/2020, in Leg. pen., 26 maggio 2020. Con particolare riferimento all’art. 3 d.l. n. 29 del 2020, v. A. Marandola, Il ripristino del carcere cautelare nel d.l. 29/2020, in Il Penalista, 18 maggio 2020.

[5] Tra i primi commenti al d.l. 30 aprile 2020, n. 28, v. P. Canevelli, La magistratura di sorveglianza tra umanità della pena e contrasto alla criminalità organizzata: le soluzioni contenute nel D.L. 30 aprile 2020, n. 28, in Giustizia Insieme, 8 maggio 2020; A. Della Bella, Emergenza COVID e 41 bis: tra tutela dei diritti fondamentali, esigenze di prevenzione e responsabilità politiche, in questa Rivista, 1° maggio 2020; M. Gialuz, L’emergenza nell’emergenza: il decreto-legge n. 28 del 2020, tra ennesima proroga delle intercettazioni, norme manifesto e “terzo tempo” parlamentare, in questa Rivista, 1° maggio 2020.

[7] In merito, si veda G. Fiandaca, Scarcerazione per motivi di salute, lotta alla mafia e opinione pubblica, in questa Rivista, 19 maggio 2020.

[8] In questo senso pare potersi interpretare l’infelice inciso, contenuto nell’art. 3 d.l. n. 29 del 2020, «salvo quando il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute dell'imputato»: cfr. G. Pestelli, D.L. 29/2020: obbligatorio rivalutare periodicamente, cit.

[9] V. Senato della Repubblica, XVIII Legislatura, Fascicolo Iter DDL S. 1799, Analisi tecnico-normativa, p. 18.

[10] Cfr., ancora, Senato della Repubblica, XVIII Legislatura, Fascicolo Iter DDL S. 1799, Analisi tecnico-normativa, p. 19.

[11] V. Cass., Sez. I, 19 luglio 2019, n. 42713, cit.

[12] È stata, in particolare, richiamata Cass., Sez. Un., 30 maggio 2006, n. 29907, in CED. Cass., n. 234138.

[13] Cfr. Cass., Sez. VI, 19 febbraio 2019, n. 10278, in CED. Cass., n. 275203-01; Cass., Sez. VI, 23 novembre 2016, n. 6790, in CED. Cass., n. 269161.

[14] La pronuncia si riferisce, in particolare, a Cass., Sez. VI, 26 giugno 2002, n. 31901, in Guida dir., 2002, n. 47, p. 80.

[15] V. Cass., Sez. I, 19 luglio 2019, n. 42713, cit.

[16] In merito, cfr. l’analisi svolta da E. Valentini, La domanda cautelare nel sistema delle cautele personali, Bologna, 2012, passim.