ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
14 Giugno 2020


La segnalazione di illeciti sul luogo di lavoro ai tempi della pandemia Covid-19. Una breve riflessione


1. Come insegna la storia, le crisi – anche quelle pandemiche – costituiscono preziose occasioni per lo sviluppo di nuove forme di criminalità e accrescono in maniera esponenziale il rischio di infiltrazioni da parte delle organizzazioni malavitose nel tessuto economico-sociale.

In questi ultimi mesi, un simile scenario è stato paventato da più voci, che hanno segnalato come i mercati siano particolarmente esposti ad abusi e manovre speculative di qualsivoglia natura. Il pericolo di una gestione impropria degli strumenti apprestati per far fronte alla pandemia Covid-19 è avvertito in vari settori: da quello sanitario a quello degli appalti pubblici a quello della sicurezza sui luoghi del lavoro.

Transparency International, la nota organizzazione internazionale che monitora su scala globale i fenomeni corruttivi, è in particolare preoccupata che l’ingente ammontare di finanziamenti erogati negli ultimi tempi dagli Stati e dalle istituzioni europee possa comportare fenomeni di corruzione e altri comportamenti contrari all’interesse collettivo.

Da una parte[1], difatti, si assiste attualmente ad una mobilitazione di risorse finanziarie senza precedenti, che non solo attira l’attenzione delle organizzazioni criminali mafiose, pronte ad ingerirsi nel circuito economico, ma dà altresì luogo ad una e vera propria corsa agli accaparramenti delle stesse anche all’interno di aziende, pubbliche e private. Dall’altra parte, si registra una notevole semplificazione delle procedure atte all’aggiudicazione di tali risorse, in un’ottica di velocizzazione della loro elargizione e distribuzione; cosicché – nonostante taluni ritengano che si possano coniugare rapidità e rigore[2] – verosimilmente i controlli preventivi in genere operati dalle amministrazioni pubbliche e dagli istituti di credito sono e saranno tutt’altro che capillari, e comunque insufficienti.

In un simile quadro, è di tutta evidenza come il diritto punitivo, tanto amministrativo quanto penale, sia chiamato a prevedere misure volte al contenimento dei suddetti fenomeni illeciti, attraverso una sapiente combinazione di strumenti preventivi e repressivi[3]. E, in vista dell’inevitabile perdurare (ed il temibile consolidarsi) degli effetti dell’emergenza, in specie economici, è senz’altro auspicabile un potenziamento dei primi, tra i quali è annoverabile quello del whistleblowing.

 

2. A richiamare l’attenzione sul necessario potenziamento degli strumenti preventivi anticorruzione è ancora una volta Transparency International, che in piena ‘fase 1’ ha divulgato la dichiarazione sottoscritta da cinquanta organizzazioni – tra cui compaiono l’European Public Service Union e l’European Trade Union Confederation – e finalizzata a sensibilizzare istituzioni ed autorità pubbliche operanti nel panorama internazionale a fornire adeguata protezione alle “persone che segnalano o rivelano rischi di abusi e illeciti che si verificano durante questo periodo di crisi causato dalla pandemia di Covid-19[4].

Il riferimento è ai cd. “soffiatori nel fischietto”, traduzione italiana dell’espressione whistleblowers, ossia i dipendenti di aziende pubbliche o private che, mediante la trasmissione di informazioni ad un’autorità (interna o esterna), segnalano illeciti e/o irregolarità di cui sono venuti a conoscenza nel contesto lavorativo.

Il ricorso alla figura in parola, nata nell’ordinamento statunitense nella seconda metà dell’Ottocento e ormai ben collaudata nei sistemi di common law, è stato a lungo promosso dalle principali organizzazioni internazionali impegnate nella lotta alla corruzione. Introdotta nell’alveo degli strumenti apprestati dal nostro ordinamento per contrastare l’“emergenza corruttiva” per mezzo della legge Severino (l. 6 novembre 2012, n. 190), alla pratica del whistleblowing è inoltre interamente dedicato un recente intervento del legislatore eurounitario: la direttiva UE/1937/2019 del 23 ottobre scorso ha infatti dettato norme minime al fine di promuovere, da un lato, l’adozione di detta pratica nei Paesi che ne fossero ancora sprovvisti e, dall’altro lato, l’armonizzazione delle (non numerose) legislazioni nazionali in materia[5].

Quando le decisioni vengono prese in contesti di emergenza (…), i whistleblowers possono giocare un ruolo chiave di prevenzione”, recita la succitata dichiarazione, che ricorda anche come “il whistleblowing ha dimostrato di essere un potente strumento per combattere e prevenire azioni che minano l’interesse pubblico”. Avvalendosi dei canali predisposti dalle aziende (interni, esterni e, come richiesto dalla direttiva, a breve anche pubblici), essi possono infatti denunciare forme di mala gestio, abusi e speculazioni osservabili nei contesti lavorativi pubblici e privati, riducendo così gli spazi di manovra di corrotti, corruttori e non solo.

 

3. L’ambito di applicazione della direttiva europea in materia di whistleblowing, così come quello della normativa domestica, è oltremodo esteso e la figura può favorire l’emersione di un ampio ventaglio di fattispecie penali; tuttavia, è opportuno sottolineare come questa sia stata concepita prevalentemente col proposito di prevenire episodi di frode e di corruzione.

Come si accennava, il whistleblower in Italia ha ottenuto – seppur con un certo ritardo – una prima regolamentazione nel settore pubblico nella legge anticorruzione del 2012; in seguito la l. 30 novembre 2017, n. 179, sancendo il suo ingresso nel mondo dell’impresa privata, ha imposto un ripensamento dei contenuti dei modelli di prevenzione ex art. 6 del d.lgs. 231 del 2001, che ora devono prevedere canali di segnalazione, anche informatici, e ha altresì inserito tra i destinatari della “soffiata” il Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza[6].

Insomma, il legame tra whistleblower e reati contro la pubblica amministrazione è palese, così come la sua ragione: è proprio la congenita difficoltà di emersione delle fattispecie corruttive a determinare la necessità di strategie politico-criminali differenziate, idonee a consentire la rottura del pactum sceleris dall’interno[7] (anche dell’organizzazione lavorativa) e l’affiorare di notizie di reato che altrimenti, con buona probabilità, andrebbero ad alimentare la già elevata cifra nera della criminalità economica.

Ciò nondimeno, sarebbe riduttivo ancorare l’utilità della figura in esame alla segnalazione delle mere fattispecie corruttive. Come noto, invero, la pratica del whistleblowing mira a far emergere molteplici tipologie di rischio rilevabili sui luoghi di lavoro, che durante una crisi sanitaria, economico e sociale appaiono suscettibili di consistenti dilatazioni. Inoltre, va rilevato come le suddette tipologie di rischio non debbano necessariamente essere idonee ad integrare illeciti penali, né tantomeno civili, potendo esse tradursi in meri illeciti disciplinari o financo in pratiche scorrette solo da un punto di vista etico, purché comportino un apprezzabile pericolo per la vita dell’organizzazione.

Basti allora pensare alle numerosissime prescrizioni contenute nei decreti e nei protocolli degli ultimi mesi, che impongono ai datori di lavoro di adottare tutte le cautele e le precauzioni sanitarie atte a tutelare la salute dei dipendenti sui luoghi di lavoro. Al riguardo, il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure anti-contagio negli ambienti di lavoro, da ultimo integrato lo scorso 24 aprile, sancisce a chiare lettere che la prosecuzione delle attività produttive possa avvenire esclusivamente in presenza delle condizioni che assicurino ai lavoratori adeguati livelli di protezione e impone, in caso contrario, la loro sospensione. L’inosservanza di questa e altre disposizioni integra illeciti di varia natura, anche amministrativi e penali, che potrebbero agevolmente essere denunciati da un insider, come per l’appunto il whistleblower[8]; la cui segnalazione, pertanto, non può e non deve essere frenata dal timore di forme, più o meno velate, di censure, né tantomeno di vere e proprie ritorsioni.

 

4. Come testimoniano alcuni episodi riportati dalla stampa mondiale[9], i rischi di ripercussioni sul whistleblower son tutt’altro che peregrini: in poche parole, la denuncia dei wrongdoings spesso costa al “soffiatore” il posto di lavoro o implica odiose ritorsioni nei suoi confronti, quali demansionamenti, discriminazioni di vario genere, sanzioni disciplinari e financo denunce all’autorità giudiziaria penale.

Per questo motivo, il leitmotiv della disciplina del whistleblowing, nazionale e internazionale, è rappresentato dalle tutele apprestate al soggetto: esse, apprezzabili in particolare sul piano giuslavoristico e su quello (processual)penalistico, sono la prova della consapevolezza degli Stati dell’opportunità di incentivare il più possibile il ricorso a tale pratica[10].

Nel nostro ordinamento, per esempio, l’art. 54-bis del testo unico sul pubblico impiego (d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165) sancisce che il dipendente che denuncia al Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza, all’ANAC, o all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro “non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro”. Questa disposizione è poi corredata da altre previsioni a tutela del whistleblower: esse, da un lato, spaziano dall’anonimato nell’ambito dell’eventuale procedimento disciplinare e/o penale scaturente dalla segnalazione, all’esclusione della responsabilità penale per il denunciante il quale, mediante la segnalazione, integri uno dei reati di “rivelazione di segreti” previsti dal codice penale (artt. 326, 622 e 623 c.p.); e, dall’altro lato, comportano la comminazione di sanzioni, ancorché disciplinari, nei confronti di chi viola “le misure di tutela del segnalante”.

Va tuttavia precisato come le suddette previsioni non si spingano ad attivare veri e propri meccanismi premiali volti all’incoraggiamento della segnalazione: questi, non contemplati nemmeno nella recente direttiva, sono stati sperimentati negli ordinamenti di common law, ove alle volte si sono però tradotti in mere ricompense monetarie per il denunciante, (mal)educato così all’etica lavorativa a suon di whistleblower rewards.

È dunque opportuno rilevare come, nonostante il silenzio della direttiva sul punto, apparirebbe conveniente che l’ANAC predisponesse meccanismi premiali mirati a intensificare le “soffiate”; purché, beninteso, non di natura monetaria, a più riprese definiti dalla stessa Transparency International controproducenti in quanto potenzialmente idonei a frustrare gli scopi di tutela sociale che la strategia in esame promuove.

Infine, nell’attesa di un intervento nazionale di trasposizione della succitata direttiva, la quale invero impone un notevole ampliamento del novero di soggetti che possono accedere alla segnalazione nei sistemi nazionali, non resta che sottolineare la prevedibile utilità dell’estensione delle relative tutele ai lavoratori delle categorie “deboli”: quali, ad esempio, precari e tirocinanti.

 

5. Come già si è accennato, da un lato la pioggia di finanziamenti in corso di erogazione in un contesto di controlli semplificato all’estremo ha incrementato le opportunità di speculazione e malaffare, dall’altro lato il moltiplicarsi delle misure di contrasto all’epidemia poste a carico del datore di lavoro e talora da lui mal sopportate ha determinato il costante rischio che tali misure vengano disattese. Pertanto il ricorso a strumenti preventivi appare soluzione obbligata per contenere i rischi connessi alla pandemia Covid-19.

Detti strumenti appaiono tanto più vantaggiosi alla luce della verosimile imponente cifra nera degli illeciti derivanti dalla violazione delle misure cautelari sui luoghi di lavoro, nonché della scarsa efficacia deterrente che l’apparato repressivo penale esplica nello specifico ambito dell’impropria captazione dei finanziamenti pubblici[11].

Quest’ultimo rilievo è dimostrato dai connotati delle fattispecie codicistiche preposte al contrasto di simili condotte, quali il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter c.p. e quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640-bis c.p. Il primo, caratterizzato da pene assai modeste (reclusione da sei mesi a tre anni nell’ipotesi semplice e da uno a quattro anni nell’ipotesi aggravata), trova peraltro applicazione residuale in forza della clausola di salvaguardia in sua apertura; al secondo, pur se astrattamente dotato di un coefficiente di dissuasività più elevato in ragione della sua meno mite cornice edittale (reclusione da due a sette anni), è stata riconosciuta dalle Sezioni dalle Unite della Cassazione natura di mera circostanza aggravante, come tale passibile di soccombere nel bilanciamento con eventuali attenuanti[12].

In definitiva, in assenza di strumenti penali realmente efficaci e a fronte della sospensione di gran parte dei controlli ammnistrativi sui requisiti per la fruizione delle erogazioni pubbliche, non resta che accogliere la sollecitazione delle organizzazioni internazionali, e dunque optare per un potenziamento degli strumenti politico-criminali alternativi di cui disponiamo. Tra questi, ai tempi del Covid-19 i whistleblowers potrebbero assurgere al ruolo di preziose sentinelle poste a presidio della corretta allocazione delle risorse pubbliche, nonché dell’ancor più prezioso bene rappresentato dalla salute pubblica.

 

 

 

[1] Transparency international, Tuteliamo i whistleblower durante l’emergenza Covid-19.

[2] Cfr., per tutti, Intervista a Maurizio De Lucia, Dino Petralia e Lia Sava, a cura di A. Apollonio, par. 1, in Giustizia insieme, 20 aprile 2020.

[3] In argomento v., diffusamente, A. Bernardi, Covid-19 e diritto penale, Napoli, 2020, par. 13, in corso di pubblicazione.

[5] Per un commento a caldo della succiata direttiva v. A. Della Bella, La direttiva europea sul whistleblowing: come cambia la tutela per chi segnala illeciti nel contesto lavorativo, in questa Rivista, 6 dicembre 2019.

[6] Per una ricostruzione dell’evoluzione normativa nazionale del whistleblowing v. A. Rugani, I profili penali del whistleblowing alla luce della l. 30 novembre 2017 n. 179, in Leg. pen., 3 giugno 2018, p. 5 ss.; per una riflessione sulle ragioni del lento recepimento nel nostro ordinamento delle sollecitazioni internazionali in materia v., volendo, A.F. Masiero, La disciplina del whistleblowing alla luce della direttiva 2019/1937/UE. Tra prevenzione dei fenomeni corruttivi e tutela del denunciante, in Arch. pen., par. 3, in corso di pubblicazione.

[7] Per una puntuale disamina delle altre strategie differenziate preventive apprestate dal nostro legislatore nella materia de qua e finalizzate alla rottura “dall’interno” del pactum scleleris tra corrotto e corruttore si rinvia, per tutti, a T. Padovani, La Spazzacorrotti. Riforma delle illusioni e illusioni della riforma, in Arch. pen., 3, 30 novembre 2018.

[8] A tal proposito giova ricordare che la direttiva europea sembra aver anticipato le esigenze connesse all’attuale crisi sanitaria, dilatando i beni giuridici tutelabili mediante la segnalazione del whistleblower ed includendovi anche la salute pubblica.

[9] Cfr., tra i tanti articoli di testate giornalistiche apparsi in argomento, questo apparso su ilsole24ore.com, 16 aprile 2020.

[10] In argomento cfr., per tutti, G. Varraso, Legge 30 novembre 2017, n. 179. Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazione di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato, in D. Castronuovo, G. De Simone, E. Ginevra, A. Lionzo, D. Negri, G. Varraso (a cura di), Compliance. Responsabilità da reato degli enti collettivi, Milano, 2019, p. 1736 ss.

[11] Sul punto v., ancora, A. Bernardi, Covid-19 e diritto penale, cit., par. 13.

[12] Cass. SS.UU., 26 giugno 2002, n. 26351.