Corte cost., sent. 25 giugno 2020, n. 156, Pres. Cartabia, Red. Petitti
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1. Con il deposito, lo scorso 21 luglio, della sentenza n. 156, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 131-bis c.p. nella parte in cui ne è impedita l'applicazione alla ricettazione di particolare tenuità e, più in generale, ai reati per i quali non sia comminata una pena minima, così ampliando l'ambito operativo della causa di non punibilità per speciale tenuità del fatto alle figure criminose per le quali il minimo edittale sia determinato ex art. 23 c.p.
Chiamata, infatti, a pronunciarsi nuovamente sulla legittimità costituzionale dei limiti edittali dell’art. 131-bis c.p., la Corte ha concretizzato le perplessità già manifestate nel recente passato quando, con un più tradizionale atteggiamento conservativo, aveva rigettato – con sentenza n. 207 del 2017[1] – analoga questione, sia pure declinata in maniera parzialmente diversa, per non invadere gli spazi di discrezionalità del Parlamento. Se, in quella occasione, aveva rivolto un monito al legislatore affinché sanasse il vulnus costituzionale intervenendo, nell'esercizio delle sue prerogative, a prevedere un minimo edittale in presenza del quale garantire in ogni caso l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p., nella sentenza in epigrafe la Corte costituzionale ha adottato una linea maggiormente interventista ritenendo di non poter attendere oltre, tenuto conto della inerzia del legislatore e, soprattutto, della scelta di non ritoccare l'art. 131-bis c.p. nel senso indicato in occasione della recente novella dell'istituto, operata con d.l. 14 giugno 2019, n. 53, convertito con modificazioni con l. 8 agosto 2019, n. 77, cd. decreto sicurezza-bis.
2. Ma procediamo con ordine, ricostruendo i principali snodi della pronuncia.
Illustrate le censure di legittimità costituzionale mosse dal giudice a quo alla norma oggetto di giudizio (§ 1), la Corte passa a vagliare rapidamente i profili processuali della questione, rispedendo al mittente le obiezioni di manifesta inammissibilità mosse dal Presidente del Consiglio dei Ministri in ragione del previo scrutinio effettuato nel 2017 (§ 2 ss.).
Da un lato, infatti, osserva la Consulta, in questo caso la sanzione costituzionale utilizzabile sarebbe, per giurisprudenza costante, quella della manifesta infondatezza della questione di legittimità prospettata. Dall'altro, è fuor di dubbio che gli argomenti formulati dal giudice rimettente siano solo in parte sovrapponibili a quelli confutati dalla Corte nella sentenza n. 207 del 2017: in primis, nell'ordinanza di rimessione odierna i parametri costituzionali richiamati sono gli artt. 3 e 27, co. 3, Cost., in luogo dei principi di ragionevolezza ed offensività di cui agli artt. 3 e 13, 25 e 27 Cost., citati nella precedente quaestio legitimitatis; il giudice a quo del 2019 ha inoltre più precisamente enucleato i tertia comparationis alla cui stregua valutare la ragionevolezza dell'esclusione dall'ambito applicativo dell'art. 131-bis c.p. della ricettazione di particolare tenuità, individuando esclusivamente reati contro il patrimonio (i.e. le fattispecie di furto, truffa e danneggiamento); infine, la questione sottoposta più recentemente all'attenzione della Corte s'incentra sulla valorizzazione non del massimo edittale ex art. 648, cpv., c.p., quale fattore impeditivo dell'applicazione dell'art. 131-bis c.p., ma su quello della pena minima edittalmente prevista, quale possibile ulteriore requisito di attivazione del rimedio.
3. Superati, dunque, i dubbi sui requisiti d'accesso allo scrutinio di merito, la Corte traccia più sicuri confini fra le figure di cui agli artt. 648, cpv., e 131-bis c.p. (§ 3 ss.).
Si afferma, infatti, che la prima fra le norme richiamate costituisce una circostanza attenuante speciale incentrata sulla tenuità dell'offesa, mentre la seconda una causa di non punibilità imperniata sulla tenuità di un fatto antigiuridico e colpevole, che richiede «una valutazione complessiva di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, a norma dell’art. 133, primo comma, cod. pen., incluse quindi le modalità della condotta e il grado della colpevolezza, e non solo dell’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto» (§ 3.1.1.).
A parere della Corte, inoltre, il rapporto di piena compatibilità fra le due fattispecie è certamente testimoniato dall'ultimo comma dell'art. 131-bis c.p., che fa salva l'operatività della causa di esclusione della punibilità per speciale tenuità del fatto anche in presenza di una circostanza che mitighi la pena in considerazione della particolare tenuità del danno o del pericolo provocato dalla condotta. Se è la stessa causa di non punibilità ad escludere la sussistenza, in astratto, di un rapporto di reciproca esclusione con le attenuanti di tal fatta, però, precisa la Consulta, ciò non implica una automatica applicazione dell'art. 131-bis c.p. in concreto in tali ipotesi, rimanendo l'operatività del rimedio subordinata alla verifica caso per caso dei requisiti di carattere oggettivo e soggettivo ivi contemplati (§ 3.3.).
4. Fatte queste precisazioni, la Corte prepara il terreno per il cambio di passo rispetto alla sua precedente presa di posizione di segno prudenziale, evidenziando la perdurante attualità delle argomentazioni formulate nella sentenza n. 207 del 2017 e non superate da un legislatore colpevolmente noncurante.
Da un lato, infatti, secondo i giudici della Consulta, restano immutate le considerazioni circa la peculiare ampiezza della cornice sanzionatoria dell'art. 648, cpv., c.p. – da 15 giorni a 6 anni di reclusione – e sulla «asimmetria scalare degli estremi del compasso» – se fra la pena massima comminata al primo e al secondo comma dell'art. 648 c.p., rispettivamente 8 e 6 anni di reclusione, si registra una mera attenuazione, lo stesso non può dirsi quanto ai minimi edittalmente previsti, dal momento che fra 2 anni e 15 giorni di reclusione v'è un enorme divario (§ 3.5.2.).
Dall'altro, sono ancora condivisibili le osservazioni contenute nella sentenza n. 207 del 2017 circa la mancata individuazione espressa della sanzione minima per la ricettazione di peculiare tenuità, e, dunque, circa la possibilità di ricondurvi, già in astratto, fatti di scarsa offensività, peraltro non sconfessata dalla prassi applicativa (il caso da cui trae origine la pronuncia in commento, ad esempio, riguardava la ricettazione di poche confezioni di rasoi e lamette di provenienza furtiva). E lo stesso vale per i dubbi originati dall'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. ad altre fattispecie caratterizzate da un minimo edittale ben più alto, espressive, dunque, di un disvalore non altrettanto tenue (§ 3.5.3.).
5. Gli argomenti appena illustrati circa la necessità di una rimeditazione dei presupposti applicativi dell'art. 131-bis c.p., tuttavia, avevano condotto la Corte costituzionale in prima battuta a passare la palla al legislatore, affinché provvedesse a sanare il vulnus costituzionale rilevato. La decisione n. 207 del 2017 si arrestava, infatti, al monito rivolto al Parlamento, al fine di salvaguardare le prerogative attribuitegli in materia penale dalla Carta costituzionale, non potendosi rintracciare sicuri appigli – recte: una soluzione costituzionalmente obbligata – cui ancorare un intervento manipolativo della Corte, né potendosi qualificare l'opzione legislativa corrente come manifestamente irragionevole.
Ecco, dunque, che, nei passaggi successivi della sentenza in commento, la Corte costituzionale si cimenta nell'arte del distinguishing e nell'evidenziare le ragioni che giustifichino, a legislazione invariata e ad appena tre anni di distanza dalla decisione n. 207, l'approdo ad una soluzione opposta della quaestio legitimitatis.
In primis, efficacia dirimente è riconosciuta proprio alla staticità del dato normativo e, per tale via, al mancato intervento del Parlamento (§ 3.5.4.). La stessa Consulta, infatti, non manca di rimarcare la peculiare inerzia selettiva di cui sembra soffrire il legislatore, che è intervenuto sull'art. 131-bis c.p. con il d.l. 14 giugno 2019, n. 53, cd. decreto sicurezza-bis, ma ha dimenticato, in quella occasione, di dare seguito al monito formulato dalla Corte, limitandosi ad aggiungere – al capoverso dell'art. 131-bis c.p. – una preclusione applicativa ove si proceda per delitti puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli artt. 336, 337 e 341-bis c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni. Previsione, quest'ultima, già segnata dal peccato originale della genesi a mezzo di decretazione d'urgenza e da pressoché immediati sospetti d'illegittimità costituzionale[2].
La decisione valorizza, poi, la differente impostazione offerta dal giudice rimettente del 2019, capace di indirizzare la Corte ad una diversa soluzione della questione di legittimità costituzionale (§ 3.6.). Perno dell'ordinanza di rimessione, come già anticipato, non è il massimo edittale comminato per la ricettazione di particolare tenuità – 6 anni di reclusione –, tale da far finire la fattispecie fuori dal fuoco dell'art. 131-bis c.p., ma il minimo edittale ex art. 648, cpv., c.p. La mancata comminazione di uno degli estremi del compasso sanzionatorio, afferma infatti la Consulta, «richiama per necessità logica l’eventualità applicativa dell’esimente di particolare tenuità del fatto» e ha già rappresentato «il punto di caduta di fattispecie delittuose talora espressive di una modesta offensività»[3]. Il ruolo di supplenza affidato alla regola generale stabilita dall'art. 23 c.p., che fissa il minimo assoluto di pena detentiva in 15 giorni di reclusione, testimonia che il legislatore ha considerato certamente sussumibili nella fattispecie tipizzata al capoverso dell'art. 648 c.p. fatti scarsamente offensivi, di talché ne risulta manifestamente irragionevole l’aprioristica esclusione dall'ambito operativo della causa di non punibilità per speciale tenuità del fatto a causa del requisito applicativo di carattere oggettivo del massimo edittale superiore ai cinque anni di reclusione.
6. Addivenuta alla conclusione di non poter consentire oltre la permanenza nell'ordinamento di una norma manifestamente irragionevole, la Corte si trova di fronte all'ostacolo che l'aveva condotta, in prima battuta, a cedere il passo al legislatore: l'impossibilità di rinvenire una soluzione costituzionalmente obbligata, «un ordine di grandezza che possa essere assunto a minimo edittale di pena detentiva sotto il quale l’esimente stessa potrebbe applicarsi comunque, a prescindere cioè dal massimo edittale» (§ 3.6.1).
Ecco, allora, che la Consulta, contemperando le esigenze in gioco – espungere una previsione lesiva dell'art. 3 Cost., nonostante l'inerzia del legislatore, e preservare gli spazi di discrezionalità di esclusiva pertinenza di quest'ultimo –, opta per l'accoglimento della questione di legittimità costituzionale fornendo al contempo alcune equilibrate rassicurazioni (§ 3.6.2.). In primis, ribadisce che il Parlamento può, nell'esercizio delle sue prerogative costituzionali, stabilire un diverso limite edittale al di sotto del quale l'operatività della speciale tenuità del fatto non possa comunque essere impedita dalla pena massima prevista. Resta salva, poi, la possibilità di attivare in concreto il rimedio ex art. 131-bis c.p., anche per i fatti da ultimo rientrati nel suo perimetro applicativo a mezzo dell'intervento manipolativo della Corte, solo ed esclusivamente in presenza di tutti i requisiti, di carattere oggettivo e soggettivo, descritti dalla norma.
7. La Corte costituzionale, dunque, alla luce delle argomentazioni esposte e ritenute assorbite le obiezioni circa la possibile frustrazione della funzione rieducativa della pena, dichiara illegittimo l’art. 131-bis c.p., nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva (§ 4), così ampliandone l'ambito applicativo, in perfetta consonanza con alcune recenti pronunce di merito[4] e di legittimità[5], che hanno assicurato una sempre più ampia applicazione dell'istituto.
8. Come si accennava in apertura, la pronuncia in commento si segnala anche sul versante delle tecniche decisorie per il cambio di rotta operato dalla Corte, che ha optato questa volta per farsi carico in prima persona di sanare l'evidente disarmonia rilevata qualche anno prima.
In questo senso, osservata in una prospettiva più ampia, la sentenza n. 156 del 2020 pare coerente con la più generale tendenza della Consulta a fare sempre meno sfoggio delle "virtù passive" quando si tratti di garantire una piena tutela dei diritti fondamentali riconosciuti in Costituzione[6]. Recentemente, infatti, di fronte alla sciatteria o alla vera e propria latitanza del legislatore, la Corte costituzionale non ha esitato ad abbandonare il consueto atteggiamento di self restraint, ricorrendo, più coraggiosamente che in passato, a sentenze di accoglimento, come nel caso di specie, o addirittura alla fucinatura di tecniche e strumenti decisori nuovi, come la pronuncia cd. ad incostituzionalità differita, coniata, attingendo a tradizioni costituzionali straniere[7], nel cd. caso Cappato[8] e riutilizzata di recente per sollecitare un intervento del legislatore sulla comminatoria edittale della diffamazione a mezzo stampa[9].
Tale cambio di passo della Corte, pur problematico perché rischia di perturbare i delicati equilibri istituzionali, non pare però animato da un mutato atteggiamento nei confronti del Parlamento, celando, al contrario, un encomiabile sforzo dei giudici costituzionali di costruire nuovi binari collaborativi con il potere legislativo. Ed infatti, la Corte pare tentare strade meno battute, talvolta sconfessando precedenti posizioni più morbide, solo a fronte di evidenti rinunce all'esercizio della funzione nomopoietica da parte delle Camere – il riferimento è all'inutile decorso della scadenza fissata per l'intervento in materia di agevolazione al suicidio e alla perdurante inerzia a fronte di un monito, come avvenuto nel caso in epigrafe, nella materia degli stupefacenti e per la questione del termine per proporre reclamo al Tribunale di sorveglianza[10] – e solo al fine di assicurare una piena tutela dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione.
In un tale contesto, come bene evidenziato dall'avvicendarsi delle sentenze nn. 207 del 2017 e 156 del 2020, nelle rinnovate strategie della Corte costituzionale non solo si fa più frequente il ricorso a strumenti decisori inediti – le ordinanze cd. ad incostituzionalità differita – o utilizzati con maggiore parsimonia in passato – le pronunce di accoglimento –, ma anche le tecniche decisorie più rodate sembrano essere impiegate diversamente ed assumere, per tale via, connotati nuovi. Proprio la decisione di accoglimento in commento, infatti, seguendo ad un invito rivolto infruttuosamente al legislatore, consente di verificare come sia sempre meno tollerato che le esortazioni della Consulta non si traducano in mutamenti legislativi. In questa nuova stagione della giurisprudenza costituzionale, in definitiva, anche la sentenza monito – schema decisorio ancora utilizzato dalla Corte, che vi ha recentemente fatto ricorso in materia di esecuzione delle pene pecuniarie, conversione di quelle detentive e comminatoria edittale del furto monoaggravato[11] – pare rafforzare la propria funzione: non più suggerimento accoglibile a seconda della sensibilità e della cointeressenza del destinatario, ma sollecitazione ineludibile pena l'intervento sostitutivo della Corte.
[1] Corte cost., 24 maggio 2017, (dep. 17 luglio 2017), n. 207, Pres. Grossi, Red. Lattanzi, in Giur cost. e Dir. pen. cont., 2017, con note di A. Gargani, A. Nisco e S. Santini.
[2] Cfr. Trib. Torre Annunziata, ord. 16 giugno 2020, giud. Contieri, in questa Rivista, 2020, con nota di G. Alberti; Trib. Torino, ord. 5 febbraio 2020, n. 93, Giud. Natale, in questa Rivista, 2020, con nota di G. Alberti.
[3] Il riferimento è a Corte cost., 19 luglio 1994, n. 341, Pres. Casavola, Red. Spagnoli, in Foro it., 1994, con nota di G. Fiandaca, con la quale la pena minima di sei mesi di reclusione comminata per il reato di oltraggio a pubblico ufficiale fu dichiarata costituzionalmente illegittima proprio contando sulla possibile supplenza dell’art. 23 c.p.
[4] Sull'applicabilità della particolare tenuità del fatto nell’udienza predibattimentale Trib. Napoli, sent. 11 giugno 2020, Giud. Bove, in questa Rivista, 2020, con nota di V. Giordano – R. Muzzica.
[5] Per una presa di posizione più risalente circa l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. ai reati con soglie di punibilità S.U., 6 aprile 2016, n. 13681, Tushaj, in Dir. pen. proc., 2016, 894 ss., con nota di G. Amarelli, Le Sezioni Unite estendono l’ambito di operatività dell’art. 131-bis c.p. ai reati con soglie di punibilità, e S.U., 25 febbraio 2016, n. 13682, Coccimiglio, in Dir. pen. cont., 2016, con nota di E. Andolfatto. Più recentemente, un'apertura sull'applicabilità dell'istituto al reato continuato in Cass., Sez. III, 4 ottobre 2019, n. 50002, in questa Rivista, 2020, con nota di F. Nigro Imperiale.
[6] Sul punto, recentemente, V. Manes – V. Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Torino, 2019, p. 36 ss.
[7] Sulla derivazione del nuovo schema decisorio dalle esperienze giuridiche straniere D. De Lungo, Comparazione e legittimazione. Considerazioni sull'uso dell'argomento comparatistico nella giurisprudenza costituzionale recente, a partire dal caso Cappato, in Il caso Cappato. Riflessioni a margine dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 207 del 2018, a cura di F.S. Marini – C. Cupelli, Napoli, 2019, p. 91 ss.
[8] Nell'ampissima bibliografia sul cd. caso Cappato e sull'ord. n. 207 del 2018 si rinvia, ex multis, ai contributi pubblicati su questa Rivista e nel volume collettaneo Il caso Cappato. Riflessioni a margine dell’ordinanza della Corte costituzionale n. 207 del 2018, cit., oltre che alla ricostruzione della vicenda operata da G.Leo, Nuove strade per l’affermazione della legalità costituzionale in materia penale: la Consulta ed il rinvio della decisione sulla fattispecie di aiuto al suicidio, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2019, 241 ss.
[9] Corte cost., 26 giugno 2020, n. 132, Pres. Cartabia, Red. Viganò, in Riv. it. dir. pen. proc., 2020, con nota di M.C. Ubiali.
[10] Cfr., rispettivamente, sentenze nn. 179 del 2017 e 235 del 1996, cui sono seguite le più recenti sentenze nn. 40 del 2019 e 113 del 2020.
[11] Corte cost. n. 279 del 2019, in questa Rivista, 2019, con nota di G. Leo; Corte cost. 15 del 2020, in questa Rivista; Corte cost. 136 del 2020, in questa Rivista, con nota di G. Leo.