* Pubblichiamo di seguito il testo di un articolo a firma del Prof. Cristiano Cupelli apparso sul quotidiano Il Foglio di martedì 15 novembre 2022.
1. Si sta discutendo molto, in questi giorni, di uso e abuso dello strumento penale e della sua capacità di offrire risposte efficaci a nuovi bisogni di sicurezza e tutela.
Un banco di prova interessante è rappresentato da recenti fenomeni di protesta che, in una esemplare eterogenesi dei fini, si trasformano, nella percezione comune, in forme di intollerabile disturbo della collettività o in deprecabili atti di vandalismo a danno del patrimonio culturale. Ci si riferisce alle ricorrenti interruzioni della circolazione stradale da parte di manifestanti (in particolare, ma non solo, sul Grande Raccordo Anulare di Roma) e all'imbrattamento (non permanente) di quadri e opere d'arte compiuto da sedicenti ambientalisti (da ultimo, sempre a Roma, è stato insudiciato, con una zuppa di verdura, «il seminatore» di Van Gogh).
2. Eterogenesi dei fini, anzitutto; perché si tratta di manifestazioni che, in realtà, anziché stimolare empatia, rafforzare sensibilità e attrarre consensi sul tema ambientale, finiscono per ripercuotersi negativamente sugli stessi obiettivi sbandierati: ne sono ampia riprova l'aumento esponenziale del (già elevato) tasso di inquinamento a causa degli ingorghi che ne scaturiscono, da un lato, e il danno (per fortuna non irreparabile) cagionato a opere dell'ingegno che non possono non essere ricomprese nel perimetro del concetto di natura che si pretenderebbe di preservare, dall'altro.
Accantonato questo profilo, che rasenta il confine tra sociologia e (psico)patologia, i disagi e i danni (di vario genere, effettivi e potenziali) arrecati da tali condotte hanno spinto a invocare ancora una volta la potenza salvifica del diritto penale e a reclamare l'introduzione di nuove fattispecie calibrate sulla specifica esigenza di reprimere fenomeni del genere (qualcuno, ancor più fantasiosamente, ha addirittura auspicato l'applicazione dell'art. 5 del d.l. 162 del 2022, la c.d norma «anti-rave»).
3. Ora, prescindendo qui da ogni considerazione sulla reale meritevolezza di pena, va segnalato come il nostro ordinamento già contempli ipotesi dirette a fronteggiare condotte siffatte.
Con riferimento ai blocchi stradali, ferma restando l’applicazione delle sanzioni per eventuali reati ipotizzabili quando a tali manifestazioni di protesta passiva si associno la resistenza o la violenza contro chi tenta di far spostare la persona dalla strada (artt. 336 e 337 c.p.) ovvero un’interruzione di pubblico servizio (art. 340 c.p.), si può infatti richiamare l'articolo 1-bis del d.lgs. n. 66 del 1948, come modificato dal d.l. n 113 del 2018, a tenore del quale si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 1.000 a 4.000 euro a «chiunque impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa con il proprio corpo» (stessa sanzione per promotori e organizzatori).
Nei confronti invece di chi, «al fine di impedire od ostacolare la libera circolazione, depone o abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi specie in una strada ordinaria o ferrata o comunque ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata», si applica, ai sensi dell'art. 1 del medesimo decreto, la reclusione da uno a sei anni (pena raddoppiata se il fatto è commesso da più persone, anche non riunite, o se è commesso usando violenza o minaccia alle persone o violenza sulle cose).
Sul versante della tutela di quadri e opere d'arte, può trovare applicazione il secondo comma dell'art. 518-duodecies c.p. (introdotto dalla legge n. 22 del 2022 in materia di «reati contro il patrimonio culturale»), che punisce con reclusione da sei mesi a tre anni e multa da 1.500 a 10.000 euro chiunque, senza che il bene sia distrutto, disperso, deteriorato o reso in tutto o in parte inservibile (si ricadrebbe in tal caso nella più severa ipotesi del primo comma), «deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui».
4. Questa breve ricostruzione mette in luce come la combinazione tra l'istinto verso una pervasività del penale in ogni piega delle relazioni sociali, la pulsione emotiva e la fascinazione ancestrale verso la creazione di nuovi reati possa giocare brutti scherzi ai moderni punitores, finendo per prendere il sopravvento sulla preliminare considerazione dell'esistente e sulla serena disamina della realtà fattuale e legislativa; e spiega meglio di qualunque trattato come si (auto)alimenti - tra precomprensioni ermeneutiche errate e ricognizioni normative incomplete - la proliferazione di fattispecie penali simboliche e ineffettive, emanate sull'onda di una contingente emotività per placare l'opinione pubblica. In breve, ci esemplifica come nasce il panpenalismo.