Corte cost. sent.10 febbraio 2025 (dep. 6 marzo 2025), n. 23, Pres. Amoroso, Red. Petitti
*Contributo pubblicato nel fascicolo 3/2025.
1. La Corte costituzionale, con la sentenza del 10 febbraio 2025, n. 23, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis, comma 2, d.P.R. n. 448/1988, nella parte in cui affida la decisione sull’ammissione al percorso di reinserimento e rieducazione del minore al giudice per le indagini preliminari, anziché al giudice dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 50-bis, comma 2, r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 (ord. giud.)[1].
Con questa decisione, la Consulta ha accolto, almeno parzialmente, le censure sollevate dal giudice per le indagini preliminari del tribunale per i minorenni di Trento, nell’ordinanza del 6 marzo 2024[2], e ha provveduto, altresì, a fornire necessari adeguamenti interpretativi per una corretta applicazione del nuovo congegno.
Occorre ricordare che l’istituto disciplinato dall’art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988 (rubricato «Percorso di reinserimento e rieducazione») rappresenta una tra le novità più significative contenute nel d.l. 15 settembre 2023, n. 123, comunemente denominato “decreto Caivano”, recante «misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale», che è stato successivamente convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2023[3].
Si tratta di un’inedita forma di diversion procedimentale, che presenta numerosi punti di contatto con la disciplina della messa alla prova minorile (artt. 28-29 d.P.R. n. 448/1988), ma anche con quella prevista dal codice di procedura penale per gli adulti (artt. 464-bis ss. c.p.p.), nonché alcune affinità con la definizione del procedimento per irrilevanza del fatto (art. 27 d.P.R. n. 448/1988).
Tale percorso rieducativo, definito dallo stesso legislatore come una messa alla prova “semplificata”[4], è applicabile esclusivamente nel corso delle indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero, qualora si proceda in relazione a reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva, a condizione che i fatti non siano connotati da particolare gravità (art. 27-bis, comma 1, d.P.R. n. 448/1988).
La proposta di definizione anticipata del procedimento, notificata all’indagato e all’esercente la responsabilità genitoriale, è subordinata alla condizione che il minore acceda a un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo che preveda, sentiti i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e, nel rispetto della legislazione in materia di lavoro minorile, lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione, a titolo gratuito, con enti del terzo settore o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso da due a otto mesi.
Entro sessanta giorni dalla notifica della proposta, l’indagato o il suo difensore devono depositare il programma rieducativo, redatto in collaborazione con i servizi minorili territoriali e anche con quelli dell’amministrazione della giustizia. Il legislatore ha previsto che tale programma, ai sensi dell’art. 27-bis, comma 2, d.P.R. n. 448/1988, debba essere trasmesso dal pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari, il quale procede alla fissazione dell’udienza per deliberare sull’accesso del minore a tale misura e, valutata la congruità del progetto, lo ammette al percorso rieducativo con ordinanza, stabilendone la durata (art. 27-bis, comma 3, d.P.R. n. 448/1988). Tale provvedimento, che viene adottato dopo l’audizione dell’imputato e dell’esercente la responsabilità genitoriale, comporta la sospensione del procedimento per il periodo di tempo corrispondente alla durata del percorso rieducativo, restando sospesa anche la prescrizione del reato.
Nelle ipotesi in cui il minore non intenda accedere al percorso di reinserimento oppure lo interrompa senza giustificato motivo, il giudice, sentite le parti in un’apposita udienza, provvede alla restituzione degli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall’art. 453 c.p.p. (art. 27-bis, comma 4, d.P.R. n. 448/1988). Dell’ingiustificata interruzione dell’attività rieducativa si potrà tenere conto nel caso di successiva istanza di sospensione del processo con messa alla prova (art. 27-bis, comma 5, d.P.R. n. 448/1988).
Qualora, invece, decorra regolarmente il periodo di sospensione, il giudice deve fissare una nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato, tenuto conto del comportamento dell’imputato e dell’esito positivo del percorso rieducativo. In caso di esito negativo, al giudice non resta che restituire gli atti al pubblico ministero, che, pure in questo caso, può presentare, anche fuori dei casi previsti dall’art. 453 c.p.p., istanza di giudizio immediato (art. 27-bis, comma 6, d.P.R. n. 448/1988).
2. Nonostante siano state recepite, in sede di conversione del decreto-legge, alcune critiche prontamente formulate nei confronti della versione originaria della disposizione (v. art. 8, comma 1, lett. b) d.l. n. 123/2023)[5], residuavano numerose perplessità sotto il profilo interpretativo e applicativo[6].
Nello specifico, la questione di legittimità dell’art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988 è stata sollevata nell’ambito di un procedimento penale minorile che traeva origine da una lite in famiglia occorsa tra genitore e figlio durante la quale il minorenne avrebbe minacciato, con un coltello preso dalla cucina, il padre, perché, a suo dire, aveva paura che quest’ultimo gli facesse del male in conseguenza di una precedente e accesa discussione. In relazione a tali fatti, il minore veniva sottoposto ad indagini per il reato di minaccia aggravata dall’uso del coltello (artt. 612 e 339 c.p.).
Dopo aver provveduto all’interrogatorio dell’indagato, il pubblico ministero notificava al minore, all’esercente la responsabilità genitoriale e al difensore la proposta di definizione anticipata del procedimento, ai sensi dell’art. 27-bis, comma 1, d.P.R. n. 448/1988, per la redazione del programma rieducativo da depositarsi presso la Procura minorile entro 60 giorni dalla notifica. Il difensore dell’indagato richiedeva una proroga del predetto termine, al fine di ottenere maggiori informazioni sul minore e redigere così un programma capace di rispondere alle specifiche esigenze personali e familiari del minore stesso, a fronte di una situazione familiare dell’indagato particolarmente delicata e della necessità quindi di un intervento maggiormente strutturato e in collaborazione tra servizi sociali, scuola e famiglia. Il pubblico ministero affermava che era già stata avviata un’indagine da parte del servizio sociale del Comune di Trento e, pertanto, rigettava l’istanza di proroga del difensore, in quanto la norma in oggetto non prevede la possibilità di prorogare il termine per il deposito del programma rieducativo.
Preso atto del rigetto della richiesta, la difesa del minore depositava una proposta di progetto rieducativo, elaborata unitamente al servizio sociale locale, che prevedeva lo svolgimento dì un’attività di volontariato all’interno di un centro di aggregazione territoriale.
Il giudice per le indagini preliminari, ricevuto il programma trasmesso dal pubblico ministero, procedeva alla fissazione dell’udienza in camera di consiglio, al fine di deliberare sull’ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione (art. 27-bis, comma 2, d.P.R. n. 448/1988) e, conseguentemente, stabilire la durata del percorso stesso, sospendendo il processo per il tempo corrispondente (art. 27-bis, comma 3, d.P.R. n. 448/1988).
Poiché la decisione, come anticipato, verte essenzialmente sulla congruità del percorso di reinserimento e rieducazione, il giudice minorile ha ritenuto carenti, nel caso in esame, gli elementi conoscitivi indispensabili per valutare se il contenuto del programma di intervento fosse congruo rispetto ai fini educativi cui costituzionalmente deve tendere il processo penale minorile. In particolare, il g.i.p. osservava che non era possibile considerare la congruità delle ore di volontariato previste dal programma rieducativo a perseguire una funzione educativa, intesa come concreta opportunità di crescita, maturazione e responsabilizzazione del giovane, in assenza di informazioni specifiche sulle caratteristiche personali del minore e in relazione ai parametri di riferimento normalmente in rilievo, quali l’ambiente familiare, la rete amicale, la condizione di salute, la frequenza scolastica o l’impegno lavorativo.
Data la composizione monocratica dell’organo chiamato a pronunciarsi, non si poteva nemmeno supplire a tale lacuna tramite l’apporto della componente onoraria, ai fini di ottenere una valutazione in termini personalistici ed educativi del minore. L’unica valutazione in concreto possibile – come affermato nell’ordinanza di rimessione – afferisce alla proporzionalità tra il contenuto del programma rieducativo proposto e i fatti per cui si procede con riferimento alla tipologia e alla gravità del reato contestato. Ma «una siffatta valutazione implicherebbe una logica esclusivamente retributiva, anziché educativa, nella risposta trattamentale, contraria agli assiomi basilari del processo minorile»[7]. D’altro canto, l’art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988 non fornisce al giudice per le indagini preliminari soluzioni in relazione all’ipotesi d’incongruità della proposta.
Considerato che queste criticità non vengono in rilievo soltanto nel caso di specie, «ma risultano essere intrinsecamente connesse con la disciplina dettata dall’istituto delineato dall’art. 27-bis, laddove introduce nel sistema penale minorile una risposta trattamentale solo nominalmente educativa, ma che nella sostanza riesuma una funzione prettamente retributiva, determinando allo stesso tempo delle possibili disparità di trattamento»[8], il giudice trentino ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988 con riferimento agli artt. 3 e 31, comma 2, Cost.
3. Dopo aver opportunamente chiarito le differenze tra il nuovo istituto e la messa alla prova “tradizionale” nell’ambito del processo minorile, la Consulta ha osservato che le censure presentate dal giudice a quo meritano accoglimento su uno specifico e tuttavia essenziale aspetto, ossia quello della composizione del giudice investito della procedura, con la conseguente pronuncia, in relazione a questo profilo, di una decisione d’illegittimità costituzionale di tipo sostitutivo, «mentre, per gli aspetti ulteriori, la norma censurata si presta ad un’interpretazione costituzionalmente orientata» (par. 6).
Come ribadito dalla Corte costituzionale, la finalità primaria della messa alla prova, quale istituto di protezione della gioventù, ai sensi dell’art. 31, comma 2, Cost., è quella di favorire l’uscita del minore dal circuito penale, la più rapida possibile, «soprattutto attraverso una riflessione critica del giovane, sul proprio vissuto e la propria condotta, in mancanza della quale l’istituto stesso diverrebbe mezzo di pura deflazione, tra l’altro stimolando, per una sorta di eterogenesi dei fini, calcoli opportunistici dell’indagato minorenne» (par. 6.1).
Per poter conseguire questo delicato risultato, è necessaria «la composizione pedagogicamente qualificata dell’organo giudicante e il sostegno continuo dei servizi minorili, in difetto dei quali la prova del giovane non raggiunge la finalità costituzionale sua propria, piegandosi verso la logica, completamente diversa, dell’istituto per adulti» (par. 6.1, ult. periodo).
Ne consegue che la norma censurata, nella parte in cui fa testualmente riferimento al giudice per le indagini preliminari, si oppone a qualunque interpretazione adeguatrice, poiché il g.i.p. minorile, a norma dell’art. 50-bis, comma 1, r.d. n. 12/1941 (ord. giud.), è giudice singolo, privo della componente onoraria esperta[9].
Pertanto, secondo la Consulta, in ossequio all’art. 31, comma 2, Cost., ogni riferimento al «giudice», contenuto nel testo dell’art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988, deve essere sostituito con la dizione «giudice dell’udienza preliminare», con riferimento, cioè, all’organo collegiale e specializzato, che, ai sensi dell’art. 50-bis, del comma 2 r.d. n. 12/1941 è composto, oltre che dal magistrato togato, da due giudici onorari esperti (par. 6.1.1)[10].
Occorre, a tal riguardo, ricordare che la stessa Corte costituzionale, in una precedente pronuncia, con riferimento alla messa alla prova minorile “tradizionale”, aveva già evidenziato come la composizione collegiale e interdisciplinare del collegio giudicante in sede di udienza preliminare minorile risponde alla complessità delle decisioni che tale giudice è chiamato ad assumere, tra le quali, appunto, l’eventuale sospensione del processo con messa alla prova del minore[11]. Si può quindi ritenere che l’assegnazione della decisione al giudice dell’udienza preliminare e non anche al giudice per le indagini preliminari appare conforme al finalismo rieducativo di cui all’art. 27, comma 3, Cost. e alla protezione della gioventù prevista dall’art. 31, comma 2, Cost., «poiché assicura che le delicate valutazioni personalistiche implicate dall’istituto siano svolte da un organo collegiale, interdisciplinare e diversificato nel genere, pertanto idoneo ad espletarle nella piena consapevolezza di ogni aspetto rilevante»[12].
Così la disposizione dell’art. 28 d.P.R. n. 448/1988, che fissa nell’udienza preliminare, e quindi dopo l’esercizio dell’azione penale, il primo momento utile per la messa alla prova del minore, «corrisponde ragionevolmente all’esigenza di assicurare che le relative valutazioni siano esercitate su un materiale sufficientemente definito, oltre che da un giudice strutturalmente idoneo ad apprezzarne tutti i riflessi personalistici»[13].
Assume, inoltre, specifica rilevanza la successiva decisione con cui la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 1, comma 1, d.P.R. n. 448/1988, stabilendo che, qualora l’imputato richieda il giudizio abbreviato a seguito di un decreto di giudizio immediato, la composizione dell’organo giudicante deve essere quella collegiale prevista dall’art. 50-bis, comma 2, r.d. n. 12/1941 e non quella monocratica del giudice per le indagini preliminari, come avviene, invece, nel processo degli adulti (v. art. 458, comma 2, c.p.p.)[14].
Anche in tale occasione, si è evidenziato che «l’interesse del minore nel procedimento penale minorile trova adeguata tutela proprio nella particolare composizione del giudice specializzato (magistrati ed esperti), e questa composizione è stata opportunamente prevista anche per il giudice dell’udienza preliminare». La specifica professionalità dei due esperti, che affiancano il magistrato togato, «assicura un’adeguata considerazione della personalità del minore», contribuendo anche «all’osservanza del principio di minima offensività, che impone di evitare, nell’esercizio della giurisdizione penale, ogni pregiudizio al corretto sviluppo psicofisico del minore e di adottare le opportune cautele per salvaguardare le correlate esigenze educative»[15].
4. In relazione alle ulteriori doglianze, che evidenziavano altri numerosi “difetti di concepimento” dell’art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988, la Corte ha provveduto, come già anticipato, a rimodellarne la disciplina in conformità alla Carta costituzionale e ai canoni fondamentali che informano il processo a carico dell’autore di reato in età evolutiva.
Anzitutto, con riferimento al ruolo dei servizi minorili, nonostante la formulazione «non perspicua» (così definita dalla Corte) della norma in esame, bisogna valorizzare gli elementi che attestano la necessità di una presenza costante della struttura pubblica a fianco del minorenne in prova. In particolare, il comma 4 dell’art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988, prevedendo un’informativa dei servizi al giudice circa l’interruzione o la mancata adesione del minore al percorso rieducativo, «evidentemente postula che il minore stesso sia seguito dai servizi, fin dall’inizio della prova e durante il suo svolgimento» (par. 6.1.2).
Ai servizi minorili, come è noto, sono affidati dal pubblico ministero e dal giudice gli accertamenti sulla personalità del minorenne ex art. 9 d.P.R. n. 448/1988, che non possono essere trascurati nemmeno in questo contesto procedimentale.
In relazione a questo tema, la Corte ha precisato che l’inserimento nell’art. 6 d.P.R. n. 448/1988 della clausola che consente il ricorso ai servizi minorili “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” «non può interpretarsi come riferita all’impiego ordinario dei servizi minorili stessi già previsto dalla legge, ma soltanto a eventuali forme atipiche e straordinarie di impegno degli operatori» (par. 6.3).
L’intervento dei servizi minorili è, peraltro, fondamentale nel momento dell’elaborazione del programma di reinserimento, giacché questi devono sempre essere «sentiti» (art. 27-bis, comma 1 d.P.R. n. 448/1988) e il programma deve essere redatto collaborando «anche» con i servizi minorili (art. 27-bis, comma 2, d.P.R. n. 448/1988). Come evidenziato dalla Consulta, non si tratta di una mera eventualità, ma di un vero e proprio obbligo di coinvolgere i servizi minorili stessi.
Alla fine del periodo di sospensione, allorché il giudice deve valutare l’esito del percorso rieducativo, ai sensi dell’art. 27-bis, comma 6, d.P.R. n. 448/1988, è indispensabile che questi riceva la relazione conclusiva trasmessa dai servizi, non diversamente da quanto accade per la prova minorile “ordinaria” ex art. 27, comma 5, d.lgs. n. 272/1989[16].
5. Un altro aspetto sul quale la decisione in oggetto ha fornito un importante chiarimento è quello relativo al riferimento temporale «piuttosto generico» (espressione utilizzata dalla Corte), contenuto nell’art. 27-bis, comma 1, d.P.R. n. 448/1988 («durante le indagini preliminari»), in cui il pubblico ministero è legittimato a notificare l’istanza di definizione anticipata del procedimento.
Poiché l’organo a cui compete l’ammissione del minore al percorso di reinserimento è il giudice dell’udienza preliminare, come si è detto prima, la proposta del pubblico ministero va qualificata come atto di esercizio dell’azione penale e può, pertanto, intervenire «solo quando sia sufficientemente definito il contesto del fatto-reato e il quadro esistenziale del minore, quando cioè sia possibile valutare, non soltanto che “i fatti non rivestono particolare gravità”, ma anche che non sia possibile chiedere la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, ai sensi dell’art. 27 d.P.R. n. 448/1988» (par. 6.2).
Come giustamente rilevato dalla Consulta, il tenore letterale della norma in questione «non preclude tale interpretazione, e anzi la accompagna, laddove si riferisce al minore, raggiunto dalla proposta ex art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988, come «imputato» (comma 3), nonché ove fa riferimento alla conseguente sospensione del «processo» (ancora, comma 3) e all’eventuale estinzione del reato per «sentenza» (comma 6).
In questa prospettiva, la restituzione degli atti al pubblico ministero, nelle ipotesi di ingiustificata interruzione o di esito negativo del percorso rieducativo (art. 27-bis, commi 5 e 6, d.P.R. n. 448/1988), non deve essere intesa come una restituzione funzionale all’esercizio dell’azione penale (già avvenuto e irretrattabile), ma una restituzione finalizzata a un nuovo impulso processuale sulla medesima imputazione, eventualmente tramite la richiesta di giudizio immediato, svincolata dai presupposti comuni, come sopra illustrato.
Necessita di un adeguamento interpretativo anche la contrazione procedimentale determinata dalla brevità del termine di deposito del programma rieducativo (ossia, come già detto, sessanta giorni dalla notifica della proposta avanzata dal pubblico ministero) (par. 6.4).
La formulazione dell’art. 27-bis, comma 2, d.P.R. n. 448/1988 «ha un’apparenza cogente», in quanto prescrive che il deposito del programma «deve avvenire» entro sessanta giorni, il che, nel caso di specie sopra esposto, ha prima indotto il pubblico ministero a negare la proroga del termine e poi il giudice rimettente a considerare il termine stesso come perentorio.
In realtà, secondo la Corte, il termine va inteso come ordinatorio, perché, ai sensi dell’art. 173 c.p.p. (applicabile al procedimento minorile in virtù dell’art. 1, comma 1, d.P.R. n. 448/1988) in difetto di un’espressa previsione decadenziale, il termine è prorogabile.
Alla luce di questa interpretazione, se la difesa del minore, per giustificate ragioni, non riesce a rispettare il termine di deposito di sessanta giorni e necessita di altro tempo per redigere il programma rieducativo, può ottenere una proroga dal pubblico ministero. Analogamente, lo stesso pubblico ministero può sollecitare la difesa affinché integri un programma che sia ritenuto lacunoso, concedendo, a tal fine, una proroga del termine.
6. Riguardo alla valutazione della congruità del percorso di reinserimento, che è l’elemento su cui si basa, ai sensi dell’art. 27-bis, comma 3, d.P.R. n. 448/1988, la decisione di ammissione alla prova, l’omessa previsione della facoltà del giudice di integrare o modificare il programma rieducativo potrebbe indurre a ritenere che il giudice stesso si trovi di fronte all’alternativa secca tra accettare o respingere l’accordo delle parti, similmente a quanto avviene per l’applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. nel rito degli adulti (par. 6.5).
Anche questa «incongruenza», secondo la Consulta, si presta a una correzione interpretativa, sulla base di quanto la giurisprudenza di legittimità[17] ha costantemente affermato per la prova minorile “ordinaria”, dovendosi, nello specifico, ritenere che al giudice non è affatto preclusa la possibilità di disporre integrazioni o modifiche del progetto di intervento. Occorre, però, che il giudice provveda a consultare le parti e i servizi sociali, non potendo agire sul contenuto del progetto in modo unilaterale.
Infine, per quanto riguarda l’oggetto della prova, «sebbene il comma 1 dell’art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988 sembri privilegiare la prestazione di attività lavorativa da parte del minore, tanto da far espressamente salvo il «rispetto della legislazione in materia di lavoro minorile», il tenore della norma consente un’interpretazione conforme all’art. 31, comma 2, Cost., da due angolature concorrenti» (par. 6.6).
In primo luogo, tra le «altre attività a beneficio della comunità di appartenenza», menzionate dalla disposizione in esame, possono annoverarsi anche attività non strettamente lavorative, ma di carattere socio-relazionale, in modo non dissimile da quanto accade nella messa alla prova minorile “ordinaria”[18].
In secondo luogo, la Corte richiama le «previsioni di salvaguardia» contenute nell’ordinamento penitenziario minorile con riferimento alle misure penali di comunità (v. art. 3, comma 2, d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 121), che vengono ritenute «estensibili per analogia», con la conseguenza che anche per gli eventuali impegni lavorativi oggetto della messa alla prova “semplificata” opera la medesima cautela, ossia che «non devono mai compromettere i percorsi educativi in atto».
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In conclusione, l’istituto di nuovo conio si è sottratto ad una «ablazione radicale», per il solo fatto che la Consulta ha corretto, con la pronuncia “sostitutiva” in commento, la composizione del giudice competente a disporre il percorso di reinserimento e rieducazione, nonché, al contempo, ha fornito gli “adeguamenti interpretativi” necessari alla sua corretta applicazione, evidenziando, da ultimo (v. par. 7), che la soluzione prevista dall’art. 27-bis d.P.R. n. 448/1988 non preclude ulteriori itinerari procedimentali, incluso quello della messa alla prova minorile “ordinaria” (artt. 28-29 d.P.R. n. 448/1988).
[1] L’art. 50-bis, comma 2, r.d. n. 12/1941 prevede che «nell’udienza preliminare, il tribunale per i minorenni, giudica composto da un magistrato e da due giudici onorari, un uomo e una donna, dello stesso tribunale». A seguito delle modifiche apportate dall’art. 30, comma 1, lett. e), n. 2, d.lgs. n. 149/2022, che saranno in vigore dal 17 ottobre 2025, la norma risulta così formulata: «nell’udienza preliminare e nel giudizio abbreviato richiesto dall’imputato in seguito a un decreto di giudizio immediato, la sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie giudica composta da un magistrato e da due giudici onorari esperti della stessa sezione».
[2] Trib. minorenni Trento, g.i.p. (dott. Giovanni Gallo), ord. 6 marzo 2024, in questa rivista, 29 marzo 2024.
[3] V. S. Bernardi, Convertito in legge il d.l. “Caivano” in tema di contrasto al disagio e alla criminalità minorili: una panoramica dei numerosi profili d’interesse per il penalista, in questa rivista, 15 novembre 2023. Cfr. anche A. Massaro, La risposta “punitiva” a disagio giovanile, povertà educativa e criminalità minorile: profili penalistici del c.d. decreto Caivano, in Proc. pen. giust., 2024, n. 2, p. 488 ss.
[4] Cfr. Dossier XIX Legislatura, A.S. n. 878, 25 settembre 2023, il cui testo è disponibile online all’indirizzo www.senato.it, p. 62.
[5] A tal proposito, si può ricordare la previsione che obbligava il pubblico ministero a notificare al minore e all’esercente la responsabilità genitoriale l’istanza di definizione anticipata del procedimento, ove si procedesse per i reati sopra indicati, o quella che, nelle ipotesi di rifiuto del minore a sottoporsi al percorso rieducativo o di interruzione del percorso stesso oppure in caso di esito negativo di tale percorso, escludevano, in ogni caso, l’applicazione degli artt. 28 e 29 d.P.R. n. 448/1998.
[6] Cfr., volendo, L. Camaldo, Al vaglio della Corte costituzionale il percorso di reinserimento e rieducazione del minore, ai sensi dell’art. 27-bis D.P.R. n. 448/1988 (c.d. messa alla prova semplificata), recentemente introdotto dal decreto Caivano, in questa rivista, 2024, fasc. 3, p. 77 ss.
[7] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 3.
[8] Ibidem
[9] L’art. 50-bis, comma 1, r.d. n. 12/1941, novellato dall’art. 30, comma 1, lett. e), n. 1, d.lgs. n. 149/2022, in vigore dal 17 ottobre 2025, stabilisce che «in ogni sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie uno o più magistrati sono incaricati, come giudici singoli, dei provvedimenti previsti dal codice di procedura penale per la fase delle indagini preliminari. L'organizzazione del lavoro dei predetti giudici è attribuita al più anziano».
[10] Ai sensi dell’art. 6 r.d.l. n. 1404/1934, come modificato dall’art. 31, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 149/2022, in vigore dal 17 ottobre 2025, «i componenti privati del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e della sezione di Corte di appello per le persone, per i minorenni e per le famiglie sono scelti fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia, che abbiano compiuto il trentesimo anno di età». Tali soggetti sono nominati con decreto del Ministro della giustizia su proposta del Consiglio superiore della magistratura, ed è loro rispettivamente conferito il titolo di «giudice onorario esperto, o di consigliere onorario esperto». Prima di assumere l’esercizio delle loro funzioni, prestano giuramento dinanzi al presidente della Corte di appello e durano in carica tre anni, potendo, tuttavia, essere confermati, senza limitazioni nel numero di mandati. Sul tema v., volendo, L. Camaldo, L’udienza preliminare nel processo penale minorile, Giappichelli, Torino, 2023, p. 9 ss.
[11] Corte cost., 10 giugno 2020, n. 139, Pres. Cartabia, Red. Petitti, in questa rivista, 10 febbraio 2021, con nota di L. Camaldo, La Consulta conferma l’impossibilità di applicare la messa alla prova del minore nella fase delle indagini preliminari a differenza della disciplina prevista per gli adulti.
[12] Corte cost., 10 giugno 2020, n. 139, cit., par. 4.6.5.
[13] V. ancora Corte cost., 10 giugno 2020, n. 139, cit., par. 4.5.1. In argomento, per un maggiore approfondimento, v., volendo, L. Camaldo, L’udienza preliminare nel processo penale minorile, cit., p. 221 ss.
[14] Cfr. Corte cost., 12 gennaio 2015, n. 1, in Dir. pen. proc., 2015, n. 2, p. 151, la quale ha ricordato che «il tribunale per i minorenni fu istituito proprio perché si ritenne che il minore, spesso portato al delitto da complesse carenze di personalità dovute a fattori familiari, ambientali e sociali, dovesse essere valutato da giudici specializzati che avessero strumenti tecnici e capacità personali particolari per vagliare adeguatamente la personalità del minore al fine di individuare il trattamento rieducativo più appropriato». Nello stesso senso, in precedenza, v. Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2014 (dep. 5 maggio 2014), n. 18292, in Dir. pen. cont., 24 giugno 2014, con nota di C. Gabrielli, Le Sezioni Unite sulla competenza a celebrare il giudizio abbreviato instaurato a seguito di rito immediato nel procedimento a carico di minorenni.
[15] Così Corte cost., 12 gennaio 2015, n. 1, cit.
[16] L’art. 27, comma 5, d.lgs. n. 272/1989 prevede che «ai fini di quanto previsto dagli articoli 28 comma 5 e 29 d.P.R. n. 448/1988, i servizi presentano una relazione sul comportamento del minorenne e sull’evoluzione della sua personalità al presidente del collegio che ha disposto la sospensione del processo nonché al pubblico ministero, il quale può chiedere la fissazione dell’udienza prevista dall'articolo 29 del medesimo decreto»
[17] A tal proposito, v. Cass., Sez. IV, 28 gennaio-5 febbraio 2020, n. 4926; Cass., Sez. V, 20 marzo-10 aprile 2013, n. 16332.
[18] Un’elencazione, seppure meramente esemplificativa, dei contenuti minimi del programma trattamentale è fornita dall’art. 27, comma 2, d.lgs. n. 272/1989, secondo cui è necessario indicare, tra l’altro, le modalità di coinvolgimento del minorenne, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita, gli impegni specifici che il minorenne assume, le forme di partecipazione al progetto degli operatori della giustizia e dell’ente locale, le modalità di attuazione eventualmente dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa.