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  Scheda  
29 Marzo 2024


Al vaglio della Corte costituzionale il percorso di reinserimento e rieducazione del minore, ai sensi dell’art. 27-bis D.P.R. n. 448/1988 (c.d. messa alla prova semplificata), recentemente introdotto dal decreto Caivano

Trib. minorenni Trento, GIP., ord. 6 marzo 2024, giud. Gallo



*Contributo pubblicato nel fascicolo 3/2024. 

 

1. Con l’ordinanza del 6 marzo 2024, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale per i minorenni di Trento (Dott. Giovanni Gallo)[1] ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 27-bis D.P.R. n. 448/1988 (disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), recentemente introdotto dal c.d. “decreto Caivano”.

Il procedimento disciplinato da tale nuova disposizione, che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe rappresentare «una messa alla prova “semplificata”»[2] sembra, infatti, porsi in rotta di collisione con gli artt. 3 e 31, comma 2, Cost., per una serie di ragioni che saranno successivamente illustrate.

Conviene, anzitutto, ricordare che il Governo, a seguito di un tragico delitto di violenza commesso da alcuni giovani ai danni di una minorenne nel Comune di Caivano, in provincia di Napoli, a cui la cronaca giudiziaria ha dedicato ampia attenzione, è intervenuto al fine introdurre «misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale», contenute nel d.l. 15 settembre 2023, n. 123, che è stato successivamente convertito con modificazioni dalla legge 13 novembre 2023, n. 15, licenziata, in prima lettura, dal Senato il 27 ottobre 2023, a seguito di numerose audizioni di esperti, magistrati e associazioni del settore[3], e approvata, in via definitiva, dalla Camera in data 8 novembre 2023, dopo che il Governo aveva posto questione di fiducia[4].

Tra le novità dell’atto normativo che, per le ragioni anzidette, è comunemente denominato “decreto Caivano”, spicca sicuramente l’istituto disciplinato dall’art. 27-bis D.P.R. n. 448/88, rubricato “Percorso di reinserimento e rieducazione” (introdotto, nello specifico, dall’art. 8, comma 1, lett. b) d.l. n. 123/2023, conv., con modificaz., dalla l. 15/2023).

Si tratta di un’inedita forma di diversion procedimentale, che presenta numerosi punti di contatto con la disciplina della messa alla prova minorile (artt. 28-29 D.P.R. n. 448/1988), ma anche con quella prevista dal codice di procedura penale per gli adulti (artt. 464-bis ss. c.p.p.), nonché alcune affinità con la definizione del procedimento per irrilevanza del fatto (art. 27 D.P.R. n. 448/1988).

Tale disposizione è applicabile esclusivamente nel corso delle indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero, qualora si proceda per reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni di reclusione, ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva, a condizione che i fatti non siano connotati da particolare gravità (art. 27-bis, comma 1, D.P.R. n. 448/1988).

La proposta di definizione anticipata del procedimento, avanzata dal pubblico ministero, che deve notificarla al minorenne indagato e all’esercente la responsabilità genitoriale, è subordinata alla condizione che il minore acceda a un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo che preveda, sentiti i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e, nel rispetto della legislazione in materia di lavoro minorile, lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti del Terzo settore o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso da due a otto mesi.

Entro sessanta giorni dalla notifica della proposta, l’indagato o il suo difensore devono, infatti, depositare il programma rieducativo, redatto in collaborazione anche con i servizi dell’amministrazione della giustizia, che il pubblico ministero trasmette al giudice per le indagini preliminari, esercitando l’azione penale (art. 27-bis, comma 2, D.P.R. n. 448/1988). Il giudice, a sua volta, procede alla fissazione dell’udienza per deliberare sull’accesso del minore a tale misura e, valutata la congruità del progetto, lo ammette al percorso rieducativo con ordinanza, stabilendone la durata (art. 27-bis, comma 3, D.P.R. n. 448/1988). Tale provvedimento, che viene adottato dopo aver sentito l’imputato e l’esercente la responsabilità genitoriale, comporta la sospensione del procedimento per il periodo di tempo corrispondente alla durata del percorso rieducativo, restando sospesa anche la prescrizione del reato.

In caso di interruzione o mancata adesione al percorso, i servizi minorili dell’amministrazione della giustizia informano il giudice, che fissa l’udienza in camera di consiglio e, sentite le parti, adotta i provvedimenti conseguenti (art. 27-bis, comma 4, D.P.R. n. 448/1988). Qualora il minore non intenda accedere al percorso di reinserimento o lo interrompa senza giustificato motivo, il giudice provvede alla restituzione degli atti al pubblico ministero, che può procedere con richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall’art. 453 c.p.p. Dell’ingiustificata interruzione dell’attività rieducativa si potrà tenere conto nel caso di successiva istanza di sospensione del processo con messa alla prova (art. 27-bis, comma 5, D.P.R. n. 448/1988).

Qualora, invece, decorra regolarmente il periodo di sospensione, il giudice deve fissare una nuova udienza in camera di consiglio nella quale dichiara con sentenza estinto il reato, tenuto conto del comportamento dell’imputato e dell’esito positivo del percorso rieducativo. In caso di esito negativo, al giudice non resta che restituire gli atti al pubblico ministero, che, anche in questo caso, può presentare, anche fuori dei casi previsti dall’art. 453 c.p.p., istanza di giudizio immediato[5] (art. 27-bis, comma 6, D.P.R. n. 448/1988).

Nonostante la disposizione appena descritta abbia recepito alcune critiche che erano state prontamente formulate nei confronti della versione originaria contenuta nel decreto legge[6], tra cui basti ricordare la previsione che obbligava il pubblico ministero a notificare al minore e all’esercente la responsabilità genitoriale l’istanza di definizione anticipata del procedimento, ove si procedesse per i reati sopra indicati, o quella che, nelle ipotesi di rifiuto del minore a sottoporsi al percorso rieducativo o di interruzione del percorso stesso oppure in caso di esito negativo di tale percorso, escludevano, in ogni caso, l’applicazione degli artt. 28 e 29 D.P.R. n. 448/1998, residuano numerose perplessità sotto il profilo interpretativo e applicativo, che sono state ben evidenziate dal giudice trentino.

 

2. La questione di legittimità della norma de qua è stata sollevata nell’ambito di un procedimento penale minorile che trae origine da una lite in famiglia occorsa tra genitore e figlio durante la quale il minorenne avrebbe minacciato, con un coltello preso dalla cucina, il padre, perché, a suo dire, aveva paura che quest’ultimo gli facesse del male in conseguenza di una precedente e accesa discussione. In relazione a tali fatti, il minore veniva sottoposto ad indagini per il reato di minaccia aggravata dall’uso del coltello (artt. 612 e 339 c.p.).

Dopo aver provveduto all’interrogatorio dell’indagato, il pubblico ministero minorile notificava al minore, all’esercente la responsabilità genitoriale e al difensore la proposta di definizione anticipata del procedimento, ai sensi dell’art. 27-bis, comma 1, D.P.R. n. 448/1988 per la redazione del programma rieducativo da depositarsi presso la Procura minorile entro 60 giorni dalla notifica. Il difensore dell’indagato richiedeva una proroga del termine, previsto dall'art. 27-bis, comma 2, D.P.R. n. 448/1988, per il deposito del programma, al fine di ottenere maggiori informazioni sul minore e redigere così un programma capace di rispondere alle specifiche esigenze personali e familiari del minore stesso, a fronte di una situazione familiare dell’indagato particolarmente delicata e della necessità quindi di un intervento maggiormente strutturato e in collaborazione tra servizi sociali, scuola e famiglia. Il pubblico ministero affermava che era già stata avviata un’indagine da parte del Servizio sociale del Comune di Trento e, pertanto, rigettava l’istanza di proroga del difensore, in quanto la norma in oggetto non prevede la possibilità di prorogare il termine per il deposito del programma rieducativo.

Preso atto del rigetto della richiesta, la difesa del minore depositava una proposta di progetto rieducativo, elaborata unitamente al Servizio sociale territoriale, che prevedeva lo svolgimento dì un’attività di volontariato all’interno di un centro di aggregazione territoriale.

Il giudice per le indagini preliminari, ricevuto il programma trasmessogli dal pubblico ministero, procedeva alla fissazione dell’udienza in camera di consiglio, al fine di deliberare sull’ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione (art. 27-bis, comma 2, D.P.R. n. 448/1988) e, conseguentemente, stabilire la durata del percorso stesso, sospendendo il processo per il tempo corrispondente (art. 27-bis, comma 3, D.P.R. n. 448/1988).

Poiché la decisione, come si è anticipato, verte essenzialmente sulla congruità del percorso di reinserimento e rieducazione, il giudice minorile ha ritenuto carenti, nel caso in esame, gli elementi conoscitivi indispensabili per valutare se il contenuto del programma rieducativo sia congruo rispetto ai fini educativi cui costituzionalmente deve tendere il processo penale minorile. In particolare, non si riteneva possibile valutare la congruità delle ore di volontariato previste dal programma rieducativo a perseguire una funzione educativa, intesa come concreta opportunità di crescita, maturazione e responsabilizzazione del giovane, in assenza di informazioni specifiche sulle caratteristiche personali del minore e in relazione ai parametri di riferimento normalmente in rilievo, quali l’ambiente familiare, la rete amicale, la condizione di salute, la frequenza scolastica o l’impegno lavorativo[7].

Data la composizione monocratica dell’organo chiamato a pronunciarsi, non si può nemmeno supplire a tale lacuna tramite l’apporto della componente onoraria, ai fini di ottenere una valutazione in termini personalistici ed educativi del minore. L’unica valutazione in concreto possibile – come affermato nell’ordinanza – afferisce alla proporzionalità tra il contenuto del programma rieducativo proposto e i fatti per cui si procede con riferimento alla tipologia e alla gravità del reato contestato. Ma «una siffatta valutazione implicherebbe una logica esclusivamente retributiva, anziché educativa, nella risposta trattamentale, contraria agli assiomi basilari del processo minorile»[8]. D’altro canto, l’art. 27-bis D.P.R. n. 448/1988 non fornisce al giudice per le indagini preliminari soluzioni in relazione all’ipotesi d’incongruità della proposta.

Considerato che queste criticità non vengono in rilievo soltanto nel caso di specie, «ma risultano essere intrinsecamente connesse con la disciplina dettata dall’istituto delineato dall’art. 27-bis, laddove introduce nel sistema penale minorile una risposta trattamentale solo nominalmente educativa, ma che nella sostanza riesuma una funzione prettamente retributiva, determinando allo stesso tempo delle possibili disparità di trattamento»[9], si è ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27-bis D.P.R. n. 448/1988 con riferimento agli artt. 3 e 31, comma 2, Cost.

 

3. Il contrasto, in particolare, con l’art. 31, comma 2, Cost., che, come è noto, garantisce una speciale protezione della gioventù, deriva dalla considerazione secondo cui il procedimento alternativo introdotto all'art. 27-bis D.P.R. n. 448/1988 fornisce al minore sottoposto a procedimento penale «una risposta giurisdizionale di tipo sanzionatorio piuttosto che di tipo educativo»[10], essendo primariamente proteso all’attuazione dei principi di razionalizzazione della risorsa giudiziaria e di celere definizione del procedimento penale, attraverso una significativa riduzione dei tempi e delle forme processuali, nelle ipotesi di reati di lieve offensività.

Sotto tale profilo, l'istituto in esame è assimilabile alla sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto di cui all’art. 27 D.P.R. n. 448/1988, la quale, tuttavia, oltre alla tenuità del fatto, richiede che, sulla base delle informazioni acquisite, il reato si presenti come un accadimento occasionale nel percorso di crescita del minorenne[11].

Come correttamente affermato dal giudice remittente, l’art. 27-bis citato trova applicazione, invece, nelle situazioni in cui «l’agito deviante, per quanto di lieve entità, non può dirsi occasionale, e quindi necessita di un intervento giudiziario e osta all’immediata fuoriuscita dal processo penale, tramite la sentenza di non luogo a procedere ex art. 27 d.P.R. n. 448/1988»[12].

D’altro canto, la soluzione di nuovo conio, che nella topografia normativa è collocata tra la pronuncia d’irrilevanza del fatto e la sospensione del processo con messa alla prova di cui agli artt. 28 e 29 D.P.R. n. 448/1988, si differenzia sensibilmente da quest’ultima, nonché anche dalla messa alla prova, nella fase pre-processuale, prevista per gli adulti dagli artt. 464-bis ss. c.p.p.

La procedura alternativa introdotta dal “decreto Caivano” è caratterizzata, infatti, da una accentuata esigenza di semplificazione[13], ma si fonda su “un sillogismo” che è palesemente viziato da irragionevolezza, poiché «a fronte di un reato non particolarmente offensivo, né però occasionale, è possibile addivenire, in tempi ristretti, a una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato all’esito del corretto svolgimento di determinate attività, individuate dallo stesso minore, a sfondo socio-lavorativo»[14], risultando, tuttavia, sacrificata la possibilità di svolgere un adeguato approfondimento informativo e un’effettiva presa in carico del minore e dei suoi bisogni educativi, con la conseguenza che, ingiustificatamente, viene riservata ai soggetti in età evolutiva una condizione deteriore (anziché migliore) rispetto agli adulti, per i quali il legislatore ha delineato un’articolata e puntuale disciplina volta a un’effettiva presa in carico dell’indagato che decide di sottoporsi al percorso di messa alla prova.

È condivisibile, inoltre, l’affermazione contenuta nell’ordinanza in commento, secondo cui «dietro alla commissione di un reato, non particolarmente grave, né punito dalla legge severamente, possono celarsi significativi bisogni educativi, i quali esulano dall'attività di indagine penale propriamente intesa» e, in questa prospettiva, «il fatto reato diventa quindi l'occasione per intercettare il disagio giovanile e assumere quelle misure, seppur non prive anche di una componente afflittivo-retributiva, volte, da un lato, al contrasto della devianza e, dall’altro, alla cura dei bisogni educativi del minore»[15].

Soltanto se il procedimento penale minorile diviene lo strumento per offrire al minore un’occasione per emanciparsi dalle cause che hanno indotto l’atto deviante, «risultano pienamente attuati, in tutta la loro forza semantica, i precipitati costituzionali secondo cui la Repubblica protegge la gioventù ed è suo compito rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana»[16].

In nome del principio di celerità nel raggiungimento del risultato, si è altresì escluso l’intervento dei giudici onorari esperti, portatori di un sapere scientifico e pedagogico necessario ad assicurare una adeguata valutazione personologica dell’autore di reato, ai sensi dell’art. 9 D.P.R. n. 448/1988, affidando l’applicazione di questo particolare epilogo del procedimento esclusivamente al giudice monocratico togato, sfornito di qualsiasi approccio multidisciplinare e privato della dialettica propria della collegialità.

La mancanza della possibilità di acquisire gli elementi conoscitivi sul minore, unitamente alla assenza della componente onoraria all’interno dell’organo giudicante, determinano «l’impossibilità di assicurare la portata educativa della risposta trattamentale introdotta dall'art. 27-bis, e, allo stesso tempo, larvatamente, ne riesumano la funzione retributiva»[17], come emerge chiaramente dall’analisi effettuata dal giudice remittente dell’intero iter procedimentale dell’istituto, nei tre segmenti in cui è scomponibile, ossia la fase prodromica, dedicata alla redazione della proposta del programma rieducativo, la fase intermedia, relativa all’ammissione da parte del giudice al trattamento proposto, e, infine, la fase conclusiva, cioè la valutazione all’esito del periodo di osservazione.

Difficoltà applicative derivano, in particolare, dalle strette tempistiche, previste dalla norma, che, come è emerso nel caso concreto, sovente non consentono un’adeguata raccolta degli elementi relativi alle condizioni e alle risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne, nonché dalla scarsa attenzione per la partecipazione dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, il cui intervento appare essere considerato secondario e strumentale, poiché volto non già a elaborare il programma, previa conoscenza del minore, ma limitato alla mera individuazione di quelle attività che dovranno essere poste a completamento del programma rieducativo, quali i lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti del Terzo settore o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza. In proposito, si osserva che «l'individuazione delle attività da inserire nel programma da presentare all’autorità giudiziaria non appare essere un'operazione di pronta soluzione e può rilevarsi specialmente difficoltosa per i minori che vivono in contesti familiari e in situazioni sociali periferiche e marginali»[18]. Alla difesa viene, peraltro, addossato il compito di presentare al pubblico ministero il progetto nel termine di 60 giorni e quindi eventuali ritardi saranno processualmente a essa imputabili, con la probabile conseguenza che, in caso di mancato rispetto del termine, l’indagato non potrà avvantaggiarsi della procedura deflattiva, posto che tale ipotesi non è regolata dalla disposizione in oggetto.

In ordine alla fase decisoria, si osserva che non è previsto l’intervento dei servizi minorili al termine del percorso, diversamente da quanto accade nel momento di conclusione della messa alla prova ex art. 28 D.P.R. n. 448/1988, dove è previsto l’inoltro di una relazione conclusiva, ai sensi dell’art. 27, comma 5, d.lgs. n. 272/1989, e al termine di quella per gli adulti in fase di indagine, laddove si stabilisce che il giudice, al fine di valutare l’esito del progetto, «acquisisce la relazione conclusiva dell’ufficio di esecuzione penale esterna che ha preso in carico l’imputato» (art. 464-septies c.p.p.). Secondo il giudice minorile, «l’assenza di una relazione, redatta a cura da un soggetto pubblico e altamente specializzato, qual è l'ufficio dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, impedisce di tenere in debita considerazione l’incidenza che l’espletamento del progetto ha avuto sul percorso evolutivo del minore in relazione ai profili di crescita, maturità e responsabilizzazione»[19].

 

4. In aggiunta alle precedenti considerazioni, che sono pienamente condivisibili, appare opportuno osservare come il legislatore, sebbene abbia utilizzato una diversa denominazione per la procedura in esame, non ha potuto nascondere, come si è detto all’inizio, che il meccanismo disciplinato dall’art. 27-bis D.P.R. n. 448/1988 rappresenta una sorta di “messa alla prova semplificata”, la quale, a differenza di quella ordinaria, può essere applicata, con particolare celerità, nella fase delle indagini preliminari. A tal proposito, però, non si è tenuta in alcuna considerazione, come invece sarebbe stato necessario, la recente pronuncia della Corte costituzionale (sent. 10 giugno 2020 n. 139[20]), con la quale la Consulta ha ritenuto conforme ai principi costituzionali l’esclusione dell’applicazione della messa alla prova del minore nella fase delle indagini preliminari a differenza della disciplina prevista per gli adulti, poiché l’essenziale finalità rieducativa «ne plasma la disciplina in senso rigorosamente personologico, rimanendo estraneo ogni obiettivo di economia processuale»[21]. Tale finalità essenzialmente rieducativa della messa alla prova minorile preclude, inoltre, «un’eccessiva anticipazione procedimentale delle relative valutazioni»[22].

La disposizione dell’art. 28 D.P.R. n. 448/1988 che fissa nell’udienza preliminare, e quindi dopo l’esercizio dell’azione penale, il primo momento utile per la messa alla prova del minore «corrisponde ragionevolmente all’esigenza di assicurare che le relative valutazioni siano esercitate su un materiale sufficientemente definito, oltre che da un giudice strutturalmente idoneo ad apprezzarne tutti i riflessi personalistici»[23].

A tal riguardo, in una precedente pronuncia, lo stesso Giudice delle leggi (sent. 12 gennaio 2015, n. 1) aveva evidenziato come la composizione collegiale e interdisciplinare del collegio giudicante in sede di udienza preliminare minorile risponda alla complessità delle decisioni che tale giudice è chiamato ad assumere, tra le quali, appunto, l’eventuale sospensione del processo con messa alla prova. Si può quindi ritenere che l’assegnazione della messa alla prova del minore al giudice dell’udienza preliminare e non anche al giudice per le indagini preliminari – come affermato dalla Consulta – appare conforme al finalismo rieducativo di cui all’art. 27, comma 3, Cost. e alla protezione della gioventù prevista dall’art. 31, comma 2, Cost., «poiché assicura che le delicate valutazioni personalistiche implicate dall’istituto siano svolte da un organo collegiale, interdisciplinare e diversificato nel genere, pertanto idoneo ad espletarle nella piena consapevolezza di ogni aspetto rilevante»[24].

La messa alla prova minorile può, pertanto, assolvere la sua primaria funzione rieducativa solo se disposta, a tempo debito, da un giudice strutturalmente qualificato alle necessarie valutazioni di personalità, poiché queste condizionano l’esito positivo della prova, la conseguente dichiarazione di estinzione del reato e, in ultima analisi, l’effettiva fuoriuscita del minore dal circuito penale.

 

***

Per tutte le ragioni esposte, si auspica che la Corte costituzionale voglia accogliere le censure, in relazione all’art. 3 e all’art. 31, comma 2, Cost., presentate dal Tribunale per i minorenni di Trento, eliminando un congegno mal concepito e non adeguatamente disciplinato, nonché distonico rispetto ai canoni fondamentali che informano il processo a carico dell’autore di reato in età evolutiva, perché – come affermato, in conclusione, dal giudice remittente – «cela, di fronte a un reato asseritamente commesso da un minorenne, una meccanica trattamentale fortemente improntata sul paradigma punitivo, scandita dal principio di proporzionalità, anziché assicurare un approccio trattamentale fondato su dinamiche educative e riabilitative, definite dal principio personalistico e assicurate dalla multidisciplinarietà dell'organo giudicante minorile»[25].

Per analoghe motivazioni, si ritiene necessario che il legislatore voglia, con un intervento “in autotutela”, abrogare la disposizione (art. 28, comma 5-bis, D.P.R. n. 448/1988), introdotta ex novo dalla legge di conversione del “decreto Caivano”, che si espone alle medesime censure di legittimità costituzionale, in quanto preclude automaticamente l’accesso alla sospensione del processo con messa alla prova del minore, il quale, seppure abbia commesso reati connotati da particolare gravità (delitti di omicidio volontario aggravato, violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo aggravate, nonché alcune ipotesi di rapina aggravata[26]), necessita, proprio per questo, di un intervento (ri)educativo, innestato nella fase processuale, che rappresenta l’unica soluzione alternativa alla condanna, non essendo applicabile, in tali procedimenti, la pronuncia di irrilevanza del fatto e, nella maggior parte dei casi, nemmeno il perdono giudiziale[27].

A tal proposito, non si deve trascurare, ancora una volta, l’insegnamento della Corte costituzionale[28], la quale, intervenendo, per la prima volta, in relazione al nuovo ordinamento penitenziario minorile, ha dichiarato illegittima la disposizione dell’art. 2, comma 3, d.lgs. n. 121/2018, nella parte in cui impedisce “automaticamente” ai condannati, che abbiano commesso nella minore età alcuni specifici e gravi delitti (c.d. reati ostativi, di cui all’art. 4-bis l. 354/1975), l’accesso alle misure penali di comunità e agli altri benefici, consentendo così al tribunale di sorveglianza specializzato una valutazione individualizzata per tutti gli autori di reato minorenni, senza che assuma alcuna rilevanza il tipo di reato commesso.

Alla luce di tali indicazioni, è opportuno, pertanto, sopprimere le preclusioni alla sospensione con messa alla prova del minorenne collegate all’entità della pena e alla tipologia del reato commesso, in linea con la funzione prevalentemente educativa e responsabilizzante della messa alla prova minorile, facendo rivivere la precedente disciplina, dove il quantum di pena comminata in astratto rilevava non per l’adozione di tale soluzione, ma ai soli fini della durata del periodo di probation.

 

 

[1] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024.

[2] Cfr. Dossier XIX Legislatura, A.S. n. 878, 25 settembre 2023, il cui testo è disponibile online all’indirizzo www.senato.it, p. 62.

[3] I documenti relativi alle audizioni e acquisiti in Commissione 1ª (Aff. costituzionali) e 2ª (Giustizia) sono pubblicati in www.senato.it/leg/19/BGT/Schede/Ddliter/documenti/57495_documenti.htm

[4] V. S. Bernardi, Convertito in legge il d.l. “Caivano” in tema di contrasto al disagio e alla criminalità minorili: una panoramica dei numerosi profili d’interesse per il penalista, in questa Rivista, 15 novembre 2023. Cfr. anche A. Massaro, La risposta “punitiva” a disagio giovanile, povertà educativa e criminalità minorile: profili penalistici del c.d. decreto Caivano, in Proc. pen. giust., 2024, n. 2, p. 488 ss.

[5] Non si comprende la ragione per cui, a fronte delle suddette ipotesi, venga meno la necessaria presenza dei presupposti che, di regola, giustificano la richiesta del pubblico ministero di procedere con il rito immediato, e quindi in assenza di una valutazione sull’evidenza della prova o dell’accertamento dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, atteso, peraltro, che questo giudizio speciale esclude la celebrazione dell’udienza preliminare, la cui funzione nell’ambito del processo penale minorile è fondamentale. Sul tema v., volendo, L. Camaldo, L’udienza preliminare nel processo penale minorile, Giappichelli, Torino, 2023, p. 1 ss.

[6] Cfr. art. 8 comma 1 lett. b) d.l. 15 settembre 2023, n. 123.

[7] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 2.

[8] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 3.

[9] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 3.

[10] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 4.

[11] Nell’ordinanza in commento (Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 4) si precisa che «l'occasionalità della condotta si desume dalla concreta presenza nella vita del minore di quegli elementi protettivi socio-ambientali tali per cui è possibile ritenere che il reato non rappresenti una manifestazione indicativa di bisogni non corrisposti del minore, quanto piuttosto un episodio isolato all'interno di un regolare percorso di crescita, avulso da un tangibile rischio di devianza».

[12] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 4-5.

[13] Come rilevato dal giudice remittente, «la semplificazione della procedura, aspetto saliente dell'istituto, può essere sintetizzata nei seguenti tratti distintivi: l'esercizio informale dell'azione penale, l'accertamento del fatto in forma sommaria, una significativa restrizione dei tempi, il mancato coinvolgimento della persona offesa, la natura negoziale del programma rieducativo, la devoluzione della procedura alla cognizione del Giudice monocratico per le indagini preliminari, l'intervento ridotto dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia» (così Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 5).

[14] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 5.

[15] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 6.

[16] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 7.

[17] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 7.

[18] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 8.

[19] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 10.

[20] Corte cost. 10 giugno 2020 n. 139, in www.cortecostituzionale.it. Per un commento, v., volendo, L. Camaldo, Secondo la Consulta è legittimo che la messa alla prova del minore non possa essere disposta nella fase delle indagini preliminari, in questa Rivista, 10 febbraio 2021; M. Miraglia, La sospensione del processo con messa alla prova nel rito minorile non può essere disposta durante le indagini preliminari. La Corte costituzionale ribadisce l'imprescindibilità della “collegialità interdisciplinare”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, n. 3, p. 1592 ss.

[21] Corte cost. 10 giugno 2020 n. 139, cit.

[22] Ibidem

[23] In argomento, per un maggiore approfondimento, v., volendo, L. Camaldo, L’udienza preliminare nel processo penale minorile, Giappichelli, Torino, 2023, p. 221 ss.

[24] Corte cost., 12 gennaio 2015, n. 1, in www.cortecostituzionale.it

[25] Trib. minorenni Trento, g.i.p., ord. 6 marzo 2024, cit., p. 14.

[26] L’art. 28, comma 5-bis, D.P.R. n. 448/1988 stabilisce che «le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai delitti previsti dall'articolo 575 del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 576, dagli articoli 609-bis e 609-octies del codice penale, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 609-ter, e dall'articolo 628, terzo comma, numeri 2), 3) e 3-quinquies), del codice penale». Si osserva che, nell’elenco di reati ostativi alla concessione del beneficio, è rimasto, inspiegabilmente, escluso il riferimento a fenomeni delittuosi di tipo associativo, rispetto ai quali pure si registra un crescente e preoccupante coinvolgimento di minorenni.

[27] Ai sensi dell’art. 169 c.p. e dell’art. 19 r.d.l. 1404/1934, il perdono giudiziale può essere applicato (soltanto) se per il reato commesso dal minore degli anni diciotto, il giudice ritiene applicabile una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a 1.549 euro, anche se congiunta a detta pena.

[28] V. Corte cost., 6 dicembre 2019, n. 263 (ud. 5 novembre 2019), in www.cortecostituizonale.it. In proposito, v., volendo, L. Camaldo, Meno carcere per tutti i condannati minorenni. La prima pronuncia d’illegittimità costituzionale del nuovo ordinamento penitenziario minorile, in Dir. pen. uomo, 2020, fasc. 1, p. 131 ss. Con una precedente pronuncia, la Corte costituzionale aveva ritenuta illegittima, per contrasto con gli artt. 27 e 31 Cost., la preclusione posta dall’art. 656, c. 9, lett. a), c.p.p., nella parte in cui vietava la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minori condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis l. 354/1975, in quanto si trattava di un «automatismo incompatibile con la necessità di valutazioni flessibili e individualizzate, dirette a perseguire, con il recupero del minore, la finalità rieducativa della pena». Così Corte cost., 22 febbraio 2017, n. 90, in Cass. pen., 2017, n. 5, p. 898 ss. Per alcuni commenti, v. P. Maggio, La Corte costituzionale afferma il diritto del minore alla sospensione dell’esecuzione, in Proc. pen. giust., 2017, n. 5, p. 301 ss.; F. Manfredini, Verso l’esecuzione penale minorile: la Consulta dichiara illegittime le ipotesi ostative alla sospensione dell9ordine di carcerazione, in Dir. pen. cont., 4 luglio 2017.