A margine di Cass., Sez. VI, 16 gennaio 2020 (dep. 30 gennaio 2020), n. 4125, Pres. Villoni, Est. Bassi
1. Un’interessante questione interpretativa. – Il prossimo 16 luglio, se la data indicata per l’udienza di decisione verrà confermata[1], le Sezioni unite sono chiamate a dirimere un contrasto interpretativo che si è acceso all’interno della Suprema corte sul significato da attribuire al comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. laddove prevede che in ipotesi di annullamento con rinvio di un provvedimento cautelare il tribunale della libertà debba assumere la propria decisione entro dieci giorni «dalla ricezione degli atti».
In particolare, con l’ordinanza in commento, la sezione sesta chiede al più Alto consesso della corte di chiarire da quale momento si debba far decorrere il termine perentorio, previsto dall’art. 311 c.p.p., comma 5-bis c.p.p., per l’adozione della decisione da parte del giudice del rinvio: «se […] dalla data in cui il fascicolo relativo al ricorso per cassazione, comprendente la sentenza rescindente e gli atti allegati, perviene alla cancelleria generale del tribunale competente o alla cancelleria della sezione del tribunale competente per il riesame ovvero dalla data in cui il tribunale riceve “nuovamente” gli atti dall’autorità procedente richiesti ai sensi dell’art. 309, comma 5, c.p.p.»[2].
Non è la prima volta che il comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. suscita contrasti interpretativi. Già all’indomani dell’entrata in vigore della riforma del 2015[3], al quale si deve l’introduzione di quel comma, la Corte si era già divisa al suo interno sulla possibilità di sanare in via interpretativa il silenzio che la nuova disposizione serba in ordine alla possibilità di prorogare nel giudizio di rinvio cautelare il termine per il deposito dell’ordinanza, come invece espressamente previsto dal comma 10 dell’art. 309 c.p.p.[4] Una questione, dunque, sempre legata al tema dei tempi che regolano il giudizio di rinvio in materia cautelare e che involge quello più generale della celerità che deve connotare i procedimenti de libertate.
In quel primo caso il dissidio interpretativo è stato composto sul nascere da un sollecito intervento delle Sezioni unite che, con la loro decisione, hanno chiarito che nel giudizio cautelare successivo ad annullamento di una ordinanza che ha disposto o confermato una misura coercitiva, il tribunale del riesame deve depositare la motivazione del provvedimento, anche nel caso di complessità della motivazione, nel termine di trenta giorni, così come previsto dalla lettera della nuova disposizione, a pena di perdita di efficacia della misura[5]. Questo precedente merita di essere ricordato non solo e non tanto per operare una completa ricostruzione delle precedenti questioni interpretative che hanno agitato i giudici di legittimità quanto per richiamare il percorso argomentativo seguito in quella occasione dalla Corte e le ragioni in esso espresse, che a nostro avviso possono essere utili per affrontare e risolvere anche il contrasto ermeneutico attualmente in essere.
Sicuramente utile è l’esortazione, contenuta nella pronuncia Rezmuves, al rigore interpretativo che deve essere impiegato quando ci si misura con disposizioni, anche di natura processuale, che riguardino la libertà personale od anche quando, più semplicemente, si tratta di dover scegliere tra diverse opzioni ermeneutiche di una stessa disposizione che abbia sempre questa natura[6]. Per interpretare correttamente le norme che involgono la libertà personale non si deve mai dimenticare, osserva la Corte, il rispetto del principio di stretta legalità che discende non solo da quanto previsto dall’art. 13 Cost. ma anche dall’art. 111 Cost: principio che diviene criterio direttivo di tutta la disciplina del processo penale e «che giustifica il divieto di interpretazione analogica in malam partem».
Appare altresì importante il grande risalto che viene dato nella stessa pronuncia al valore che, in ambito cautelare, deve essere riconosciuto alla celerità. In maniera netta si sottolinea difatti che, anche in forza degli approdi della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, correttamente intesa[7], i giudizi de libertate devono essere certi e brevi. Ed ancora; ad avviso delle Sezioni unite, da tutte gli input interpretativi che si possono trarre dalle fonti interne ed esterne, si può enucleare il principio secondo il quale «una scansione temporale celere del procedimento di impugnazione cautelare è la regola e che ogni disposizione che ne rallenti l’iter debba essere considerata un’eccezione».
Entrambi i principi appena richiamati appaiono sicuramente utili anche per affrontare la questione ermeneutica all’attuale vaglio delle Sezioni unite e risolvere il quesito di quale debba essere considerato, in sede di rinvio, il dies a quo per il computo del termine previsto per il deposito della motivazione della decisione che lo definisce, ed in particolare come si deve interpretare l’espressione normativa «dalla ricezione degli atti» contenuta nell’art. 311 comma 5-bis c.p.p.
Anche se in realtà questa non è l’unica domanda posta all’Alto consesso, sebbene dalla formulazione del quesito non risulti in maniera chiara. Come emerge dalla motivazione della ordinanza di rimessione, vi ne è una seconda questione connessa alla prima, ossia se il termine inizi a decorrere dalla data in cui gli atti pervengano presso la cancelleria centrale del tribunale oppure presso la cancelleria del tribunale per il riesame, potendo non esserci tra le due date coincidenza. In realtà, con tale quesito è necessario misurarsi solo laddove si acceda alla ricostruzione promossa dall’ordinanza di rimessione secondo la quale il dies a quo per la decorrenza dei termini della decisione di rinvio deve essere individuato con riferimento al ricevimento degli atti da parte della Suprema corte. É solo in questo caso che si pone la necessità di verificare a quale dei diversi momenti ancorare la decorrenza del termine rilevante ai sensi del comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p.
Ma procediamo con ordine ed analizziamo quali sono le posizioni assunte all’interno della Corte.
2. Le ragioni del contrasto. – Nella giurisprudenza di legittimità si registrano sostanzialmente due diverse maniere di interpretare il riferimento alla ricezione degli atti che assumono rilevanza ai fini del meccanismo sanzionatorio previsto dall’art. 311 comma 5-bis c.p.p.
Secondo un primo orientamento, che si può considerare minoritario ed al quale l’ordinanza remissiva aderisce, con quella espressione ci si intende riferire agli atti trasmessi dalla cancelleria della Cassazione al giudice del rinvio cautelare e per l’effetto, quindi, il termine di dieci giorni, indicato, per il deposito della decisione decorre dalla data in cui il fascicolo, comprensivo del provvedimento rescindente, giunge presso la cancelleria del tribunale per il riesame[8].
Questa ermeneusi si fonda sostanzialmente su due ragioni. Innanzitutto la necessità di tener conto della successione che unisce giudizio rescindente e giudizio rescissorio e dell’onere che grava sul giudice del primo giudizio, una volta che questo sia concluso, di trasmettere a quello del rinvio gli «atti del processo» e la copia della sentenza adottata (cfr. art. 625 comma 1 c.p.p.). Il secondo argomento è invece di natura testuale. Nella disposizione in esame non è affatto previsto che il tribunale del riesame, una volta ricevuta la decisione di legittimità, provveda a richiedere di nuovo gli atti al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare: questo meccanismo, previsto dall’art. 309 comma 5 c.p.p., regola esclusivamente l’ipotesi in cui ci si debba pronunciare su di una richiesta di riesame.
Con una importante postilla. Gli atti si intendono “ricevuti” dal giudice di rinvio quando gli stessi giungono presso la cancelleria del tribunale del riesame e non invece presso quella centrale[9].
Ad avviso di un diverso e più nutrito orientamento giurisprudenziale anche in ipotesi di giudizio di rinvio cautelare deve essere applicato il disposto dell’art. 309 comma 5 c.p.p. e quindi il termine di dieci giorni, entro il quale la decisione de libertate deve essere assunta, inizierà a decorrere dalla ricezione degli atti precedentemente richiesti all’autorità giudiziaria procedente, onerata di trasmettere gli atti presentati a norma dell’art. 291, nonché gli elementi sopravvenuti favorevoli alla difesa[10].
Questa interpretazione è stata anche di recente ribadita in sede di legittimità con due decisioni nelle quali sono stati disegnati con maggior precisione i diversi passaggi nei quali dovrebbe articolarsi la procedura successiva alla ricezione, da parte del giudice del riesame, delle “carte” inviate indietro dalla Suprema corte, e sono stati più compiutamente esplicitati gli argomenti a sostegno della lettura ermeneutica proposta[11].
Vediamo le ragioni che sostengono questa diversa opzione esegetica. L’argomento forte a sostengo dell’impostazione maggioritaria è per così dire di natura sistematico-operativo. L’assunto dal quale muovono tutte le decisioni che costituiscono questo filone interpretativo è l’indisponibilità da parte del giudice di rinvio cautelare dell’intero compendio cognitivo sul quale si è fondata la decisione oggetto di annullamento. Si evidenzia in proposito che l’art. 100 disp. att. c.p.p. prevede in proposito che siano inviati in Cassazione esclusivamente gli «atti necessari a decidere l’impugnazione»: materiale che con buona probabilità non coincide con gli atti in origine trasmessi a seguito della presentazione della richiesta di riesame. Né si può ritenere che gli atti non inviati alla Corte, il tribunale sia tenuto a trattenerli sino a quando non si sia esaurito il giudizio di impugnazione. Una soluzione che sarebbe peraltro difficilmente praticabile dal punto di vista operativo in quanto imporrebbe al tribunale del riesame, che ha una competenza distrettuale, un onere scarsamente esigibile quale quello di custodire nella propria cancelleria atti ricevuti da un numero significativo di autorità giudiziarie sino alla definizione del giudizio di legittimità.
Questa esigenza di ricomporre il fascicolo processuale discende anche dal fatto che in ambito cautelare debba trovare applicazione il principio, di matrice giurisprudenziale, secondo il quale qualora venga annullato un provvedimento per vizio di motivazione il giudice nuovamente investito del procedimento è chiamato a compiere un nuovo e completo esame dell’intero compendio probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice il cui provvedimento è stato impugnato[12]. Anche da questo obbligo si trarrebbe dunque la necessità di riconsegnare al giudice del rinvio l’originaria piattaforma cognitiva della quale si è giovato, in prima battuta, il giudice del riesame.
L’unica maniera per ovviare a questi inconvenienti è di ritenere applicabile anche in sede di rinvio il comma 5 dell’art. 309 e ritenere così che, una volta che il giudice del rinvio abbia ricevuto “le carte” dalla Suprema corte, deve provvedere nuovamente a richiedere gli atti alla autorità procedente, poiché sarebbe solo da quel momento che «è posto nelle condizioni – quanto meno – di rivalutare compiutamente il materiale su cui si era fondata la decisione impugnata»[13]. D’altra parte nulla osta a questa estensione anche in considerazione del fatto che i punti di contatto tra le discipline dei due giudizi, quello ordinario e quello di rinvio, proprio in virtù delle recenti modifiche positive, sono sempre più marcati[14].
Ad avviso della sentenza D’Agata, nella totale assenza di una disciplina positiva che regoli, nel giudizio di rinvio, i passaggi precedenti la fase decisoria, ed «in assenza di soluzioni alternative praticabili», nulla impedisce che l’art. 309 c.p.p. possa essere integralmente applicato, anche nel nuovo giudizio: solo così si garantirebbe «una corretta “ripartenza” del procedimento di riesame in sede di rinvio», dopo la restituzione degli atti da parte della Cassazione. Né si può ritenere che, si legge sempre nella stessa decisione, questa applicazione sia frutto di una interpretazione analogica. Essa discenderebbe, difatti, da considerazioni di ordine sistematico. La novella del 2015, con l’introduzione della previsione di un termine perentorio anche per il giudizio di rinvio cautelare, avrebbe prodotto l’effetto di «ricollocare il procedimento di riesame in sede di rinvio all’interno della sua sede “naturale”, quanto alla disciplina applicabile»: sia quella volta a costituire il contraddittorio e a regolare le produzioni di parte sia quella volta all’acquisizione degli atti per la decisione. Questa soluzione esegetica sarebbe, infine, l’unica in grado di rispettare la voluntas legis della riforma del 2015 di imprime celerità alla definizione dei procedimenti di riesame, poiché con l’integrale applicazione dell’art. 309 c.p.p. si verrebbe a sanzionare, con l’inefficacia della misura, non solo l’omessa tempestiva trasmissione degli atti da parte dell’autorità procedente ma anche una richiesta non immediata da parte del presidente del tribunale alla predetta autorità.
3. La soluzione auspicabile. – Per quanto quella appena illustrata sia l’interpretazione del comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. che ha raccolto maggiori adesioni da parte della giurisprudenza di legittimità la stessa appare anche la meno condivisile. Un fil rouge lega le decisioni che compongono l’orientamento maggioritario. Per risolvere il problema esegetico posto dalla nuova disposizione, si segue lo stesso approccio finalistico-operativo che sminuisce il valore del tenore testuale della disposizione. Nell’interpretare il comma 5-bis si prendono difatti le mosse non da quanto lo stesso prevede, ma da considerazioni qualificate di natura sistematica e dalla necessità che in sede di rinvio cautelare siano garantite al giudice le stesse conoscenze delle quali godeva quello del provvedimento annullato.
Questa maniera di procedere inverte il naturale percorso che si deve seguire nell’interpretare un testo normativo e non può mai essere abbandonato se ci si misura con disposizioni, anche di natura processuale, che incidono sulla libertà personale. In questo caso diviene più forte l’esigenza di confrontarsi con la testualità del dato positivo. Solo così si può essere certi che venga rispettato il principio di stretta legalità che domina la materia come, con forza argomentativa, è stato messo in evidenza dalla sentenza delle Sezioni unite nel caso Rezmuves.
Non vi è alcun dubbio che in quel caso la questione interpretativa da risolvere fosse diversa, come non si è mancato di rimarcare[15], ma non si può comunque negare che i principi interpretativi fissati in quella importante decisione non erano legati alla specifica fattispecie oggetto di quel giudizio ma erano valutazioni di carattere generale valide per tutti le ipotesi in cui si interpretino disposizioni, sostanziali e di rito, che incidano sulla libertà personale.
Ma veniamo allora alla previsione più volte evocata. Per come formulato il testo normativo non sembra lasciare spazio a dubbi interpretativi. La protasi introduttiva del comma 5-bis individua ciò che si vuole disciplinare, ossia il momento successivo all’annullamento con rinvio, mentre la proposizione reggente stabilisce che in tale eventualità il giudice, da individuare evidentemente in quello del rinvio, deve decidere entro dieci giorni dalla ricezione degli atti.
Tra i momenti procedimentali individuati dalle due proposizioni si inseriscono gli adempimenti regolati dall’art. 625 c.p.p. il quale prevede espressamente che a seguito di un provvedimento di annullamento con rinvio la cancelleria della corte di Cassazione trasmette, senza ritardo, al giudice che deve procedere al nuovo giudizio gli atti del processo con la copia della sentenza[16]. Non appare possibile sostenere che in ipotesi di annullamento di una decisione cautelare non trovi applicazione l’art. 625 c.p.p.[17] Ci troviamo in presenza di una norma di carattere generale che deve essere applicata ogni qualvolta la Suprema corte adotti un provvedimento ai sensi dell’art. 623 c.p.p. D’altra parte non potrebbe essere diversamente in quanto il giudice del rinvio, anche quello cautelare, viene investito di nuovo del procedimento solo nel momento in cui riceve gli atti e la sentenza da parte della Cassazione. È solo con questa disponibilità che quel giudice viene messo nelle condizioni di poter decidere di nuovo.
Ed allora, la lettura congiunta degli artt. 311 e 625 c.p.p. induce a concludere che la decorrenza del termine che condiziona l’efficacia dell’ordinanza coercitiva deve essere individuato in quello in cui il giudice del rinvio riceve gli atti e la sentenza trasmessi da parte della Cassazione. D’altra parte dalla formulazione del comma 5 bis dell’art. 311 c.p.p. non si possono trarre argomenti per ritenere derogato l’art. 625 c.p.p. Se poi si pensa alla ratio ispiratrice della riforma del 2015, di imporre maggior celerità anche alle decisioni di rinvio cautelare, si vede bene come quella proposta sia l’interpretazione maggiormente rispettosa della volontà di accelerare anche i tempi di tale giudizio.
Quanto si può trarre dall’art. 625 c.p.p. colma poi anche l’asserito deficit di disciplina che vi sarebbe nella previsione del comma 5 bis dell’art. 311 c.p.p. Ad avviso della sentenza D’Agata il legislatore con quest’ultima disposizione si sarebbe occupato solo del segmento finale del procedimento di rinvio mentre non avrebbe dato alcuna indicazione circa le scansioni procedimentali che precedono la decisione. In realtà se si tiene conto della previsione del comma primo dell’art. 625 c.p.p. si vede bene come la stessa fornisca proprio quella disciplina, relativa alla trasmissione degli atti, che si ritiene carente. Non vi è dubbio che il legislatore avrebbe potuto prevedere diversamente, derogando alla disciplina generale in ipotesi di rinvio cautelare, ma proprio la circostanza che non lo abbia fatto costituisce un argomento ulteriore a sostegno della inderogabilità della regola generale.
Quest’ultimo rilievo non esonera dal confrontarsi con l’obiezione secondo la quale se si interpreta la locuzione più volte richiamata nel senso qui proposto si genererebbero delle insostenibili criticità capaci di incidere sulla concreta funzionalità del procedimento di riesame. Secondo l’orientamento dominante, difatti, facendo decorrere i dieci giorni per la decisone di rinvio dal momento in cui il tribunale riceve gli atti ritrasmessi dalla Cassazione non si garantirebbe a tale organo la disponibilità di quelle conoscenze che sono invece necessarie per l’adozione della decisione: il materiale sul quale si era fondata l’ordinanza annullata.
La critica appena illustrata appare tutt’altro che insuperabile. La stessa poggia sulle fragili fondamenta di una lettura interpretativa discutibile dell’art. 100 disp. att. c.p.p. e su asserite difficoltà di carattere organizzativo alle quali si può porre rimedio.
La circostanza che la disposizione di attuazione stabilisca che vengano trasmessi, in originale o in copia, al giudice «gli atti necessari per decidere sull’impugnazione» non autorizza a concludere che l’organo trasmittente possa procedere solo ad invii parziali o addirittura dei soli sei fascicoli contenenti copia del provvedimento impugnato e dell’atto di impugnazione con i relativi allegati. Tanto questo è vero che, nella prassi, nei casi di minori complessità il tribunale per il riesame trasmette l’intero fascicolo processuale[18].
Qualora quest’ultima fosse ritenuta la “regola” non vi sarebbe alcuna necessità di dover procedere ad una ricostruzione del fascicolo processuale una volta che il procedimento torna nella disponibilità del giudice del rinvio cautelare in quanto gli atti che la Cassazione trasmette indietro, ai sensi dell’art. 625 c.p.p., coinciderebbero con quelli analizzati dal giudice del provvedimento impugnato.
Un diverso modo di intendere l’art. 100 disp. att. c.p.p. dovrebbe peraltro essere considerato l’effetto riflesso dell’introduzione del comma 5 bis dell’art. 311 c.p.p. Ogniqualvolta si inserisce in un sistema normativo una nuova disposizione la stessa può indurre a mutare l’interpretazione delle norme che lo compongono. Sempre che, naturalmente, il testo della singola disposizione non consenta tali revirement. Per essere più chiari: se l’art. 100 disp. att. stabilisse che si dovessero inviare in Cassazione esclusivamente il provvedimento impugnato e l’atto di impugnazione sarebbe certamente più difficile reinterpretare la norma nel senso di ritenere che si possa procedere sempre e comunque ad una trasmissione integrale del fascicolo cautelare[19].
Non essendo questo il tenore letterale dell’art. 100 disp. att. c.p.p. non sembra sussistano ostacoli per concludere che l’intervento interpolatorio sull’art. 311 c.p.p. possieda l’effetto di condizionare la lettura interpretativa della prima disposizione e condurre così ad una diversa ricostruzione sistematica della procedura di trasmissione degli atti in ipotesi di impugnazioni di legittimità cautelari, tanto da giustificare un invio in Cassazione, quantomeno per i casi che rientrano nello spettro applicativo della norma in esame, dell’intero fascicolo della cautela per garantire che, in ipotesi di annullamento, il giudice del rinvio possa adottare tempestivamente la propria decisione seguendo le nuove scansioni temporali.
Questa conclusione si deve tuttavia misurare con una ulteriore obiezione. La trasmissione integrale degli atti produrrebbe delle difficoltà – quale lo spostamento tra uffici giudiziari di una mole cospicua di atti – che il sistema non è in grado di governare. In realtà questo problema si potrebbe risolvere se solo il “passaggio di carte” tra uffici giudiziari venisse gestito in via telematica. Una modalità operativa che peraltro la giurisprudenza di legittimità ha già ritenuto legittima sia pur con riferimento alla trasmissione degli atti dalla autorità procedente al giudice del riesame[20].
Qualora non si accolga questa linea interpretativa – .i.e. quella della trasmissione dell’intero fascicolo in Cassazione – la gestione telematica degli atti consente comunque di superare un rilievo critico che viene mosso all’orientamento minoritario ossia quello secondo il quale il tribunale del riesame non potrebbe trattenere il materiale non trasmesso fino alla decisione della Suprema corte. Sia perché non vi sarebbe un obbligo in tal senso sia perché una tale soluzione sarebbe impraticabile sul piano strettamente operativo.
Alla prima censura si può obiettare che l’unica disposizione che si occupa di questo aspetto, ossia il comma ottavo dell’art. 309 c.p.p. prevede esclusivamente che sino al giorno dell’udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarre copia. Una previsione che pone un limite all’accesso agli atti per la difesa ma non autorizza affatto a sostenere che gli atti debbano essere restituiti all’autorità procedente all’esito del procedimento. Non è di ausilio per sostenere una tale conclusione neppure il riferimento alla natura incidentale del procedimento. In caso di impugnazione avverso il provvedimento emesso dal tribunale del riesame sin quando non intervenga la decisione del giudice di legittimità si può affermare che il procedimento non sia stato ancora definito e ritenere così che il giudice del provvedimento impugnato possa trattenere gli atti presso di sé.
All’ulteriore obiezione della impraticabilità di questa soluzione per carenza degli spazi fisici nella cancelleria del tribunale, ove custodire contemporaneamente atti ricevuti da varie autorità procedenti, si può opporre che il ricorso a modalità telematica di conservazione del fascicolo processuale permette di superare anche questo rilievo. D’altra parte, da tempo, la trasmissione degli atti da parte delle autorità procedenti al tribunale per il riesame avviene attraverso il sistema di gestioni dati t.i.a.p. (trattamento informatico atto processuali). Gli atti così inviati possono essere conservati telematicamente, senza che vi sia la necessità di disporre di eccessivi spazi fisici, sino al momento in cui non venga definito il giudizio di legittimità così da consentire che il giudice del rinvio una volta investito del procedimento cautelare ai sensi dell’art. 625 c.p.p. sia in possesso del fascicolo originariamente trasmesso ai sensi del comma 5 dell’art. 309 c.p.p.
La necessità che si compia ogni sforzo, anche di carattere operativo, per adeguarsi al tenore letterale del comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. appare una condotta ispirata o forse meglio imposta, dalla natura di tale disposizione, come recentemente sottolineato dalla decisione delle Sezioni unite nel caso Rezmuves. Solo così si è certi di essere effettivamente rispettosi del principio di stretta legalità e garantire che la libertà personale non subisca limitazioni ulteriori rispetto a quelle autorizzate dalla legge. Che costituisce proprio ciò che accade seguendo la linea interpretativa patrocinata dalla giurisprudenza dominante.
Con l’applicare al procedimento di rinvio le disposizioni dettate in tema di trasmissione degli atti dall’art. 309 c.p.p. non si fa altro che proporre una interpretazione analogica delle stesse e quello che ne deriva è un prolungamento della limitazione della libertà personale. Difatti, ancorando la decorrenza del termine perentorio per la decisione non dalla ricezione degli atti dalla Cassazione, ma da quella degli atti nuovamente richiesti all’autorità procedente, e quindi da un adempimento successivo cronologicamente alla prima ricezione, si provoca inevitabilmente un allungamento del tempo della detenzione della persona sottoposta a misura cautelare.
Giova ancora una volta ribadirlo: non vi è alcuna necessità di procedere a questa eterointegrazione non trovandoci innanzi ad alcun deficit positivo. La nuova disposizione si salda con la previsione contenuta nell’art. 625 c.p.p. offrendoci una disciplina che regola la trasmissione degli atti alla quale si lega il termine perentorio entro il quale deve essere adottata la decisione. Sul punto è necessaria una ulteriore precisazione. Non appare condivisibile l’assunto secondo il quale l’introduzione del nuovo termine abbia avuto «l’effetto di ricollocare il procedimento di riesame in sede di rinvio all’interno della sua sede naturale, quanto alla disciplina applicabile». A questa conclusione si poteva giungere ancora prima della riforma del 2015 in considerazione del comma secondo dell’art. 627 c.p.p. il quale prevede che il giudice di rinvio decide con gli stessi poteri che aveva il giudice il cui provvedimento è stato annullato, salve le limitazioni stabilite dalla legge[21]. L’effetto di tale previsione è infatti quello di provocare, in ipotesi di rinvio cautelare innanzi al tribunale per il riesame, l’applicazione di tutte le disposizioni che regolano il relativo procedimento, fatte salve le eventuali deroghe stabilite dal legislatore. Il comma 5-bis dell’art. 311 integra proprio una di queste ipotesi, introdotta allo scopo di accelerare i tempi del giudizio di rinvio cautelare, prevedendo un termine ancor più stringente rispetto a quello che si dovrebbero rispettare se dovesse essere applicata la disciplina ordinaria. D’altra parte questo regime derogatorio possiede una sua giustificazione. In ipotesi di rinvio cautelare, occorre definire con la massima sollecitudine la posizione di una persona che, pur avendo ottenuto un annullamento del provvedimento, si trova comunque ancora sottoposto a regime restrittivo. Questa situazione giustifica allora una disciplina rigorosa nella previsione dei termini e decisamente coerente con le esigenze di tutelare nella sua massima estensione la libertà personale, protetta non solo dalla Carta fondamentale ma anche dalle convenzioni internazionali.
La necessità di garantire che i giudizi cautelari, anche quelli di impugnazione, siano caratterizzati da termini certi e brevi, deve essere tenuta nel dovuto conto anche per risolvere la seconda questione che si chiede all’Alto consesso di dirimere.
Qualora le Sezioni unite, come auspichiamo, aderiranno all’interpretazione del comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p. fatta propria dall’ordinanza che qui si commenta, le stesse saranno, difatti, chiamate ad occuparsi anche dell’ulteriore questione relativa all’individuazione della cancelleria ricevente gli atti, rilevante per la decorrenza del dies a quo per l’adozione della decisione.
Tra le due opzioni prospettabili merita di essere privilegiata quella che individua nella ricezione da parte della cancelleria centrale del tribunale, e non dall’omologo organo della sezione competente per il giudizio per il riesame, il momento dal quale far decorrere il termine di dieci giorni fissati per la decisione di rinvio.
È questo difatti l’organo destinatario della trasmissione di cui all’art. 625 c.p.p., mentre la cancelleria della sezione specializzata per il riesame costituisce solo una articolazione organizzativa interna che non può assumere alcun rilievo ai fini che qui interessano.
A tal proposito, come sottolineato dalla stessa Corte, in precedenti la cui ratio appare giustificare analoga conclusione anche alla questione che qui interessa, il tribunale designa «l’ufficio giudiziario nella sua unitaria organizzazione» e non può spiegare influenza su di un termine che condiziona la perdita di efficacia di una misura cautelare la circostanza che la richiesta formulata al tribunale, nel nostro caso la trasmissione degli atti, «per evidenti disguidi in ordine ai criteri organizzativi che presidiano all’attività di smistamento degli atti giudiziari» venga concretamente consegnata alla cancelleria del giudice competente a decidere in ritardo rispetto alle rigide scansioni temporali previste da norme come l’art. 309 c.p.p. e, per quel che qui interessa, dall’art. 311 c.p.p.[22] La ragione è abbastanza evidente: qualsiasi disfunzione organizzativa non può mai giustificare un sacrificio della libertà personale[23].
Una diversa interpretazione finirebbe per incidere su quel carattere di certezza che i termini processuali che regolano le procedure cautelari devono sempre avere poiché la decorrenza dello stesso verrebbe a coincidere con un momento che non sarebbe mai individuabile a priori. Dando rilievo, ai fini del comma 5-bis dell’art. 311 c.p.p., alla ricezione degli atti da parte della cancelleria del tribunale per il riesame si finirebbe per incidere anche sulla rapidità della procedura cautelare che verrebbe sacrificata per ragioni che non possono mai assumere rilievo quando si tratta di incidere sulla libertà inviolabile tutelata dall’art. 13 Cost.
[1] Come risulta dal sito della Corte di cassazione l’udienza per la decisione della questione è stata fissata per il 16 luglio 2020.
[2] Cfr. Cass., Sez. VI, 16 gennaio 2020, n. 4125.
[3] Ci ai intende riferire alla legge 2015, n. 47
[4] Per un commento alle modifiche apportate dall’art. 13 della lege n. 47/2015 all’art. 311 c.p.p. si veda M. Bargis, Commento all’art. 13 l. 47/2015, Le novità nella disciplina del giudizio di rinvio: una replica imperfetta, in www.lalegislazionepenale.eu, 21 settembre 2015; P. Borrelli, Una prima lettura delle novità della legge 47 del 2015 in tema di misure cautelari personali, in Dir. pen. cont., 3giugno 2015; R. Bricchetti – L. Pistorelli, Annullata la misura se gli atti non arrivano entro cinque giorni, in Guida dir., 2015, 20, p. 54; P. Di Stefano, Le impugnazioni, in A. Bassi (a cura di), La cautela nel sistema penale. Misure e mezzi di impugnazione, Padova, 2016, p. 442-445; P. Maggio, I controlli, in T. Bene (a cura di), Il rinnovamento delle misure cautelari. Analisi della legge n. 47 del 16 aprile 2015, Torino, p. 117-118; E. Marzaduri, Diritto di difesa e tempi del procedimento dinanzi al tribunale della libertà, in L. Giuliani (a cura di), La riforma delle misure cautelari personali, Torino, 2015, p. 243-248; V. Pazienza, Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari. Relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, n. III/5/2015, p. 33-35; L. Semeraro, Non solo taglia e incolla (parte seconda), in www.questionegiustizia.it, 4 novembre 2015; G. Spangher, Un restyling per le misure cautelari, in Dir. pen. proc., 2015, p. 534. Per un panorama di insieme E.N. La Rocca, Misure cautelari (profili innovativi), in Dig. d. pen., Agg., IX, Torino, 2016, p. 462.
[5] Cfr. Cass., Sez. Un., 20 luglio 2017, Rezmuves, in Proc. pen e giust., 2018, con nota di F. Alonzi, Un richiamo al rigore nell’interpretazione e delle norme de libertate. In tema si veda anche E.N. La Rocca, Il punto delle Sezioni Unite sul termine per il deposito della motivazione nel giudizio di rinvio ex art. 311 c.p.p., in Arch. pen. web, 20 ottobre 2017.
[6] Sull’importanza dell’art. 13 Cost. nell’interpretazione delle disposizioni che riguardano la libertà personale si veda altresì Cass., sez. un., 21 settembre 2016, Ventrice, in Dir. pen. cont., 5 ottobre 2016, con nota di G. Todaro, Le Sezioni unite sulla nozione di “quasi flagranza”: limiti logici e ontologici al potere di arresto.
[7] Si deve in proposito osservare che nella giurisprudenza della Corte europea il requisito della celerità viene considerato nell’ottica della effettività del ricorso alla tutela giurisdizionale, sicché «più che il mero superamento formale di un termine, occorre rivolgere l’attenzione alle circostanze concrete del fatto» così P. Spagnolo, Il Tribunale della libertà. Tra normativa nazionale e normativa internazionale, Milano, 2008, p. 369, la quale alla nota 202 mette altresì in evidenza come dalla giurisprudenza della Corte non sia facile trarre indicazioni per dare corpo al concetto di “breve termine”.
[8] Cfr. Cass. Sez. I, 29 gennaio 2018, Battaglia, in CED Cass., n. 273114.
[9] A sostegno di questa conclusione nella sentenza Battaglia viene citata Cass. Sez. I, 17 marzo 2016, Stabile, in C.E.D. Cass., n. 261452)
[10] Cfr. Cass. Sez. II, 8 gennaio 2016, Lombardo, in C.E.D. Cass., n. 266729; Cass. Sez. VI, 1° marzo 2017, Speranza, in C.E.D. Cass., n. 270410; Cass. Sez. II, 15 giugno 2017, Arena, in C.E.D. Cass., n. ; Cass. Sez. II, 19 dicembre 2018, Clarà, in C.E.D. Cass., n. 275774; Cass. Sez. V, 28 febbraio 2018, Marciano, in C.E.D. Cass., n. 273026; Cass. Sez. II, 18 dicembre 2018, Giglio, in C.E.D. Cass., n. 277082).
[11] Cfr. Cass. Sez. II, 26 giugno 2019, Montante, in questa Rivista, 21 gennaio 2019, con nota adesiva di G. Colaiacovo, I tempi del giudizio di rinvio in materia cautelare (appunti a margine di una recente sentenza della Suprema Corte); in Giur. it., 2019, con nota di R. Calandrelli, “Dies a quo” del termine per la decisione da parte del tribunale del riesame chiamato a pronunciarsi in sede di rinvio; nonché Cass., Sez. II, 9 luglio 2019, D’Agata, in C.E.D. Cass., n. 277634.
[12] Cfr. Cass. Sez. III, 19 maggio 2017, F. in C.E.D. Cass., n. 256893.
[13] Così espressamente Cass., Sez. II, 9 luglio 2019, D’Agata, cit., la quale osserva altresì che la diversa impostazione non merita di essere seguita anche per le insostenibili criticità che produrrebbe sulla funzionalità del procedimento di riesame. Innanzitutto si avrebbe la decorrenza del termine quando il «giudice “di regola” non è ancora in possesso del fascicolo originariamente trasmesso ai sensi del comma 5 dell’art. 309 c.p.p.». In secondo luogo il presidente pur di evitare la perdita di efficacia della misura è comunque tenuto a fissare «l’udienza camerale “al buio”, ovvero in mancanza di un fascicolo correttamente ricostituito». In senso adesivo in dottrina Semeraro, Non solo taglia, p. 3; G. Colaiacovo, I tempi del giudizio di rinvio, cit.
[14] Così espressamente Cass., Sez. II, 9 luglio 2019, D’Agata, cit., da cui sono tratti anche i virgolettati che seguono nel testo.
[15] Cfr. Cass., Sez. II, 9 luglio 2019, D’Agata, cit.
[16] Giova in proposito osservare come con la riforma del 2015 si sia persa un’occasione importante per una rivisitazione dell’intera disciplina che regola le scansioni temporali del giudizio cautelare in Cassazione, a partire proprio dall’art. 625 c.p.p. che continua a prevedere che la trasmissione degli atti debba avvenire “senza ritardo”: una formula che di certo non contribuisce ad imprimere celerità al procedimento. Per considerazioni critiche su tali mancati interventi si veda G. Colaiacovo, I tempi del giudizio di rinvio, cit., nonché volendo F. Alonzi, Un richiamo al rigore, cit., p. 267. In tema si veda anche P. Maggio, Le impugnazioni delle misure cautelari personali, Milano, 2018, p. 493 e ss.
[17] In proposito si vedano le considerazioni di M. Bargis, Commento all’art. 13 l. 47/2015, cit., p. 9
[18] Peraltro nei casi in cui invece questa cernita viene operata non si riesce a comprendere quale sia il parametro utilizzato dagli organi amministrativi, cancelleria o segreteria dell’autorità giudiziaria procedente, per procedere a tale operazione.
[19] In una tale ipotesi si avrebbe peraltro un evidente contrasto tra i contenuti di due disposizioni che governano la stessa materia che non sarebbe così agevole da dover risolvere interpretativamente.
[20] Cfr. Cass. Sez. V, 14 marzo 2019, Rinaldi, in C.E.D. Cass., n. 277252.
[21] Cfr. in proposito P. Spagnolo, Il tribunale della libertà, cit., p. 392-393, la quale peraltro osservava, già prima della riforma che la decorrenza del termine per la decisione di rinvio potesse coincidere con il «ricevimento degli atti, inviati dalla Corte di cassazione, da parte del tribunale». Prima della riforma la giurisprudenza era concorde nel ritenere che al giudizio di rinvio cautelare si applicasse la disciplina generale dei termini prevista dall’art. 127 c.p.p. e non quella dell’art. 309 c.p.p. sul presupposto che, mentre nella procedura di riesame sussistesse l’urgenza di verificare l’esistenza dei presupposti cautelari, analoga esigenza non vi fosse in sede di rinvio, così tra le più recenti, orientamento la cui genesi si può individuare in Cass. Sez. Un., 17 aprile, D’Avinio, in Cass. pen., 1996, p. 2507. Critico su questa impostazione E. Marzaduri, Diritto di difesa e tempi del procedimento, cit. p. 245.
[22] Cfr. Cass., Sez. I, 21 febbraio 2002, Vaccari, in C.E.D. Cass., n. 221542; più recentemente Cass. Sez. IV, 20 dicembre 2005, Pristeri, in C.E.D. Cass., n. 232886.
[23]In tema di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare si è sottolineato che non possono ricadere sull’imputato problemi organizzativi riguardanti in generale l’amministrazione della giustizia. Cfr. Cass., Sez. I, 30 aprile 1997, Palermo, in C.E.D. Cass., n. 207968.