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27 Ottobre 2025


Detenzione domiciliare: il sovraffollamento diventa un parametro da valutare nella concessione della misura ex art. 47 ter, co. 1, lett. c)?

Trib. sorv. Torino, ord. 5 agosto 2025 (dep. 6 agosto 2025), n. 3394, Pres. Del Piccolo, Est. Tacchino



1. Il provvedimento che può leggersi in allegato si segnala come di sicuro interesse per almeno due ragioni: in primis, per la portata innovativa del suo contenuto e per i possibili sviluppi che potrebbe produrre in futuro per le molte persone detenute nelle carceri italiane affette da seri problemi di salute; in secondo luogo, per l’attenzione dimostrata dalla magistratura di sorveglianza non soltanto per chi nelle strutture penitenziarie è recluso, ma anche per le altre persone che le abitano.

Con tale ordinanza, in particolare, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha offerto un’interpretazione inedita dell’art. 47 ter, co. 1, lett. c) dell’ordinamento penitenziario, riconoscendo, nell’ambito della concessione della detenzione domiciliare, un peso al sovraffollamento in cui versa l’istituto in cui l’istante è ristretto. Attraverso una lettura estensiva e costituzionalmente conforme della norma, ha accolto la richiesta, evidenziando come la permanenza in carceri sovraffollate incida significativamente sulla condizione dei ristretti affetti da gravi patologie, anche qualora non sia in gioco la possibilità che siano efficacemente curati all’interno dei penitenziari.

 

2. Nel caso di specie, il Tribunale era chiamato a pronunciarsi sull’istanza presentata da una persona condannata in via definitiva per reati contro il patrimonio, che chiedeva la concessione della detenzione domiciliare evidenziando l’incompatibilità delle proprie condizioni cliniche – caratterizzate dalla presenza di più patologie – con la prosecuzione della detenzione nella casa circondariale di Torino.

Non ritenendo, all’esito dell’istruttoria, di poter condividere tale affermazione, il Tribunale ha introdotto il già menzionato principio di particolare rilievo e originalità, osservando come «l’attuale quadro di sovraffollamento delle strutture penitenziarie imponga una doverosa riflessione rispetto alla necessità di protrarre lo stato di detenzione per soggetti affetti da serie patologie (ancorché adeguatamente monitorate e non in fase d’immediato peggioramento)». Pur riconoscendo, infatti, che alla persona reclusa istante fossero prestate cure adeguate e tempestive all’interno dell’istituto, ha aggiunto che appare comunque «intuitivo come il regime detentivo possa cagionare un surplus di sofferenza e disagio in soggetti affetti da serie patologie, che potrebbe essere evitato – o, quantomeno, significativamente alleviato – da una misura alternativa».

Adottando, come detto, un approccio attento non soltanto alle condizioni delle persone detenute, ma anche alle ricadute organizzative e funzionali della gestione della quotidianità che gravano sul personale impegnato all’interno degli istituti penitenziari, il Tribunale ha inoltre osservato come «la detenzione di un soggetto affetto da gravi patologie richieda, per garantire idonea assistenza, un impegno straordinario di risorse – anche sotto il profilo del personale di Polizia Penitenziaria impegnato per accompagnare i detenuti ad effettuare le visite mediche presso strutture sanitarie esterne – risorse, allo stato, oggettivamente carenti, che possono essere recuperate soltanto sottraendole ad altri incarichi».

Sulla scorta di tali considerazioni – e in un’ottica che integra la tutela del diritto alla salute con valutazioni circa la tenuta del sistema penitenziario nel suo complesso – il Tribunale ha quindi precisato che ogni decisione di concessione della misura deve fondarsi su una valutazione individualizzata e in grado di tenere conto della specificità delle situazioni concrete, sovraffollamento compreso. In questo senso, si legge nell’ordinanza che «il Tribunale ritiene doveroso valutare, caso per caso, se le problematiche sanitarie di cui è affetto il detenuto – esaminate congiuntamente alla tipologia di reati commessi, alla risalenza nel tempo dei fatti, dell’entità della pena residua da espiare e alla pericolosità in concreto del condannato – possano giustificare un’interpretazione estensiva del disposto dell’art. 47 ter co. 1 lett. c) O.P. conforme ai principi costituzionali di tutela della salute e umanità dell’esecuzione della pena».

Ad avvalorare ulteriormente la praticabilità di questo nuovo indirizzo interpretativo, il Tribunale segnala «il pieno assenso del Procuratore Generale che, nell’articolato parere favorevole all’accoglimento dell’istanza esposto in udienza, ha evidenziato come il magistrato – a prescindere che svolga le funzioni di pubblico ministero o di giudice – nell’assumere una decisione sia chiamato a contemperare le contrapposte esigenze tenendo conto anche della realtà territoriale e del momento storico in cui opera».

All’esito dell’appena illustrato percorso argomentativo, il Tribunale ha dunque disposto la concessione della detenzione domiciliare, valorizzando il comportamento corretto tenuto dal condannato durante l’espiazione della pena, la circostanza che il domicilio dove sarà scontata la misura è situato lontano dal luogo di commissione dei reati, nonché il suo stato di salute tale da rendere improbabile la reiterazione di delitti della stessa indole.

 

3. Il provvedimento si distingue, come anticipato, per la sua portata innovativa e per la sensibilità con cui affronta il tema delle concrete condizioni di detenzione nei nostri istituti di pena e gli effetti non secondari che il perdurante stato di sovraffollamento produce sulla salute e sulla fruizione dei diritti delle persone detenute. Allo stesso tempo, l’ordinanza manifesta un’attenzione non comune verso le difficoltà quotidiane del personale sanitario e di polizia penitenziaria, riconoscendo la necessità di trovare un nuovo equilibrio per garantire la sostenibilità del sistema anche a beneficio dei lavoratori delle strutture penitenziarie.

In conclusione, si tratta senza dubbio di una decisione che, pur nella sua essenzialità espositiva, offre spunti condivisibili e di ampio respiro, destinati a stimolare una riflessione più attenta e consapevole sul ruolo della magistratura di sorveglianza nella tutela dei diritti fondamentali delle persone detenute. Di fronte a un’emergenza che stenta a trovare la soluzione per via legislativa di cui avrebbe bisogno, propone un’opzione praticabile sin da subito: si contribuisce, di fatto, a mettere a punto uno strumento utile per alleggerire la pressione che da tempo – e in modo ormai cronico – tiene sotto scacco le nostre carceri. In attesa di una riforma strutturale e sistemica, che non pare neppure all’orizzonte, non resta che auspicare che l’interpretazione accolta dal Tribunale di sorveglianza di Torino possa essere presto condivisa in numerose pronunce giurisprudenziali.