ISSN 2704-8098
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  Recensione  
02 Ottobre 2020


F. Della Casa e G. Giostra (a cura di), Manuale di Diritto penitenziario, Giappichelli, 2020


1. «Oggi, con la legge approvata da pochi mesi, è sicuramente entrato un soffio d’aria nuova nel nostro sistema penitenziario, anche se si tratta, almeno per ora, di una ventata manifestatasi prevalentemente sulla carta»[1]. Con queste parole, Vittorio Grevi – uno dei pionieri del diritto penitenziario in Italia, nonché Maestro e compagno di viaggio dei due curatori del volume – commentava nel 1976 la riforma dell’ordinamento penitenziario appena entrata in vigore. Mi piace aprire con questa citazione perché coglieva profeticamente uno degli aspetti più inaccettabili del nostro sistema, ossia lo iato tra “essere” e “dover essere”, che è uno dei leitmotiv del “Manuale di Diritto penitenziario”. Di più, il rifiuto etico, prima che giuridico, di questo scarto tra la legalità formale e la realtà penitenziaria mi pare rappresenti il motore sottostante ad ogni pagina di questo ambizioso progetto culturale.

L’opera curata da Franco Della Casa e Glauco Giostra è infatti più di un manuale. È un progetto culturale che nasce dalla consapevolezza che, per risolvere la “questione penitenziaria”, occorre ripartire dalla formazione universitaria e degli operatori del diritto. Questo è il miglior antidoto contro quel populismo penale che è stato uno dei fattori determinanti della sconfitta dell’ambizioso programma riformatore messo in cantiere a metà del secondo decennio degli anni Duemila, alla cui stesura avevano, non a caso, contribuito la quasi totalità degli Autori del volume. In fondo, nell’indicare l’essenza dell’eredità degli Stati generali dell’esecuzione penale Glauco Giostra, che ne era stato il coordinatore, diceva che essa corrisponde a «un lievito che non smette di fermentare». Ebbene, quella fermentazione ha prodotto un libro importante e prezioso.

Importante, perché illumina quel cono d’ombra, quello spazio oggetto di una vera e propria rimozione in senso freudiano, che è il carcere.

Prezioso, in quanto colma una lacuna. C’era davvero bisogno di un lavoro, ispirato a una ferrea logica sistematica, che mettesse ordine in una materia che ha perso completamente la sua razionalità a causa della stratificazione di interventi farraginosi del legislatore, ispirati ora a un “populismo securitario”, ora a istanze puramente burocratiche di deflazione carceraria.

 

2. In effetti, il Manuale porta per mano il lettore e lo accompagna lungo l’intero perimetro del diritto penitenziario, nei suoi profili sostanziali e procedurali, con una costante attenzione ai principi fondamentali e alle pronunce del Giudice delle leggi e della Corte di Strasburgo.

Il primo capitolo, degli stessi Curatori, è dedicato proprio alla cornice costituzionale e sovranazionale: si pone in luce, in particolare, come la realtà carceraria italiana sia stata caratterizzata, per lunghi anni, da una scarsa permeabilità ai principi della Legge fondamentale, primo tra tutti quello della finalità rieducativa della pena, sancito dall’art. 27, comma 3, Cost. E, tanto, in ragione della scarsa incisività dei tentativi di rendere maggiormente coerenti con tali canoni le previsioni del Regolamento carcerario italiano del 1931, in vigore sino all’approvazione della legge n. 354 del 1975, e sottratto per sua stessa natura al sindacato del Giudice delle leggi. Nondimeno, come testimoniato dalla costante opera di adeguamento posta in essere da quest’ultima, il percorso diretto ad assicurare la rispondenza delle disposizioni in materia penitenziaria ai valori costituzionali non può dirsi giunto a un approdo definitivo.

Un iter, dunque, lungo e tortuoso, non solo nel nostro Paese, ma pressoché in tutto il mondo, tanto da rendere necessarie raccomandazioni e convenzioni internazionali volte ad assicurare la tutela dei diritti fondamentali della persona anche in condizioni di detenzione. In proposito, l’opera pone in particolare risalto il ruolo decisivo svolto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo «per una generalizzata messa al bando di raccapriccianti, e spesso occulte, prassi carcerarie» non rispettose dei diritti stessi, e comunque della dignità umana: ne sono una significativa espressione le pronunce in materia di sovraffollamento carcerario ed ergastolo “ostativo”.

 

3. Un riferimento ai principi fondamentali ispiratori del trattamento penitenziario apre il capitolo successivo, di Fabio Fiorentin, che sottolinea il rilievo primario dei canoni di proporzionalità e adeguatezza delle limitazioni incidenti sui diritti fondamentali delle persone private della libertà personale. Essenziale è inoltre la configurazione del trattamento penitenziario stesso, e di quello rieducativo, vòlto a dare piena attuazione al principio di cui all’art. 27, comma 3, Cost., quali oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo dell’individuo, in linea di principio non comprimibile per effetto della collocazione nell’uno o nell’altro «circuito penitenziario». Segue una puntuale disamina delle caratteristiche soggettive e oggettive dell’opera trattamentale, nel solco dei principi di universalità e di individualizzazione di quest’ultima, nonché di laicità dell’ordinamento giuridico, e nella tensione verso la prioritaria ammissione alle esperienze extramurarie e all’esecuzione penale esterna.

Di particolare interesse sono le pagine dedicate agli automatismi ostativi e alla collaborazione con la giustizia, nel quadro del cd. «doppio binario penitenziario», oggetto di una progressiva estensione ad opera del legislatore, ma anche di un importante e recente intervento demolitivo parziale della Corte costituzionale (sentenza n. 253 del 2019). Si segnala altresì la vera e propria «rivoluzione copernicana» riconducibile alla pronuncia n. 32 del 2020 del Giudice delle leggi, in punto di irretroattività delle modifiche in senso peggiorativo della disciplina delle misure alternative, ritenuta espressiva di una regola di portata generale e dunque potenzialmente foriera di più ampie e incisive conseguenze.

 

4. Segue, nel terzo capitolo, di Massimo Ruaro e Pasquale Bronzo, un’analitica disamina degli elementi del trattamento: l’istruzione, in primo luogo, di cui si mette in risalto la rinnovata centralità – in un mondo interconnesso e in rapido cambiamento, e in un contesto statale ormai multilingue e multiculturale – come strumento volto a garantire la realizzazione personale. Con riferimento alla religione, sono valorizzati gli effetti dell’attuale multiculturalismo rinvenibile negli istituti penitenziari, tra esigenze di integrazione e recente inserimento di nuove figure, come quella del mediatore culturale, tra gli operatori del trattamento. Ancora, ampio spazio è dedicato al tema delle relazioni e comunicazioni con il mondo esterno, dei colloqui e dei rapporti con i familiari, qualificati come vero e proprio «collante che lega e rinsalda tutti gli altri elementi del trattamento», coerentemente con i valori costituzionali e con i principi sanciti dalle Regole penitenziarie europee.  Alla trattazione del tema dei permessi premio, segue quindi l’esame della disciplina del lavoro, di cui è posta in evidenza l’odierna caratterizzazione in chiave riabilitativa, e non più afflittiva.

 

5. I riferimenti operati al canone di proporzionalità tornano in apertura del capitolo successivo, di Marcello Bortolato, relativo alla questione essenziale della tutela delle situazioni giuridiche soggettive del detenuto, da ritenersi titolare di diritti e aspettative, e del potere di farli valere in giudizio, alla luce del principio personalistico che anima la Carta fondamentale e del riconoscimento del diritto di difesa, rispettivamente ex artt. 2, 24 e 113 Cost. In tal senso, una tappa fondamentale nel percorso verso l’effettività della protezione dei medesimi diritti è individuata nel superamento di un sistema dominato dall’arbitrio dell’amministrazione penitenziaria e nell’introduzione del reclamo al magistrato di sorveglianza, di cui si esaminano successivamente gli aspetti procedurali. L’Autore osserva, in proposito, come ancora una volta la giurisprudenza costituzionale – con la sentenza n. 26 del 1999 – e convenzionale – con le pronunce 6 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia, e 8 gennaio 2013, Torreggiani e a. c. Italia – abbiano espletato una funzione di impulso di primo piano nella direzione della salvaguardia delle prerogative del detenuto, a fronte dell’inerzia del legislatore, finalmente superata con l’introduzione del menzionato reclamo giurisdizionale e dei rimedi compensativi di cui agli artt. 35-bis e 69, e 35-ter ord. penit.

 

6. Il quinto capitolo, a cura di Fabio Gianfilippi e Luca Lupária, affronta quindi il tema dell’organizzazione penitenziaria, di cui si riconosce l’importanza cruciale, ai fini dell’effettivo perseguimento della finalità rieducativa della pena, nonché della garanzia dei caratteri di individualizzazione e umanità del trattamento. Formano inoltre oggetto di analisi i diversi istituti funzionalmente deputati al mantenimento dell’ordine e della disciplina negli istituti penitenziari, anch’essi fondamentali precondizioni di una reale efficacia dell’opera trattamentale.

Si colgono, dunque, i problemi legati all’oscillazione tra il diritto del detenuto a un trattamento comune e l’individuazione di regimi differenziati per la salvaguardia delle esigenze di sicurezza, che trovano radici nelle soluzioni individuate al fine di fronteggiare le specifiche problematiche poste dalla criminalità organizzata e dal terrorismo. Sotto tale ultimo profilo, un particolare approfondimento è dedicato alla disamina del cd. “carcere duro” e dei plurimi problemi di rispetto dei diritti fondamentali che il medesimo continua a porre, pur a fronte degli incisivi interventi della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale, nel contesto di un delicato bilanciamento con le richiamate istanze di sicurezza.

 

7. Una compiuta disamina delle misure alternative alla detenzione, e della liberazione anticipata, è poi rinvenibile nel capitolo redatto da Stefania Carnevale, Fabrizio Siracusano e Maria Grazia Coppetta. Anche in tale ambito, l’opera consente di cogliere come la tutela effettiva delle situazioni soggettive del detenuto, e specificamente del diritto al riesame «sul protrarsi della pretesa punitiva» discendente dall’art. 27, comma 3, Cost., sia passata attraverso un intervento di portata «storica» del Giudice delle leggi (sentenza n. 204 del 1974) e la conseguente devoluzione alla giurisdizione dei provvedimenti di modifica dell’esecuzione della sanzione, sottratti a valutazioni di discrezionalità politica. Sono quindi oggetto di analisi le singole misure, caratterizzate – come posto in luce dagli Autori – da una crescente autonomizzazione, nella loro funzione risocializzante, da una detenzione in carcere che ha perso progressivamente il carattere di «pena per antonomasia», anche in ragione delle ormai note criticità di un’espiazione della sanzione confinata entro le mura dell’istituto penitenziario e totalmente avulsa dal contesto esterno. Si osserva, nondimeno, come, pur a fronte degli indubbi vantaggi che alle medesime sono riferibili in punto di effetti rieducativi, le misure alternative siano tuttora guardate con un certo sospetto dall’opinione pubblica e dallo stesso legislatore, secondo quanto esemplificato dalle molteplici preclusioni introdotte a livello normativo. Segno, questo, della difficoltà di abbandonare del tutto una prospettiva “carcerocentrica” a lungo dominante.

 

8. Esaurita, dunque, l’analisi dei profili sostanziali dell’esecuzione penitenziaria, il settimo capitolo del manuale, di Franco Della Casa e Daniele Vicoli, si sofferma più dettagliatamente sui profili procedurali della stessa e sulla magistratura di sorveglianza. In primo luogo, si valorizza il ruolo cruciale rivestito dalla sospensione dell’ordine di esecuzione, ex art. 656 c.p.p., anch’essa caratterizzata dall’oscillazione tra la ricerca di un’efficacia deflattiva addirittura potenziata a seguito della già citata sentenza Torreggiani e l’introduzione di preclusioni rispondenti a ragioni di allarme sociale, soddisfatte anche con l’inserimento di nuove fattispecie nel catalogo dei “reati ostativi”, di cui all’art. 4-bis ord. penit. Specifica attenzione, in proposito, è riservata alle modifiche recentemente apportate dalla legge n. 3 del 2019, che ha fornito alla Corte costituzionale – con la richiamata sentenza n. 32 del 2020 – l’occasione per affermare come dall’art. 656, 9° comma, c.p.p. derivi un effetto di «trasformazione della pena inflitta, e della sua concreta incidenza sulla libertà personale», con la conseguente inapplicabilità a condanne per reati commessi prima dell’entrata in vigore della novella.

Con riferimento al procedimento di sorveglianza, appare particolarmente significativo l’esame del rapporto tra il medesimo e le garanzie del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost. Tale relazione, affrontata nella prospettiva del primario perseguimento dell’obiettivo del recupero del condannato, ex art. 27, 3° comma, Cost., costituisce la “lente” attraverso cui sono osservati specifici aspetti del tema di cui si tratta, come quello probatorio.

 

9. Infine, la trattazione, a cura di Lina Caraceni, dell’ordinamento penitenziario minorile consente l’approccio a una tematica nuova e di primaria importanza, atteso il decennale ritardo del legislatore nell’assoggettare l’esecuzione della pena nei confronti dei condannati minorenni a una disciplina specifica, così da soddisfare «quel bisogno di un trattamento differenziato dagli adulti che è il segno distintivo del modello di giustizia penale (…) che si ricava dall’art. 31 co. 2° Cost.».

Sono quindi esaminate le previsioni di cui al d.lgs. n. 121 del 2018, tanto nelle sue scelte di fondo, quanto nelle soluzioni di dettaglio, ritenute in parte apprezzabili – è il caso della permanenza all’aperto, nonché del nuovo istituto delle visite prolungate –, ma non interamente attuative dei principi sanciti dalla legge delega. Il nuovo impianto normativo non è, dunque, considerato del tutto soddisfacente nella prospettiva del conseguimento di una disciplina penitenziaria realmente adeguata alle peculiari esigenze del minore, anche con riguardo alla configurazione del carcere come extrema ratio.

 

10. In definitiva, il manuale curato da Della Casa e da Giostra rappresenta un esempio, ammirevole, di opera collettanea finemente coordinata, sempre attenta a porre al centro dell’analisi la cornice di valori – costituzionale ed europea – di una materia, quale il diritto penitenziario, troppo spesso trattata dal legislatore in modo semplicistico, sbandierando il facile (e fuorviante) slogan della “certezza della pena”.

Forse alcuni temi complessi avrebbero meritato qualche pagina in più. Ma, a ben considerare, la sinteticità del volume non è affatto un difetto. Va letta invece come la chiave per rendere effettivo il progetto culturale di cui si è fatto cenno. Essa garantisce una fondamentale accessibilità alla materia. Il lavoro riesce infatti nel compito (arduo) di dotare il lettore, in poche centinaia di pagine, di puntuali linee guida per iniziare ad “approcciarsi” al carcere in modo (finalmente) conforme rispetto alle direttive desumibili dalle fonti primarie. Ed è proprio da questa prospettiva che si colgono le grandi potenzialità dell’opera qui recensita. Essa, anche grazie al linguaggio chiaro e puntuale che la contraddistingue, è in grado di raggiungere lo scopo di fornire un contributo utile alla formazione, sia degli studenti, che degli operatori penitenziari.

Da loro si deve ripartire per riprendere un cammino inopinatamente interrotto. Il percorso sarà lungo e accidentato e richiederà il contributo di tutte le donne e gli uomini di buona volontà; ma chi vorrà rimettersi in moto avrà, con il “Manuale di Diritto penitenziario”, una bussola essenziale.

 

 

[1] V. Grevi, Innovazioni, limiti e prospettive della riforma penitenziaria, in La Magistratura, 1976, n. 1, p. 7, ora in Id., Scritti sul processo penale e sull’ordinamento penitenziario, vol. III, L’ordinamento penitenziario, Padova, 2012, p. 175.