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01 Aprile 2025


Un’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Spoleto solleva una nuova questione di legittimità costituzionale sulla disciplina della liberazione anticipata

Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, ord. 25 marzo 2025, Giud. Gianfilippi



Segnaliamo ai lettori l’ordinanza del 25 marzo 2025 con la quale il Magistrato di sorveglianza di Spoleto ha sollevato davanti alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis, comma 3, della legge 26 luglio 1975, n.354 (Ordinamento penitenziario), come novellato dall’art. 5 del d.l. 4 luglio 2024, n.92 (c.d. “decreto carcere sicuro”, conv. con modd. dalla legge 8 agosto 2024, n.112), deducendone la violazione degli artt.3 e 27, comma 3, Cost., nella parte in cui prevede che il condannato possa formulare istanza di liberazione anticipata soltanto quando abbia espressamente indicato, a pena di inammissibilità, nell’istanza relativa, di avere uno specifico interesse all’ottenimento del beneficio, diverso da quelli di cui ai commi 1 e 2, della evocata disposizione penitenziaria.

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La disciplina della nuova liberazione anticipata è già stata oggetto di una prima rimessione alla Corte da parte del Magistrato di sorveglianza di Napoli [inserire qui estremi della segnalazione], il quale ha dubitato della costituzionalità dell’art. 69-bis, ord.penit., come novellato dal d.l. 92/2024 (c.d. “decreto carcere sicuro”) nella parte in cui tale norma subordina la richiesta del beneficio della liberazione anticipata alla possibilità di rientrare nei limiti di pena per accedere alle misure alternative (90 giorni anteriori) ovvero di ottenere, nello stesso termine, la scarcerazione ed ancora nella parte in cui si impone all’interessato, per l’ammissibilità dell’istanza, di indicare le “ragioni specifiche” per le quali si richiede il beneficio.

Come è noto, la nuova disciplina della liberazione anticipata è stata introdotta dal decreto di urgenza varato la scorsa estate con l’enunciato intento di alleggerire il carico di lavoro gravante sulla magistratura di sorveglianza e, con la integrale riscrittura dell’art. 69-bis ord. penit., razionalizzare le procedure di concessione di uno dei più importanti benefici riconosciuti ai condannati detenuti e certamente quello di più ampia applicazione (essendo concedibile anche ai detenuti sottoposti allo speciale regime di cui all’art. 41-bis, ord. penit.). 

Con una paradossale eterogenesi dei fini, la disciplina riformata ha, tuttavia,  comportato non soltanto pesanti ricadute sul piano operativo per la magistratura di sorveglianza, inducendo una situazione di difficile gestione delle procedure resa ancor più complessa dall’assenza di disposizioni regolamentari idonee a dipanare i molti dubbi applicativi della novella legislativa, ma ha prodotto un assetto complessivamente peggiorativo del precedente dal punto di vista dei soggetti potenziali beneficiari, ai quali è sostanzialmente confiscata la facoltà di iniziativa nella richiesta di applicazione del beneficio.

L’unica ipotesi, di natura residuale, ancora consentita all’iniziativa di parte (detenuto e difensore) è, infatti, circoscritta alla possibilità che l’interessato o il suo difensore formulino istanza di liberazione anticipata indicando nella medesima – a pena di inammissibilità - lo “specifico interesse”, diverso da quelli di cui alle ipotesi di attivazione di ufficio (commi 1 e 2 dell’art. 69-bis, ord. penit.) che sostiene la domanda (la Relazione illustrativa al d.d.l. di conversione del D.L. 92/24 evoca a titolo esemplificativo l’interesse dei condannati, che possano beneficiare del c.d. “scioglimento del cumulo” di pene concorrenti, ad ottenere la liberazione anticipata per far operare la presunzione di espiazione della pena corrispondente al reato “ostativo” alla concessione dei benefici penitenziari).        

Un tale assetto è dubitato di incostituzionalità da parte del Magistrato di sorveglianza di Spoleto, il quale premette di dover decidere un caso rientrante nell’ambito applicativo della nuova disciplina, che risulta applicabile alla luce della ravvisata natura processuale della stessa e – dunque – dell’operatività del principio  tempus regit actum, nonché considerando che, nei confronti dell’istante, era già stato emesso un ordine di esecuzione con i requisiti e le indicazioni previste dal d.l. 92/2024.

Dopo avere ricordato la strutturazione essenzialmente officiosa che contraddistingue la “nuova” liberazione anticipata, la cui valutazione è effettuata d’ufficio dal magistrato di sorveglianza (in occasione di istanze di accesso a misure alternative alla detenzione o ad altri benefici penitenziari, quando nel computo della misura della pena espiata sia rilevante la riduzione di pena che deriverebbe dalla liberazione anticipata ai sensi dell’art. 54 comma 4, ord. penit., oppure nell’imminenza del fine pena, avviando il procedimento novanta giorni prima della data “virtuale” del fine pena), il giudice rimettente si concentra sulla terza ipotesi in cui il magistrato di sorveglianza è chiamato a decidere sulla liberazione anticipata, l’unica lasciata – come ricordavamo - all’iniziativa di parte.

In questo caso, tuttavia, l’interessato deve allegare, pena l’inammissibilità della domanda, “uno specifico interesse”, diverso da quello sotteso alle due ipotesi di valutazione ufficiosa sopra descritte, ad ottenere il beneficio in questione.

Nella fattispecie, il detenuto aveva formulato un’istanza di liberazione anticipata al di fuori delle ipotesi di valutazione ufficiosa sopra indicate senza, tuttavia, allegare alcuno “specifico interesse” idoneo a superare, secondo la nuova disciplina, il filtro di ammissibilità della domanda.

Pur sussistendo in astratto la possibilità di concedere la riduzione di pena richiesta dal condannato, il magistrato di sorveglianza avrebbe dovuto, in questo caso, pronunciarsi con una declaratoria di inammissibilità “secca” dell’istanza, senza la possibilità di valutare nel merito la sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata.

L’inequivoco dato letterale non consente – osserva il giudice a quo – altri  possibili esiti applicativi, in considerazione della intervenuta radicale trasformazione dell’istituto che, da beneficio azionato su istanza di parte, sostenuta dall’interesse ad ottenere lo “sconto di pena” di 45 giorni allo scadere di ogni semestre di pena espiata, è divenuto istituto di natura premiale valutato d’ufficio dal giudice al ricorrere di tassative ipotesi, mentre l’iniziativa di parte è – come si è ricordato – confinata alla residuale ipotesi indicata nel comma 3 dell’art. 69-bis ord.penit.

Una tale strutturazione genera, ad avviso del rimettente, un effetto deteriore sulla attitudine della liberazione anticipata a fungere da volano per il processo rieducativo della persona detenuta, entrando dunque in collisione con il principio iscritto nell’art. 27 comma 3 Cost., poiché vanifica – rileva il magistrato spoletino – «l’effetto psicologico di rafforzamento dei propositi rieducativi, che le periodiche valutazioni della partecipazione al trattamento hanno sin qui prodotto sulle persone detenute, quale sprone ad una condotta conforme alle regole ed improntata, ben prima e al di là della concedibilità di misure alternative, alla risocializzazione».

Molto concretamente, il giudice a quo osserva, infatti, che, per effetto della nuova disciplina, il condannato non potrà più conoscere, in tempi prossimi ai comportamenti tenuti (contrariamente a quanto avveniva con la cadenza semestrale del giudizio), se i propri sforzi nell’adesione trattamentale siano stati favorevolmente valutati o, per converso, se vi sia la necessità da parte sua di modificare la propria condotta per rispondere più correttamente alle sollecitazioni trattamentali che gli vengono rivolte.  

Tali considerazioni sostengono altresì – secondo il rimettente - il dubbio di incostituzionalità della disciplina censurata dal punto di vista dell’art. 3 Cost. L’istituto novellato, infatti, pur facendo tuttora riferimento ad un parametro di giudizio ancorato al semestre (cui corrisponde, eventualmente, la riduzione premiale della pena) irragionevolmente non consente più al condannato - se non, appunto, in presenza di un “interesse particolare” - di conoscere con le medesime cadenze temporali quale sia la valutazione del proprio percorso detentivo.

Una tale irragionevole strutturazione risalta in particolare nei casi, come quello da cui origina la quaestio sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto, di un condannato che aveva già ottenuto precedenti concessioni di liberazione anticipata, all’esito di istanze del tutto analoghe a quella che, alla luce della nuova disciplina, incorrerebbe invece nell’inammissibilità e che, incolpevolmente, perderebbe il proprio diritto, già riconosciutogli in precedenza, di conoscere con esattezza il proprio fine pena reale, e non virtuale, richiedendo, con libera iniziativa, la liberazione anticipata per i periodi di pena già espiati.

Il giudice rimettente pone, a questo punto, sul tappeto una serie di elementi atti a lumeggiare i profili di incostituzionalità sopra illustrati, osservando, anzitutto, che, nel caso di specie, quantomeno per una parte dell’istanza, i requisiti per la concessione della riduzione di pena si fossero materializzati già antecedentemente all’entrata in vigore del d.l. 92/2024. In altri termini, la nuova disciplina porterebbe a disconoscere il percorso rieducativo effettivamente compiuto da un condannato che – nel caso di specie – ha già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio richiesto. Un tale pregiudizio alla posizione soggettiva dell’interessato si porrebbe, tuttavia, in contrasto con il principio di eguaglianza e di finalismo rieducativo delle pene (artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.), secondo i principi sviluppati dalla giurisprudenza costituzionale ripresi – tra le altre – dalla fondamentale pronuncia n.32/2020 poiché – chiosa ancora il magistrato spoletino - «è infatti radicalmente differente poter contare su una valutazione che giunge, a richiesta, semestre dopo semestre, rispetto all’attesa, nell’incertezza della effettiva concessione, rimessa ad una fase posticipata, in ipotesi anche di anni».

Ma v’è di più. L’esigenza della valutazione cadenzata per semestri di pena espiata era stata già apprezzata e sostenuta nella sua valenza rieducativa dallo stesso Giudice delle leggi che aveva affermato expressis verbis, con la sentenza n. 276/1990, che la valutazione semestralizzata della concessione della liberazione anticipata fosse «il punto di forza dello strumento rieducativo, che si ricollega alle esperienze ed agli insegnamenti della terapia criminologica».

Si tratta di una prospettiva – adombrata anche nella già ricordata ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Napoli – che meglio si adatta alla personalità di soggetti, quali i condannati, per i quali lo stimolo alla partecipazione al trattamento rieducativo deve «consistere in un premio da cogliere in breve lasso di tempo, purché in quel tempo egli riesca a dare adesione all'azione rieducativa».

Il rimettente ricorda, altresì, molto opportunamente, che la stessa Consulta avesse rilevato che consegnare a un eventuale giudizio «lontano, finale e globale, l'effettiva valutazione della partecipazione semestrale del condannato all'azione rieducativa», frustrerebbe ogni incentivo psicologico ad aderire al trattamento da parte del condannato e favorirebbero atteggiamenti strumentali di quanti, callidamente, potrebbero tenere comportamenti adesivi solo nell’ultima parte della detenzione, derivando da ciò una « grave offesa» agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.

L’attuale strutturazione della liberazione anticipata, che oggettivamente collide con la logica della semestralizzazione, incide pertanto sulla finalizzazione rieducativa dell’istituto «inibendo quel percorso di progressiva maturazione personale, che la Corte Costituzionale considerava il cuore stesso del beneficio, postergando fino ad un consuntivo finale, deprivato della sua valenza educativa, ogni confronto con i propri comportamenti».

E tale negativa ricaduta appare – osserva con accenti di apprezzabile umanità il giudice di sorveglianza spoletino – ancor più pesante laddove, nella quotidianità carceraria segnata da sovraffollamento e condizioni materiali degradate, la prospettiva del premio costituito dalla liberazione anticipata rappresenta spesso l’unico antidoto alla rassegnazione e all’immobilismo rinunciatario.

Ma – rileva ancora il rimettente - la disciplina dubitata d’incostituzionalità arreca altresì un grave pregiudizio alla possibilità, per il giudice di sorveglianza, di apprezzare il percorso penitenziario del condannato sotto il profilo dell’adesione trattamentale, nel momento in cui egli sia chiamato a vagliarne la meritevolezza in rapporto ad una istanza di misura alternativa alla detenzione o ad altro beneficio penitenziario (in assenza, beninteso, dei presupposti per la valutazione ex officio del beneficio), con il rischio di rendere più difficile per gli interessati l’accesso ai benefici extramurari, anche perché, in questi casi, il giudizio sulla richiesta di misura alternativa sarà portato su un quantum di pena residuo dell’interessato probabilmente più ampio di quello che sarebbe risultato, qualora fosse stata già  valutata la liberazione anticipata.

Per il condannato, del resto, sarà più difficile costruire un progetto di reinserimento esterno da presentare al giudice di sorveglianza ai fini delle misure alternative, qualora non sia ben definito l’orizzonte temporale dell’esecuzione residua.

L’incertezza che l’attuale meccanismo di valutazione della liberazione anticipata genera in capo al condannato – così conclude il giudice rimettente - «un surplus di afflittività, rilevante anche ai sensi dell’art. 27 co. 3 Cost. sotto il profilo dell’umanità della pena, poiché il congegno che prevede oggi l’istituto della liberazione anticipata si sostanzia di un esibito (ma solo sperato) premio per la condotta partecipativa, che si matura semestre dopo semestre, ma che l’interessato non può esigere a domanda, ma solo in particolari circostanze e dopo lunghe attese, della cui ragionevolezza si dubita».

Le due ordinanze che, ad oggi, hanno investito la Corte dello scrutinio di costituzionalità della “nuova” liberazione anticipata introdotta con il d.l. 92/2024, mirano al cuore della disciplina nata dalla riforma, in particolare mettendone a fuoco l’irrazionalità quanto alla strutturazione di beneficio ad applicazione officiosa e la deprivazione della pregnante funzione di stimolo alla risocializzazione che l’istituto, nella sua precedente connotazione, dispiegava in favore dei soggetti detenuti.

Qualora la Corte si pronunciasse in senso favorevole alle prospettazioni dei rimettenti, in particolare accogliendone le doglianze sotto il profilo della violazione del parametro iscritto nell’art. 27, comma 3, Cost., l’istituto della liberazione anticipata verrebbe riconsegnato al novero degli strumenti che, soprattutto nel caso di esecuzione della pena in ambito carcerario, possono concretamente irrobustire le possibilità di recupero sociale delle persone condannate.

In tale auspicabile prospettiva, l’attivazione officiosa del giudice di sorveglianza interverrebbe essenzialmente quale verifica conclusiva del percorso esecutivo, nell’ottica di un alleggerimento della pena giunta in prossimità del suo termine finale.