Cass. Pen., Sez. VI, 3 settembre 2025 (ud. 16 giugno 2025), n. 30184, Pres. De Amicis, Rel. Di Geronimo
Segnaliamo ai lettori la decisione della Sesta Sezione della Cassazione, consultabile in allegato, con cui la Corte si è pronunciata sulla differenza che sussiste tra il reato di peculato e quello di truffa aggravata, in ipotesi di distrazione di denaro pubblico da parte del dipendente dell’istituto di credito incaricato di gestire il servizio di tesoreria per conto di un ente locale. Nel caso di specie, in particolare, gli imputati erano accusati di essersi appropriati di ingenti somme di denaro sostituendo l'indicazione dei beneficiari dei mandati di pagamento, emessi dagli enti locali, con terzi estranei a qualsiasi rapporto di credito con gli stessi.
La Cassazione riconosce, in capo al dipendente dell’istituto di credito che svolga la funzione di tesoreria per conto di un ente locale, la qualifica di incaricato di pubblico servizio, posto che «la sua attività non si limita al maneggio del denaro pubblico, né al solo adempimento di obblighi di pagamento impartiti dall'ente, bensì contempla una più ampia ingerenza nella complessiva attività finanziaria dell'ente, dovendo curare anche la rendicontazione, nei confronti della tesoreria provinciale, dei flussi di denaro, in entrata e in uscita, secondo modalità predeterminate per legge e finalizzate a consentire il controllo sui conti pubblici».
Ciò nondimeno, la Cassazione ritiene che la condotta contestata agli imputati, originariamente qualificata come peculato ex art. 314 c.p., sia da ricondurre all’alveo della truffa aggravata dall’abuso funzionale, ex artt. 640 e 61, n. 9 c.p.: «per distinguere tra il reato di peculato e quello di truffa aggravata, occorre aver riguardo al rapporto tra possesso, da una parte, ed artifici e raggiri, dall'altra, nel senso che, qualora questi ultimi siano finalizzati a mascherare l'illecita appropriazione da parte dell'agente del denaro o della res di cui già aveva legittimamente la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, ricorrerà lo schema del peculato; qualora, invece, la condotta fraudolenta sia posta in essere proprio per conseguire il possesso del denaro o della cosa mobile altrui, sarà integrato il paradigma della truffa aggravata».
Poiché «l'elemento di discrimine tra il peculato e la truffa aggravata dall'abuso funzionale (ex art. 61, n. 9 cod. pen.) va essenzialmente ravvisato nell'effetto derivante dall'artificio, posto che se quest'ultimo è causalmente diretto ad ottenere una disponibilità che, in mancanza del raggiro, il pubblico agente non avrebbe avuto, sarà sempre configurabile il reato di truffa», la condotta viene riqualificata ai sensi dell’art. 640 c.p.: nel caso di specie, infatti, il dipendente dell’istituto di credito non vantava alcun potere di spesa, dovendo unicamente dar seguito al pagamento a favore del beneficiario indicato nel mandato, la cui falsificazione rappresentava pertanto l’artificio funzionale a conseguire la disponibilità, altrimenti insussistente, delle somme di denaro in questione.
(Sara Prandi)