Trib. Siena, 29 aprile 2025, n. 190, Giud. S. Spina
1. Con la sentenza che possiamo leggere in allegato, il Tribunale di Siena in composizione monocratica ha dichiarato di non doversi procedere per difetto di querela nei confronti di un soggetto, che – in ipotesi accusatoria – avrebbe sottratto, per mezzo di un allacciamento abusivo, energia elettrica alla rete nazionale, utilizzandola per alimentare gli elettrodomestici e gli impianti della propria abitazione. Di qui la contestazione del delitto di cui all’art. 624 c.p., aggravato ai sensi dell’art. 625, comma 1 n. 7 c.p., in quanto commesso “su cose destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità”.
Come noto, il riconoscimento di detta circostanza comporta un mutamento del regime di procedibilità: per effetto delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lett. i) del d.lgs. 10 ottobre 2022 n.150 (la c.d. Legge Cartabia, in vigore dal 30 dicembre 2022), il furto, anche aggravato o pluriaggravato, è divenuto procedibile a querela. Al legislatore è, infatti, apparso ragionevole ammettere “un temperamento del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale” in relazione a delitti offensivi di un interesse individuale e di natura privatistica – come, paradigmaticamente, il furto – facendo ricadere sulla vittima la decisione se richiedere o meno l’intervento del diritto penale, anche nell’ottica di favorire il ricorso a strumenti di “ricomposizione del conflitto alternativi all’esito punitivo”[1].
Coerentemente allo “spirito” della riforma, viene però tenuta ferma la procedibilità d’ufficio laddove la persona offesa sia incapace per età o per infermità e – per quanto a noi più da vicino interessa – nelle ipotesi in cui il furto abbia una dimensione pubblicistica e, quindi, anche nei casi descritti dall’art. 625, comma 1 n. 7 c.p., “salvo che il fatto sia commesso su cose esposte alla pubblica fede”[2].
Ebbene, il giudice procedente, all’esito di un iter motivazionale dettagliato, ha escluso l’integrazione dell’aggravante in parola, derubricando così la vicenda a furto “semplice”. La conclusione è a questo punto obbligata: l’azione penale non può essere proseguita per mancanza di una condizione di procedibilità e va dunque pronunciata sentenza di non doversi procedere ex art. 529, comma 1 c.p.p.
2. Prima di addentrarci nella disamina della sentenza del Tribunale di Siena, è opportuno ricordare che, a seguito delle novità introdotte dalla legge Cartabia, il riconoscimento della circostanza di cui all’art. 625, comma 1, n. 7 c.p. ha assunto un’importanza davvero notevole, non solo sul versante della commisurazione della pena, ma anche in punto di procedibilità.
In precedenza, il furto di energia elettrica risultava infatti perseguibile d’ufficio in forza del tendenziale riconoscimento dell’aggravante del mezzo fraudolento (art. 625, comma 1 n. 2 c.p.). Dal canto suo, la circostanza di cui al n. 7 non era oggetto di specifica contestazione da parte dell’accusa, ma la sua integrazione veniva spesso “meccanicamente” desunta dalla peculiare “connotazione pubblicistica” della res sottratta.
Se in passato, questa discutibile prassi aveva un impatto tutto sommato minimale – e comunque limitato al solo versante della graduazione della risposta sanzionatoria – il discorso è oggi completamente diverso. Una volta mutato il regime di procedibilità del furto commesso con mezzo fraudolento, l’aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 c.p. è divenuta un indispensabile strumento per assicurare la tutela penalistica avverso fenomeni tutt’altro che infrequenti nella prassi, a prescindere dalla presentazione di querela di parte. Il suo mancato riconoscimento farebbe infatti ricadere sull’ente erogatore di energia un onere che – considerata la consistenza numerica di tali episodi criminosi – risulterebbe davvero gravoso[3].
Ebbene, intorno alle modalità di contestazione della circostanza di cui all’art. 625, comma 1 n. 7 c.p. è sorto un contrasto giurisprudenziale “relativo alla possibilità di ritener[la] implicitamente contestata in fatto” proprio nelle ipotesi di furto di energia elettrica[4].
In senso favorevole si è orientato un primo insieme di pronunce[5]: esse prendono le mosse dai principi enunciati dalle Sezioni unite nella sentenza Sorge, nella quale si è affermato che la contestazione in fatto non dà “luogo a particolari problematiche di ammissibilità per le circostanze aggravanti le cui fattispecie, secondo la previsione normativa, si esauriscono in comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive”[6].
Tanto premesso, si è sostenuto che, nel caso dell’energia elettrica, la finalizzazione allo svolgimento di un pubblico servizio sia connaturata all’essenza stessa del bene sottratto, a prescindere dalle “modalità concrete di esecuzione del reato, della natura, pubblica o privata, dell’ente erogatore o del fruitore del bene, dell’eventuale danno provocato all’apparecchio destinato alla fornitura e dell’effettivo nocumento arrecato alla somministrazione di energia ad altri utenti”. Ragione per cui, la contestazione dell’aggravante prevista dall’art. 625, comma 1 n. 7 “eseguita mediante la mera enunciazione della condotta incriminata, dovrebbe considerarsi ritualmente avvenuta”, in quanto consentirebbe comunque all’imputato “di poter congruamente esercitare il proprio diritto di difesa”[7].
A tale impostazione si è contrapposto un secondo indirizzo, che pure richiama i dicta della sentenza Sorge, ma nondimeno reputa necessaria una specifica contestazione dell’aggravante de qua in relazione al furto di energia elettrica, poiché il suo riconoscimento dovrebbe essere subordinato “all’esercizio di un’opzione valutativa che si radica su elementi di fatto” e “a una verifica di ordine giuridico sulla natura della res e sulla sua specifica destinazione”[8].
Della questione sulla ammissibilità o meno della contestazione in fatto dell’aggravante di cui al n. 7 sono state investite le Sezioni unite, che – nel caso in cui avessero ritenuto di aderire all’indirizzo più restrittivo – avrebbero dovuto rispondere a un secondo quesito, relativo alla legittimità di una contestazione supplettiva successiva “alla mancata presentazione della querela nel termine trimestrale previsto dall’art. 85 del d.lgs. n. 85/2022”[9].
E, tuttavia, la Prima Presidente della Corte di cassazione, con decreto del 4 gennaio 2024, ha disposto la restituzione degli atti, ritenendo il contrasto non sufficientemente sedimentato[10]. In particolar modo, i giudici rimettenti non avrebbero chiarito il perché – a fronte di un bene inequivocabilmente destinato ad un pubblico servizio, qual è, stando all’indirizzo maggioritario, l’energia elettrica – la circostanza di cui all’art. 625, comma 1 n. 7 c.p. possa vedersi attribuire natura valutativa, non potendo, quindi, essere oggetto di una mera prospettazione in fatto, non accompagnata da un’enunciazione in forma chiara e precisa del contenuto dell’imputazione.
A seguito della restituzione degli atti, sembra però essersi consolidato l’orientamento che rinviene nell’aggravante de qua delle componenti di natura valutativa, in quanto il suo riconoscimento imporrebbe comunque “una verifica di ordine giuridico sulla natura della res, sulla sua specifica destinazione […] e sul concetto di "pubblico servizio" (giuridicamente distinto da quello di servizio di pubblica necessità) che riposa su considerazioni in diritto”[11]. Ciò non sarebbe, però di ostacolo “anche a un tipo di contestazione non formale”, a patto che quest’ultima sia “congeniata in maniera da rendere manifesto all'imputato” – magari mediante perifrasi – “che dovrà difendersi dalla accusa di avere sottratto un bene posto al servizio di un interesse della intera collettività e a diretto vantaggio della stessa”[12].
3. Alla luce del quadro che abbiamo schematicamente tratteggiato, la sentenza in esame risulta di particolare interesse, poiché consapevolmente si discosta dalla posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità, per lo più incline, a maggior ragione dopo la Riforma Cartabia, ad affermare la sussistenza dell’art. 625, comma 1, n. 7 c.p. nei casi di furto di energia elettrica. Il giudice del Tribunale di Siena ha infatti provveduto a una rilettura, in termini particolarmente restrittivi, della locuzione “fatto commesso su cose destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità”, negando, infine, la validità della tesi secondo cui la sottrazione di energia elettrica alla rete di distribuzione pubblica integrerebbe, già di per sé, gli estremi della citata aggravante.
3.1. A riprova di siffatta conclusione innovativa viene, in primo luogo, richiamato il necessario rispetto del principio di tassatività, che preclude interpretazioni violative del divieto di analogia in malam partem. La pronuncia in commento si pone così nel solco tracciato dalla Consulta nell’importante sentenza n. 98/2021, la quale – come noto – ha riaffermato con forza il valore della “testualità della legge”, fissando il limite ultimo dell’attività interpretativa del giudice nella sua aderenza al dato normativo, inteso nella sua massima estensione semantica. Non sarebbe dunque tollerabile “riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei possibili significati” che il linguaggio comune consente di ricondurre alle “espressioni utilizzate dal legislatore”[13]. Ciò comporterebbe il tradimento del principio di legalità e delle garanzie ad esso sottese; di qui il monito rivolto dalla Corte ai giudici comuni a non cimentarsi in interpretazioni “sganciate dal tipo criminoso predeterminato dalla fattispecie legale”[14]. Un monito che la sentenza in esame dichiara apertamente di accogliere, proponendosi di adottare un’ermeneutica rispettosa “del significato proprio delle parole, nonché delle regole che governano la struttura dell’enunciato in cui si trovano”.
3.2. Poste queste premesse, la sentenza de qua si addentra nell’analisi sintattica e semantico-linguistica del “frammento di disposizione normativa rilevante nel caso di specie”, a cui viene riconosciuto un significato inequivoco, nel senso che a venire “destinate a un pubblico servizio o di utilità pubblica” sono necessariamente le cose oggetto di impossessamento. Queste ultime devono, per definizione, essere volte a soddisfare le esigenze di una platea indifferenziata di utenti o interessi di rilievo sociale[15]. Si pensi al carburante di un mezzo di trasporto di linea, al materiale ferroviario per l’effettuazione di un servizio pubblico essenziale o, ancora, agli acquedotti o alle reti di distribuzione dell’energia.
A detta della pacifica giurisprudenza, quel che rileva “è la qualità del servizio che viene organizzato anche attraverso la destinazione di risorse umane e materiali, e che è destinato appunto alla soddisfazione di un bisogno riferibile alla generalità dei consociati”[16].
Pertanto, i beni di cui al n. 7 dell’art. 625 c.p. non “si identificano certo perché la loro fruizione è pubblica, ma per la loro destinazione alla resa di un servizio fruibile dal pubblico”[17].
In definitiva, a giustificare il surplus di pena scaturente dal riconoscimento dell’aggravante è l’esistenza di un “nesso funzionale” tra la cosa rubata e il servizio pubblico: la prima deve insomma presentarsi come un “bene necessario o comunque utile” rispetto all’erogazione del secondo[18].
3.3. La sentenza in commento procede allora a un distinguo tra il bene “acqua” e l’energia elettrica, sottolineando come soltanto le risorse idriche avrebbero una intrinseca dimensione pubblicistica, direttamente ricavabile dalle disposizioni che regolano la materia. Ad esempio, l’art. 1 della l. 5 gennaio 1994, n. 36 (la legge c.d. Galli, recante Disposizioni in materia di risorse idriche stabilisce che “tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche”. Parimenti, l’art. 1 del d.PR. 18 febbraio 1999, n. 238, precisa che “appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico tutte le acque sotterranee e le acque superficiali, anche raccolte in invasi o cisterne”.
Al contrario, dalla disamina del Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici (il R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775), sembrerebbe proprio evincersi che l’energia elettrica, a differenza delle reti destinate al suo trasporto, è in sé sprovvista di un’intrinseca “dimensione pubblicistica”: essa andrebbe considerata in via autonoma rispetto al servizio, questo sì pubblico, di suo trasporto e distribuzione.
Ragione per cui, al cospetto di furto commesso mediante allacciamento abusivo alla rete ENEL, la circostanza di cui all’art. 625, co. 1, n. 7 c.p. non può essere riconosciuta de plano, ma soltanto quando sia dimostrato che l’energia elettrica sottratta fosse in effetti destinata al soddisfacimento di funzioni o di scopi pubblici[19].
3.4. Per effetto delle considerazioni qui succintamente richiamate, il Tribunale di Siena ha negato che, nel caso di specie, possa dirsi integrata l’aggravante de qua, facendo essenzialmente leva sul fatto che l’autore del reato “ha fruito e goduto” dell’energia sottratta alla società venditrice “per usi e fini esclusivamente domestici”[20].
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4. Dopo aver ripercorso i passaggi chiave della sentenza in commento, ci siano consentite alcune brevi osservazioni.
Va in primo luogo sottolineato che la pronuncia del Tribunale di Siena, in piena continuità con l’impostazione consolidata[21], riconduce i fatti di allacciamento abusivo alla rete elettrica all’interno del perimetro di tipicità del furto e non in quello della truffa: la casistica in materia è piuttosto variegata[22], ma è ormai del tutto pacifico che la sottrazione di energia realizzata tramite manomissione ed alterazione di impianti e contatori avviene senza il consenso – sia pur artificiosamente ottenuto – dell'ente proprietario, risolvendosi in un’aggressione unilaterale al patrimonio della vittima.
Nessun dubbio sussiste, poi, in merito alla considerazione dell’energia elettrica alla stregua di una “cosa mobile”, passibile di sottrazione e impossessamento. Se è vero che quest’ultima nozione viene nella prassi intesa in maniera davvero ampia[23] – ed è di frequente oggetto di letture evolutive, talora ai limiti dell’analogia in malam partem (come, ad esempio, quella tesa a ricomprendervi i files informatici[24] o gli ovociti[25]) – per quanto concerne l’energia elettrica, ogni possibile incertezza è fugata in radice dall’art. 624 cpv., che sancisce la sua espressa equiparazione alla “cosa mobile” ai fini della legge penale[26].
Appare inoltre opportuno segnalare che il tratto caratteristico delle vicende criminose in esame è senz’altro la tendenza a protrarsi nel tempo: all’iniziale condotta di allacciamento fa seguito la captazione, da parte dell’agente, di un flusso non necessariamente continuo di energia. È proprio quanto accaduto nel caso di specie, ove il reo, dopo essersi abusivamente collegato alla rete elettrica, si è impossessato di un certo quantitativo di energia utilizzandola “alla bisogna” per le proprie attività quotidiane.
Secondo l’impostazione prevalente, il furto non si realizza qui in forma istantanea ma assume la peculiare fisionomia di un reato di durata. Qualora, infatti, a una originaria condotta indebita facciano seguito più captazioni di energia che si susseguono nel tempo in maniera discontinua, la giurisprudenza è incline a riconoscere la sussistenza non già di una pluralità di delitti eventualmente avvinti dal vincolo della continuazione, ma di un unico reato a consumazione prolungata (o condotta frazionata). Esso è già perfetto all’esito della prima violazione, ma si consuma soltanto nel momento dell’ultimo prelievo; ed è da questo istante – in cui l’iter criminis giunge a compimento – che prende avvio il decorso del termine prescrizionale[27].
Non è questa chiaramente la sede per approfondire le delicatissime questioni inerenti alla configurabilità dei reati a consumazione prolungata[28]. Ci limitiamo soltanto a ricordare come la giurisprudenza faccia ampio ricorso a tale discussa categoria – di per sé priva di base normativa – ammettendo così una scissione tra consumazione formale (o perfezione) e consumazione materiale innanzi a sviluppi criminosi che, per la loro peculiare fisionomia, “continuano a prodursi nel tempo”, ma senza dar luogo a un fenomeno di “permanenza” propriamente detto. Si pensi, ad esempio all’usura[29], all’estorsione[30], alla truffa, alle diverse fattispecie corruttive fondate sul “duplice schema”[31] promessa/dazione, e, infine, al nostro caso, il furto di energia elettrica. In tutte queste ipotesi, il problema è, di norma, comprendere se la vicenda sub judice sia riconducibile a una cornice delittuosa unitaria o a tanti autonomi reati tra loro in continuazione.
Lungi dall’addentrarci in un tema tanto intricato, basti in questa sede rilevare la difficoltà nel fornire un’univoca risposta a tale problematico quesito. Il caso del furto di energia elettrica è per molti versi paradigmatico: siamo infatti al cospetto di una condotta di allacciamento abusivo a monte a cui segue la ricezione intermittente di energia. Ebbene, sul piano della “giustizia sostanziale”, appare sicuramente ragionevole considerare siffatte vicende unitariamente, “specie quando siano realizzate in maniera ininterrotta”, dal momento che esse costituiscono la “finalizzazione di un medesimo scopo tipico”; d’altra parte, ogni singola captazione potrebbe, già di per sé, integrare gli estremi di un’autonoma azione furtiva, unita alle altre da un “medesimo disegno criminoso”, rilevante ai sensi dell’art. 81, comma 2 c.p.
Ogni volta, il giudice è dunque chiamato al compimento di un’attenta valutazione in fatto, altamente discrezionale, e della quale dovrebbe esser dato puntualmente conto in motivazione. Il chiaro rischio è però che un disinvolto utilizzo della categoria della consumazione prolungata – pur assicurando il raggiungimento di soluzioni razionali e nella sostanza condivisibili – finisca con il rivelarsi foriero di inaccettabili torsioni del tipo legale, in violazione dell’art. 25, comma 2 Cost.
4.1. Comunque sia, la sentenza de qua non sembra affatto dubitare che, nel caso di specie, sussista un unico delitto a consumazione prolungata. I problemi riguardano semmai il possibile riconoscimento dell’aggravante della destinazione a pubblico servizio o a pubblica utilità. Come ormai è noto, la sua integrazione dipende dalla verifica circa l’attualità della destinazione della res furtiva al pubblico servizio o alla pubblica utilità. Ciò che conta, insomma, è che la cosa rubata, indipendentemente dalla sua appartenenza pubblica o privata, fosse volta a dare soddisfacimento ad un interesse generale[32]. A detta della giurisprudenza prevalente, questa caratteristica sarebbe insita nell’energia elettrica, ritenuta per sua stessa natura “cosa” destinata all’erogazione di un pubblico servizio[33].
Argomentando in tal modo, l’aggravante di cui al n. 7 dell’art. 625 c.p. sarebbe pure configurabile al cospetto di un furto realizzato dai “terminali intranei ad una proprietà privata”, poiché anche in questo caso “la sua destinazione finale non è quella di alimentare l'utenza privata che l’ha richiamata”, ma di soddisfare un bisogno della collettività[34].
4.2. La conclusione negativa cui è invece pervenuto il giudice senese è frutto di un’interpretazione a maglie strette del dato normativo, che – invero – non rappresenta un’assoluta novità.
In un passato ormai remoto, la Cassazione era orientata nel senso di escludere che la sottrazione, da parte dell’utente privato, di energia elettrica mediante allaccio abusivo alla rete ENEL potesse ritenersi aggravata ex art. 625 n. 7 c.p.[35]. Queste risalenti pronunce sostenevano che “pur essendo l’energia elettrica un bene destinato a pubblico servizio […], anche nel caso in cui soggetto passivo del reato sia un ente pubblico”, il riconoscimento della circostanza in parola avrebbe comunque dovuto essere subordinato ad una valutazione, case by case “che dal fatto è derivato un pregiudizio al servizio pubblico”[36].
Dello stesso avviso si è mostrata una parte della dottrina[37], che distingue il furto agli impianti di erogazione dell’energia elettrica – ove non residua alcun dubbio in merito alla “destinazione ad un pubblico servizio” – dal mero furto di energia, in relazione al quale si è invece ritenuto che la sussistenza dell’aggravante andrebbe tendenzialmente esclusa, per lo meno quando “l’energia sottratta dal reo sia di entità tale da non arrecare alcun pregiudizio al servizio pubblico”[38].
4.3. Tirando le fila del discorso, la sentenza in commento ha l’indubbio pregio di procedere a una puntuale verifica in fatto in ordine all’effettiva destinazione ad una pubblica utilità o a un pubblico servizio dell’energia elettrica. Da salutare con favore è dunque il netto rifiuto della presunzione assoluta di “finalizzazione pubblicistica” dell’energia, su cui sembrano spesso ripiegare quelle pronunce che riconoscono de plano, sempre e comunque, l’integrazione dell’aggravante di cui all’art. 625, comma 1 n. 7 c.p.
Il modus procedendi seguito dal giudice di Siena si pone, peraltro, nel solco del recente filone giurisprudenziale che attribuisce natura anche valutativa alla circostanza in parola, in ragione del fatto che “la pluralità di destinazioni che il bene-energia ha storicamente avuto e che potrà continuare ad avere (si pensi alla sempre maggiore diffusione di forme private di autoproduzione di energia), comporta che la destinazione di tale bene a un pubblico servizio non sia necessaria, vale a dire ontologicamente caratterizzante il bene medesimo, non potendo essere considerata alla stregua di un suo connotato intrinseco e autoevidente, atteso che, per essere affermata o negata, richiede una valutazione da parte dell’interprete, […] che può in alcuni casi rilevarsi complessa implicando talora la considerazione di norme extra-penali, soggette, come insegna l’esperienza degli interventi normativi che si sono susseguiti nel corso degli anni, a una continua evoluzione”[39].
Vero tutto quanto premesso, ci sembra nondimeno irrealistico pronosticare un sovvertimento della consolidata giurisprudenza di legittimità nel senso indicato dalla sentenza in commento, per lo meno nei casi in cui il furto di energia elettrica sia commesso mediante allaccio abusivo alla rete pubblica.
Per quanto sia, a nostro avviso, condivisibile il rilievo secondo cui la circostanza di cui all’art. 625 comma 1, n. 7 c.p. ha carattere valutativo e non autoevidente, e che dunque la “destinazione a pubblico servizio del bene-energia oggetto di furto” deve essere ricavata all’esito di una “verifica di ordine giuridico sulla natura della res, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di servizio pubblico", riteniamo tuttavia che – in fattispecie come quella affrontata dal Tribunale di Siena – risulti davvero arduo escludere la “dimensione pubblica e collettiva” dell’interesse giuridico leso dalle condotte sottrattive dell’agente. E ciò anche in virtù del fatto che “la qualificazione della energia elettrica come servizio pubblico” sarebbe desumibile da “una serie di interventi normativi primari e secondari volti a disciplinare le fasi della produzione e della distribuzione di energia, ad assoggettare il gestore al dovere di imparzialità e ad affermare la destinazione istituzionale dell’attività al pubblico”[40].
Da ultimo, a non convincerci a pieno sono gli argomenti in base a cui la sentenza giunge infine a escludere l’integrazione dell’aggravante nel caso di specie. Dopo aver minuziosamente ricostruito il quadro normativo e fattuale di riferimento, il giudice procedente ricava, infatti, l’assenza di una “destinazione pubblicistica” della res furtiva dall’utilizzo che di questa viene fatto dall’autore del reato. Tuttavia, affermare che il soggetto agente ha impiegato l’energia elettrica per uno scopo essenzialmente domestico, non vale di per sé e negare la sua originaria natura di “cosa destinata a pubblico servizio o pubblica utilità”.
Un conto, infatti, è il dolo specifico del reato di furto: il fine di profitto[41] che ha spinto l’imputato ad impossessarsi dell’energia elettrica è certamente di natura “privatistica”, illuminare la propria abitazione e alimentare gli elettrodomestici ivi presenti. Altro conto è la natura del bene sottratto, che ben può essere destinato alla soddisfazione di un interesse collettivo, e ciò chiaramente prescinde dalla funzione cui sia poi stato contingentemente adibito dall’autore del reato.
[1] Come sostiene F. Palazzo, La querela: un istituto rivitalizzato, tra diritto e processo penale - Querela e strategie deflative, in Giur. it., 2021, pp. 984 ss. la querela è “divenuta oggi uno strumento che, muovendo dall’impellenza deflativa, ha assunto il significato sistemico di liberare più decisamente la giustizia penale da contaminazioni di interessi privatistici che possono trovare altrove la loro adeguata soddisfazione”. Sulle ragioni, non solo deflattive, sottese alla scelta di implementare le ipotesi di procedibilità a querela, specie al cospetto di delitti ritenuti di non particolare gravità e aventi una dimensione esclusivamente pubblicistica, si vedano, per tutti: G.L. Gatta, L’estensione del regime di procedibilità a querela nella riforma Cartabia e la disciplina transitoria dopo la l. n. 199/2022, in questa Rivista, 2 gennaio 2023; nonché A. Madeo, Procedibilità a querela, messa alla prova e non punibilità per particolare tenuità del fatto: una ratio deflativa comune nella “riforma Cartabia”, in LP, 28 novembre 2022; osserva G. Dodaro, Le modifiche alla disciplina della querela, in Dir. pen. proc., 2023, p. 63 ss. che la scelta legislativa di rendere anche i furti aggravati procedibili a querela sembra destinata ad avere un impatto pratico considerevole, sol che si consideri il fatto che tra “i reati denunciati per i quali l’autorità giudiziaria ha iniziato l’azione penale, i soli furti costituiscono più della metà (51%) del totale dei delitti e il 69% dei reati contro il patrimonio”.
[2] Oltre all’art. 625, comma 1 n. 7 c.p., resta procedibile d’ufficio la fattispecie di cui al n. 7 bis, ossia il furto aggravato perché commesso “su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica”.
[3] In proposito più ampi rilievi in M. Brunetti Perri, Sul regime di procedibilità del furto di energia elettrica a seguito della riforma Cartabia, in questa Rivista, 9 giugno 2023.
[4] Ben spiegato da I. Scordamaglia, Osservatorio Contrasti giurisprudenziali – Contestazione, in Dir. pen. proc., 2024, p. 320 ss.
[5] Cfr. Cass., Sez. IV, 7 novembre 2023, n. 48529, con nota di L. Sacchetto, Nel caso di sottrazione di energia elettrica mediante l’allacciamento abusivo alla rete esterna è configurabile l'aggravante di cui all'art. 625, comma 1, n. 7 c.p., da ritenersi contestata in fatto, in Cass. pen., 2023, p. 943 ss.; Cass., Sez. V, 1° agosto 2023, n. 33824, in One Legale.
[6] Cass., Sez. un., 18 aprile 2019, n. 24906, con nota di B. Fragasso, Le Sezioni unite escludono l'ammissibilità della contestazione "in fatto" dell'aggravante della natura fidefacente dell'atto pubblico (art. 476 co. 2 c.p.), in Dir. pen. cont., 18 giugno 2019, la quale osserva come la Corte distingua tra aggravanti che sono costituite esclusivamente da elementi di fatto – determinate nella loro oggettiva materialità – e aggravanti che si compongono anche di elementi valutativi, la cui sussistenza deve essere attentamente valutata in concreto da giudice e pubblico ministero.
[7] Cfr. Cass., Sez. IV, 7 novembre 2023, n. 48529; Cass., Sez. V, 1° agosto 2023, n. 33824, cit.: “in sostanza, il furto di energia elettrica è suscettibile di un unico, ben definito, significato, poiché l’oggetto della sottrazione è indefettibilmente destinato a pubblico servizio e non richiede, ai fini di una compiuta risposta difensiva, nessuna previa e dettagliata esplicazione”.
[8] Cfr. Cass., Sez. IV, 3 ottobre 2023, n. 44157; Cass., Sez. IV, 22 novembre 2023, n. 46859, in One Legale.
[9] Cfr. Cass., Sez. V, 14 dicembre 2023, ord. n. 49934, in One Legale, la quale, più nel dettaglio, domanda alle Sezioni unite: “1) se, in tema di furto, la circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 7, possa ritenersi legittimamente contestata in fatto e ritenuta in sentenza nell’ipotesi in cui l'imputazione indichi quale oggetto della sottrazione una cosa destinata, in virtù della sua oggettiva funzione, a pubblico servizio, ovvero sia richiesta un’esplicita contestazione della predetta circostanza aggravante, compiuta direttamente o mediante l’impiego di formule equivalenti ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma; 2) se, nella seconda ipotesi, al pubblico ministero sia consentito modificare l’imputazione in udienza, mediante la contestazione della suddetta circostanza aggravante, con la conseguenza di rendere il reato procedibile d’ufficio (ai sensi della vigente formulazione dell’art. 624, comma 3, come modificato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, art. 2, comma 1, lett. i), oppure il giudice debba rilevare immediatamente la causa di non procedibilità per mancanza di querela ai sensi dell’art. 129 c.p.p.”.
[10] Così I. Scordamaglia, op. cit., p. 320 ss.
[11] Cfr. Cass., Sez. V, 30 gennaio 2024, n. 3741; Cass., Sez. V, 5 febbraio 2025, n. 4767, in De Jure; Cass., Sez. V, 26 febbraio 2025, n. 7812, in One Legale. Similmente, Cass., Sez. IV, 23 gennaio 2025, n. 2776, ivi. Sulla questione, E. Corvaglia, Furto di energia elettrica: illegittima la contestazione in fatto dell’aggravante di cui all’art. 625 n. 7 c.p., in Giur. pen. web, 3/2024, p. 15 s.
[12] Ibidem.
[13] C. Cost., sent. n. 98/2021, commentata da F. Palazzo, Costituzione e divieto di analogia, in Dir. pen. proc., 2021, p. 1218 ss.; L. Risicato, Argini e derive della tassatività. Una riflessione a margine della sentenza costituzionale n. 98/2021, in Discrimen, 16 luglio 2021.
[14] Così C. Cupelli, Divieto di analogia in malam partem e limiti dell'interpretazione in materia penale: spunti dalla sentenza 98 del 2021, in Giur. cost., 2021, p. 1807 ss.
[15] Cfr. R. Bartoli-F. Helferich, sub art. 625, in G. Forti-S. Riondato-S. Seminara, Commentario breve al codice penale, Milano, 2024, p. 2596; nel senso che la destinazione a pubblico servizio o pubblica utilità deve essere ricavata “dalla finalità ultima della cosa, indipendentemente dalla proprietà privata o pubblica del bene” e dalla natura dell’utilità, sia essa materiale culturale o ornamentale, S. Lalomia, sub art. 625 c.p., in E. Dolcini-G.L. Gatta, Codice penale commentata, Milano, 2021, p. 2303 s.
[16] Cfr. Cass., Sez. VI, 10 gennaio 2013, n. 698, in One Legale. Più di recente, ad esempio, Cass., Sez. V, 19 gennaio 2024, n. 2505, ivi.
[17] Ibidem.
[18] Trib. Siena, 29 aprile 2025, n. 190, Giud. Spina.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem.
[21] L’inquadramento di simili condotte nell’alveo applicativo del furto è oggi pacifico, ma in passato era sorto un contrasto giurisprudenziale, in quanto talune pronunce qualificavano come truffa la sottrazione di energia elettrica attuata mediante la manomissione del contatore. Contrasto infine risolto da Cass., S.U., 9 ottobre 1996, n. 10495, commentata da D. Di Vico, Questioni in tema di manomissione del contatore di energia elettrica: furto o truffa?, in Cass. pen., 1997, p. 3320 ss.
[22] Per una complessiva panoramica, E. Mezzetti, Reati contro il patrimonio, in C.F. Grosso-T. Padovani-A. Pagliaro, Trattato di diritto penale. Parte speciale, Milano, 2013, 94 s.
[23] Secondo l’impostazione consolidata, in diritto penale per cosa mobile si intende “qualsiasi entità di cui in rerum natura sia possibile una fisica detenzione, sottrazione, impossessamento od appropriazione, e che a sua volta possa spostarsi da un luogo ad un altro o perché ha l’attitudine a muoversi da sé oppure perché può essere trasportata da un luogo ad un altro o, ancorché non mobile ab origine, resa tale da attività di mobilizzazione ad opera dello stesso autore del fatto, mediante sua avulsione od enucleazione”. Cfr. per tutte: Cass., Sez. II, 1° giugno 2010, n. 20647, in One Legale.
[24] Ammette la configurabilità del reato di appropriazione indebita in caso di sottrazione definitiva di dati informatici: Cass., II, 10 aprile 2020, n. 11959, con note critiche di N. Pisani, La nozione di “cosa mobile” agli effetti penali e i files informatici: il significato letterale come argine all’applicazione analogica delle norme penali, in Dir. pen. proc., 2020, p. 651 ss. e di E. Pezzi, Caso Antinori: la Cassazione applica la teoria della “mobilizzazione” ed estende il concetto di “cosa mobile” ex art. 628 c.p. agli ovociti, in questa Rivista, 22 gennaio 2021.
[25] Ancora più discusso il caso in cui la S.C. ha riconosciuto l’integrazione del delitto di rapina a fronte di un prelievo violento di ovociti da una paziente sedata: cfr. Cass., Sez. II, 30 dicembre 2020, n. 37818, ove si afferma che “gli ovociti acquistano lo status di cosa mobile solo al termine del processo di asportazione dal corpo umano (c.d. reificazione” e sono dunque passibili di sottrazione e impossessamento. Sul punto si rimanda a A. Vallini, La sottrazione violenta di ovociti e le torsioni del “tipo criminoso”, in Giur. it., 2021, p. 1732 ss.
[26] Nel vigore del Codice Zanardelli, la questione risultava assai più problematica, poiché taluni ritenevano che oggetto di reati patrimoniali potessero essere soltanto le res corporales o quae tangi possunt. Ogni dubbio è stato però fugato dal Codice del 1930, che considera appunto cose mobili “l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico”. Esse hanno infatti valore economico (“presunto rispetto all'energia elettrica e da accertarsi, invece, rispetto alle altre energie”) e sono suscettibili di “spossessabilità”. Cfr. F. Mantovani, Furto, in Dig. disc. pen., Torino, 1990, consultato su One Legale.
[27] Cfr. ex plurimis: Cass., Sez. V, 20 giugno 2025, n. 23178; Cass. 4 dicembre 2024, n. 44328; Cass., Sez. V, 14 gennaio 2016, n. 1324; Cass., IV, 27 novembre 2018, n. 53456, Cass., Sez. IV 14 gennaio 2010, n. 1537, in One Legale; Cass., IV, 23 gennaio 2009, n. 18485, con nota di L. Arato, Furto di energia elettrica, in Dir. pen. proc., 2010, p. 315 ss., che reputa sì il furto di energia elettrica un unico delitto, ma “eventualmente permanente”, trattandosi di reato in cui l’agente, per sua volontà, fa perdurare l’offesa tipica, “senza però che ciò sia richiesto dalla legge per l'esistenza stessa del reato”.
[28] A tal proposito, con specifico riguardo al furto di energia elettrica: S. Braschi, La consumazione del reato. Fondamenti dogmatici ed esigenze di politica criminale, Padova, 2020, p. 255 ss. Si vedano inoltre: M. Bianchi, Oltre la perfezione: saggio sulla consumazione finale del reato, Roma, 2023, p. 40 ss.; nonché A. Aimi, Le fattispecie di durata. Contributo alla teoria dell’unità o pluralità di reato, Torino, 2019, passim.
[29] Cfr. Cass., Sez. I, 22 ottobre 1998, n. 11055, Rv. 211610; Cass., Sez. II, 13 ottobre 2005, n. 41045, Rv. 232698; di recente: Cass., Sez. II, 15 dicembre 2020, n. 35878, Rv. 280313.
[30] Il pensiero corre alla vasta casistica concernente la riscossione del c.d. pizzo, che costituisce il profitto “rateizzato” di un’originaria condotta estorsiva; ex plurimis: Cass., Sez. V, 10 febbraio 2011, n. 4919, Rv. 249249.
[31] La giurisprudenza di legittimità – salvo qualche sporadica pronuncia difforme – è per lo più orientata nel senso di inquadrare le fattispecie lato sensu corruttive (corruzione, concussione, induzione indebita, traffico di influenze) nei reati a duplice schema, già perfetti al momento della promessa (c.d. schema sussidiario), ma che si consumano solo quando cessano le dazioni del denaro o delle utilità (c.d. schema principale). Di questo avviso le Sezioni unite nella nota sentenza Mills: Cass., S.U., 25 febbraio 2010, n. 15208, in Cass. pen., 2010, 3023 ss.
[32] Cfr. per tutti G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro il patrimonio, VIII ed., Bologna, 2023, p. 91
[33] Ex plurimis: Cass., Sez. IV, 5 giugno 2002, n. 21456: Cass., Sez. IV, 18 gennaio 2016, n. 1850; Cass., Sez. V, 13 gennaio 2022, n. 1094, in One Legale.
[34] Cfr. Cass., Sez. V, 13 gennaio 2022, n. 1094, cit.; Cass., Sez. IV, 23 agosto 2024, n. 33067, in One Legale.
[35] Cass., Sez. II, 22 giugno 1967, n. 602, Rv. 104749-01; Cass., Sez. II, 30 maggio 1967, n. 49, Rv. 104369-01; Cass., Sez. II, 22 giugno 1967, n. 1663, Rv. 104717-01; Cass., Sez. II, 17 agosto 1966, n. 521, Rv. 102364; Cass., Sez. II, 3 gennaio 1966, n. 1393, Rv. 100071-01.
[36] Testualmente: Cass., Sez. II, 17 agosto 1966, n. 521, cit.
[37] Cfr. F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale. Delitti contro il patrimonio, VI ed., Padova, 2018, p. 24.
[38] Cfr. G. Pecorella, voce Furto, in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 405; considerazioni riprese, più di recente, da M. Formica, I delitti di furto, in C. Piergallini (a cura di), Reati contro il patrimonio. Trattato teorico-pratico di diritto penale, a cura di F. Palazzo-C.E. Paliero-M. Pelissero, Torino, 2023, p. 66 ss. In giurisprudenza: Cass., Sez. II, 7 novembre 1967, n. 1176, Rv. 105901-01, la quale afferma che “ai fini dell'applicabilità dell’aggravante di cui all'art 625 n. 7 c.p., relativamente al furto su cose destinate a pubblico servizio o a pubblica necessità, occorre che il fatto del colpevole abbia pregiudicato o esposto a pericolo di pregiudizio il servizio pubblico o resa inutilizzabile o meno efficiente la cosa destinata a pubblica utilità”, concludendo poi perentoriamente che “tali condizioni non possono ravvisarsi nel caso di sottrazione di energia elettrica mediante allaccio abusivo della rete interna a quella esterna”.
[39] Cfr. Cass., Sez. V, 16 ottobre 2024, n. 37953; Cass., Sez. IV, 3 ottobre 2024, n. 39638, in One Legale.
[40] Cass., Sez. IV, 3 ottobre 2024, n. 39638, cit.
[41] Sull’accezione latissima in cui viene inteso il concetto di profitto nel reato di furto, che può anche avere natura non patrimoniale, v. da ultimo Cass., Sez. un., 12 ottobre 2023, n. 41570, commentata da M. Nicolini, Le Sezioni Unite sul dolo specifico di profitto nel furto: esso può avere anche natura non patrimoniale, in questa Rivista, 10 gennaio 2024.