ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Recensione  
15 Marzo 2025


Le pene sostitutive, oggi

A proposito del volume di D. Bianchi, Le pene sostitutive. Sistematica, disciplina e prospettive di riforma, Torino, Giappichelli, 2024



1. Allo studio monografico di Davide Bianchi deve anzitutto tributarsi il merito storico di aver dedicato una riflessione organica e rinnovata al tema delle pene sostitutive, a cui la dottrina italiana aveva da oltre trent’anni riservato attenzione in modo perlopiù incidentale, ovverosia nella cornice di riflessioni sulla crisi del carcere e sulla tanta agognata riforma del sistema sanzionatorio. Un silenzio degli studiosi che era seguìto a un decennio particolarmente fecondo in letteratura sulla materia in parola, inaugurato in occasione della comparsa di questa tipologia sanzionatoria nell’ordinamento nostrano con la l. n. 689/1981[1] e culminato nel 1989 con la pubblicazione in argomento del noto volume di Emilio Dolcini e Carlo Enrico Paliero[2].

L’entusiasmo manifestato dai penalisti all’epoca dell’entrata in vigore delle sanzioni sostitutive – che avevano finalmente rotto quel “monismo” carcerario del codice Rocco – si era rapidamente tramutato in una rassegnata delusione dei medesimi dinanzi alla débâcle applicativa registrata sin da subito dai surrogati penali di nuovo conio, specie per la loro interferenza con la più attrattiva sospensione condizionale della pena. Con la conseguenza che, a fronte di un sistema di pene sostitutive rimasto immutato per più di quarant’anni, l’azione critica della dottrina verso di esso si è venuta ad esaurire nel tempo, avendone già denunciato in tutte le forme possibili la disfunzionalità e ipotizzato diverse proposte di riforma a cui il legislatore non ha mai dato seguito.

 

2. In ogni caso, il tema delle pene sostitutive è tornato oggigiorno attuale per due ragioni di fondo intrinsecamente connesse, che giustificano appieno una mappatura monografica dell’argomento.

In primo luogo, lo scenario fattuale degli ultimi lustri è ben diverso da quello presente in Italia sul finire degli anni ottanta del secolo scorso: le carceri collassano, versano in una situazione di endemico sovraffollamento, che il legislatore – costretto dalle condanne della Corte di Strasburgo[3] – ha tentato a più riprese di arginare; senza comunque mai percorrere la strada più coraggiosa tracciata della dottrina, che sollecita da tempo un “rimpiazzo” della pena carceraria già “sul nascere”, mediante la configurazione di sanzioni edittali non detentive[4].

Si tratta di un quadro chiaramente raffigurato da Bianchi nel capitolo introduttivo della monografia, dove egli, muovendo dalle più recenti e drammatiche condizioni degli istituti penitenziari nel nostro Paese, arriva ad affermare “l’improcrastinabilità delle alternative” al carcere, vedendo proprio opportunamente le pene sostitutive “come prima alternativa ad una pena carceraria sempre più insostenibile”[5].

In secondo luogo, pure lo scenario normativo delle pene sostitutive negli ultimi anni è stato oggetto di una profonda revisione, richiamata dall’Autore nella parte introduttiva del volume e dettagliatamente scandagliata nel terzo capitolo dello stesso: si allude alla c.d. riforma Cartabia, la quale – come ben noto – ha ridisegnato la disciplina delle sanzioni sostitutive della l. n. 689/81, rendendo così indispensabile una riflessione aggiornata sul punto, come peraltro dimostrato dalla pubblicazione di numerosi saggi proprio su questo aspetto della riforma[6].

 

3. Un discorso integrale intorno al tema in parola non può prescindere da una premessa a carattere semantico-definitoria, giacché l’espressione ‘pene sostitutive’ è suscettibile, come noto, di declinazioni differenti, a seconda della corrispondente “genesi” e della “intensità” del rapporto delle stesse con la sanzione carceraria, nonché della loro collocazione nell’iter punitivo. Invero Bianchi, prendendo con precisione le mosse da questo presupposto concettuale, perimetra la propria indagine alle pene sostitutive applicabili con la sentenza di condanna: vale a dire “le sanzioni penali che si pongono quale alternativa al carcere nella fase di commisurazione giudiziale collocata tra l’accertamento della responsabilità per il fatto-reato e l’esecuzione del trattamento punitivo”[7].

Più in particolare, avvalendosi di un puntuale confronto con l’esperienza di alcuni Paesi europei, l’Autore riconosce e passa in rassegna, nel primo capitolo, tre modelli di pene sostitutive che possono essere teoricamente messe a disposizione del magistrato del giudizio. Tutti accomunati dalla “loro alterità rispetto alla natura segregativa e totalizzante dell’istituzione carceraria”[8], siffatti modelli si sostanziano, riprendendo la classificazione accolta da Bianchi stesso, nelle pene principali sostitutive, nelle pene sostitutive in senso stretto e nelle misure sospensive con carico sanzionatorio[9].

Si va dal paradigma che presenta il grado di autonomia più intenso rispetto al carcere, dove le pene non detentive costituiscono pene principali direttamente applicabili dal giudice della cognizione in luogo della sanzione carceraria minacciata nelle norme incriminatrici, senza la necessità di alcuna operazione di sostituzione posta in essere dal giudice stesso; al modello sospensivo con contenuti sanzionatori, contraddistinto da misure che “s’approssimano nella sostanza alle sanzioni sostitutive, pur mantenendo un rapporto – di dipendenza – particolarmente stretto con la pena detentiva sospesa”[10], esistenti per esempio in Francia e nel Regno Unito; passando per un paradigma “intermedio” – come quello presente in Italia dal 1981 – ove l’alternativa al carcere è applicata dal giudice in virtù della sostituzione, entro limiti e secondo criteri stabiliti dalla legge, di un quantum di pena detentiva dallo stesso previamente commisurata.

Si tratta di modelli, in alcuni casi coesistenti all’interno del medesimo ordinamento, i quali si differenziano – oltre che per l’intensità del legame di dipendenza con la pena carceraria – per la rispettiva dimensione teleologica (proiezione risocializzativa più pregnante nelle pene principali sostitutive e nelle misure sospensive) e il loro contenuto afflittivo-sanzionatorio, che può essere di origine primaria (come nelle pene principali sostitutive o nelle pene sostitutive in senso stretto) oppure secondaria (come nelle misure sospensive).

Nondimeno, nel panorama comparato possono osservarsi – come rileva Bianchi stesso – “istituti ibridi”, frutto della circolazione e dalla combinazione dei differenti modelli sostitutivi[11]: per esempio, in via generale, negli strumenti sospensivi la dimensione punitiva è perlopiù collegata alla pena detentiva sospesa, ma la componente sostitutivo-afflittiva torna a riespandersi là dove possano essere imposte al beneficiario degli stessi prescrizioni sempre più variegate e gravose, secondo soluzioni vieppiù frequenti nelle legislazioni contemporanee.

L’Autore ben individua poi nella discrezionalità giudiziaria un comune denominatore tra i tre succitati modelli, dallo stesso additata come “dimensione nevralgica delle pene sostitutive”[12].

Tutti i prototipi di alternativa al carcere qui richiamati possono essere invero applicati in virtù di una decisione – talvolta, certo, guidata dal legislatore attraverso clausole di sussidiarietà della sanzione detentiva più o meno efficaci, come accade per esempio in Francia – dell’organismo giudicante, nelle cui mani è in tal guisa rimessa la sorte dei sostitutivi della pena carceraria.

Collocare le alternative al carcere in una proiezione pienamente discrezionale se da un lato consente di adattare con maggior precisione il contenuto delle stesse alle esigenze di individualizzazione del trattamento punitivo (in Italia per giunta imposte dalle direttrici costituzionali), accentuandone casomai lo scopo di prevenzione speciale positiva; dall’altro lato esprime – verosimilmente in prevalenza – il frutto di una decisione di opportunità politica, che permette di non rinunciare al simbolico e rassicurante carcere nel momento legale di minaccia della pena. A cui va a sommarsi la difficoltà tecnica di stabilire le modalità di “immissione” di tali pene nell’ordinamento in assenza di una riscrittura della parte speciale[13]. È del resto risaputa la sorte sventurata delle pene principali alternative previste dalla legge delega n. 67/2014, che il governo non ha mai attuato proprio per ragioni di convenienza politico-elettorale.

 

4. Venendo al volto delle pene sostitutive nell’ordinamento nazionale, la genesi di queste ultime con la riforma del 1981, come la più recente revisione delle stesse ad opera del d.lgs. n. 150/2022, si annovera in quella che Bianchi definisce “dinamica ‘mitigatrice’ del comparto sanzionatorio”[14], con cui il legislatore italiano nel secondo dopoguerra ha cercato di edulcorare la severità delle cornici di pena (detentive) minacciate dal codice Rocco, nel quadro dell’incapacità politica di sostituire integralmente quest’ultimo. D’altronde, le sanzioni draconiane comminate dal legislatore fascista[15] – e supportate da regole di parte generale volte a concretizzare questo programma punitivo – si sono venute a scontrare con il volto costituzionale della pena, incentrato sui canoni tra loro interconnessi di proporzionalità, umanità-risocializzazione e individualizzazione[16], nel segno del personalismo quale cifra identitaria comune[17]. Senza contare poi – è noto – che anche l’epoca repubblicana è stata segnata periodicamente da una corsa all’inasprimento dei limiti edittali in certuni ambiti[18], la quale ha condotto a una “sproporzione sistemica[19] particolarmente evidente e negli anni più recenti a più riprese censurata dalla Corte costituzionale stessa[20]. Una sproporzione che viene in astratto ad offuscare la capacità dissuasivo-orientativa delle norme incriminatrci; e in concreto si traduce in pene sproporzionate per eccesso, che giocoforza contaminano in senso generalpreventivo le sorti punitive del singolo, posto che non sempre la misura esorbitante della sanzione può essere ammortizzata in action dagli “istituti mitigatori”, tra cui per l’appunto i sostitutivi del carcere.

Un sistema realmente orientato alla personalizzazione delle conseguenze punitive del reato deve inevitabilmente svincolarsi dal dominio della pena carceraria, sia poiché l’unicum sanzionatorio preclude una individualizzazione qualitativa della pena medesima, calibrata sulle esigenze teleologiche prescritte dalla Costituzione; sia poiché il carcere, pur avendo nella storia rappresentato la prima species di pena dal volto “umano” e individualizzabile, ha cominciato ben presto a disvelare la rispettiva, fisiologica carica depersonalizzante nei confronti dei soggetti al suo interno ristretti[21].

Nel quadro di un generale scopo di efficientamento della giustizia penale[22], il d.lgs. n. 150/2022 promuove la “sussidiarizzazione” della pena detentiva su più livelli, tra cui appunto attraverso le pene sostitutive; tanto è vero che “proprio questo versante sostanziale della riforma (…) consente di affermare (…) che la riforma non ha l’unico obiettivo dell’‘efficientamento’ del sistema ma segna anche un passo in avanti nel senso della sua modernizzazione”[23].

Bianchi pone in chiaro rilievo come le rinnovate pene sostitutive perseguano un intento di revisione in senso costituzionale del comparto sanzionatorio.

Più in particolare, egli riconosce due obiettivi alle sanzioni sostitutive di nuovo conio.

In virtù del primo, esse “da un lato dovrebbero costituire un valido argine all’esecuzione di pene detentive in tensione con il principio di proporzionalità (…); dall’altro lato, dovrebbero rappresentare una risposta punitiva effettiva, idonea a perseguire in maniera più efficace e efficiente le finalità di prevenzione generale e speciale”[24].

Mentre il secondo obiettivo, pur essendo “correlato al primo”, “se ne distingue per un rapporto ancor più diretto col personalismo”: le nuove pene sostitutive infatti “non solo si inscrivono pienamente nel paradigma delle ‘sanzioni di comunità’, consentendo appunto un sanzionamento ‘in libertà’, che non sradica il soggetto da un contesto sociale isolandolo all’interno d’una istituzione totale, ma puntano ad essere ‘pene programma’, ossia strumenti sanzionatori funzionali ad una risocializzazione ‘attiva’, ad un effettivo reinserimento sociale del reo, partendo da una valutazione dei suoi concreti bisogni (criminogenetici) e sviluppando un ‘programma di trattamento’ ritagliato sulla sua persona”[25].

 

5. Una volta precisata la ratio delle novelle pene sostitutive l’Autore analizza le modifiche apportate dalla riforma Cartabia alla loro disciplina. Si tratta di modifiche di differente natura, tutte finalizzate alla recessione applicativa della pena carceraria secondo quella logica personalistica di sussidiarietà sopra menzionata[26].

Come noto, in via generale sembrano due le innovazioni di fondo delineate in materia dal d.lgs. n. 150/2022, supportate da altre novità ad esse perlopiù strumentali, tutte criticamente vagliate dall’Autore.

In primo luogo, si espande il perimetro applicativo delle pene sostitutive (che entrano nominalmente, in un nuovo art. 20-bis, all’interno del codice penale), elevando a quattro anni il limite in concreto di pena detentiva surrogabile, e si “smarcano” le stesse dalla sospensione condizionale, che non risulta più ad esse applicabile.

In secondo luogo, si mira all’“anticipazione dell’alternativa al carcere all’esito del giudizio di cognizione”[27], stante che fino all’entrata in vigore della riforma – se si esclude la sospensione condizionale della pena e la più recente messa alla prova – la gestione delle alternative al carcere era principalmente rimessa alla discrezionalità della magistratura di sorveglianza, capace di operare una sorte di surrogazione della pena detentiva attraverso il meccanismo della sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656 c.p.p[28]. Meccanismo di mera natura deflattiva, introdotto nel 1998, che ha alimentato l’annoso fenomeno dei c.d. liberi sospesi[29], oltre ad aver completamente “snaturato” l’impianto ideologico delle misure alternative come tratteggiato dalla legge penitenziaria del 1975[30]. Inoltre, il d.lgs. n. 150/2022 dispone una identificazione contenutistica delle novelle pene sostitutive più severe (semilibertà e detenzione domiciliare) con le equivalenti misure alternative, conservando unicamente la pena pecuniaria tra le species di sanzioni sostitutive preesistenti.

Davide Bianchi osserva difatti che “il giudice della cognizione torna ad essere effettivamente ‘giudice della pena’ e ministro della funzione di prevenzione speciale, essendogli richiesta la plasmazione di sanzioni punitive immediatamente esecutive e integrate dai contenuti specialpreventivi (anche) positivi”[31]. Si estende così lo spazio di individualizzazione (qualitativa) delle conseguenze punitive riconosciuto nel giudizio grazie sia allargamento delle opzioni sanzionatorie messe a disposizione del magistrato della cognizione, sia alla previsione di species di pena il cui contenuto (se si esclude quella pecuniaria) può essere più o meno modulato sulla base delle esigenze di risocializzazione esibite dal condannato[32]. Chiosa invero l’Autore che “La riforma ha (…) accentuato la funzionalità specialpreventiva delle pene sostitutive (diverse da quella pecuniaria), ridefinendo parzialmente i contenuti di controllo e potenziando quelli risocializzativi con relativo accrescimento della discrezionalità giudiziale”[33]. Non bisogna del resto dimenticare che le tipologie di sanzioni sostitutive contemplate in origine dalla l. n. 689/1981, in virtù di una loro “neutralità” contenutistica, apparivano idonee a perseguire uno scopo di “intimidazione-ammonimento” e di “non desocializzazione” del destinatario, piuttosto che un reale intento di risocializzazione come invece espressamente evocato dall’art. 58 l. n. 689/1981[34].

Sennonché, sul fronte delle pene sostitutive quest’opera di potenziamento degli spazi di individualizzazione della pena è stata attuata “al ribasso” dalla riforma Cartabia: come emerge in modo particolare dalla scelta di non inserire nel catalogo delle pene sostitutive – a differenza da quanto raccomandato dalla Commissione Lattanzi – l’affidamento in prova al servizio sociale, tipologia sanzionatoria “non segregativa” e meglio capace di esprimere una risposta al reato davvero “a misura d’autore” e “dinamico-partecipativa”[35].

Si tratta di una scelta dettata dall’intento di evitare una interferenza applicativa del probation penitenziario con il fortunato istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova[36], capace tuttavia, nei fatti, di generare alcune aporie che la riforma non è riuscita a risolvere; al punto che Bianchi parla opportunamente di “problematica assenza dell’affidamento in prova” nel ventaglio delle nuove pene[37]. Soprattutto, la presenza del probation tra le pene sostitutive avrebbe consentito di ridimensionare il fenomeno dei c.d. liberi sospesi, poiché un’applicazione dell’omologa misura alternativa alla detenzione attraverso il meccanismo della sospensione dell’ordine esecutivo non sarebbe più risultata possibile. Inconveniente, questo, che la riforma ha cercato di ovviare subordinando l’applicazione delle novelle pene sostitutive – diverse da quella pecuniaria – al consenso del condannato e circoscrivendo per il semilibero e il detenuto domiciliare la possibilità di fruire dell’affidamento in prova al servizio sociale soltanto dopo l’esecuzione di una porzione di pena detentiva.

Oltre a questo scopo funzionalistico, la richiesta del consenso per l’applicazione di tre pene sostitutive su quattro rappresenta verosimilmente una manifestazione, forse esasperata, della ratio personalistico-risocializzativa delle novelle sanzioni, che la riforma lega alla “partecipazione” diretta del condannato alle conseguenze del reato per mezzo di una sua adesione inequivoca alla pena[38].

Nondimeno, come acutamente precisa Bianchi, “L’effetto collaterale finale è presumibilmente peggiore di quello inizialmente temuto”, giacché il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni per reati non ostativi potrebbe negare il consenso all’applicazione della pena sostitutiva “di fronte alla prospettiva di una sospensione dell’ordine d’esecuzione ex art. 656 c.p.p. con possibilità di chiedere la misura alternativa dell’affidamento in prova ‘dalla libertà’”[39].

Viene così in essere un’incongruenza all’interno del sistema punitivo, nella misura in cui il condannato a pena detentiva non sostituita potrebbe beneficiare di un trattamento sanzionatorio più benevolo – grazie appunto all’applicazione ab initio dell’affidamento in prova al servizio sociale – rispetto al condannato alla semilibertà o alla detenzione domiciliare sostitutive.

In altri termini, per effetto della richiesta del consenso da parte del condannato alla sostituzione sanzionatoria si configura un apparato di pene sostitutive à la carte, che rischia di compromettere l’effettività delle pene medesime. Del resto, gli indici applicativi di queste nuove sanzioni fino alla prima metà del 2024 – riportati dall’Autore – non paiono particolarmente elevati, specie se rapportati al numero dei beneficiari delle misure alternative alla detenzione, oppure della figura speciale di lavoro di pubblica utilità sostitutivo contemplato dalla legislazione in materia di circolazione stradale e di stupefacenti[40].

Quantomeno, il riformatore non è caduto nella seducente tentazione di moltiplicare oltremodo i surrogati penali applicabili nella fase di cognizione, in forza dell’idea secondo cui più ampio è il ventaglio delle opzioni sanzionatorie a disposizione del magistrato della cognizione, più facilitata sarebbe l’opera di individualizzazione del trattamento punitivo. Anzi, tutt’altro: un eccesso di “alternative” verrebbe probabilmente a produrre un effetto di disorientamento nel giudice, come testimoniato dall’esperienza francese – richiamata puntualmente da Bianchi – dove dal 1975, a fronte di un incremento spasmodico delle tipologie di pene alternative mantenute in un circuito di discrezionalità, non è corrisposto un eguale riscontro nella prassi. Più in particolare, talune pene alternative hanno costantemente riportato tassi applicativi prossimi allo zero, e altre non costituiscono oggetto nemmeno di rilevazione statistica a dimostrazione della loro più completa ineffettività[41].

 

7. La nuova veste delle pene sostitutive ispirata ad una logica personalistica si riproduce sui “presupposti applicativi discrezionali” e sui “criteri commisurativi” delle stesse fatti propri dalla riforma, come ben chiarito dall’Autore del volume.

Con riferimento ai presupposti applicativi discrezionali (l’an della sostituzione), Davide Bianchi osserva che “il riformatore, da un lato, ha riproposto il presupposto negativo della prognosi di inosservanza delle prescrizioni e la gamma di indici fattuali e personologici di cui all’art. 133 c.p. e, dall’altro, ha incorporato requisiti marcatamente specialpreventivi tipici delle misure alternative penitenziarie, quali l’idoneità alla rieducazione del condannato e alla prevenzione della reiterazione criminosa”.

Certo, la riforma avrebbe potuto inserire una clausola di sussidiarietà della pena detentiva, che prescrivesse il ricorso ai surrogati del carcere a meno che si opponessero serie esigenze di prevenzione speciale, sulla scorta di soluzioni già sperimentate in Germania e Francia. Tuttavia, è plausibile che il legislatore abbia ritenuto inutile una clausola siffatta, proprio alla luce dei succitati criteri discrezionali che sembrano orientati “nel senso di potenziare l’attitudine specialpreventive delle sanzioni sostitutive, conservandone la caratura punitiva, così da farne – ad un tempo – una valida alternativa sia alla pena detentiva sia alle misure di decarcerizzazione attivabili in fase esecutiva”[42].

Se da un canto è vero che il binario sostitutivo non “è stato configurato come risposta ordinaria ai reati (non ostativi) sanzionati in concreto con la pena carceraria fino a quattro anni, essendo subordinato a pregnanti accertamenti di carattere specialpreventivo, che non sembrano ricostruibili ‘in negativo’ a meno di obliterare la littera legis[43]; dall’altro canto è altrettanto vero che una valutazione prognostica piuttosto dettagliata – come quella configurata dal d.lgs. n. 150/2022 – si lega logicamente al potenziamento della vocazione risocializzativa delle nuove pene sostitutive, che dovrebbero assumere in tal modo un contenuto progettuale e non meramente retrospettivo.

Inoltre, i criteri discrezionali non sembrano necessariamente orientati contra substitutionĕm: all’opposto, sono i criteri stessi, in rapporto al contenuto delle nuove sanzioni, che paiono congegnati in maniera tale da favorire l’applicazione di queste ultime, le quali si presentano con un nucleo punitivo incline a ponderare le diverse anime della prevenzione speciale.

In ordine all’an della sostituzione, sembra quasi scontato che l’applicazione di una sanzione en milieu ouvert sia preferibile in termini di risocializzazione rispetto alla restrizione in carcere[44]. E nei confronti del rischio di ricaduta nel reato, la maggior complessità valutativa può essere sciolta alla luce del condivisibile pensiero dell’Autore, a mente del quale “non è mai richiesta una prognosi di non recidivanza per così dire ‘pura’: le pene sostitutive, proprio perché dotate di nuovi (o rinnovati) contenuti trattamentali e di controllo, retrocedono solo di fronte ad una capacità criminale talmente elevata da non essere contenibile nemmeno col trattamento sostitutivo più ‘intenso’ (tra quelli consentiti dal condannato)”[45].

Del pari, i criteri di scelta tra le diverse pene sostitutive (quomodo) sono anch’essi ispirati alla valorizzazione massima del finalismo risocializzativo; tant’è che il giudice deve scegliere la pena sostitutiva “più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale”. Si ricorre financo ad “un’endiadi”[46] lessicale per fugare ogni dubbio in ordine alla proiezione teleologica di tali pene[47]; e si stabilisce una scala di sussidiarietà “interna” alle pene medesime, che viene comunque a disvelare un significato più generale di extrema ratio del carcere tout court.

In definitiva, si tratta di criteri espressivi di quella nuova cultura del punire in termini di sussidiarietà abbracciata dalla riforma Cartabia nelle sue diverse articolazioni (pene sostitutive, giustizia riparativa e universo della non punibilità)[48]: una discrezionalità “orientata”, che guida l’azione individualizzante svolta dal giudice, il quale mantiene tuttavia spazi fisiologici di autonomia, che gli consentono di adottare anche eventuali “decisioni rigoriste” a favore della pena carceraria in presenza di valutazioni prognostiche incerte[49]. È d’altra parte l’essenza della discrezionalità giudiziale, la quale, anche nell’eventualità in cui sia governata dalla legge, si fonda su di un atto di fiducia verso l’interprete, che potrebbe “tradire” per le più svariate ragioni. Una eventualità che può essere scongiurata sul campo sanzionatorio solo mettendo mano al catalogo delle pene principali, lasciato intonso anche dalla riforma Cartabia, attraverso un’opera di pre-individualizzazione delle conseguenze sanzionatorie svolta “a monte” dal legislatore[50].

Ad un arricchimento del giudizio di commisurazione della pena in senso lato il d.lgs. n. 150/2022 ha poi abbinato, sul versante processuale, un’apertura verso un sistema bifasico, fondato sul dialogo dell’autorità giudiziaria con gli uffici dell’esecuzione penale esterna (già sperimentato nella messa alla prova), al fine di fornire al magistrato informazioni “mirate” per decidere in ordine all’an e al quomodo della sostituzione, difficilmente reperibili attraverso il semplice contatto processuale con l’imputato. Epperò, il decreto correttivo della riforma Cartabia del 2024 – per supposte esigenze di economia processuale – ha assegnato un ruolo di eccezionalità all’udienza di sentencing, di conserva con l’indebolimento dei vincoli procedurali deputati all’effettivo vaglio di sostituzione (per esempio, l’“avviso alle parti” sulla possibilità della sostituzione non più richiesto)[51]. Si tratta di una modifica di disciplina[52] volta a snellire il procedimento grazie a una decisione autonoma e immediata del giudice, ma idonea anch’essa a minare la fortuna applicativa dei nuovi surrogati della pena carceraria. Osserva difatti l’Autore che dinanzi “alla prospettiva di una valutazione discrezionale complessa e non di rado necessitante un rinvio d’udienza con coinvolgimento di U.E.P.E. sempre più in affanno, per il giudice di cognizione sarà molto forte la tentazione di spogliarsi del problema escludendo a priori (e senza motivare) la non semplice strada della sostituzione[53].

Da una prospettiva più generale, poi, la scelta di favorire una decisione immediata e “in solitaria” del giudice in ordine alla sostituzione della pena carceraria sembra tradire l’adesione della riforma ad una visione “progettuale” della pena, che non può prescindere da una valutazione del vissuto del soggetto responsabile[54], che il giudice difficilmente può svolgere in maniera contingentata e unilaterale[55].

 

8. L’itinerario percorso da Davide Bianchi nelle trame delle nuove pene sostitutive si conclude con un bilancio non particolarmente confortante, che l’Autore delinea grazie a quell’intreccio tra dimensione teorica, normativa e prasseologica della materia che accompagna l’opera nella sua interezza.

Certo, qualcosa si è smosso nella dimensione vivente delle pene sostitutive – per decenni in stato “vegetativo” –, ma a poco più di due anni dall’entrata in vigore della riforma non sono stati raggiunti i risultati che il legislatore si era con probabilità prefigurato, pur a fronte di un progressivo incremento applicativo delle sanzioni in parola nel loro secondo anno di vita.

Si tratta di un esito con verosimiglianza derivante – come già accennato – dalla convergenza tra alcune aporie esibite dalla disciplina del d.lgs. n. 150/2022, quali in particolare la sovrapponibilità tra le sanzioni sostitutive e la sospensione condizionale rispetto alle pene carcerarie commisurate entro i due anni (non “ammortizzata” da un clausola di sostituzione obbligatoria); nonché la richiesta del consenso da parte del condannato verso la pena sostitutiva, che può verosimilmente contribuire ad un ulteriore incremento del numero dei c.d. liberi sospesi, quale conseguenza di un plausibile dissenso del reo alla sostituzione sanzionatoria nella speranza di essere ammesso a forme esecutive dans la communauté.

Le strade percorribili per fronteggiare tali criticità sono differenti. Prova ne sia che l’Autore ne ipotizza alcune, dallo stesso definite come più o meno utopistiche: dalla previsione di pene edittali non carcerarie attraverso dissimili tecniche di innesto nell’ordinamento, che rappresenterebbe – come si sa – la soluzione preferibile per arcinote ragioni[56]; a correttivi di sistema “minimi”, specie delle principali criticità procedurali riscontrate nella disciplina odierna delle sanzioni in oggetto; passando per una proposta di riforma “graduale”, imperniata sulla previsione di tre fasce di reati di diversa gravità rispetto alle quali le pene sostitutive sono destinate ad operare in modo differente[57]. A cui si potrebbe affiancare, a nostro avviso, una riforma “di semplificazione”, tutta calibrata sul binomio pena carceraria e sospensione condizionale della pena: una riforma che – sulla scorta del modello franco-belga[58] – vede la convivenza di una sospensione semplice, priva di contenuti, e di una sospensione con prova, che può (deve) essere corredata di prescrizioni di varia natura, capaci di accentuare una dimensione tanto punitiva quanto più specificamente risocializzativa della misura medesima[59]. Per giunta, – come rileva l’Autore – sono le nuove pene sostitutive a esibire tratti tipici degli strumenti sospensivo-probatori (mediante il potenziamento della loro vocazione risocializzativa), che si combinano con quegli aspetti punitivi propri delle pene sostitutive in senso stretto, a cui formalmente esse sarebbero riconducibili, dando così luogo ad un paradigma ibrido[60].

In ogni caso nell’attualità – dove la voce del populismo penale è tornata a risuonare in maniera assordante, dopo una breve parentesi di silenzio – già quelle minime interpolazioni correttive ipotizzate da Bianchi rappresenterebbero un traguardo da salutare con favore, come d’altra parte l’Autore stesso lascia intendere. Rimane in tal guisa soltanto da sperare in un progressivo incremento del trend d’applicazione delle pene sostitutive[61], grazie ad un “impegno” dei giudici in tal senso, coniugato con un potenziamento delle strutture dell’esecuzione penale esterna[62].

Orbene, in definitiva, non si può che manifestare ancora una volta l’apprezzamento verso lo sforzo profuso dalla riforma Cartabia, la quale ha impresso – sia pure con soluzioni non certo prive di ombre – una svolta di razionalità umanitaria ad un sistema (o forse, meglio, “stratificato guazzabuglio”[63]) sanzionatorio da decenni al collasso più completo e privo di una propria coerenza sistemica, che non sia rappresenta dal dominio del carcere nel suo spietato simbolismo.

 

 

 

[1] In argomento v., ex multis, E. Dolcini, Le “sanzioni sostitutive” applicate in sede di condanna, in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, p. 1390 ss.; G. Grasso, La riforma del sistema sanzionatorio: le nuove pene sostitutive della detenzione di breve durata, in Riv. it. dir. proc. pen., 1981, p. 1411 ss.; F. Palazzo, Le pene sostitutive: nuove sanzioni autonome o benefici con contenuto sanzionatorio?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, p. 834 ss.; F. Giunta, Pene sostitutive e sistema delle sanzioni: profili ricostruttivi ed interpretativi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, p. 481 ss.; M. Trapani, Le sanzioni penali sostitutive, Padova, 1985.

[2] E. Dolcini E., C.E. Paliero, Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell’esperienza europea, Milano, 1989.

[3] In merito al sovrappopolamento carcerario sotto la lente di osservazione della Corte europea dei diritti dell’uomo v., per esempio, S. Raffaele, Il sovraffollamento carcerario e l’art. 3 Cedu: note critiche sul labile confine tra “ordinaria amministrazione” e trattamento inumano e degradante, in Ord. int. dir. umani, 2023, p. 297 ss.

[4] Cfr., tra gli altri, F. Palazzo, Quale futuro per le “pene alternative”?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 539 ss.; D. Petrini, Certezza della pena e modelli sanzionatori, in Verso una riforma del sistema sanzionatorio? Atti del convegno in ricordo di Laura Fioravanti, a cura di P. Pisa, Torino, 2008, p. 205; L. Eusebi., Riforma penitenziaria o riforma penale?, in Dir. pen. proc., 2015, p. 1334; M. Catenacci, Tipologie sanzionatorie, comminatorie edittali e misure alternative: lo stato dell’arte, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, p. 1159 s.

[5] D. Bianchi, Le pene sostitutive. Semantica, disciplina e prospettive di riforma, Torino, 2024, p. 8.  

[6] Cfr., a titolo di esempio, L. Risicato, La riforma delle pene sostitutive tra molti pregi e qualche asimmetria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, p. 585 ss.; R. Bartoli, Punire in libertà: le nuove pene sostitutive, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, p. 1399 ss.; G. Niccolò, Pene sostitutive: disallineamenti e ingerenze tra cognizione ed esecuzione, in Cass., pen., 2023, p. 4359 ss.; A. Gargani, Le “pene sostitutive” tra finalità rieducative, istanze deflattive e rischio di ineffettività, in Forme, riforme e valori per la giustizia penale futura, a cura di D. Castronuovo, D. Negri, Napoli, 2023, p. 231 ss.; N. Pisani, Le pene sostitutive, in Giur. it., 2023, p. 942 ss.; G. Amarelli, L’ampliamento delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi: luci e ombre, in Proc. pen. giust., 2022, p. 234 ss.; E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, in Sist. pen., 30 agosto 2022; T. Travaglia Cicirello, La riforma delle sanzioni sostitutive e le potenzialità attuabili del lavoro di pubblica utilità, in Leg. pen., 21 settembre 2022; C. Fontani, Le nuove pene sostitutive tra inefficienze strutturali e resistenze culturali, in Discrimen, 23 gennaio 2025.   

[7] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 12.  

[8] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 76.

[9] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 13 ss. Si tratta peraltro di una classificazione che riflette in parte la sistematizzazione delle sanzioni sostitutive tratteggiata da E. Dolcini E., C.E. Paliero, Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell’esperienza europea, cit., p. 174 ss., vale a dire le “sanzioni sospensive”, le “sanzioni sostitutive in senso stretto”, le sanzioni “strutturalmente ‘alternative’” e le sanzioni “sostitutive ‘autonome’”.

[10] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 28.

[11] Cfr. D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 100 ss. Sull’ibridazione dei modelli sanzionatori alternativi v., amplius, A. Bernardi, Linee evolutive delle misure alternative nel panorama europeo, in La lotta al sovraffollamento carcerario in Europa. Modelli di pena e di esecuzione nell’esperienza comparata, a cura di A. Bernardi, M. Venturoli, Napoli, 2018, p. 13 ss.  

[12] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 46.

[13] Cfr. F. Palazzo, Uscire dal disordine sanzionatorio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 468.

[14] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 111.

[15] Cfr., a titolo di esempio, G. Marinucci, L’abbandono del codice Rocco tra rassegnazione e utopia, in Diritto penale in trasformazione, a cura di G. Marinucci, E. Dolcini, Milano, 1985, p. 350.

[16] In argomento v., per tutti, E. Dolcini, Pena e Costituzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 3 ss.

[17] Sul punto cfr., volendo, M. Venturoli, Modelli di individualizzazione della pena. L’esperienza italiana e francese nella cornice europea, Torino, 2020, p. 73 ss.   

[18] Su questa tendenza politico-legislativa nel secondo dopoguerra v., per esempio, S. Moccia, La perenne emergenza, La perenne emergenza. Tendenze autoritarie nel sistema penale, Napoli, 1995; passim; F. Palazzo, F. Viganò, Diritto penale. Una conversazione, Bologna, 2018, p. 42 ss.

[19] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 129.

[20] Al riguardo v. F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Torino, 2021, p. 52 ss.

[21] Cfr., per esempio, R. Bartoli, Il carcere come extrema ratio: una proposta concreta, in La lotta al sovraffollamento carcerario in Europa. Modelli di pena e di esecuzione nell’esperienza comparata, a cura di A. Bernardi, M. Venturoli, Napoli, 2018, p. 185 ss.; T. Travaglia Cicirello, La pena carceraria tra storia, legittimità e ricerca di alternative, Milano, 2018, p. 1 ss.    

[22] Cfr. al riguardo, in generale, G.L. Gatta, Riforma Cartabia e sistema sanzionatorio: tra efficienza dell’esecuzione penale ed effettività della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., p. 561 ss.

[23] F. Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma penale, in questa Rivista, 8 settembre 2021, p. 3. Sulla ratio di efficientamento della riforma v. M. Donini, “Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità”, in Pol. dir.., 2021, p. 591 ss., secondo cui non è tanto decisivo “l’obiettivo di una accelerazione dei procedimenti, ma semmai di renderli efficienti in un quadro di
attenzione a una strategia sanzionatoria differenziata e non simbolico-retributiva”.

[24] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 146.

[25] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 146 s.

[26] La cifra personalistica della riforma è chiaramente rimarcata da F. Palazzo, Scopi e valori riformatori della riforma del sistema sanzionatorio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2023, p. 498 ss. 

[27] Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2022, p. 353.

[28] Sugli effetti negativi derivanti dall’aver interamente demandato alla magistratura di sorveglianza l’attuazione del finalismo rieducativo della pena v., tra gli altri, M. Pelissero, La metamorfosi della pena in fase esecutiva tra funzione rieducativa e legalità della pena. Una lettura sostanziale della crisi del giudicato, in La pena, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, a cura di C.E. Paliero, F. Viganò, F. Basile, G.L. Gatta, vol. I, Milano, 2018, p. 344.

[29] Cfr., per esempio, A. Menghini, Carcere e Costituzione. Garanzie, principio rieducativo e tutela dei diritti dei detenuti, Napoli, 2022, p. 491 ss.

[30] Per un approfondimento di questo processo di trasformazione v., per esempio, E. Dolcini, Le misure alternative oggi: alternative alla detenzione o alternative alla pena?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 857 ss.; A. Della Bella, Il ruolo dell’affidamento in prova nella crisi di certezza e di effettività della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, p. 1492 ss.

[31] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 151.

[32] Cfr., al riguardo, M. Donini, “Efficienza e principi della legge Cartabia. Il legislatore a scuola di realismo e cultura della discrezionalità”, cit., p. 605, secondo cui “Quando il giudice può decidere in primo grado considerando a quale tipo di esecuzione destinare la persona che condanna, almeno nei limiti delle sanzioni sostitutive (fino a quattro anni di pena detentiva applicata), le strategie sanzionatorie si moltiplicano e la commisurazione diventa più seria: non può essere una generica condanna a pena detentiva”.

[33] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 205.

[34] E. Dolcini, C.E. Paliero, Il carcere ha alternative?, cit., p. 207 s. 

[35] Cfr. L. Eusebi, Il cantiere lento della riforma in materia di sanzioni penali. Temi per una discussione, in Arch. pen. web, 28 marzo 2022, p. 3.

[36] Cfr. G.L. Gatta, Riforma della giustizia penale: contesto, obiettivi e linee di fondo della ‘legge Cartabia’, in Sist. pen.., 15 ottobre 2021, p. 17.

[37] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 206. In senso critico verso questa scelta v. altresì, tra gli altri, E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, cit., p. 11 s.; M. Donini, Diritto penale e processo come legal system. I chiaroscuri di una riforma bifronte, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, a cura di D. Castronuovo, M. Donini, E.M. Mancuso, G. Varraso, Milano, 2023, p. 23; A. Gargani, Le “pene sostitutive” tra finalità rieducative, istanze deflattive e rischio di ineffettività, cit., p. 239; M. Pelissero, Oltre la riforma Cartabia. Le prospettive della rieducazione nello sviluppo del sistema sanzionatorio, in La rieducazione oggi. Dal dettato costituzionale alla realtà del sistema penale. Atti del Convegno Trento, 21-22 gennaio 2022, a cura di A. Menghini, E. Mattevi, Napoli, 2022, p. 30; R. Bartoli, Punire in libertà: le nuove pene sostitutive, cit., p. 1413; D. Guidi, La riforma delle “pene” sostitutive, in Leg. pen., 25 febbraio 2023, p. 39 ss.   

[38] Cfr. F. Palazzo, Uno sguardo d’insieme alla riforma del sistema sanzionatorio, in Dir. pen. proc., 2023, p. 14; L. Risicato, La riforma delle pene sostitutive tra molti pregi e qualche asimmetria, cit., p. 592, secondo cui “risulta incongruo pensare che il legislatore possa comminare una pena privativa della libertà personale ma non anche una sanzione che, pur non potendo essere imposta con la forza per un basilare principio di civiltà giuridica, è in sé assai meno afflittiva della detenzione”. Perplessità verso il requisito del consenso – pure rispetto al lavoro di pubblica utilità – sono manifestate anche da R. Bartoli, Punire in libertà: le nuove pene sostitutive, cit., p. 1419 s; T. Travaglia Cicirello, La riforma delle sanzioni sostitutive e le potenzialità attuabili del lavoro di pubblica utilità, cit., p. 11 s.

[39] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 207.

[40] Cfr. D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 208.  

[41] Per un approfondimento della dimensione empirica delle pene alternative in Francia sia consentito rinviare a M. Venturoli, Modelli di individualizzazione della pena, cit., p. 402 ss.

[42] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 213.

[43] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 214. 

[44] Cfr. R. Bartoli, Punire in libertà: le nuove pene sostitutive, cit., p. 1415.

[45] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 215.

[46] E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, cit., p. 17.

[47] Secondo N. Mazzacuva Le sanzioni sostitutive e la pena pecuniaria (Introduzione), in Riv. it. dir. proc. pen., p. 557, infatti, “Il ‘favore rieducativo’ è scolpito a chiare lettere” nella riforma.

[48] Un affresco generale su questa nuova cultura della pena è offerto da M. Donini, Diritto penale e processo come legal system. I chiaroscuri di una riforma bifronte, cit., p. 1 ss. Per una interessante “associazione” tra pene sostitutive e giustizia riparativa nella logica della riforma Cartabia v. G. Amarelli, Riparazione e pene sostitutive, in Proc. pen. giust., 2023, p. 76 ss.

[49] Sull’apertura del d.lgs. n. 150/2022 ad una rinnovata visione in senso costituzionale della individualizzazione della pena sia consentito rinviare a M. Venturoli, verso un nuovo paradigma di individualizzazione della pena? Osservazioni a margine del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in Sist. pen., 31 maggio 2023.   

[50] Sull’individualizzazione quale problema che tocca tutti i momenti in cui si articola la vita della pena cfr., volendo, M. Venturoli, Modelli di individualizzazione della pena, cit., passim

[51] In argomento v., per esempio, M. Cecchi, Rinnovate scansioni procedurali per l’applicazione delle pene sostitutive, in Pen. Dir. Proc., 17 maggio 2024.

[52] Secondo L. Eusebi, Il cantiere lento della riforma in materia di sanzioni penali. Temi per una discussione, cit., p. 7, peraltro, la “contenuta dilatazione del processo di cognizione” derivante dall’evoluzione in senso bifasico del rito “sarebbe ampiamente compensata, peraltro, dal venir meno, in tal modo, dei procedimenti presso il tribunale di sorveglianza, dopo la condanna definitiva, per l’ammissione alle misure alternative applicabili fin dall’inizio dell’esecuzione, come pure dal già segnalato ridursi prevedibile del contenzioso”.

[53] D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 225. 

[54] Difatti secondo G. Niccolò, Pene sostitutive: disallineamenti e ingerenze tra cognizione ed esecuzione, cit., par. 2, è richiesta una “nuova sensibilità alla magistratura di cognizione”.

[55] Cfr. G. de Vero, La riforma del sistema sanzionatorio penale: uno sguardo d’insieme, in Leg. pen., 20 febbraio 2023, p. 10, ad avviso del quale “Soltanto il ricorso da parte del giudice a questa più complessa e adeguata procedura può rendere ragione all’intento sbandierato dalla riforma di realizzare un’autentica anticipazione in sede di cognizione di quanto si è sinora sviluppato in termini di misure alternative alla detenzione in sede esecutiva”.

[56] Tant’è che E. Dolcini, Dalla riforma Cartabia nuova linfa per le pene sostitutive, cit., p. 3, qualifica l’“ampliamento della tipologia delle pene principali” come “la strada maestra” da percorre per investire la pena carceraria del “ruolo residuale che le è assegnato dalla Costituzione”. In tale direzione v., altresì, G. Amarelli, Riparazione e pene sostitutive, cit., p. 83; M. Pelissero, Oltre la riforma Cartabia.  Le prospettive della rieducazione nello sviluppo del sistema sanzionatorio, cit., p. 29.  

[57] Cfr. D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 281 ss.   

[58] Sul punto v., volendo, M. Venturoli, Il sursis franco-belga tra “gradualità” e diversificazione sospensivo-sanzionatoria, in Le misure sospensivo-probatorie. Itinerari verso una riforma, a cura di E. Dolcini, A. Della Bella, Milano, 2020, p. 29 ss.

[59] Cfr. E. Dolcini, A. Della Bella, Per un riordino delle misure sospensivo-probatorie nell’ordinamento italiano, in Le misure sospensivo-probatorie. Itinerari verso una riforma, a cura di E. Dolcini, A. Della Bella, Milano, 2020, p. 338 ss.; F. Palazzo, Uscire dal disordine sanzionatorio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022,  p. 470.

[60] Cfr. D. Bianchi, Le pene sostitutive, cit., p. 267.

[61] Speranzoso in tal senso è R. Bartoli, Punire in libertà: le nuove pene sostitutive, cit., p. 1421.

[62] In argomento, v. E. Fronte, Messa alla prova e pene sostitutive delle pene detentive brevi: la Relazione del Ministro della Giustizia relativa al 2023, in  Sist. pen., 10 gennaio 2025.

[63] F. Palazzo, Fatti e buone intenzioni. A proposito della riforma delle sanzioni penali, in Sit. pen., 10 febbraio 2014.