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  Scheda  
21 Febbraio 2025


Condanna a pena sostitutiva in abbreviato e mancata impugnazione: applicabile la sospensione condizionale in executivis dopo Corte cost. n. 208/2024? Dal Tribunale di Monza soluzione affermativa (previo ripristino della pena detentiva sostituita)

Trib. Monza (g.i.p.), ord. 18.2.2025, Giud. Giudici



*Contributo pubblicato nel fascicolo 2/2025. 

 

1. L’allegata ordinanza del Tribunale di Monza, in funzione di giudice dell’esecuzione, è di particolare interesse perché affronta, forse per prima, un problema nuovo, che si pone in relazione alle condanne definitive a pena sostitutiva della pena detentiva pronunciate all’esito di giudizio abbreviato.

E’ noto che, per effetto del nuovo art. 442, co. 2 bis c.p.p., inserito dalla riforma Cartabia nell’ambito degli interventi volti a ridurre il carico giudiziario in appello e i relativi tempi medi, la mancata impugnazione della sentenza di condanna in abbreviato comporta una ulteriore riduzione di un sesto della pena inflitta.

La Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 208 del 2024, ha consentito al giudice dell’esecuzione di ordinare la sospensione condizionale della pena (e/o di concedere la non menzione della condanna) qualora, a seguito della riduzione di pena ex art. 442, co. 2 bis c.p.p., la stessa scenda al di sotto dei limiti previsti dalla legge per il beneficio (per la sospensione condizionale, di norma, ex art. 163 c.p., due anni).

Abbiamo già pubblicato su questa Rivista un provvedimento del Tribunale di Milano che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, è tra i primi ad avere ordinato la sospensione condizionale della pena – con scarcerazione del condannato – per effetto della rinuncia all’impugnazione e della correlata ulteriore riduzione della pena inflitta (in quel caso, in misura inferiore a due anni e sei mesi, limite per la concessione del beneficio ai c.d. giovani adulti).

L’ordinanza del Tribunale di Monza, qui pubblicata, ha invece concesso in executivis la sospensione condizionale della pena in un caso diverso da quello milanese, nel quale era stata inflitta – ed era in esecuzione – non una pena detentiva, bensì una pena sostitutiva della pena detentiva e, in particolare, il lavoro di pubblica utilità.

 

2. Quid iuris, dopo la sentenza n. 208/2024 della Corte costituzionale, se nel giudizio abbreviato, è stata applicata una pena sostitutiva? Il problema si pone in quanto, ai sensi dell’art. 61 bis l. n. 689/1981 (inserito dal d.lgs. n. 150/2022), la sospensione condizionale della pena non si applica alle pene sostitutive.

Ne consegue che, in caso di condanna a pena sostitutiva della pena detentiva, il giudice dell’esecuzione non può ordinare la sospensione condizionale della pena sostitutiva anche qualora, per effetto della mancata impugnazione della sentenza di condanna, debba essere riconosciuta l’ulteriore riduzione di un sesto della pena inflitta. Il giudice dell’esecuzione può solo ridurre la durata della pena sostitutiva, come è avvenuto nel caso affrontato dal Tribunale di Monza: con un primo incidente di esecuzione, infatti, due anni e quattro mesi di reclusione, sostituiti con 1.700 ore di LPU, sono stati ridotti a un anno, dieci mesi e quindici giorni di reclusione, pari a 1.360 ore di LPU.

 

3. Senonché il difensore del condannato, richiamando la sentenza n. 208/2024 della Corte costituzionale, chiedeva la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna. Il PM esprimeva parere favorevole. Il giudice, pur ritenendo di poter esprimere una valutazione favorevole in ordine alla concessione dei benefici (in particolare, con riferimento alla prognosi di non recidività ex art. 164 c.p.), rilevava correttamente il divieto di sospendere le pene sostitutive, imposto dalla legge, in modo ragionevole, per assicurare l’effettività delle pene sostitutive, non carcerarie.  La logica delle pene sostitutive è infatti quella del 'castigo certo ma moderato', per dirla con Beccaria.

Sospensione condizionale e pene sostitutive si pongono, tra loro, in posizione di alternatività. Non solo per il divieto di sospendere le pene sostitutive, ma perché,  come si legge nell’art. 58 l. n. 689/1981, il giudice può applicare le pene sostitutive – se del caso, procedendo all’udienza di sentencing ex art. 545 bis c.p.p. – “se non ordina la sospensione condizionale della pena”.

Senonché, afferma l’ordinanza annotata, pur a fronte “dell’intrinseca ragionevolezza” del divieto di sospensione condizionale delle pene sostitutive, nel caso di specie il rigetto dell’istanza con la quale si chiede quel beneficio “appare…di dubbia compatibilità con la Costituzione”.

Nel passaggio decisivo della motivazione, il Tribunale di Monza osserva che qualunque imputato oggi, dopo la sentenza n. 208/2024 della Corte costituzionale, ove sia condannato a pena detentiva marginalmente superiore al limite massimo della pena sospendibile è nella condizione di scegliere se:

  • non impugnare la condanna, chiedere poi al giudice dell’esecuzione la riduzione della pena di un sesto e la sospensione condizionale della pena, oppure.
  • acconsentire alla sostituzione della pena detentiva, sapendo poi che in sede di esecuzione la mancata impugnazione non consentirà la sospensione condizionale ma la sola riduzione della pena sostitutiva.

Nel caso oggetto del procedimento, il condannato non avrebbe potuto legittimamente confidare nella possibilità di ottenere la sospensione condizionale in sede esecutiva e, per questo, ha optato per la sostituzione della pena detentiva: “la sola opzione [che aveva a disposizione] per evitare la pena detentiva breve”. Questa decisione/strategia difensiva - ecco la ratio decidendi - è stata “inquinata” dall’impossibilità di considerare la diversa opzione di chiedere la sospensione condizionale della pena al giudice dell’esecuzione.

Secondo l’ordinanza annotata, il giudice dell’esecuzione deve allora rimuovere gli effetti della disciplina dichiarata costituzionalmente illegittima (quella che non gli consentiva, illo tempore, di sospendere l’esecuzione della pena dopo la riduzione di un sesto) rivisitando il giudicato di condanna. Ciò, mutatis mutandis, analogamente a quanto la Cassazione, anche a Sezioni Unite, riconobbe in occasione di decisioni della Corte costituzionale (sent. nn. 32/2014 e 40/2019) che dichiararono illegittimo il trattamento sanzionatorio in materia di sostanze stupefacenti, con riflessi sull’applicazione della disciplina del patteggiamento, della continuazione e della commisurazione della pena (cfr. pag. 5-6 dell’ordinanza annotata, anche per i riferimenti alle sentenze della Cassazione).

 

4. L’ordinanza ravvisa, in particolare, un contrasto con gli artt. 3 e 27, co. 3 Cost. a fronte della perdurante esecuzione della pena sostitutiva inflitta, malgrado la sussistenza di tutti i presupposti per la sospensione condizionale. Si interroga, quindi, sulla possibilità di ripristinare la pena detentiva sostituita e di ordinarne la sospensione condizionale (non potendo disporre, come si è detto, la sospensione condizionale della pena sostitutiva, stante il disposto dell’art. 61 bis l. n. 689/1981).

Il Tribunale ritiene possibile arrivare a questo esito attraverso un’interpretazione conforme a Costituzione, senza sollevare una nuova questione di legittimità costituzionale, ritenuta inammissibile proprio in ragione della possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata, non impedita, secondo l’ordinanza annotata, dalla lettera della legge. Argomenti in tal senso, nell’ambito di un’articolata motivazione, vengono tratti anche e proprio dalla sentenza n. 208/2024 della Consulta che, a proposito dell’analoga questione affrontata, e a fronte di una lacuna normativa e di un silenzio del legislatore, ha ritenuto in via di principio possibile, ai fini della sospensione condizionale, ricorrere all’estensione analogica delle disposizioni relative al giudizio di esecuzione, salvo incontrare in quel diverso caso un limite in un diritto vivente che, per quanto rappresentato da due sole sentenze, era contrario all’interpretazione conforme (e, pertanto, alla concessione della sospensione condizionale). Un simile diritto vivente non si è ancora formato in relazione al particolare problema oggetto dell’ordinanza in esame; di qui, secondo la stessa, la percorribilità della via dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’assetto normativo creato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 208/2024. Per tale via, il Tribunale ha ripristinato la pena detentiva inflitta (e diminuita di un ulteriore sesto) e ne ha ordinato la sospensione condizionale dell’esecuzione. Il Tribunale ha altresì concesso la non menzione della condanna.

***

5. La soluzione accolta dal Tribunale di Monza è di indubbio interesse ed è dichiaratamente volta a soddisfare “imprescindibili esigenze di giustizia ravvisabili nel caso concreto”. L’ordinanza ha il merito di mettere a fuoco un problema ulteriore e diverso rispetto a quello affrontato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 208/2024. Essa si muove, con tutta evidenza, lungo uno stretto crinale tra le opzioni dell’interpretazione conforme e della questione di legittimità costituzionale. La strada scelta per rimuovere la disparità di trattamento ravvisata dal Tribunale – cioè il carattere “inquinato” della scelta fatta acconsentendo alla sostituzione della pena allorché non si poteva fare affidamento sulla sua sospensione in executivis – è stata indubbiamente imboccata con apprezzabile sforzo argomentativo. Possono peraltro residuare dubbi sulla possibilità, nei limiti di un’interpretazione conforme consentita, di rispristinare la pena detentiva sostituita: la l. n. 689/1981 disciplina infatti in modo tassativo i casi di revoca delle pene sostitutive, senza contemplare quello di fatto introdotto dal provvedimento annotato. 

Un notazione finale. Si potrebbe a prima vista dubitare della stessa legittimità della riduzione di pena per mancata impugnazione di una condanna al lavoro di pubblica utilità. Tale condanna, infatti, non è impugnabile in appello (cfr. art. 593, co. 3 c.p.p). Senonché va notato che l'art. 442, co. 2 bis c.p.p. fa dipendere l'ulteriore riduzione della pena dalla mancata "impugnazione", termine generico che comprende anche il ricorso per cassazione, sempre consentito.