ISSN 2704-8098
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  Opinioni  
28 Luglio 2025


Carlo Nordio e l’uso alternativo del diritto


1. Di uso alternativo del diritto si discusse animatamente negli anni Settanta del secolo scorso.

Come si è chiarito ancora di recente, la formula e il relativo progetto furono escogitati «in seno a un gruppo di agguerriti studiosi e docenti di diritto privato, di orientamento marxista o comunque politicamente progressista, accomunati dall’interesse a discutere e verificare se, e fino a che punto gli strumenti  giuridici in particolare dell’autonomia privata propri del diritto borghese potessero essere utilizzati in vista dell’emancipazione delle classi lavoratrici e dei soggetti socialmente più deboli»; ma «non è vero che il settore della giustizia penale sia stato del tutto trascurato», perché si discusse sulla politicità anche del diritto penale e «sulla possibilità di interpretarlo e applicarlo in chiave antiborghese» [1].

Detto in sintesi, e non necessariamente in chiave critica, si trattava di proporre una giustificazione giuridica per decisioni giurisdizionali sostanzialmente politiche, in quel caso intese a favorire comunque obiettivi di emancipazione sociale, secondo criteri di giustizia e di uguaglianza.

L’attuale Ministro della giustizia, dr. Carlo Nordio, non è certamente «di orientamento marxista»; né è chiaro se possa essere considerato «politicamente progressista», benché sia solito evocare quale padre della riforma del codice di procedura penale Giuliano Vassalli, che notoriamente non fu un conservatore. E tuttavia l’abituale argomentare del ministro risulta frequentemente riconducibile all’intento di esibire una giustificazione giuridica per decisioni inequivocabilmente politiche. Lo schema è dunque il medesimo: si assume una decisione politica e si pretende di giustificarla come conseguenza di un’argomentazione giuridica.

 

2. Non vengono qui in considerazione però dichiarazioni estemporanee e generiche, benché anch’esse presentate come espressione di una solida cultura giuridica.

Non viene in considerazione ad esempio il disappunto politico per il ricorso immediato per cassazione proposto dalla Procura della Repubblica di Palermo contro l’assoluzione di Matteo Salvini nella vicenda Open Arms; un disappunto manifestato con l’impertinente (nel senso di non pertinente) evocazione dei paesi civili nei quali le sentenze di assoluzione sarebbero sempre inoppugnabili. Infatti il ricorso proposto dai pubblici ministeri palermitani non attiene al giudizio di fatto espresso dal tribunale, che è quello suscettibile di essere reso inoppugnabile. Mentre non è neppure immaginabile che il ministro, per “rimediare” come preannunciato, intenda proporre l’abrogazione dell’art. 111 della Costituzione, nella pare in cui prevede che il ricorso per cassazione per violazione di legge è proponibile contro tutte le sentenze pronunciate dai giudici ordinari o speciali.

Non viene in considerazione neppure la più risalente affermazione che «il concorso esterno in associazione mafiosa è un reato ossimoro» perché o sei mafioso o non lo sei, non puoi essere contemporaneamente dentro e fuori dell’associazione. Infatti questa affermazione manifesta un legittimo orientamento di politica criminale, ma non tiene conto dell’esigenza di evitare che la responsabilità per il delitto associativo dipenda dallo “statuto” del sodalizio criminale anziché da una corretta interpretazione dell’art. 110 c.p.[2].

Sicché si pretende ancora una volta di sostenere con argomentazioni logico giuridiche una generica opzione politica.

Lo schema dell’uso alternativo del diritto è più appropriatamente riconoscibile, invece, quando decisioni formalmente assunte vengono presentate come conclusioni di un sillogismo giuridico, benché esclusivamente e inequivocabilmente politiche, anche se non orientate ovviamente in chiave antiborghese.

 

2. Arrestato il 16 dicembre 2024 su mandato di cattura emesso in data 13 dicembre 2024 dall'Autorità Giudiziaria degli U.S.A., l’ingegnere iraniano Mohammad Abedininajafabadi, il cui mantenimento in stato di custodia cautelare era stato richiesto dal Ministro della giustizia entro il prescritto termine dei dieci giorni successivi, fu liberato il 12 gennaio 2025 su disposizione dello stesso ministro, che revocò la misura cautelare, escludendo che potesse essere accolta la domanda per la sua estradizione proposta dagli Stati uniti d’America. Immediatamente liberato, dunque, Mohammad Abedininajafabadi fu rimpatriato a bordo di un aereo dei servizi di sicurezza italiani.

Era accaduto in realtà che tra la prima decisione del 17 dicembre 2024, favorevole alla custodia in carcere dell’ingegnere iraniano, e la seconda del 12 gennaio 2025, contraria alla sua estradizione, era intervenuta la liberazione della giornalista Cecilia Sala, detenuta in Iran sin dal 19 dicembre 2024.

Fu dunque la liberazione di Cecilia Sala a giustificare sul piano politico la decisione di respingere la domanda di estradizione proposta dagli Stati uniti d’America; una decisione politica che il Governo italiano rivendicò pubblicamente come tale, anche perché conseguenza di un accordo con il Governo americano raggiunto personalmente dalla nostra Presidente del consiglio.

È notorio e indiscusso, dunque, che l’ingegner Abedini fu liberato in cambio della liberazione di Cecilia Sala.

Ciò nondimeno il Ministro della giustizia giustificò la decisione esclusivamente sul piano giuridico, ritenendo non solo che fosse insussistente ai fini dell’estradizione il presupposto della incriminabilità anche in Italia dei fatti contestati dalle autorità statunitensi all’ingegner Abedini ma anche che la domanda di estradizione fosse carente sul piano probatorio.

Sennonché, secondo quanto prevede l’art. 12 del trattato bilaterale di estradizione fra Italia e Stati uniti d’America, nei casi di arresto provvisorio d’urgenza come quello eseguito ai danni dell’ingegner Abedini, lo stato richiedente può produrre la documentazione relativa alla richiesta di estradizione entro quarantacinque giorni, un termine che non era ancora decorso il 12 gennaio 2025, risalendo l’arresto appunto al 16 dicembre 2024. Mentre la condotta di associazione per delinquere finalizzata al commercio senza autorizzazione degli armamenti inclusi in uno specifico elenco, contestata all’ingegnere iraniano, è punibile anche in Italia a norma della legge 9 luglio 1990, n. 185.

Il ministro Nordio si impegnò dunque in una improbabile giustificazione giuridica, benché fosse evidentemente possibile esibire una motivazione laconica e generica, dato che il concorde Governo statunitense non avrebbe certamente impugnato la decisione del Governo Italiano[3].

Lo schema dell’uso alternativo del diritto risulta pertanto pienamente integrato. Una decisione esclusivamente politica, a ragione da tutti condivisa, fu gratuitamente giustificata come esclusivamente giuridica.

 

3. Lo schema dell’uso alternativo del diritto è pienamente riconoscibile anche nella liberazione e nel rimpatrio del generale libico Osama Almasri Njeem, sebbene in questa vicenda si succedano e si sovrappongano istanze e motivazioni diverse.

Nella notte tra il 18 e il 19 gennaio 2025 la polizia di Torino fermò il generale libico Almasri, così ottemperando a una richiesta urgente rivolta all’Interpol dalla Corte penale internazionale.

Tuttavia, il 21 gennaio 2025 la Corte d’appello di Roma, uniformandosi al parere espresso dal Procuratore generale (che aveva chiesto di dichiarare l’irritualità dell’arresto «in quanto non preceduto da interlocuzioni con il Ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte Penale Internazionale»), dichiarò non luogo a provvedere sull’arresto effettuato dalla polizia giudiziaria «in quanto irrituale perché non previsto dalla legge» e ordinò la scarcerazione di Almasri.

Il Ministro della Giustizia, che aveva omesso di rispondere ai ripetuti interpelli pervenutigli sin dal 20 gennaio 2025 dal Procuratore generale e dalla Corte d’appello di Roma, fu chiamato il 5 febbraio 2025 a riferire in Parlamento sulla vicenda. E ancora una volta prospettò giustificazioni giuridiche per una decisione evidentemente politica, vale a dire il rimpatrio di Almasri, già organizzato prima che la corte d’appello si pronunciasse, in quanto, come ricordò la Presidente del Consiglio dei Ministri, era in gioco l’interesse nazionale[4].

Furono due le giustificazioni giuridiche prospettate in Parlamento dal ministro.

Ribadì innanzitutto che il fermo era stato impropriamente eseguito, in quanto non preceduto dall’inoltro allo stesso ministro della richiesta proveniente dalla Corte penale internazionale. Sennonché con una precedente nota del 21 gennaio 2025 il Ministero della Giustizia aveva dichiarato che, «considerato il complesso carteggio», stava valutando «la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma, ai sensi dell’art. 4 della legge 237 del 2012». Ma se è vero quanto affermato in Parlamento dal ministro, deve ritenersi che, diversamente da quanto inizialmente comunicato, non era stata la complessità del carteggio a impedire il tempestivo intervento del ministero, bensì il convincimento che il fermo di Almasri era stato effettivamente irrituale, come ritenuto dai giudici romani.

Ha aggiunto poi il ministro in Parlamento che, ricevuti gli atti relativi alla richiesta di arresto già anticipati dalla richiesta di fermo da parte dell’Interpol, aveva subito rilevato vizi di legittimità della richiesta di arresto: un’intuizione confermata poi dalla successiva ordinanza del 24 gennaio 2025, con la quale la stessa Corte penale internazionale aveva corretto la data dei reati addebitati ad Almasri, e dalla lettura, anch’essa sopravvenuta, dell’opinione dissenziente manifestata da uno dei giudici della corte al momento della decisione  di disporre l’arresto di Armasri.

La radicale inconsistenza delle ragioni giuridiche esibite dal Ministro è stata riconosciuta pressoché unanimemente, oltre che dimostrata dai successivi rilievi della stessa Corte penale internazionale[5]. Ma qui interessa piuttosto evidenziare che i due rilievi, erroneità della data dei reati e opinione dissenziente di un giudice, il ministro non può addurli ora come ragioni del suo mancato intervento presso la Corte d’appello di Roma, perché la relativa documentazione pervenne al ministero solo dopo la scarcerazione di Almastri. Né le presunte ragioni di illegittimità e addirittura di inesistenza giuridica della richiesta della Corte penale internazionale, immediatamente intuite, furono esplicitate e comunicate ai giudici che sulla richiesta di arresto dovevano pronunciarsi[6].

Quelle tuttora esibite dal Ministro dunque non sono solo ragioni giustificatrici della decisione politica di liberare Almasri, ma anche deduzioni ex post destinate a dimostrare che la sua inerzia non è riconducibile al reato di omissione di atti d’ufficio per cui è stato iscritto nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. dalla Procura della Repubblica di Roma. Sicché allo schema della giustificazione giuridica di una decisione esclusivamente politica si sovrappone lo schema dell’autodifesa di un indagato che è in attesa della decisione del Tribunale dei ministri.

Più che da ex magistrato Carlo Nordio è intervenuto in Parlamento come indagato.

 

4. Nell’attività politica il rapporto con l’ordinamento giuridico viene di solito in rilievo esclusivamente in termini di compatibilità. È la progettualità appunto politica, non una supposta necessità giuridica, a giustificare di regola le diverse iniziative legislative o governative.

Le giustificazioni esibite per le iniziative del ministro Nordio rispondono invece piuttosto a una logica che può essere pienamente compresa solo come propria di chi ha svolto per decenni l’attività di magistrato del pubblico ministero.

Infatti, l’interpretazione della legge, oltre che dei fatti, è la principale manifestazione dell’indipendenza del magistrato. E prima della riforma Cartabia il magistrato del pubblico ministero poteva proporre le sue interpretazioni di fatti e norme indipendentemente dal loro effettivo fondamento, purché idonee a sostenere l’accusa in giudizio. Abolito ora l’art. 125 disp. att. c.p.p., il nuovo testo dell’art. 408 comma 1 c.p.p. esige per l’esercizio dell’azione penale «una ragionevole previsione di condanna». Ma per decenni la prospettiva del pubblico ministero è risultata significativamente autonoma rispetto a quella del giudice, perché il suo orizzonte era quello di una dignitosa partecipazione al giudizio, anziché quello di una piena assunzione di responsabilità per il suo esito[7].

A questa logica sembrano dunque rispondere le giustificazioni giuridiche frequentemente esibite dal ministro Nordio, che ricordano l’uso alternativo del diritto, escogitato per guidare le decisioni dei giudici, ma riproposto nella prospettiva di un vecchio pubblico ministero.

 

 

 

 

[1] G. FIANDACA, Uso “alternativo” del diritto, principio di legalità e poteri della giurisdizione nell’ambito della giustizia penale, in Dis-crimen, 5.9.2024. Sul tema si veda anche R. CONTI, Dall'uso alternativo all'uso cooperativo del diritto nell'esperienza di un giudice comune, in questa Rivista, 25 giugno 2024.

[2] A. NAPPI, L’ossimoro, in Questione giustizia, 21 luglio 2023.

[3] A. NAPPI, Caso Abedini: cronaca di un’estradizione negata, in questa Rivista, 20 gennaio 2025.

[4] A. NAPPI, Fare chiarezza sul caso Almasrri, in Quest. Giust. 3 febbraio 2025.

[5] Si veda per tutti R. PICCIRILLO, Il caso Almasry. Come e perché l'Italia ha mancato la prima occasione utile per cooperare con la Corte Penale internazionale nella consegna di un ricercato per crimini di guerra e contro l'umanità, in Cass. pen., 2025, p. 1456.

[6] A. NAPPI, Caso Almasri: il Governo in Parlamento, in questa Rivista, 7 febbraio 2025.

[7] A. NAPPI, In difesa della riforma Cartabia, in Giustizia Insieme, 20 giugno 2023.