Cass., Sez. VI, 1 aprile 2025 (dep. 8 aprile 2025), n. 13585, Pres. di Stefano, rel. Tondin
1. La sentenza qui segnalata si inserisce nel solco del noto dibattito in tema di sequestro probatorio di materiale informatico conservato all’interno di dispositivi di archiviazione digitale. È in tale contesto che la Cassazione è nuovamente intervenuta onde stabilire, nel caso di specie, la legittimità di un decreto di «perquisizione personale e locale nonché di ispezione informatica da effettuare, ove possibile, sul posto, dei sistemi informatici degli indagati, “operando in contraddittorio con le parti, al fine di accedere ai dati ivi presenti [..]”, con il conseguente sequestro “di tutti i personal computers, strumenti informatici, supporti informatici, telefoni cellulari rinvenuti nella disponibilità, al fine di compiere gli ulteriori accertamenti, anche tecnici e informatici, idonei a stabilirne la provenienza ed acquisirne il contenuto in relazione ai fatti di cui al procedimento”»[1].
2. Meritevole di attenzione è, in particolare, la parte della pronuncia ove i giudici si confrontano con la censura difensiva volta ad ottenere la disapplicazione della normativa italiana (artt. 253 ss. c.p.p.) per contrasto con i dicta eurounitari. Il riferimento va, più precisamente, alla recente presa di posizione della Corte di giustizia del 4 ottobre 2024 (caso CG), con la quale il tentativo di accesso al contenuto di uno smartphone è stato ricondotto nel concetto di «trattamento» ai sensi dell’art. 3, n. 2 della direttiva 2016/680/UE. In quella sede, la legittimità di siffatta operazione investigativa è stata subordinata, in buona sostanza, al rispetto del principio di proporzionalità, nella sua duplice dimensione: astratta e concreta. In breve: per un verso, l’intrusione che detta attività comporta nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali deve essere «prevista dalla legge, requisito che implica che la base giuridica che autorizza una simile limitazione ne definisca la portata in modo sufficientemente chiaro e preciso»[2]: per altro verso, è necessario che l’apprensione sia subordinata a un «controllo preventivo effettuato da un giudice o da un organo amministrativo indipendente»[3].
3. Ebbene, proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto (vaglio di proporzionalità in concreto), il Supremo Consesso – sconfessando apertamente un proprio precedente[4] – rileva come la figura del pubblico ministero italiano non possa essere ricondotta nel concetto di “autorità amministrativa indipendente”, così come interpretato dai giudici di Lussemburgo. In effetti, nella pronuncia del 4 ottobre 2024 è stato affermato, in termini inequivocabili, che siffatta locuzione deve riferirsi a un organo in grado di «garantire un giusto equilibrio tra, da un lato, i legittimi interessi connessi alle necessità dell’indagine nell’ambito della lotta alla criminalità e, dall’altro, i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali delle persone i cui dati sono interessati dall’accesso»[5]. Evidente è il richiamo all’orientamento dapprima sviluppatosi in tema di data retention. In quel contesto, come noto, la Corte di giustizia ha offerto un’interpretazione autentica della clausola de qua, affermando che il controllo sulla legittimità della misura deve essere esercitato da un’entità che goda «di uno status che le permetta di agire nell’assolvimento dei propri compiti in modo obiettivo e imparziale», nonché in «posizione di neutralità nei confronti delle parti del procedimento penale»[6], a nulla rilevando che questa sia tenuta, in base alla legislazione interna di uno Stato membro, a ricercare elementi di prova anche a favore dell’indagato.
Alla luce di un tanto, la pronuncia in epigrafe conclude nel senso che «l’accesso ai dati contenuti in un dispositivo informatico a fini di indagine penale richiede il controllo di un giudice o di un organo amministrativo indipendente, che – secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia – devono essere terzi rispetto all’organo che richiede l’accesso. Ne consegue che tale funzione di controllo non può essere esercitata dal pubblico ministero, per la sua natura di parte processuale, a prescindere dal suo statuto di autonomia»[7]. Pertanto, «allo stato la normativa interna non risponde alla previsione della citata Direttiva – e della interpretazione che deve essere data anche alla norma di attuazione interna di cui all’art. 3 del d. lgs. 18 maggio 2018, n. 51 –, che richiede che il giudice intervenga in via preventiva con una pronuncia di carattere autorizzatorio»[8].
4. Ciò nondimeno, nessuna conseguenza in termini di invalidità processuale viene accertata nel caso concreto. Al riguardo, il percorso argomentativo seguito dalla Corte può essere schematizzato nei seguenti termini:
- i giudici europei hanno da tempo enucleato un principio di autonomia procedurale, in base al quale spetta «unicamente al diritto nazionale determinare le norme relative all’ammissibilità e alla valutazione, nell’ambito di un procedimento penale, di informazioni e di elementi di prova che sono stati ottenuti con modalità contrarie al diritto dell’Unione»[9];
- è innegabile, però, come si sia recentemente sviluppato, in seno alla stessa Corte di giustizia, un orientamento che, valorizzando il criterio di effettività[10], impone al giudice nazionale di «escludere» dal compendio probatorio quelle informazioni raccolte in violazione del diritto al contraddittorio, ossia rispetto alle quali la difesa non è stata messa nelle condizioni «di svolgere efficacemente le proprie osservazioni in merito a un mezzo di prova […] idoneo ad influire in modo preponderante sulla valutazione dei fatti»[11]. Si tratta di una considerazione applicabile anche al caso di specie, ove, come detto, la difesa intende «ottenere l’inutilizzabilità delle prove raccolte dal pubblico ministero senza il provvedimento del giudice»[12];
- tuttavia, «l’inutilizzabilità consegue unicamente alla violazione di uno specifico divieto probatorio, che non è previsto per il caso in esame (art. 191 cod. proc. pen.)»[13]. Potrebbe, al più, essere invocata la sanzione della nullità;
- epperò, nella circostanza concreta deve escludersi qualsivoglia lesione del diritto al contraddittorio, atteso che il provvedimento di sequestro probatorio è stato oggetto di un vaglio realizzato da un organo giurisdizionale (indipendente, terzo e imparziale), ossia il Tribunale del riesame, adito ai sensi dell’art. 324 c.p.p.
5. La pronuncia in commento si pone in linea con l’orientamento dottrinale maggioritario, secondo cui il provvedimento di sequestro probatorio informatico, stante l’elevato grado di intrusività nella sfera di riservatezza del bersaglio, dovrebbe essere adottato da un giudice[14]. Nondimeno, il mancato riconoscimento, ad opera della Corte di cassazione, di qualsivoglia conseguenza in termini di invalidità processuale inficia sull’effettiva tutela tanto delle libertà fondamentali in gioco (privacy, vita privata e domicilio informatico), quanto del canone di proporzionalità. Il che lascia perplessi, specie laddove si consideri, tra le altre, che la giurisprudenza europea in materia di tabulati telefonici[15], pedissequamente recepita nel caso CG con riguardo all’accesso ai dati contenuti nello smartphone[16], è estremamente chiara nell’affermare l’inidoneità di un placet postumo (tale è quello esercitato dal Tribunale del riesame), pur operato da un giudice o da un’entità amministrativa indipendente, onde supplire all’assenza di un controllo effettuato ex ante. Un modello procedimentale costruito in questi termini, infatti, non è idoneo a garantire in maniera concreta ed effettiva il principio di proporzionalità, atteso che il vaglio sarebbe realizzato in un momento in cui la violazione del diritto fondamentale è già avvenuta, consentendo così un accesso al materiale probatorio eccedente i limiti dello stretto necessario.
[1] Par. 2 del considerato in diritto.
[2] Corte giust. UE, 4 ottobre 2024, CG, par. 98.
[3] Corte giust. UE, 4 ottobre 2024, CG, cit., par. 102.
[4] Cass. pen., Sez. V, 28 gennaio 2025, n. 8376, in Giurisprudenza penale web, 2 aprile 2025, con nota critica di L. Filippi, Ma davvero per il sequestro della corrispondenza basta il decreto del P.M.? In detto arresto, la Corte ha stabilito che non è necessario il provvedimento di un giudice ai fini del sequestro di dati informatici, essendo bastevole un decreto del pubblico ministero, «autorità giudiziaria che nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche procede alle indagini secondo le specifiche regole dettate dal legislatore idonee a garantire anche i diritti dell'indagato».
[5] Corte giust. UE, 4 ottobre 2024, CG, cit., par. 103.
[6] Corte giust. UE, 2 marzo 2021, HK, parr. 53, 54.
[7] Par. 5.2 del considerato in diritto.
[8] Par. 6 del considerato in diritto.
[9] Corte giust. UE, 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a., par. 222.
[10] Derogatorio – unitamente al criterio di equivalenza – rispetto al principio di autonomia procedurale, esso mira a evitare che le normative degli ordinamenti nazionali rendano impossibile, o eccessivamente difficoltoso, l’esercizio delle facoltà attribuite dal diritto dell’Unione. Tale obiettivo può essere raggiunto dal singolo ordinamento sia attraverso la previsione di regole di inutilizzabilità del materiale probatorio raccolto, sia introducendo specifiche regole di valutazione della prova che limitino il potere discrezionale del giudicante.
[11] Corte giust. UE, 2 marzo 2021, HK, cit., par. 44 e Corte giust. UE, 6 ottobre 2020, La Quadrature du net, cit., par. 226 in tema di data retention; Corte giust. UE, 30 aprile 2024, MN, par. 105, 130-131, relativa al caso Encrochat (richiamata dalla pronuncia in commento); Corte giust. UE, 14 maggio 2024, CH, par. 88, 95, 99 riguardante la direttiva 2013/48/EU.
[12] Par. 6 del considerato in diritto.
[13] Par. 6 del considerato in diritto.
[14] In questo senso, v., ad es., A. Chelo, Sequestro probatorio di strumenti di comunicazione: l’imprescindibilità di una riforma, in Dir. pen. proc., 2022, p. 1588 ss.; Id., Davvero legittimo il sequestro di messaggi e-mail e WhatsApp già letti?, in Giur. cost., 2023, p. 1753; D. Curtotti, Brevi note in tema di proporzionalità del decreto di sequestro probatorio, in Giur. it., 2024, p. 2703; F.R. Dinacci, Sequestro di dispositivi informatici: imposizioni tecnologiche e scelte interpretative. Alla ricerca di un recupero della legalità probatoria, in Arch. pen. web, 14 febbraio 2025; Id., I modi acquisitivi della messaggistica chat o e-mail: verso letture rispettose dei principi, Arch. pen. web, 18 gennaio 2024, p. 26; L. Filippi, La CGUE mette i paletti all’accesso ai dati del cellulare, in Quot. giur., 10 ottobre 2024; G. Lasagni, Tackling Phone Searches in Italy and the United States: Proposals for a Technological Rethinking of Procedural Rights and Freedoms, in New Journal of European Criminal Law, 2018, p. 394; O. Murro, Lo smartphone come fonte di prova. Dal sequestro del dispositivo all’analisi dei dati, Padova, 2024, p. 253 ss., e, volendo A. Malacarne, Sequestro probatorio (informatico): proporzionalità, segreto professionale e garanzie dell’attività difensiva, in Dir. di internet, 2025, p. 131 ss.
[15] Corte giust. UE, 5 aprile 2022, GD, par. 112; Corte giust. UE, 2 marzo 2021, HK, cit., par. 58; Corte giust. UE, 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a., cit., par. 189.
[16] C. giust. UE, 4 ottobre 2024, CG, cit., par. 104.