Cass., Sez. VI, ud. 20 novembre 2024 (dep. 13 gennaio 2025), n. 1269, Pres. Aprile, Rel. Amoroso
Segnaliamo ai lettori una rilevante sentenza (n. 1269/2025) con cui la la VI Sezione penale della Cassazione si è pronunciata in tema di acquisizione della messaggistica istantanea contenuta all’interno di uno smartphone.
Nel caso di specie, la polizia giudiziaria, dopo il rinvenimento di sostanze stupefacenti nascoste dall’indagato sulla sua persona, aveva acquisito, con il consenso di quest’ultimo, la password per accedere ai contenuti presenti nel proprio dispositivo elettronico. Siffatta operazione veniva realizzata in assenza di un provvedimento autorizzativo adottato dall’autorità giudiziaria e senza aver preventivamente fornito gli avvisi previsti dal codice di rito.
I passaggi salienti delle motivazioni della Corte possono essere sintetizzati come segue:
a) il consenso liberamente prestato dal titolare dello smartphone, il quale risulti già gravato da elementi indiziari tali da giustificare la posizione di indagato, «non può supplire alla carenza di un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria», attesa la rilevanza assunta, in questo contesto, dall’art. 15 Cost. (cfr. Corte cost. n. 170/2023);
b) «considerato che la richiesta di accesso ai contenuti del telefono è avvenuta dopo il rinvenimento della sostanza stupefacente nascosta dall’indagato sulla sua persona, si deve ritenere che ogni ulteriore attività di indagine che richiedesse la collaborazione della persona indagata andava espletata dopo la formale comunicazione degli avvisi di tutte le facoltà difensive ad essa spettanti, ivi compresa quella della facoltà di rifiutare tale collaborazione ed il diritto ad essere assistito da un difensore, espressamente previsto dal combinato disposto degli artt. 356 cod. proc. pen. e 114 disp. att. cod. proc. pen. non solo per le perquisizioni e sequestri (artt. 352 e 354, stesso codice), ma anche per l’apertura della corrispondenza (ex art. 353 cod. proc. pen.)»;
c) «pure qualora il consenso fosse stato reso dopo l’avviso della facoltà di essere assistito da un difensore, resta imprescindibile, onde prevenire il rischio di abusi, che in situazioni del genere la polizia giudiziaria abbia il dovere di procedere al sequestro del telefono senza poter accedere al suo contenuto, prima di una formale autorizzazione da parte del pubblico ministero, in applicazione della disciplina processuale sopra richiamata relativa all’apertura della corrispondenza (vedi art. 353 cod. proc. pen.)»;
d) l’attività di acquisizione realizzata dalla polizia giudiziaria nel caso di specie non può essere ricondotta nel concetto di prova atipica: l’autorità inquirente, «in un sistema rigorosamente ispirato al principio di legalità, [non può] scostarsi dalle previsioni legislative per compiere atti atipici i quali, permettendo di conseguire risultati identici o analoghi a quelli conseguibili con gli atti tipici, eludano tuttavia le garanzie costituzionali dettate dalla legge per questi ultimi».
In allegato può leggersi il testo della sentenza.
(Alessandro Malacarne)