Abstract. L’articolo affronta il tema del regime di circolazione delle intercettazioni, alla luce, da un lato, del recente approdo giurisprudenziale delle Sezioni Unite, dall’altro, della novella dell’art. 270 c.p.p. da parte della legge 28 febbraio 2020, n. 7, nell’ambito dei principi costituzionali di riferimento. In particolare, dopo aver commentato in senso favorevole la coerente ricostruzione sistematica della sentenza delle Sezioni Unite, ne critica in parte i risultati, laddove, anche per i reati connessi, viene richiesto il requisito dell’inserimento nell’elenco previsto dall’art. 266 c.p.p. Si affrontano, poi, i problemi interpretativi posti anche dalla riformulazione dell’art. 270 c.p.p., con specifico riguardo ai risultati delle intercettazioni tramite captatore informatico, e si propongono le conseguenti soluzioni costituzionalmente compatibili in un’ottica di sintesi tra le contrapposte ed estreme impostazioni, da ritenersi parimenti non condivisibili.
SOMMARIO: 1. La valenza della decisione delle Sezioni Unite: l’adozione di un criterio stabile e sistematicamente fondato quale presupposto dell’utilizzabilità delle intercettazioni per la prova dei reati successivamente emersi. – 2. L’analisi della sentenza: una coerente ricostruzione sistematica, ma un requisito di troppo. – 3. I margini di utilizzabilità delle intercettazioni per reati diversi dopo l’intervento delle Sezioni Unite e l’approvazione della legge 28 febbraio 2020. La tormentata vicenda dei risultati delle intercettazioni tramite captatore informatico. – 4. Conclusioni. La possibile sintesi tra i principi costituzionali di riservatezza delle comunicazioni e di obbligatorietà dell’azione penale, nel quadro delle esigenze di contrasto della criminalità più evoluta.
* Il contributo è stato sottoposto in forma anonima, con esito favorevole, alla valutazione di un revisore esperto.