1. A mo’ di premessa.
La condanna di Marine Le Pen, leader del partito Rassemblement National, da parte del Tribunale di Parigi con sentenza del 31 marzo 2025 ha suscitato in Francia, ma anche da noi una serie di reazioni e commenti che si sono appuntati in particolare sulla pena accessoria dell’ineleggibilità a cariche pubbliche per cinque anni, dichiarata immediatamente eseguibile, anche in pendenza dell’appello preannunciato dalla difesa. La pena principale è stata di quattro anni di reclusione, di cui due condizionalmente sospesi e gli altri due eseguibili con la misura alternativa al carcere del braccialetto elettronico.
La immediata esecutività della ineleggibilità ha assunto un particolare rilievo perché la leader del Rassemblement National si presentava come naturale candidata per le prossime elezioni presidenziali, dopo essere andata al ballottaggio nel 2017 e poi nel 2022 con Emmanuel Macron. Sconfitta in entrambe le occasioni aveva peraltro raggiunto nell’ultima la percentuale rilevantissima del 41,46% dei voti.
Inevitabile, dunque, evocare il “governo dei giudici”. Del titolo del libro di Edouard Lambert apparso in Francia nel 1921 si cita di solito la prima parte, ma solo il titolo completo Le gouvernement des juges et la lutte contre la législation sociale aux Etats-Unis, consente di collocarlo nel contesto. Roberto D’Orazio nella presentazione della traduzione italiana del 1966 infatti nota: “Il celebre volume del Lambert […] è certamente più noto per il suo titolo (soprattutto nelle sue prime parole Gouvernement des juges) che per il suo contenuto”[1]. Come indica la seconda parte del titolo, Lambert prende le mosse dall’analisi della linea di tendenza espansiva della Corte Suprema americana, che, negli anni successivi alla pubblicazione del volume, si tradurrà in un aspro contrasto nei confronti della legislazione sociale, il New Deal, del presidente Franklin D. Roosevelt[2]. Un testo complesso ove possiamo leggere in esordio, qui con riferimento ad una decisione di un Tribunale francese, della tendenza “a deferire all’autorità giudiziaria il regolamento di grandi conflitti che dividono le diverse classi sociali”[3]. Più avanti, quasi alla conclusione del libro, nel paragrafo intitolato “Virtù e difetti del controllo giudiziario delle leggi” l’A. propone un’analisi del ceto dei giuristi: "Per difendere l'ordine morale vigente dai cedimenti e dall’arrendevolezza dei legislatori a venire, non vi sono infatti guardiani più vigili e tenaci dei giudici, poiché essi riflettono la mentalità media del ceto giuridico che, in ogni tempo e luogo, ha sempre espresso l’atteggiamento meno permeabile ai fermenti rivoluzionari o anche soltanto riformisti […] A titolo individuale, dei giuristi che si siano smarriti nelle fila di qualche partito d'avanguardia possono pure, per un momento, lasciarsi trascinare dalla concitazione della lotta ed elaborare idee utopistiche e riformatrici. Ma non appena vengono restituiti ai loro studi professionali, essi d’istinto tornano al culto del tradizionalismo, come alla propria vocazione corporativa e ragion d’essere sociale”[4].
Un testo, dunque complesso, ma oggi nella polemica contingente basta citare il titolo per utilizzarlo come un randello contro le “esorbitanze” del giudiziario. Anche talune evocazioni colte del lavoro di Edouard Lambert non si ritraggono dal trarne conclusioni piuttosto drastiche: “Da un secolo si segnala che i giudici operano politically e che questo ha prodotto una ‘democrazia giudiziaria’. […] In Italia in origine non vi era una netta separazione tra amministrazione e giustizia. La Costituzione repubblicana riconobbe l'ordine giudiziario come indipendente, sottraendolo all'esecutivo. Più tardi, grazie alla Corte costituzionale, i giudici allargarono lo sguardo sulla Costituzione, smentendo l'affermazione del grande giurista francese Raymond Carré de Malberg per cui il giudice deve applicare la legge, non la Costituzione. L’indipendenza, però, è divenuta autogoverno. Familismo ed ereditarietà hanno aumentato separatezza e autoreferenzialità. Ci si attendeva razionalità e si è ottenuto populismo giudiziario. Ci si attendeva giustizia e si sono avuti i giustizieri”[5].
Agli inizi degli anni Novanta dello scorso secolo, nel clima delle indagini sulla corruzione della politica che si erano aperte non solo nell’Italia di Mani pulite, “Uno spettro si aggira per la Repubblica quello del governo dei giudici” era l'attacco ironico dell’editoriale dal titolo la République et ses juges pubblicato su Le Monde del 19 ottobre 1994 a firma del direttore Jean Marie Colombani, subito dopo le dimissioni ravvicinate di due ministri del governo Balladur, indagati dalla magistratura.
Nessuno l’ha citato espressamente nei commenti sul caso Le Pen, ma non meno pertinente è il detto, questa volta, inglese Rule of law, not of men. La paternità dell’espressione viene attribuita ad Albert Venn Dicey che l’ha usata nel suo An Introduction to the Study of the Law of the Constitution (1855). Lo rammenta in un libro intitolato appunto The Rule of Law[6], il giurista inglese Tom Bingham, il quale riporta un passo di Dicey: “Quando parliamo di the rule of law come caratteristica del nostro paese, intendiamo dire non solo che per noi nessun uomo è al di sopra della legge, ma (ed è una cosa differente) che qui ogni uomo, quale sia il suo rango o la sua condizione, è soggetto alla legge ordinaria del reame e sottoposto alla giurisdizione dei tribunali ordinari”.
Nella prefazione Bingham scrive che il suo testo, anche se scritto da un ex giudice, non è diretto ai giuristi; vediamo subito un esempio efficacissimo di questa divulgazione “alta” declinata con humor nelle parole con le quali commenta il passo di Dicey: “Quindi nessuno è al di sopra della legge, tutti sono soggetti alla stessa legge amministrata nelle stesse Corti. Così, se maltratti un pinguino nello zoo di Londra non puoi sfuggire all'indagine penale per il fatto che sei l'Arcivescovo di Canterbury; se conferisci un’onorificenza in cambio di denaro, non ti aiuterà il fatto che tu sia il Primo Ministro. Ma un secondo punto è altrettanto importante. Non c'è una legge speciale o una Corte per gli arcivescovi o i primi ministri: la stessa legge, amministrata nelle stesse Corti si applica loro come a chiunque altro”[7].
Nelle nostre aule di giustizia sta la scritta “La legge è uguale per tutti”. Ma abbiamo dimenticato molto presto un non lontano periodo nel quale un nostro Primo Ministro, con il sostegno del Parlamento, aveva trovato un brillante sistema per poter “maltrattare il pinguino” senza incorrere in conseguenze penali, semplicemente con le leggi ad personam.
2. La sentenza del Tribunale di Parigi[8].
La decisione del Tribunale resa il 31 marzo 2025, resa dopo due mesi di dibattimento, occupa, nel testo che è stato depositato, 152 pagine; pochissime se pensiamo ad una decisione in Italia su un caso simile con numerosi imputati e diverse questioni di diritto da affrontare, ma una mole inconsueta per l’uso francese di motivazioni molto sintetiche. L’art. 462 del codice di procedura penale francese prevede due possibilità dopo la chiusura del dibattimento. Il Tribunale può decidere immediatamente e in questo caso vengono oralmente pronunciati dispositivo e una alquanto sintetica motivazione; ma ha anche la facoltà di rinviare la pronuncia della decisione ad una successiva udienza. L’art. 485 c.p.p. prevede che in tal caso la lettura della decisione possa essere limitata al solo dispositivo. In questo caso è stata data lettura integrale che è durata un’ora e quarantacinque minuti[9].
L’argomento della eguaglianza di fronte alla legge è espressamente richiamato in più passaggi della sentenza del Tribunale di Parigi:” L'eguaglianza di fronte alla legge è uno dei pilastri della democrazia. In caso di violazione della legge penale i rappresentanti eletti non godono di alcuna immunità. […] Il Tribunale ha il compito di garantire che gli eletti, come tutti i cittadini soggetti alla legge, non beneficino di un regime di favore incompatibile con la fiducia richiesta dai cittadini nella vita politica.
Il Tribunale ha ritenuto provato il fatto che diversi assistenti assunti con contratto, nell’ambito di un sistema di rimborsi di spese anticipate per l’indennità corrisposta all’assistente parlamentare, avevano svolto la loro attività esclusivamente al servizio del partito e non avevano collaborato in alcun modo alla attività dei parlamentari europei. Le singole posizioni sono state esaminate e vi è stato proscioglimento nei casi in cui almeno una parte dell’attività dell’assistente era stata effettivamente prestata a favore del deputato europeo.
La parte conclusiva della sentenza è dedicata alla motivazione della decisione sulla esecuzione provvisoria della sanzione della ineleggibilità per la durata di cinque anni. In premessa si ripercorre la successione delle leggi che hanno espresso “la volontà del legislatore di sanzionare più severamente le violazioni della probità al fine di ripristinare la fiducia dei cittadini nei confronti di coloro che ricoprono funzioni pubbliche”.
Si fa riferimento in particolare alle due leggi “Sapin I” e “Sapin II” che prendono il nome dal parlamentare proponente Michel Sapin. La legge n. 2016-1691 del 9 dicembre 2016 sulla trasparenza, la lotta alla corruzione e la modernizzazione della vita economica, nota come "Sapin II", e la legge n. 2017-1339 del 15 settembre 2017 sulla fiducia nella vita politica, hanno modificato il regime della pena aggiuntiva di ineleggibilità. L’art. 432-17 codice penale, come modificato con la “Sapin II”, rende obbligatoria, e non più facoltativa (come era previsto nella “Sapin I”), la immediata esecutività della sanzione accessoria dell’ineleggibilità dopo la sentenza di primo grado nei confronti dei responsabili di reati, tra i quali la distrazione indebita di fondi pubblici. I commentatori hanno ricordato che questo irrigidimento era stato sostenuto e votato dal Rassemblement Nationale e anzi Marine Le Pen avrebbe voluto che l’interdizione non fosse temporanea, ma a vita.
Le disposizioni della “Sapin II” sono entrare in vigore l’11 dicembre 2016, successivamente alla data di commissione dei reati contestati. Dovendosi quindi applicare la normativa precedente, che rimette alla decisione discrezionale la provvisoria esecuzione, il Tribunale motiva ampiamente la sua scelta. Riportiamo di seguito alcuni dei passaggi più rilevanti.
“Il tribunale non ignora le conseguenze che una pena accessoria accompagnata da esecuzione provvisoria avrebbe nel caso di specie, in quanto alcune delle persone condannate sono parlamentari, e in particolare per quanto riguarda Marine LE PEN, che si è candidata al 2° turno delle ultime due elezioni presidenziali e ha annunciato che si candiderà nuovamente alle prossime elezioni presidenziali previste in Francia nel 2027”.
“La questione se applicare o meno l'esecuzione provvisoria alle sentenze di ineleggibilità è quindi particolarmente rilevante in una decisione penale pronunciata in nome del popolo francese, vale a dire a nome di tutti i cittadini francesi e non di alcuni elettori”.
“Il potere del giudice di ordinare l'esecuzione provvisoria risponde all'obiettivo di interesse generale di promuovere l'esecuzione della pena e prevenire la recidiva. Infine, spetta al giudice verificare, in caso di disposizione di esecuzione provvisoria, che il carattere non sospensivo del ricorso garantisca un'equa conciliazione tra, da un lato, i principi e i diritti invocati dalla difesa e, dall'altro, gli obiettivi costituzionali di salvaguardia dell'ordine pubblico e di buona amministrazione della giustizia”.
In una recente decisione del 28 marzo, il Conseil Constitutionnel ha richiamato, per quanto riguarda l’esecuzione provvisoria di una sentenza di ineleggibilità, la sua giurisprudenza consolidata: “13. In primo luogo, le disposizioni contestate mirano a garantire l’effettività della decisione del giudice che dispone l'esecuzione provvisoria di una sentenza di ineleggibilità al fine di assicurare, in caso di appello, l'efficacia della sentenza e di prevenire la recidiva. 14. In tal modo, da un lato, esse attuano l’esigenza costituzionale dell'esecuzione delle decisioni giudiziarie in materia penale. D'altro canto, esse contribuiscono a rafforzare il requisito di probità ed esemplarità dei rappresentanti eletti e la fiducia degli elettori nei loro rappresentanti. Pertanto, attuano l’obiettivo di valore costituzionale della salvaguardia dell'ordine pubblico”.
“Il Tribunale prende in considerazione, oltre al rischio di recidiva, il grave turbamento dell'ordine pubblico democratico che sarebbe causato nel caso di specie dal fatto che sia candidata, per esempio e specificamente all’elezione presidenziale e magari eletta, una persona che è già stata condannata in primo grado, a una pena accessoria di ineleggibilità, per atti di distrazione indebita di fondi pubblici e potrebbe successivamente essere condannata in via definitiva. Il Tribunale ha quindi il compito di garantire che gli eletti, come tutti cittadini soggetti alla legge, non beneficino di un regime di favore, incompatibile con la fiducia richiesta dai cittadini nella vita politica. Pertanto, nel contesto descritto, tenuto conto dell'importanza di tale danno irreparabile, in quanto il diritto di ricorso non è un diritto acquisito alla lentezza della giustizia, appare necessario, secondo il Tribunale, a titolo cautelare, stabilire l'esecuzione provvisoria delle pene di ineleggibilità inflitte. Non si tratta di una sanzione definitiva, ma di una pena accessoria pronunciata in primo grado che, al fine di garantire l'efficacia della sua esecuzione e di evitare un turbamento irreparabile dell'ordine pubblico democratico, sarà immediatamente eseguita, in attesa della sentenza d’appello, che potrà essere emessa entro uno o due anni. Nel quadro di una decisione emessa in nome del popolo francese, nel suo insieme, questa misura è proporzionata agli obiettivi di valore costituzionale di salvaguardia dell'ordine pubblico e di buona amministrazione della giustizia. È alla luce di tali considerazioni che il Tribunale valuta, per ciascun condannato, tenendo conto della sua situazione individuale, la necessità e la proporzionalità di una pena di ineleggibilità accompagnata da esecuzione provvisoria”[10].
3. Reazioni e commenti in Francia.
La stampa francese[11] ha riportato i commenti immediati di esponenti politici che hanno attaccato la decisione del Tribunale di Parigi a partire da Donald Trump e Elon Musk. Il primo ministro ungherese Victor Orban ha scritto, in francese, su X “Je suis Marine”, il suo ministro per gli affari europei Janos Boka ha aggiunto “Le battaglie politiche dovrebbero essere decise con le elezioni e non dai tribunali”; per la portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova questa decisione segna “l’agonia della democrazia liberale”. Matteo Salvini ha parlato di “dichiarazione di guerra di Bruxelles” aggiungendo che “Chi teme il giudizio degli elettori ricorre al giudizio dei tribunali. A Parigi hanno condannato Marine Le Pen e vorrebbero escluderla dalla vita politica”. Tra le dichiarazioni a sostegno vengono inoltre segnalate quelle di esponenti del partito dell’estrema destra tedesca AfD, del leader populista olandese Geer Wilders del “Partito per la libertà”, dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro (condannato nel suo paese a otto anni di ineleggibilità).
Nel panorama interno non hanno destato sorpresa le manifestazioni di solidarietà di esponenti di partiti molto lontani dal Rassemblement Nationale come Jean-Luc Mélenchon de La France Insoumise e Laurent Wauquiez di Les Républicains accomunati nelle critiche ai giudici che si sovrappongono alla volontà del popolo. In particolare, Mélenchon ha dichiarato: “La decisione di destituire un rappresentante eletto deve essere rimessa al popolo”; già nel novembre del 2024 aveva commentato negativamente la richiesta del pubblico ministero: “In Francia e in tutto il mondo si pone in discussione l’azione della giustizia nel campo della politica. […] Una pena di ineleggibilità non dovrebbe essere applicata prima dell’esaurimento di tutti i mezzi di impugnazione previsti dalla legge”. Fieri oppositori del RN, ma debitori dello spirito giacobino (inteso questo nel senso corretto e non nelle citazioni all’opposto che spesso se ne fanno in Italia). Come evidenziato in alcuni commenti, Mélenchon, se viene meno l’avversaria più forte, si trova in difficoltà con la sua strategia politica della contrapposizione di un populismo di sinistra al populismo dell’estrema destra. Ha invece suscitato scalpore la dichiarazione della scrittrice e filosofa Elisabeth Badinter, militante di sinistra e da sempre duramente critica nei confronti del Rassemblement National, la quale in una intervista a una domanda sulla ineleggibilità di Marine Le Pen ha risposto: “Sono a disagio. Ho l’impressione che le sia stato riservato un trattamento particolare. Non si può essere indifferenti al destino di undici milioni di Francesi”.
Le cronache non hanno mancato di rilevare che Marine Le Pen ha abbandonato polemicamente l’aula subito la lettura del passaggio della sentenza in cui si disponeva l’esecuzione provvisoria dell’ineleggibilità, senza attendere la conclusione dell’udienza. Se dirigenti del suo partito hanno usato toni forti come “assassinio politico”, la leader del Rassemblement National ha scelto per lo più un tono istituzionale, molto più “moderato” rispetto alle espressioni ormai correnti nel nostro paese nelle critiche di esponenti di governo nei confronti di decisioni sgradite della magistratura Nella manifestazione di piazza del 6 aprile convocata sulle parole d’ordine Sauvons la démocratie, Mobilitons-nous contre la tyrannie des juges, Marine Le Pen ha denunciato la “caccia all’uomo politico”, ha evocato la difesa dello Stato di diritto, ha evidenziato che non si è trattato di arricchimento personale e ha paragonato la sua alla “battaglia per i diritti civili di Martin Luther King”. Questo passaggio, che ha destato vive reazioni, lo ha ripetuto testualmente nel videomessaggio inviato al “caro Matteo” per l’evento convocato lo stesso giorno a Firenze dalla Lega, in risposta al messaggio di solidarietà che le era stato inviato[12].
L’esecuzione immediata della sanzione dell’ineleggibilità ha messo a confronto i tempi della politica e quelli della giustizia. Nella motivazione della sentenza, quanto ai tempi del giudizio della Corte di Appello, si parla di “uno o due anni”. La decisione della Presidenza della Corte di Appello di anticipare la fissazione del giudizio di appello nel primo semestre del 2026, dopo l’auspicio espresso in tal senso dal Ministro della Giustizia Gérald Darmarin, ha provocato reazioni contrastanti.
Naturalmente “una buona notizia” per Marine Le Pen; la prova che “la giustizia francese ha la capacità di adattarsi” per il Primo Presidente della Corte di Cassazione Christophe Soulard, ma non è mancato un commentatore[13] che ha visto in questa accelerazione rispetto ai calendari usuali, una rottura di quel principio di eguaglianza di tutti di fronte alla legge sottolineato nella sentenza del Tribunale di Parigi, tanto da qualificarla come “una clamorosa sconfessione del Tribunale”. Eppure, proprio questa ragionevole decisione di carattere organizzativo tende a scongiurare quella eventualità, evocata nella motivazione del Tribunale, di una persona condannata, ma non in via definitiva ad una sanzione di ineleggibilità non immediatamente esecutiva, che sia candidata ed eletta, magari alla massima carica della Repubblica, per essere successivamente condannata in via definitiva all’ineleggibilità.
Più rilevanti le critiche mosse ad uno degli argomenti utilizzati nella decisione del Tribunale a sostegno del rischio di recidiva, in un paragrafo intitolato "Un sistema di difesa improntato al disprezzo della ricerca della verità”:
"Al di là della volontà di evitare o ritardare il confronto sui fatti di cui erano accusati, gli imputati hanno cercato di evitare il confronto sul merito. Per la maggior parte, non hanno mostrato alcun desiderio di partecipare alla ricerca della verità, con la quale taluni hanno un rapporto molto disteso, a volte negando anche l'evidenza, compresi i loro stessi scritti dell'epoca".
Rodolphe Bosselut, avvocato difensore di Marine Le Pen ha posto in evidenza che “se basta che un imputato si difenda per essere considerato un recidivista in potenza, allora … diciamo che fuori della ammissione di responsabilità, non vi è altra soluzione”.
Questa critica è stata ripresa in un commento del saggista e avvocato Gilles-William Goldnadel: “Come ho scritto a proposito dell'esecuzione provvisoria dell'ineleggibilità, che corrisponde alla pena capitale in politica, lo spirito di giustizia dell'avvocato che firma queste righe non può che ribellarsi. Bisogna capire che è il principio del sacro diritto a un secondo grado di giurisdizione effettivo che viene calpestato. Come si può allora accettare – e poco importa la colpevolezza – che un giudice possa dedurre, come ha fatto, dalla negazione da parte dell'imputato di questa colpevolezza – sacrosanto diritto dell’imputato – il rifiuto di ravvedersi e il rischio di recidiva per pronunciare questa esecuzione capitale?”[14]
Si deve peraltro precisare che se linea difensiva è stata fondata essenzialmente sulla impossibilità di operare una distinzione tra attività in favore del partito e attività di assistenza al parlamentare, Marine Le Pen aveva sostenuto la tesi radicale della “immunità rispetto alla giurisdizione” nella dichiarazione resa in aula il 30 giugno 2017: “Non vedo come l’autorità giudiziaria possa erigersi ad arbitro delle modalità del lavoro politico di un deputato, salvo contravvenire al principio della separazione dei poteri”. Questo passaggio è stato riportato con evidenza nella motivazione del Tribunale.
Un ulteriore tema evocato nei commenti al caso Le Pen è quello dello statuto del Pm e del rapporto con l’Esecutivo per il tramite del Ministro della Giustizia.
In Francia il pubblico ministero non può più essere inteso nei termini del titolo VIII della legge 24 agosto 1790 come agent du pouvoir exécutif auprès des tribunaux, ma rimane inserito in una struttura gerarchica che vede al vertice il Ministro della Giustizia.
Quello che in Francia viene chiamato le cordon ombylical tra Ministro della Giustizia e magistratura del pubblico ministero, non è stato troncato, nonostante una serie di riforme abbiano delimitato fortemente la possibilità di influenza del governo sul pubblico ministero attraverso le direttive impartite ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello e diffuse per via gerarchica. La possibilità per il Ministro di impartire direttive sui singoli casi è stata dapprima assoggetta alla forma scritta, con atto obbligatoriamente inserito nel fascicolo; successivamente ammessa solo come indicazione in positivo sul procedere, ma non come prescrizione di non procedere (in regime di discrezionalità dell’azione penale); infine con legge del 25 luglio 2013 preclusa con riferimento al singolo caso e mantenuta solo come direttiva di carattere generale sulla politica penale.
Tuttavia lo statuto di indipendenza del pubblico ministero rimane meno garantito rispetto a quello dei giudici. Attualmente il Consiglio Superiore della Magistratura francese è competente per le nomine per gli incarichi direttivi giudicanti, mentre per gli incarichi direttivi dei pubblici ministeri emette solo un parere, obbligatorio, ma non vincolante, sulla proposta avanzata dal Ministro. Occorre rammentare che, fino a non molti anni addietro, la nomina dei Procuratori Generali presso le Corti di Appello era deliberata direttamente in Consiglio dei Ministri. Vi è peraltro una prassi, seguita ormai da quindici anni dai vari governi che si sono succeduti, di adeguarsi, per le nomine, al parere del Csm, ma diversi commentatori sottolineano che le prassi possono sempre mutare e questa sola possibilità genera sfiducia. Anche per quanto riguarda la giustizia disciplinare, attualmente il Csm decide per i giudici, ma per il Pm emette una proposta diretta al Ministro, che è competente per la decisione.
Per due volte, nel 1998 e nel 2016, il Parlamento ha votato una riforma che allinea su questi due aspetti, competenza per la nomina agli incarichi direttivi e sistema disciplinare, lo statuto del Pm a quello del giudice. Ma la riforma votata dalla Assemblea Nazionale non è stata mai sottoposta al Congresso, il quale, formato dalle due Camere del Parlamento riunite, Assemblea Nazionale e Senato, è competente per l’approvazione delle riforme costituzionali.
Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione Remy Heitz ha deplorato gli “attacchi di inaudita intensità” di cui sono stati vittime la Presidente e i giudici del Tribunale di Parigi, al punto di essere stati posti sotto protezione, rilevando che “non ci può essere democrazia senza giustizia indipendente, né autorità giudiziaria senza la fiducia del popolo, nel cui nome è resa giustizia. Minare questa fiducia significa attaccare al cuore il patto democratico e indebolire la società nel suo insieme”[15]. Il P.G. Remy Heitz ha colto l’occasione per rilanciare la proposta di riforma dello statuto del Pubblico Ministero:” Non c'è nulla di rivoluzionario in questa riforma. Non farebbe altro che iscrivere nel marmo della nostra Costituzione una prassi, la quale, sebbene rispettata per più di quindici anni da tutti i governi, può essere rimessa in discussione in qualsiasi momento. Non sconvolgerebbe quindi il presente, ma garantirebbe il futuro. Rafforzerebbe la fiducia dei cittadini nei loro pubblici ministeri, nella loro giustizia. Erigerebbe una solida difesa contro ogni rischio di deriva. E tempo di mettere il Congresso in grado di fare questa scelta storica. La posta in gioco è notevole: si tratta di rafforzare la nostra democrazia, di cui la giustizia è un pilastro insostituibile. Per il bene di tutti”.
4. Reazioni e commenti in Italia.
La stampa italiana ha dato conto ampiamente della sentenza del Tribunale di Parigi e del dibattito apertosi in Francia. I commenti hanno rispecchiato le diverse sensibilità, in particolare sulla questione della sanzione dell’ineleggibilità, e ineluttabilmente si è proposto il tema delle esorbitanze del giudiziario.
L’incondizionato sostegno a Marin Le Pen espresso da Matteo Salvini, non è stato seguito dagli altri due partiti di governo che non si sono uniti alla “Internazionale sovranista”. Giorgia Meloni commenta su X “Non conosco il merito delle contestazioni mosse a Marine Le Pen, né la ragione di una decisione così forte, ma penso che nessuno che abbia a cuore la democrazia possa gioire di una sentenza che colpisce il leader di un grande partito e toglie rappresentanza a milioni di cittadini”. Tono molto diverso da quello di Salvini, ma colpisce l’espediente per evitare di prendere posizione sul merito dei reati addebitati a Marin Le Pen, quando, come si è visto, grazie alla particolare procedura francese, è stata pronunciata e resa pubblica la motivazione della sentenza. La prudenza, talora l’escamotage italiano dell’“attendiamo le motivazioni” in questo caso non ha ragion d’essere.
Il Vicepremier e leader di Forza Italia Antonio Tajani, replicando alle accuse di chi vedeva nella condanna un attacco da parte dell’Europa, ha dichiarato: “Sono garantista, tutti sono innocenti fino al terzo grado di giudizio, alla condanna definitiva, e anche la signora Le Pen per me è innocente. Qualche dubbio sul braccialetto elettronico ce l’ho, non è una persona pericolosa che può scappare. Mi pare singolare. Comunque è una sentenza della giustizia francese e l’Europa non c'entra niente”.
Inevitabile la rimessa in discussione della cosiddetta “Legge Severino” sotto il duplice profilo sia della decadenza degli amministratori locali dopo la condanna con sentenza di primo grado sia dell’incandidabilità e decadenza dei parlamentari condannati in via definitiva. E taluno si è spinto a evocare il ripristino dell’immunità parlamentare.
Un’analisi articolata è stata proposta a caldo dall’editorialista del Corriere della Sera Antonio Polito[16]. La premessa è una valutazione molto severa della situazione:” La sentenza che esclude Marine Le Pen dalle prossime elezioni presidenziali rendendola ineleggibile cambia i termini dell'equazione politica in Occidente, e porta alle estreme conseguenze un processo già in corso da tempo: la democrazia elettorale sta divorziando dallo stato di diritto. O viceversa, se preferite”. La valutazione della decisione del Tribunale francese è non meno severa: i giudici “Non possono cambiare le regole e i termini del gioco democratico. E togliere di mezzo la candidata favorita nella corsa presidenziale, leader dell’opposizione, non tanto con la condanna, ma con la decisione discrezionale di far scattare subito l’ineleggibilità per Marine Le Pen solleva dubbi sulla loro indipendenza. Che siano dubbi fondati oppure no conta fino a un certo punto: l’importante è l’effetto che hanno nella contesa democratica”. In Francia, a parte sguaiati attacchi personali da parte di estremisti, la indipendenza dei giudici del Tribunale di Parigi non è stata posta in discussione, ma la vicenda ci mostra come la teoria dell’“apparenza”, una volta portata alle estreme conseguenze, raggiunga il paradosso. Poiché la legge espressamente prevedeva la possibilità discrezionale di applicazione immediata dell’ineleggibilità, qualunque decisione, in un senso o nell’altro, in base a questa declinazione dell’apparenza, avrebbe potuto essere tacciata di parzialità. Si potrebbe poi aggiungere che, proprio nella decisione assunta, il Tribunale si è ispirato alla volontà popolare espressa dal Parlamento nella successiva legge che ha attribuito a quel tipo di comportamenti un tale disvalore da rendere obbligatoria la ineleggibilità.
Il tema della liberal-democrazia è evocato in un intervento, che, per la particolare posizione istituzionale dell’Autore, merita una trattazione a parte.
5. Dal sovranismo verso una democrazia illiberale?
Il Consiglio Nazionale Forense, organismo di rappresentanza istituzionale dell'avvocatura italiana ha tenuto il 7 aprile 2025 a Roma la cerimonia di Inaugurazione dell’anno giudiziario. Tra gli interventi delle Autorità, ha avuto una particolare eco quello del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano[17]. L’esordio è una impegnativa dichiarazioni di intenti: l’A. intende proporre un’analisi di “carattere più propriamente politico” a partire dal rilievo che “nonostante negli ordinamenti occidentali l'equilibrio tra i poteri sia delineato in modo chiaro dalle costituzioni esso oggi appare sempre più precario”.
Infatti: “La diversità rispetto al passato dipende anzitutto dal ruolo centrale assunto dal diritto sovranazionale e dal meccanismo con cui esso viene ad operare negli ordinamenti statali, che si basa sulla prevalenza del ruolo delle corti. Che le tensioni si colleghino a elementi esterni rispetto allo Stato spiega perché queste tensioni si prestino ad incidere sulle fondamenta stesse degli Stati democratici di diritto: che – come recita il primo articolo della nostra Costituzione – si poggiano sul principio della sovranità popolare, che a sua volta si esprime mediante la rappresentanza diretta nei parlamenti nazionali”.
Ed ancora: “Sono tre le tipologie di aggiramento della volontà popolare attraverso la strada giudiziaria: la creazione delle norme per via giurisprudenziale; la sostituzione delle scelte del giudice a quelle del governo; la selezione per sentenza di chi deve governare […]. Parallela alla creazione della norma per via giurisprudenziale è la tendenza delle corti a negare spazi regolativi al legislatore. Parallela, e non contrapposta, perché esprime il medesimo percorso di erosione degli spazi di diretta espressione della sovranità popolare”.
L’A. non rifugge quindi dall’entrare direttamente in polemica con decisioni giudiziarie: “Pensiamo, per riportare un esempio di leggi sistematicamente disapplicate, a quelle in materia di immigrazione: non le si impugna neanche più davanti alla Corte costituzionale, semplicemente vengono disattese. […] Ciò è ancora più singolare nell’ordinamento di uno Stato che fa parte dell’UE, e che – proprio in ragione di tale appartenenza – è teatro della progressiva erosione degli spazi regolativi del legislatore nazionale, in favore della estensione della operatività del diritto europeo, visto che la gran parte della regolazione nazionale è ormai recepimento di norme europee. Non è questione di forma, ma di sostanza. Lungi da me rilanciare ulteriori polemiche: quello che noi desideriamo è non già delegittimare l’Unione europea, bensì che la nostra Repubblica continui a preservare il suo fondamento, sancito dall’art. 1 Cost. Per noi sovranità popolare non è un concetto superato dalla storia: è la base del rispetto che il potere pubblico deve ai cittadini; ed è al tempo stesso la base della vincolatività delle regole che ai cittadini viene chiesto di rispettare”. Nonostante, anzi, sottolineato proprio dalla excusatio, è un manifesto di sovranismo nazionale.
Di qui il passo successivo: “Vorrei spendere qualche parola in più sull’elemento di novità degli ultimi mesi, una sorta di chiusura del cerchio: la tendenza delle corti a incidere direttamente sulla rappresentanza degli elettori. Il pensiero corre alla sentenza con cui alla leader francese Marine Le Pen è stata applicata la sanzione accessoria, immediatamente esecutiva, dell’ineleggibilità per cinque anni. […] Va scongiurato lo spettro del reciproco sospetto, che avanza con l’avanzare delle tensioni fra le Corti e le istituzioni politiche; va scongiurato, in particolare, il sospetto che il perseguimento dell’incandidabilità del soggetto politico visto come ostile condizioni il merito della decisione giudiziaria: perché questo sospetto mina in modo irreparabile la fiducia dei cittadini nella giustizia e nella politica”.
La riforma dell’ordinamento giudiziario deve andare avanti superando tutte le critiche e le resistenze:” E vi prego non riduciamo questo scenario a un racconto di “toghe rosse” in azione, che forse aveva senso 30 anni fa, ma che adesso appare macchiettistico. È qualcosa di più complesso e di più grave. È un ormai cronico sviamento della funzione giudiziaria perché quest'ultima deraglia dei propri confini e decide, insieme alle norme, le politiche sui temi più sensibili e chi quelle politiche deve applicare. Ed è uno sviluppo che attraversa tutte le giurisdizioni a prescindere dalle appartenenze correntizie. Ritrovare l'equilibrio indispensabile.”
In questo quadro viene proposto l’argomento decisivo a favore della riforma costituzionale in materia di ordinamento giudiziario: “la riforma osteggiata ha costituito parte non marginale del programma col quale la coalizione che oggi sostiene l’esecutivo ha ottenuto il consenso degli elettori nel settembre 2022”. Il procedimento di revisione costituzionale, l’ulteriore riflessione voluta dal costituente, è solo un inciampo e ci si propone di saltarlo a pié pari con la blindatura.
Non si potrebbe essere più chiari: non la separazione delle carriere è l’obbiettivo, ma il “riequilibrio tra i poteri”. Il “sovranismo”, più sopra rivendicato nella versione nazionale a fronte dell’Unione Europea, finisce qui per mettere in discussione un fondamento dello Stato di diritto, della democrazia liberale. Il problema non sono le “toghe rosse”, ma le toghe tout court, in una parola l’indipendenza della magistratura, che peraltro è garanzia per tutti, anche per la politica, al di là delle contingenti maggioranze. Garanzia fragile senza un organismo di tutela come il Csm della Costituzione del 1948.
Sono passati tre quarti di secolo, ma sono principi sempre attuali.
Palazzo del Quirinale 18 luglio 1959. Ministro della Giustizia Guido Gonella per l’insediamento del primo Csm: “Con ciò si effettua il trapasso dei poteri che la Costituzione attribuisce al Consiglio superiore e che il Governo e il ministro della Giustizia hanno finora esercitati. […] Lo stato di diritto, mentre afferma questo primato della legge, vuole che sia garantita l'imparziale giustizia per tutti e perciò avverte che la magistratura ha bisogno di indipendenza, di guarentigie della sua indipendenza […]. Ora l’indipendenza dei giudici è corroborata da nuove garanzie costituzionali e istituzionali. Un fondamentale precetto costituzionale trova oggi adempimento”.
Quelle fondamentali guarentigie che il Ministro Gonella tanto enfatizzava come assicurate da una istituzione “forte” come il Csm oggi sarebbero messe a grave rischio.
[1] E. Lambert, Il governo dei giudici e la lotta contro legislazione sociale negli Stati Uniti. L’esperienza americana del controllo di costituzionalità delle leggi, Giuffrè, Milano 1996, p. v
[2] È interessante notare che il Presidente Roosevelt, tentò, peraltro senza successo, di influire pesantemente sulla composizione della Corte, con il c.d. Court-packing plan. È stato osservato: “Non è sorprendente che Court paking e nome del Presidente Roosevelt siano diventati sinonimi. […] In realtà ogni Presidente che ha fatto nomine alla Corte Suprema è stato, in qualche misura, responsabile di Court packing”; così H.J. Adams, The judicial process. An Introductory Analysis of the Court of the United States, Engand and France,Oxford University Press, 7th ed., 1998, p.77.78
[3] E. Lambert, Il governo dei giudici cit p.1
[4] Ivi p 199-200
[5] S. Cassese, Il governo dei giudici, Laterza. Bari-Roma 2022, p-4-5. Questo libro non ha sottotitoli. Le ultime quattro secche proposizioni sopra citate sono a tal punto indicative del cuore del messaggio dell’A. che l’editore le propone in quarta di copertina
[6] Il testo, uscito nel 2010, ha avuto un grande successo tanto da essere ripubblicato l’anno successivo nella collana di grande diffusione Penguin Book, da cui sono tratte qui le citazioni. Thomas (Tom) Bingham (1933-2010) è stato uno dei più eminenti giudici inglesi, l’unico ad aver successivamente ricoperto le tre cariche più importanti: Master of the Rolls, Lord Chief Justice of England and Wales, Senior Law Lord of the United Kingdom. E’ stato anche il primo giudice ad essere insignito “Knight of the Garter” (Ordine della Giarrettiera).
[7] Ivi, p.4
[8] Per una puntuale analisi della motivazione, in fatto e in diritto, della sentenza si rinvia a M. Nicolini, La sentenza di condanna per peculato di Marine Le Pen e di altri esponenti del Rassemblement National: 4 milioni di euro usati per retribuire attività fittizie di assistenti dei parlamentari europei, in questa Rivista, 3 aprile 2025, ove sono pubblicati il testo integrale della sentenza ed estratti in traduzione italiana.
[9] Al lettore italiano inoltre non sfuggirà la circostanza della pronuncia contestuale di dispositivo e motivazione. Il nostro legislatore agli artt. 544 e 545 c.p.p. aveva previsto come ipotesi “normale” la c.d. motivazione contestuale: lettura del dispositivo seguita dalla lettura della motivazione, che peraltro “può essere sostituita con un’esposizione riassuntiva”. La pratica ha spesso confinato ai casi più semplici quella che avrebbe dovuto essere la regola.
[10] Il neretto che evidenza alcuni passaggi è nel testo originale
[11] Il quotidiano Le Monde 1 aprile 2025 titola L’‘internazionale réactionnaire’ s’associe au Kremlin pour critiquer la justice française
[12] La cronaca del Congresso della Lega a Firenze è riportata dal quotidiano Il Giornale 7 aprile 2025 sotto il titolo, L’internazionale sovranista ‘Ci fermano i giudici’. I leaders dei ‘Patrioti’ europei collegati con il congresso di Firenze.
[13] F. Johannès, L’accélération de la procédure Le Pen, une rupture d’égalité, in Le Monde, 4 aprile 2024
[14] G-W Goldnadel, Condamnation de Marine Le Pen, depuis quand ne peut-on plus critiquer la justice?, Le Figaro 7 aprile 2025
[15] R. Heitz, La confiance dans la justice est un pilier pour les jours de tempête, Le Monde 12 aprile 2025, p.16.
[16] A. Polito, Le ragioni (e i torti). Da Berlusconi al caso romeno, il divorzio che avvelena la vita politica. Torto e ragione non sono di destra o di sinistra. Servono nuove regole, Corriere della Sera 1° aprile 2025, p.1-4
[17] Il testo è pubblicato integralmente nel sito ufficiale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Alfredo Mantovano è entrato in magistratura nel 1984. Dal 1996 al 2013 fuori ruolo in quanto Parlamentare: tre volte deputato e una senatore; due volte sottosegretario agli interni nei governi Berlusconi. Rientrato in magistratura nel 2013 è stato Consigliere alla Corte di Appello di Roma e quindi Consigliere alla Corte di Cassazione, Dal 2022 è collocato fuori ruolo quale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio