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  Scheda  
03 Giugno 2025


Durata massima delle intercettazioni (45 giorni: l. n. 47/2025 e nuovo art. 267, co. 3 c.p.p.): tra problemi interpretativi, irrazionalità e incongruenze

A proposito della l. 31 marzo 2025, n. 47 (c.d. legge Zanettin)



1. Con la legge 31 marzo 2025 n. 47 il legislatore ha modificato l’articolo 267 c.p.p. inserendo alla fine del comma 3 il seguente periodo: «Le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni, salvo che l’assoluta indispensabilità sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti che devono essere oggetto di espressa motivazione».

Tale disposizione è stata introdotta al dichiarato scopo di ridurre i rischi di abusi in materia di intercettazioni e di rafforzare la tutela della libertà di comunicazione protetta dall’articolo 15 della Costituzione. Obiettivi certamente condivisibili e apprezzabili, che però la disposizione introdotta non appare idonea a garantire.

Invero, la tecnica legislativa utilizzata, quella cioè di introdurre un concetto apparentemente semplice e chiaro all’interno di un impianto normativo complesso, senza però interrogarsi sul funzionamento di quel sistema e sulle conseguenze complessive dell’intervento, rischia di creare squilibri, irrazionalità e incongruenze che da un lato impediscono la realizzazione di quell’obiettivo, ma allo stesso tempo rischiano di provocare danni molto seri al buon esito delle indagini per reati anche molto gravi. Cerchiamo di spiegare perché.

Va premesso che l’intervento, come si è detto, aggiunge un periodo al comma 3 dell’art.267 c.p.p. e dunque lascia intatto l’impianto complessivo della normativa in materia di presupposti, modalità e durata delle intercettazioni. In particolare, resta immutata la regola per cui la durata dell’attività di intercettazione è calcolata con riferimento ad ogni singolo bersaglio (utenza o luogo) e non alle complessive attività di intercettazione svolte nell’ambito della medesima indagine. Ne deriva che le “proroghe rafforzate”, quelle cioè finalizzate a superare i 45 giorni, restano riferite, come le proroghe ordinarie, al singolo bersaglio. Da ciò discendono una serie di problemi di ordine interpretativo, alcuni non semplici da risolvere.

 

2. Preliminarmente occorre chiarire cosa debba intendersi per elementi specifici e concretiCome si diceva sopra, i presupposti per le attività di intercettazione sono rimasti immutati: gravi indizi di reato da un lato e assoluta indispensabilità per la prosecuzione delle indagini dall’altro. La permanenza di tali presupposti giustifica, ai sensi del comma 3, la prosecuzione delle attività. La proroga rafforzata introdotta dalla riforma esige ora che l’assoluta indispensabilità, già richiesta dalla norma previgente, sia giustificata dall’emergere di elementi concreti e specifici. Gli elementi nuovi, dunque, non devono riguardare il quadro indiziario, né la posizione del soggetto sottoposto a controllo, ma esclusivamente la necessità (rectius assoluta indispensabilità) di proseguire gli ascolti. Non va dimenticato al riguardo che le intercettazioni possono essere disposte, e vengono disposte, nei confronti di soggetti non indagati, quali le persone offese, i familiari della vittima di un omicidio, gli amici dell’indagato. Di regola, ovviamente, la persona sottoposta ad intercettazioni è un indagato, nei cui confronti sussistono indizi, ma il requisito richiesto per la prosecuzione degli ascolti riguarda solo la necessità di proseguire gli ascolti e non ha alcuna attinenza con il quadro indiziario a carico del soggetto sottoposto a controllo.  .

 

3. Gli elementi specifici e concreti richiesti dalla norma per superare la soglia dei quarantacinque giorni possono emergere in qualunque momento precedente la scadenza dei 45 giorni o devono emergere nel periodo dell’ultima proroga?

A me pare che la risposta corretta sia la prima. Sicuramente gli elementi specifici e concreti devono essere “nuovi” rispetto a quelli acquisiti al momento della prima richiesta. Al riguardo l’espressione “emergere” non lascia spazio a dubbi e dunque un elemento già conosciuto prima dell’avvio delle attività non può essere utilizzato per la proroga rafforzata, ma nella norma non si rinvengono indicazioni ulteriori in merito al momento in cui debbano emergere. E quindi sarà a mio avviso sufficiente che siano emersi dopo l’avvio delle attività.

 

4. Gli elementi specifici e concreti richiesti dalla norma per superare la soglia dei quarantacinque giorni devono emergere dalle attività di intercettazione o possono emergere anche aliunde (acquisizione di documenti; attività di OCP; dichiarazioni di persone informate sui fatti etc.)?

A me pare che la risposta corretta sia la seconda. La norma non prevede che i nuovi elementi debbano emergere dalle attività di ascolto. Peraltro, una previsione del genere sarebbe del tutto irragionevole, in quanto le prime attività di intercettazione sono sempre autorizzate sulla base di elementi di prova diversi dalle intercettazioni e non si vede perché questa regola non debba valere per le proroghe. Quindi sarà sufficiente che siano emersi dalle attività di indagine complessivamente intese. Qui vengono fuori, però, ulteriori sotto-questioni.

 

5. Se l’intercettazione dell’utenza in uso al soggetto A non ha fornito nei primi 45 ulteriori elementi concreti e specifici, ma tali elementi, a carico del soggetto A, sono emersi dalle intercettazioni sull’utenza in uso al soggetto B, le intercettazioni sull’utenza in uso al soggetto A possono proseguire oltre i 45 giorni?

Più in generale gli elementi concreti e specifici che consentono la prosecuzione oltre i 45 giorni devono riguardare l’indagine nel suo complesso oppure devono essere riferiti anche al singolo bersaglio? Esemplificando se l’intercettazione del telefono non ha fornito elementi concreti e specifici, ma l’intercettazione ambientale all’interno di un veicolo fornisce elementi utili alle indagini, è possibile proseguire le intercettazioni anche sull’utenza telefonica che comunque serve a monitorare spostamenti e contatti?

Come si diceva in premessa, gli elementi concreti e specifici emersi devono fondare la assoluta indispensabilità di proseguire le attività, mentre non è richiesto che essi servano a rafforzare il quadro indiziario, né che forniscano elementi a carico del soggetto sottoposto ad intercettazioni. La necessità di proseguire gli ascolti sul singolo bersaglio può dunque ben derivare da altre attività di ascolto nei confronti dello stesso soggetto o nei confronti di altri. E la assoluta indispensabilità di proseguire gli ascolti può consistere anche nella necessità di monitorare gli spostamenti e i contatti di un soggetto, senza che sia necessario che dall’ascolto di quello specifico bersaglio emergano elementi indiziari.

 

6. Il termine di quarantacinque giorni a cosa si riferisce? Al bersaglio, cioè all’utenza (o al luogo) sottoposto ad intercettazione? Al soggetto sottoposto ad intercettazione? Oppure all’indagine nel suo complesso?

Sono problemi che il legislatore avrebbe dovuto porsi prima di approvare la legge, offrendo una risposta chiara. Allo stato, l’unica risposta possibile è la prima. Il termine deve essere riferito al singolo bersaglio (inteso come utenza o luogo sottoposti ad intercettazione), così come avviene oggi pacificamente per le proroghe quindicinali. Certo è una soluzione non del tutto ragionevole e che crea qualche tensione rispetto alla intenzione del legislatore. In teoria, con la nuova disposizione è possibile intercettare l’utenza di una persona per quarantacinque giorni e alla scadenza, in assenza di elementi nuovi, chiedere una ambientale e poi, alla scadenza degli altri quarantacinque giorni, sempre in assenza di elementi nuovi, chiedere di intercettare l’utenza della moglie di quella persona o una ambientale in un altro luogo. E poi ancora chiedere la intercettazione di un’altra utenza in uso alla stessa persona, e così via. Ovviamente sono esempi di scuola, anche piuttosto forzati, perché il requisito della assoluta indispensabilità delle intercettazioni è sempre richiesto per qualunque attivazione e proroga, e negli esempi proposti sarebbe ben difficile da motivare. Ma ciò dimostra che esistevano già presidi adeguati a tutela della riservatezza delle comunicazioni e che la nuova disposizione non è utile a rafforzare le garanzie e rischia solo di rendere più difficili le indagini.

 

7. Possono considerarsi elementi nuovi, concreti e specifici, la necessità di disporre alcune attività (es. perquisizioni; assunzioni di informazioni) che possono richiedere una “copertura” mediante le attività di ascolto?

Nella direttiva adottata dalla Procura di Messina si dice che si può fare. La questione è certamente problematica. Invero, in questi casi l’elemento nuovo non sarebbe “emerso” né dalle intercettazioni né da altre attività di indagini, ma sarebbe al più “emergente”, cioè potrebbe venire dalle ulteriori attività che si propongono. E spesso queste attività si dispongono proprio quando gli ascolti non hanno prodotto particolari risultati.  Certo non appare ragionevole precludere in questi casi la possibilità di proseguire gli ascolti. Vedremo quale sarà l’orientamento della giurisprudenza sul punto. Per prudenza, secondo me, sarebbe consigliabile anticipare le attività di “stimolo” ad un momento antecedente alla scadenza dei quarantacinque giorni.

 

8. Cosa succede dopo che, grazie alla emersione di nuovi elementi, si sono superati i quarantacinque giorni? Per le proroghe successive sarà necessario che in occasione di ogni proroga siano emersi elementi nuovi oppure l’unico requisito richiesto per le ulteriori proroghe resta solo quello del permanere della assoluta indispensabilità che, si ribadisce, non è che sia proprio poca cosa?

Stando al tenore letterale della norma e alla ratio dell’intervento ogni proroga che comporta il compimento di attività oltre il limite di quarantacinque giorni deve essere accompagnata da elementi nuovi. Si tratta certamente di una soluzione che presenta elementi di irrazionalità notevoli. Se in una indagine per omicidio le intercettazioni danno buoni risultati nei primi quarantacinque giorni e anche successivamente, non sembra ragionevole imporre il blocco delle attività solo perché c’è una “stasi” di quindici giorni, che può dipendere da mille fattori (il soggetto è malato e non usa la vettura sulla quale è installata la microspia; oppure è all’estero o in vacanza etc.). Sarebbe stato più ragionevole prevedere una verifica sulla emersione di elementi nuovi alla scadenza di ulteriori quarantacinque giorni (e così via di seguito). Meglio ancora, sarebbe stato ragionevole introdurre una verifica periodica, ogni due o tre mesi a far data dall’inizio delle attività di intercettazione complessivamente intese, vale a dire dal giorno della prima attivazione, sulle risultanze complessive delle attività di intercettazione e sulla permanenza dei presupposti.  In questo modo si sarebbero evitate intercettazioni che vanno avanti per “pigrizia” o per “inerzia” senza però tagliole così stringenti e irrazionali.

 

9. Se alla scadenza dei quarantacinque giorni oppure in occasione delle proroghe successive non sono emersi elementi nuovi e le attività vengono interrotte è possibile riprendere in un secondo momento le attività di ascolto? E se sì a quali condizioni e con che tempistica?

Direi pacificamente che si possa fare. La norma usa però il termine “complessivamente” riferito alla durata delle intercettazioni, per cui se i primi quarantacinque giorni sono stati già consumati, in tutto o in parte, l’attivazione dei nuovi ascolti, o la proroga al raggiungimento del  termine complessivo di quarantacinque giorni, dovrà essere fondata sulla base di elementi specifici e concreti emersi dopo la chiusura delle intercettazioni e sin dalla prima proroga si applicherà la tagliola di cui si è appena detto della necessità ogni volta di elementi nuovi. Sempre che si tratti della stessa utenza o degli stessi luoghi, perché l’intercettazione di un’altra utenza in uso allo stesso indagato (ad esempio si individua il numero utilizzato per la gestione delle attività illecite) è un’altra intercettazione che non si somma a quella svolta precedentemente su altra utenza (anche se dello stesso soggetto).

 

10. Le disposizioni introdotte si applicano anche alle intercettazioni per la ricerca dei latitanti? E anche ai latitanti per delitti di mafia?

Le intercettazioni per la ricerca dei latitanti sono disciplinate dall’art.295 c.p.p. che, al terzo comma prevede la possibilità di disporre intercettazioni telefoniche per la ricerca del latitante nei limiti e con le modalità previste dagli articoli 266 e 267. Il comma 3-bis dell’art.295 c.p.p., introdotto con il D.L. n.306 del 1992, prevede la possibilità di disporre anche intercettazioni ambientali per la ricerca di un latitante per i delitti di cui all’art.51 comma 3bis e 407 lettera a), fermo quanto disposto nel comma 3. Dunque, sempre nei limiti e con le modalità di cui agli articoli 266 e 267. Il nuovo limite di durata massima di quarantacinque giorni si applica pertanto pacificamente a tutte le attività di intercettazione finalizzate alla ricerca dei latitanti, ivi compresi i latitanti per delitti di mafia. Invero l’art.13 del D.L. 152/91 che prevede una disciplina speciale per le intercettazioni in materia di mafia non contiene alcun riferimento alle attività di ricerca del latitante. Si tratta di esito del tutto irragionevole, che potrà avere gravi conseguenze per le attività di ricerca di pericolosi latitanti, che spesso richiedono mesi, a volte anni, di attività di ascolto nei confronti di familiari e amici del ricercato, e che verranno pregiudicate dalla necessità di acquisire alla scadenza dei primi quarantacinque giorni e poi ogni quindici giorni, ogni volta elementi concreti e specifici per proseguire nelle attività di ascolto.  

 

11. Questioni di diritto transitorio. In assenza di una norma transitoria, le nuove disposizioni si applicano pacificamente anche alle intercettazioni in corso alla data di entrata in vigore, cioè al 24.4.2025. Sia che siano stati già superati i quarantacinque giorni, sia che non siano stati superati per le proroghe successive al quarantacinquesimo giorno sarà richiesto l’ulteriore requisito della emersione di nuovi elementi.

***

12. In definitiva a me pare che il legislatore abbia fatto una legge finalizzata ad un obiettivo, che in questo caso era quello di mettere un freno ad intercettazioni considerate eccessive o non giustificate (il famoso “strascico”), ma, come spesso gli capita, per scarsa conoscenza dell’effettivo funzionamento delle norme, abbia agito colpendo un po’ alla cieca. Il risultato è una normativa del tutto illogica e irrazionale, assolutamente inidonea ad impedire i comportamenti elusivi immaginati dal legislatore, ma idonea a creare difficoltà e ostacoli soprattutto per chi ritiene proprio dovere deontologico rispettare le leggi, anche quelle più irrazionali. Né si potrà per questa normativa sottoporre alla Corte costituzionale la questione della compatibilità con la Costituzione di regole così irrazionali. Invero, uno dei problemi dell’istituto è quello della non impugnabilità dei provvedimenti di diniego delle intercettazioni. Non tanto giuridica, perché, in teoria forse si potrebbe immaginare la possibilità di un ricorso in Cassazione su alcuni provvedimenti di rigetto palesemente abnormi, ma pratica, perché discutere in contraddittorio con l’interessato della sussistenza o meno dei presupposti per procedere ad intercettare la sua utenza è ovviamente una cosa priva di senso.

 

13. L’aporia del sistema introdotto diventa ancora più insostenibile se ci si sofferma un attimo sul tema del “doppio binario”, cioè del diverso e parallelo sistema normativo delle intercettazioni “speciali” previsto dall’art. 13 del decreto-legge 152 del 1991. Invero, con questa riforma la distanza tra i due “binari” è stata ampliata a dismisura. Le intercettazioni “speciali” previste dall’art.13 del dl 152/91 richiedono: a) sufficienti indizi di reato (contro i gravi indizi di reato di quelle ordinarie); b) necessità dell’ascolto (contro la indispensabilità di quelle ordinarie); e non hanno limiti di durata (se non quello del termine delle indagini) a fronte dei quarantacinque giorni delle intercettazioni ordinarie.

Il problema è che il binario “speciale” è stato molto ampliato nel corso degli anni essendovi state convogliate, oltre a quelle di criminalità organizzata, anche  le indagini per:

  1. traffico di rifiuti; terrorismo; sequestro di persona a scopo di estorsione; delitti aggravati dal metodo o dalla agevolazione mafiosa (D.L. 105/23 convertito nella L.137/23, ma per i delitti con finalità di terrorismo già con il D.L. 374/2001)
  2. i reati informatici di cui all’art.371bis c.p.p. (L. 28/6/24 n.90)
  3. delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. puniti con pena superiore a 5 anni (D.lvo 216 del 2017)
  4. delitti contro la libertà individuale previsti dal libro II, titolo XII capo III sez. I del c.p. (riduzione in schiavitù, prostituzione minorile; pornografia minorile; detenzione o accesso a materiale pedopornografico; tratta di persone; traffico di organi; acquisto di schiavi; caporalato; sfruttamento della prostituzione: L. 9 agosto 2003 n.228)

Ora, al netto del fatto che abbiamo appreso che chi ha proposto la legge non conosceva molte di queste eccezioni (tanto da approvare un ordine del giorno in cui si chiede di estendere i casi di eccezione anche alla pedopornografia o da protestare contro chi ha ricordato la eccezione per i delitti di PA) la domanda da porsi è che senso abbia un sistema siffatto nel quale sono più i reati per i quali vale l’eccezione di quelli per i quali vale la regola. Soprattutto se poi quelli per cui vale la regola sono, ad esempio, l’omicidio o la strage (non aggravata da finalità di terrorismo) oltre a tutti i reati del cd. “codice rosso”. Tanto per fare qualche esempio.

La domanda, mi rendo conto provocatoria, visto che abbiamo stabilito che il legislatore non conosce la normativa sulla quale interviene, è: quale è il criterio che guida il legislatore nella scelta tra la regola e l’eccezione?

In una indagine per associazione a delinquere finalizzata alle truffe o per sfruttamento della prostituzione si può intercettare con requisiti meno stringenti e senza limiti di tempo. In una indagine per un femminicidio o per violenza sessuale, invece, valgono le regole più stringenti.

Fino ad arrivare al paradosso per cui si può intercettare con presupposti meno stringenti e senza limiti di durata un soggetto sospettato di diffondere sul web materiale pedo-pornografico, ma i presupposti diventano più stringenti e il termine non potrà superare i quarantacinque giorni se il soggetto è sospettato di avere sequestrato, violentato e ucciso un bambino.