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18 Dicembre 2019


Osservatorio Corte EDU: ottobre 2019

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Lucrezia Rossi (artt. 3, 7, 9, 10 Cedu e 1 Prot. Add. Cedu) e Valentina Vasta (artt. 5 e 6 Cedu).

 

In ottobre abbiamo selezionato pronunce relative a: espulsione a seguito di condanna e diritto alle cure psichiatriche; diritto di comparire di fronte al giudici ai fini del controllo della legalità della custodia cautelare; confisca preventiva senza condanna, sotto il profilo del diritto ad un processo equo, del nullum crimen e della tutela della proprietà; diritto all’ammissione di testimoni a discarico; obiezione di coscienza e servizio militare obbligatorio; negazionismo.

 

 

Art. 3 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, sez. IV, 1° ottobre 2019, Savran c. Danimarca

Trattamenti inumani e degradanti – ordine di espulsione – effettività delle cure psichiatriche – violazione

Il ricorrente, cittadino turco residente in Danimarca dal 1991, è stato condannato a sette anni di reclusione e ad essere espulso verso la Turchia per il reato di lesioni aggravate. Lo stesso ha adito la C. eur. dir. uomo sostenendo che l’esecuzione dell’espulsione integrerebbe una violazione dell’art. 3 Cedu, in quanto determinerebbe l’interruzione delle terapie psicologiche e farmacologiche che egli riceve in Danimarca, con conseguente inevitabile peggioramento delle sue condizioni di salute (§ 37). I Giudici di Strasburgo, ricordando come in casi del tutto eccezionali l’art. 3 Cedu tuteli anche le situazioni in cui uno stato di malattia personale possa subire un rapido e irreversibile deterioramento a causa di un’espulsione (§§ 43, 44; in particolare a partire dalla pronuncia C.edu, Grande Camera, 13 dicembre 2016, Paposhvili c. Belgio), hanno rilevato come, nel caso di specie, sebbene in astratto i trattamenti sanitari offerti dallo Stato ricevente siano adeguati alle condizioni di salute del ricorrente (§§ 52 e 56), tuttavia lo stesso non si può dire in base alle circostanze del caso concreto; in particolare, la grande distanza tra il luogo di residenza e l’ospedale (§§ 57 e 58) e l’allontanamento dai familiari più stretti (§§ 62 – 64) incrementerebbero considerevolmente il rischio di fallimento della terapia. Alla luce dei profili problematici evidenziati, e stante l’assenza di rassicurazioni circa l’effettiva fruibilità dei trattamenti da parte del Governo turco, la C. eur. dir. uomo ha ritenuto che l’ordine di espulsione del ricorrente dalla Danimarca integrasse una violazione dell’art. 3 Cedu. (Lucrezia Rossi)

Riferimenti bibliografici: S. Santini, Espulsione di stranieri affetti da gravi patologie: una pronuncia coraggiosa della Corte di Strasburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2017, p. 360 ss.; P. Bernardoni, Detenzione e infermità psichica sopravvenuta: un problema Europeo e una soluzione nazionale, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 2/2019, p. 1065 ss.

 

 

ART. 5 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, 15 ottobre 2019, Garipoğlu c. Turchia

Diritto alla libertà e alla sicurezza – controllo della legalità della detenzione – mancata comparizione di fronte al giudice – violazione

Il ricorrente, indagato del reato di omicidio, era stato posto in custodia cautelare dall’Autorità giudiziaria turca a seguito della sua audizione in presenza del difensore. All’esito del processo penale, peraltro, il ricorrente veniva assolto dalla suddetta accusa. Con riguardo alle vicende cautelari, i giudici nazionali avevano deciso il mantenimento della misura custodiale e rigettato le richieste di scarcerazione del ricorrente, sempre e solo sulla base degli atti contenuti nel fascicolo. Era solo alla prima udienza dibattimentale di fronte alla Corte d’assise, dopo dieci mesi di detenzione, che il ricorrente compariva di fronte ai giudici competenti a decidere sul mantenimento della misura, ove è stato sentito personalmente con l’assistenza del difensore (§ 5 ss). La Corte di Strasburgo, facendo applicazione della sua giurisprudenza consolidata, ritiene la violazione dell’art. 5 comma 4 Cedu, da cui discende il diritto del soggetto sottoposto a misura privativa della libertà personale di comparire di fronte al giudice ad intervalli di tempo regolari (§§ 17-18) (Valentina Vasta).

Riferimenti bibliografici: F. Cassibba, Impugnazioni de libertate e garanzie minime dell’equità processuale, in Riv. it. dir. pen. proc., 2018, p. 968 ss.

 

 

ART. 6 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, 8 ottobre 2019, Balsamo c. San Marino

Presunzione d’innocenza – confisca – mancata affermazione della responsabilità penale nel provvedimento di applicazione della misura ablatoria – non violazione

Le ricorrenti, tra loro sorelle, erano state condannate in primo grado per il reato di riciclaggio dai giudici sammarinesi, i quali avevano altresì disposto la confisca di 2.150.000 euro, proventi dei reati presupposto commessi dal padre (§§ 12-15). La sentenza di condanna, però, veniva riformata in appello, ove le imputate venivano assolte dal reato loro ascritto per mancanza dell’elemento soggettivo, ma veniva confermata la confisca delle somme di danaro disposta in primo grado, perché di provenienza illecita (§ 16).  Di fronte alla Corte EDU, le ricorrenti lamentavano quindi la violazione del principio di presunzione d’innocenza in quanto era stata applicata la sanzione della confisca in assenza di condanna (§ 68). I giudici di Strasburgo rilevano come la sentenza di assoluzione non contenesse nessuna affermazione della responsabilità penale delle ricorrenti. Infatti, la misura della confisca era stata applicata non sulla base del fatto che le stesse avessero tratto vantaggi patrimoniali dal reato di cui erano imputate, bensì al fine di evitare la circolazione del capitale illecito, in applicazione del diritto nazionale e conformemente alle norme internazionali sulla lotta al riciclaggio (§ 75). La confisca, in questo caso, non assume natura sanzionatoria, bensì preventiva (§ 65) per cui l’art. 6 comma 2 Cedu non può ritenersi violato dall’imposizione del vincolo ablativo sui proventi di reato di cui le ricorrenti erano in possesso (§ 75) (Valentina Vasta).

 

C. eur. dir. uomo, 10 ottobre 2019, Matevosyan c. Armenia

Equità processuale – diritto di difesa – condanna basata solo sulla testimonianza degli agenti di polizia – mancata ammissione dei testi a difesa – violazione

Il ricorrente, condannato per resistenza a pubblico ufficiale commessa nel corso di una manifestazione di protesta, lamentava l’iniquità del procedimento poiché non gli è stata fornita la possibilità di contestare l’accusa a suo carico. In particolare, non erano stati ammessi i due testimoni a discarico presenti alla manifestazione e la condanna si era fondata unicamente sulle dichiarazioni rese dai due agenti di polizia che avevano eseguito l’arresto (§ 37). Preliminarmente, la Corte europea rammenta che, in merito al diritto all’ammissione probatoria, sebbene spetti ai giudici nazionali la valutazione della necessità di escutere un testimone, circostanze eccezionali possono condurre all’accertamento della violazione dell’equità processuale (§ 39). Con riguardo al caso di specie, i giudici di Strasburgo notano che, da un lato, le testimonianze a carico contenevano evidenti incongruenze, anche in relazione al luogo ove era avvenuto l’arresto; dall’altro lato, i giudici nazionali non avevano adeguatamente assolto l’onere di motivazione del rigetto della richiesta di prova del ricorrente, la quale risultava sufficientemente motivata e rilevante per l’accertamento dei fatti (§ 41). Nello specifico, il giudice di primo grado aveva considerato sufficienti ai fini della decisione le prove presenti nel fascicolo, escludendo, dunque, la necessità di escutere i testimoni richiesti dalla difesa (§ 27). Il giudice d’appello, invece, aveva ritenuto che i testimoni citati dalla difesa non fossero presenti al momento del fatto, proprio sulla base delle dichiarazioni fornite dagli agenti di polizia (§ 31). Ciò ha rappresentato una limitazione delle prerogative difensive dell’accusato, con violazione dell’art. 6 Cedu (Valentina Vasta).

Riferimenti bibliografici: F. Zacchè, Ammissione della prova a discarico: il nuovo test “Murtazaliyeva”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1057 ss.

 

C. eur. dir. uomo, 17 ottobre 2019, Oddone e Pecci c. San Marino

Equità processuale – diritto dell’imputato a confrontarsi con chi rende dichiarazioni accusatorie – mancata concessione alla difesa della possibilità di controesaminare i coimputati – violazione.

I ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. d Cedu, per essere stati condannati sulla base delle dichiarazioni accusatorie rese dai coimputati nel corso delle indagini preliminari. Questi ultimi erano comparsi solo alla prima udienza ove erano state discusse le questioni preliminari e in seguito i giudici non avevano provveduto alla loro citazione affinché potessero essere controesaminati dai ricorrenti (§ 72 ss). La Corte EDU, dal momento che i coimputati hanno fornito un contributo dichiarativo utilizzato ai fini dell’emissione della sentenza di condanna, ha applicato al caso di specie il test in tema di testimoni assenti – di cui alle sent. Al-Khawaja et Tahery c. Regno Unite e Schatschaschwili c. Germania – ritenendo sussistente la violazione convenzionale (§ 94). E invero, per i giudici di Strasburgo il diritto a rimanere in silenzio dei coimputati non può comprimere il diritto del ricorrente a confrontarsi con i testimoni d’accusa, tanto più laddove i primi, avendo ammesso l’addebito, non avevano ritrattato le loro dichiarazioni neppure a mezzo del proprio difensore presente in udienza (§ 101). In più, i giudici nazionali non avevano adottato le opportune cautele nel valutare le dichiarazioni accusatorie (§ 109), utilizzate in maniera determinante ai fini della condanna (§§ 104-105) e in assenza di garanzie procedurali capaci di controbilanciare il vulnus al diritto al confronto (§ 104 ss) (Valentina Vasta).

Riferimenti bibliografici: F. Zacchè, Verbali di altro procedimento e diritto alla prova, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2018, p. 347 ss.

 

 

Art. 7 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, sez. III, 8 ottobre 2019, Balsamo c. San Marino

Nulla poena sine lege – confisca senza condanna – natura sostanzialmente penale della misura – finalità preventiva – non violazione

Le due ricorrenti, processate e condannate in primo grado per il reato di riciclaggio, sono state poi assolte in appello per difetto di prova dell’elemento soggettivo; cionondimeno il Tribunale di San Marino ha sequestrato e, in seguito, confiscato il denaro contenuto in un conto corrente, una cassetta di sicurezza e un dossier titoli a loro nome, per un valore superiore a due milioni di euro, ritenendo tale denaro, sulla scorta di molteplici e concordanti elementi di prova, profitto di diversi reati commessi dal padre delle stesse. Adita la C. eur. dir. uomo, le ricorrenti hanno lamentato di aver subito una violazione dell’art. 7 Cedu per esser state sottoposte ad una misura sostanzialmente punitiva – per natura e serietà delle conseguenze – in assenza di una sentenza di condanna (§ 56).

I Giudici di Strasburgo, rievocati i criteri formali e sostanziali cui far riferimento (§ 58), hanno rilevato nel merito la natura preventiva (e non punitiva) della misura, escludendo la sussistenza di una violazione dell’art. 7 Cedu. Gli argomenti addotti a sostegno della decisione sono stati i seguenti: anzitutto, dopo avere ribadito che l’assenza di una condanna penale a monte è soltanto uno dei criteri per la qualificazione della misura (§ 60), la Corte ha evidenziato che la disciplina in esame ricade nel titolo del codice penale dedicato alle “sanzioni civili e altri effetti conseguenti al reato”, sicché nemmeno la qualificazione offerta dal diritto interno risulta nel caso di specie decisiva (§ 61); in secondo luogo, il collegio ha rilevato che, tra i molteplici scopi che può perseguire la confisca in esame, uno di questi è prevenire la commissione di futuri reati, motivo per cui è stata applicata nel caso di specie: infatti, se le due ricorrenti avessero utilizzato tali somme, conoscendone l’origine illecita – circostanza obiettivamente accertata nel procedimento penale a loro carico – avrebbero commesso, ai sensi del diritto interno, il reato di riciclaggio (§ 62); infine, la Corte ha ritenuto che la sanzione non fosse sufficientemente severa per essere qualificata come penale sulla base della sua afflittività (§ 64) (Lucrezia Rossi)

Riferimenti bibliografici: R. Bertolesi, La necessità di differenziare pene e misure di sicurezza: il caso della custodia detentiva di sicurezza nell’ordinamento tedesco, in Riv. it. dir. proc. pen., 2/2019, p. 1047 ss.

 

 

Art. 9 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, sez. V, 17 ottobre 2019, Mushfig Mammadov e altri c. Azerbaïdjan

Libertà di pensiero, coscienza e religione – Testimoni di Geova – obiezione di coscienza – servizio militare obbligatorio - violazione

I ricorrenti, cinque cittadini Azerbaigiani, sono stati condannati in sede penale ex art. 321 c.p. per essersi rifiutati di prestare servizio militare in ragione delle loro convinzioni religiose di Testimoni di Geova. Gli stessi hanno dunque adito la Corte eur. dir. uomo lamentando come le condanne subite abbiano comportato un’ingiusta compressione della loro libertà religiosa tutelata dall’art. 9 Cedu (§ 75). I Giudici di Strasburgo hanno anzitutto affermato che il rifiuto di prestare servizio militare è espressione della libertà religiosa e che la condanna dei ricorrenti ha comportato un’effettiva ingerenza su tale diritto (§ 78 – 79); inoltre, hanno affermato che, sebbene tale interferenza fosse prevista dalla legge (§ 80 – 82), al di là dell’eventuale legittimità del fine perseguito (§ 83 – 85), sicuramente non era necessaria in una società democratica. Quando si tratta di obiezione di coscienza legata al servizio militare, la C. eur. dir. uomo ha già rilevato in più occasioni come gravi sui singoli Stati un obbligo positivo di dover fornire un’alternativa (§ 93 – 94). Nel caso dell’Azerbaïdjan, il Governo ha garantito tale possibilità ai soli ministri di culto e non, invece, ai “semplici” fedeli, i quali si trovano dunque privi di tutela qualora, per motivi religiosi, non intendano prestare servizio militare (§ 96); l’assenza di un’alternativa – o di valide spiegazioni a sostegno di quest’ingiustificata mancanza (§ 97) – nonché la presenza di sanzioni penali in caso di mancata ottemperanza all’obbligo, sono gli elementi che hanno spinto la Corte a ritenere sussistente la violazione dell’art. 9 Cedu, ritenendo che la compressione della libertà religiosa subita dai ricorrenti non fosse necessaria in una società democratica. (Lucrezia Rossi)

Riferimenti bibliografici: L. Rossi, La libertà di espressione e manifestazione del proprio credo nelle aule dei tribunali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2019, p. 658 ss.

 

 

Art. 10 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, sez. V, 3 ottobre 2019, Pastörs c. Germania

Libertà di espressione – negazionismo – abuso del diritto – non violazione

Il ricorrente, presidente del partito NPD (Nationaldemokratische Partei Deutschlands) nell’assemblea legislativa del Meclemburgo Pomerania Occidentale, a causa di un discorso tenuto in quella sede il 28 gennaio 2010 in cui aveva definito Auschwitz e l’Olocausto alla stregua di bugie utilizzate per scopi propagandistici e politici contro il popolo tedesco (§ 7 – 10), è stato condannato per diffamazione nonché per violazione della memoria dei morti a otto mesi di reclusione. Lo stesso ha adito la Corte eur. dir. uomo lamentando di aver subito un’ingiusta compressione della propria libertà di espressione, tutelata dall’art. 10 Cedu, non avendo egli negato l’olocausto ma, piuttosto, criticato la cultura del ricordo da esso derivata (§ 35). Nel merito, i Giudici di Strasburgo hanno in primo luogo evidenziato sia come l’interferenza fosse prescritta dal diritto – art. 187 e 189 c.p. – sia come fosse volta a perseguire un fine legittimo – la tutela della reputazione e della dignità altrui (§40 – 41). In secondo luogo, ricordando come la stessa Convenzione sia sensibile al contesto storico della sua approvazione e come sia diritto e dovere morale degli Stati particolarmente vicini agli orrori del nazismo, distanziarsi dalle atrocità perpetrate durante il III Reich, hanno rilevato come tale limitazione fosse proporzionata e necessaria in una società democratica: il ricorrente ha infatti sfruttato la propria libertà di espressione per promuovere un’idea contraria allo spirito e al testo della Convenzione, integrando così un’ipotesi di abuso del diritto ai sensi dell’art. 17 Cedu (§46). A sostegno di ciò la C. eur. dir. uomo ha sottolineato quanto segue: anzitutto la neutralità della maggior parte del discorso non elide il carattere oggettivamente negazionista del medesimo (§ 43); inoltre le false dichiarazioni del ricorrente sono il frutto di una complessa pianificazione e di un’attenta scelta di parole per celare il vero messaggio (§ 46); infine la qualità di membro del Bundesrat tedesco, sebbene sia tendenzialmente sinonimo di una libertà particolarmente ampia, non consente, in ogni caso, di legittimare l’abuso (§ 47), né gli permette di andare esente da responsabilità penale, alla luce della revoca dell’immunità procedurale da parte del Parlamento. (Lucrezia Rossi)  

Riferimenti bibliografici: G. Spinelli, Secondo la Corte Europea, il reato di vilipendio alla Corona non merita la pena detentiva: il caso Stern Taulats e Roura Capellera c. Spagna, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2018, p. 1841 ss.; G. Spinelli, La tutela della pace religiosa interna può giustificare limitazioni alla libertà di espressione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2019, p. 666 ss.

 

 

Art. 1 Prot. Add. CEDU

 

C. eur. dir. uomo, sez. III, 8 ottobre 2019, Balsamo c. San Marino

Tutela della proprietà – confisca – non violazione

Per la sintesi della vicenda v. supra, sub art. 7 Cedu. Le ricorrenti hanno lamentato altresì la violazione dell’art. 1 Prot. add. Cedu, affermando come la confisca del denaro, attuata ai sensi dell’art. 147 c.p., sia stata perpetrata al di fuori dei limiti consentiti dalla legge. La C. eur. dir. uomo, ricordando come i singoli Stati abbiano un ampio margine di apprezzamento circa i limiti e le interferenze da imporre sui beni dei cittadini, purché le misure perseguano un fine legittimo e siano proporzionate, ha evidenziato come la scelta del Tribunale di San Marino non sia stata né arbitraria né sproporzionata: da una parte le ricorrenti, pur avendone la facoltà, non sono state in grado di giustificare la provenienza dei due milioni di euro (§§ 89 e 91); dall’altra, è stata raggiunta la prova dell’origine illecita di tali somme e, secondo il diritto interno, la misura in esame è applicabile al denaro quale profitto diretto o indiretto del reato (§ 92); ancora, tra gli scopi perseguiti dalla confisca vi è anche quello di eliminare dalla circolazione somme la cui origine illecita è stata accertata, soluzione in linea con gli standard internazionali in materia di lotta al riciclaggio di denaro (§ 93). (Lucrezia Rossi)