ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Opinioni  
03 Settembre 2025


L’ardire dello struzzo e les amoureux della giustizia terapeutica. In risposta a Costantino Visconti


Per contribuire all’attuale dibattito scientifico sulla giustizia penale preventiva e “terapeutica”, pubblichiamo uno scritto del prof. Luca Lupària destinato al fascicolo cartaceo della rivista “Diritto di difesa (che si ringrazia per il consenso alla riproduzione).

Si tratta di una replica all'articolo del prof. Costantino Visconti dal titolo Lo struzzo s’è desto. Noterelle polemiche sulle misure di prevenzione “terapeutiche”, pubblicato in “Diritto di difesa” lo scorso 19 agosto 2025.

***

 

1. Guai a rimarcare le storture di quella prevenzione che si suole etichettare, con una certa dose di astuzia linguistica, come “mite” o, addirittura, “terapeutica”. Non sia consentito mettere in dubbio il modello d’azione adottato dal rito ambrosiano nei procedimenti penali (formalmente) tributari che vedono indagate – e poi archiviate per ne bis in idem o assenza di dolo – le multinazionali della logistica e i loro manager. Il rischio, infatti, è di venire accostati a quel volatile che preferisce non affrontare la realtà (in questo caso i deficit di legalità in alcune grandi imprese) e adagiare il proprio volto sotto il manto sabbioso. E di risultare così annoverati, peraltro in buona compagnia, tra coloro che adottano tale postura perdendo di vista la magnificenza delle soluzioni pretorie che vanno affermandosi[1].

Rispondo allora al collega Visconti, per il quale nutro massima stima, per chiarire che le mie critiche, se proprio devono essere ricondotte alla metafora aviaria, non sono certo figlie dell’approccio attribuito, peraltro ingiustamente[2], al pennuto. Sono piuttosto il segno del carattere tosto dell’animale, capace di affrontare con resilienza imprese difficili, come ricorda l’immagine di una nota casa editrice e il motto del ‘500 «spiritus durissima coquit» dedicato, appunto, allo struzzo.

 

2. È cimento non agevole, in effetti, muovere controcorrente rispetto al mainstream culturale che suole lodare sperticatamente la “prevenzione patrimoniale non ablativa” quale moderno farmaco contro il panpenalismo e che vede nel modus agendi di un singolo valente Procuratore la panacea per la tutela dei diritti fondamentali dei lavoratori e per il rimpinguamento del nostro esangue erario[3]. Eppure, va fatto, non foss’altro perché il concetto di pharmakon, come ben sappiamo, si riferisce spesso, più che alla cura, al veleno che corrode il corpo in cui viene inoculato (in questo caso la nostra giustizia criminale) e l’idea di panacea, nel diritto e nel processo penale, rischia da sempre di aprire la via a perniciose scorciatoie e a dannosi sforamenti dei confini tra ruoli istituzionali e fattispecie giuridiche.

Prima di rispondere alle sollecitazioni, due premesse appaiono doverose. Il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori è quanto di più abbietto possa essere perpetrato in questa nostra epoca storica e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico nazionale costituiscono un pericoloso cancro per la società intera. Sono principi non negoziabili. Ma questi assiomi non possono essere sventolati per tacitare qualsiasi osservazione che “disturbi” il manovratore o che – a mio avviso, doverosamente – si concentri sui mezzi e non sul fine dell’agire giudiziario. Soprattutto nel contesto delle indagini milanesi di cui ho parlato nella intervista attenzionata dal Collega, quelle del comparto logistico, nel quale, almeno per i casi più importanti, non si ravvedono fatti di mafia e i temi giuslavoristici per le corporations coinvolte attengono ad ipotesi di eterodirezione (da cui la mera contestazione penale tributaria) e non di caporalato. Senza dimenticare, peraltro, che nessun accertamento dibattimentale in contraddittorio è stato effettuato sulla più parte di queste vicende (arrestatesi in fase di prevenzione o terminate con un dismissal) e che la drammatica descrizione del fenomeno viene propalata, dai cronisti e dai ricercatori, sulla base di meri provvedimenti di sequestro, sommarie informazioni di polizia o documenti di uno stadio embrionale del procedimento.

 

3. Veniamo ora – brevemente, come conviene ad una replica – agli stimoli più interessanti del pezzo del Collega: il ruolo dell’avvocato, le pretese virtù della giustizia terapeutica e le “basi giuridiche”. 

Sono d’accordo che «difendere professionalmente aziende incappate» in simili episodi «pone per lo più una sfida culturale di alto profilo»[4]. Lo posso affermare con contezza diretta avendo seguito come difensore, sin dai primi casi, molte imprese colpite dal filone investigativo in parola, toccando con mano la metamorfosi del nostro mestiere in siffatti contesti, da un lato spogliato del suo accento più adversary, dall’altro arricchito di inediti strumenti d’azione che consentono soluzioni innovative che, con un approccio multidisciplinare, possono migliorare la compliance aziendale e creare best practices di estremo interesse, tanto in materia di irrobustimento procedurale quanto di ripensamento dei sistemi 231[5].

Non è questo il punto, tuttavia. Qui non è in gioco il piacere intellettuale dell’avvocato o i risultati positivi che possano di fatto sortire sul piano societario. L’interrogativo è se tale intervento di profonda ortopedia organizzativa – e spesso di modifica del modello economico – debba essere realizzato, come sta accadendo, nel contesto di una indagine penale, sotto la regia dell’organo dell’accusa, in sostanziale assenza di un intervento giurisdizionale e in un quadro di forza preponderante del PM, capace di minare in radice l’autodeterminazione dell’ente tramite una nuova dinamica di alternanza del bastone e della carota. Un bastone multifattoriale (sequestro preventivo milionario eseguito come primo atto d’iniziativa, pericolo di danni reputazionali e di estensione dell’intervento sul piano fiscale, misura interdittiva richiesta e poi “sospesa” in attesa che la società decida se sottomettersi o meno alla soave terapia, ecc.). Una carota che assomiglia molto a un “ponte d’oro” (la prospettiva di una archiviazione diretta ex D. Lgs. n. 231/2001 e di una inazione nei riguardi dei manager per carenza di elemento soggettivo).

4. Questo ragionamento ci porta ad affrontare il tema delle supposte virtù della mite prevenzione e della giustizia terapeutica, proposte dal Collega quali strumenti preferibili al classico paradigma penalistico per affrontare gli illeciti nei contesti economici. Sono riflessioni che, in astratto, si potrebbero anche condividere, ma solo se ci si muovesse in un contesto normativo ben diverso dall’attuale. In un futuro, nel migliore dei mondi possibili, forse la penseremmo allo stesso modo. La realtà odierna ci racconta però una storia differente.

Se volgiamo lo sguardo alle misure di prevenzione nel settore de quo, persiste una intollerabile vaghezza dei presupposti di attivazione, accompagnata da una natura eccessivamente flou della base legale e, soprattutto, da interpretazioni assai variabili del concetto di “agevolazione” che consentono l’applicazione della misura anche per singolari ipotesi di culpa in vigilando. Si rinvengono poi significativi rischi di ingerenze gestionali extra ordinem durante la cura somministrata al paziente, il tutto condito da poteri difensivi ridotti al lumicino. Un caleidoscopio di criticità magistralmente tratteggiate da Vittorio Manes[6].

Se spostiamo la lente focale sulle “terapie” impartite nel corso dei noti procedimenti penali per uso di fatture per operazioni inesistenti, registriamo forme di “supplenza” del governo dell’economia, traslate dalle mani del giudice della prevenzione a quelle di un pubblico ministero dotato d’un potere immenso e incontrollato, che si muove sulla falsariga di apprezzabili esperienze straniere quali i deferred prosecution agreement o la convention judiciaire d'intérêt public, senza però che la normativa italiana preveda allo stato nulla del genere. Un salto in avanti rispetto alla volontà del legislatore che gioca sulla possibilità di non sottoporre al controllo del Gip il provvedimento archiviativo del procedimento de societate e che ruota intorno ad una interpretazione evolutiva del ne bis in idem, che a me personalmente piace molto, ma che, diciamolo con franchezza, non sarebbe ad oggi accolta da nessun giudice domestico. Il nobile fine giustifica queste smagliature nelle trame dei rapporti istituzionali tra poteri e nel sacro tessuto della legalità?  

5. Questo margine di manovra, in bilico tra discrezionalità dell’azione penale, politica criminale del singolo ufficio e richieste di facere non contemplate dal dato codicistico, è una di quelle “basi giuridiche” traballanti che ci conducono al terzo e ultimo punto della riflessione. L’attivazione delle investigazioni in esame o la messa in opera dei dispositivi di prevenzione sono ovviamente ammantate di piena legittimazione formale. Sono piuttosto le piattaforme interpretative che sorreggono il loro incedere a destare l’attenzione. Degli agreement di ascendenza angloamericana declinati in stile italiano, con modalità extra codicem, già si è detto. La lista è corposa, ma richiamerei qui senz’altro la dilatazione ermeneutica del concetto di fattura “giuridicamente” inesistente[7] e l’imposizione alle imprese di obblighi di due diligence legislativamente non previsti.

Il ragionamento è, in fondo, di buon senso: lo Stato moderno, oramai destrutturato ed esangue nei suoi conti pubblici, non riesce più ad effettuare capillari controlli sulla fedeltà fiscale, sulla regolarità contributiva, sul rispetto delle norme in materia di lavoro, sulla legalità complessiva delle piccole imprese. Non resta allora che chiedere alle multinazionali, ai grandi player, di sostituirsi al controllore pubblico, ponendo in essere un’attività continua di audit e organizzandosi per poter verificare, con una costosa e invasiva compliance, che controparti, fornitori, subfornitori e filiere indirette versino i tributi all’erario, non operino compensazioni illecite, onorino i debiti contributivi, si muovano nel solco della regolarità amministrativa, e via dicendo.

Tutto molto bello, con gli occhiali del Candido di Voltaire, ma non si tratta di qualcosa che dovrebbe essere discusso e deciso dal Parlamento e non dagli uffici investigativi? Che ruolo gioca il principio di legalità, visto che, oltretutto, molti di questi “obblighi” non riguardano in alcun modo l’addebito penalistico ipotizzato? Possiamo accettare che, sottotraccia, senza che alcun giudice di merito abbia ancora vagliato in dibattimento la bontà della costruzione giuridica di tale filone giudiziario, si “impongano” in fase d’indagine azioni di rilevantissima valenza economica e strategica, quali internalizzazioni del personale e cambio del modello di business? Siamo sicuri di voler trasformare il ruolo del pubblico ministero, di fatto, in quello di grande esattore, con un balzo indietro in altre epoche storiche? Non ci turba, nel prisma dell’uguaglianza (e degli equilibri della concorrenza) che tale modello d’azione sia applicato sostanzialmente solo in una città e non lungo tutto lo stivale?

Le domande sarebbero molte, ma lo spazio è terminato. Sembra giunto il momento, come propone intelligentemente anche Visconti, di aprire un “tavolo”, un cantiere riformistico per affrontare le criticità (e le opportunità) del “fenomeno” di cui si discute. Un fenomeno che va ben regolato, analizzato nelle sue implicazioni di sistema, allineato con le garanzie fondamentali e non lasciato a modellarsi spontaneamente, come sta accadendo, nelle mani della pratica.

 

 

 

[1] C. Visconti, Lo struzzo s’è desto. Noterelle polemiche sulle misure di prevenzione “terapeutiche”, in Diritto di difesa, 19 agosto, 2025.

[2] Si tratta in realtà di una bufala etologica che affonda le radici addirittura in alcune osservazioni di Plinio il Vecchio, smentite poi in epoca moderna.

[3] Dai provvedimenti cautelari reali di pubblico dominio, sembrano essere stati versati al Fisco, per ora, circa 600 milioni di euro riferibili ai procedimenti in esame.

[4] C. Visconti, Lo struzzo s’è desto. Noterelle polemiche sulle misure di prevenzione “terapeutiche”, cit.

[5] L. Lupária Donati, Corporate compliance, controllo giudiziario e contratti di appalto, in Corporate Crime & Compliance Hub, 27 febbraio 2025, www.compliancehub.it/2025/02/27/corporate-compliance-controllo-giudiziario-e-contratti-di-appalto-2/.

[6] V. Manes, La resistibile ascesa della prevenzione mite, in Diritto di difesa, 30 luglio 2025.

[7] Sul quale, criticamente, G.M. Flick - D.F. Pujia, Contrasto al “fenomeno” dello sfruttamento del lavoro e principio di legalità: binomio impossibile?, in Sistema penale, 26 marzo 2025.