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15 Aprile 2025


L’attesa sentenza delle Sezioni Unite sul sequestro e la confisca nel concorso di persone nel reato: un’importante svolta in tema di natura (ripristinatoria) della confisca “per equivalente” e di (ri)qualificazione della confisca del denaro

Cass. pen., Sez. Unite, sent. 26 settembre 2024 (dep. 08 aprile 2025), n. 13783, Pres. Cassano, rel. Silvestri, ric. Massini e a.



1. Con il recente deposito della sentenza delle Sezioni Unite che può leggersi in allegato, vengono rese note le motivazioni dei principi di diritto che, sin dalla loro pubblicazione con l’informazione provvisoria dello scorso 26 settembre 2024, avevano lasciato presagire un deciso cambio di rotta rispetto ad approdi giurisprudenziali sino ad oggi prevalenti. Le motivazioni della pronuncia confermano – forse ancor più di quanto pronosticabile – che si è al cospetto di uno storico revirement della Suprema Corte su alcune delle questioni maggiormente discusse in materia di sequestro e confisca.

L’organo nomofilattico, chiamato a pronunciarsi sullo specifico tema delle modalità e dei limiti con cui, in caso di concorso di persone nel reato, possa essere confiscato per equivalente il profitto delittuoso in capo a ciascun correo, ha risolto il quesito superando un orientamento sino ad oggi maggioritario (infra § 8). Prima di giungere a tale conclusione, tuttavia, affronta e rimedita altre fondamentali questioni, che spaziano dalla nozione di prezzo e profitto confiscabili (infra § 4), alla natura della confisca diretta del prezzo e del profitto (infra § 5), alla natura della confisca per equivalente (infra § 6) a quella del denaro (infra § 7). Su questi ultimi due piani, confisca di valore e confisca del denaro, si apprezza in particolare la decisa portata innovativa della pronuncia rispetto al diritto (sino ad oggi) vivente in giurisprudenza.

Analizzeremo di seguito le argomentazioni della Corte su ciascuno di questi aspetti, svolgendo alcune considerazioni a prima lettura della sentenza, che senza dubbio meriterà anche ulteriori e più meditate riflessioni.

 

2. Come sempre, è anzitutto opportuno svolgere brevi cenni sul caso di specie da cui origina la pronuncia. Il ricorso ha ad oggetto una sentenza di patteggiamento, pronunciata nei confronti di due imputati per associazione per delinquere finalizzata, tra l’altro, alla corruzione tra privati. Quest’ultima sarebbe stata perpetrata dando esecuzione a un accordo che prevedeva il pagamento della tangente ai corrotti attraverso la retrocessione, da parte dei corruttori, di una parte dei proventi derivanti dagli appalti aggiudicati in modo illecito. Sebbene agli atti del processo fossero presenti documenti che dimostravano l’esistenza di accordi spartitori tra i concorrenti, non è stato ritenuto dimostrato anche il loro effettivo adempimento e, quindi, la suddivisione concreta delle somme conseguite. Considerato pertanto impossibile stabilire con certezza le quote lucrate effettivamente dai singoli concorrenti, il giudice – sulla base del c.d. principio di solidarietà – aveva disposto la confisca del denaro indifferentemente nei confronti di ciascuno dei concorrenti (in solido), anche per l’intero ammontare del vantaggio complessivamente accertato.

 

3. A seguito del ricorso in Cassazione proposto dai due imputati, la VI Sezione della Suprema Corte ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “Se, in caso di pluralità di concorrenti nel reato, la confisca per equivalente del relativo profitto possa essere disposta per l’intero nei confronti di ciascuno di essi, indipendentemente da quanto da ognuno eventualmente percepito, oppure se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto incamerata da ognuno; od ancora se, in quest’ultimo caso, la confisca debba comunque essere ripartita tra i concorrenti, in base ai grado di responsabilità di ognuno oppure in parti eguali, secondo la disciplina civilistica delle obbligazioni solidali[1].

Al riguardo la Procura generale aveva presentato una articolata requisitoria nella quale si chiedeva, in conclusione, di affermare il seguente principio di diritto: “Qualora non sia possibile individuare ed apprendere il profitto del reato nella sua identità e consistenza originaria, ed al fine di non frustrare la finalità di sottrarre all'imputato o al condannato qualsivoglia vantaggio economico conseguente all'attività illecita pur quando se ne siano perse le tracce, deve essere ritenuta legittima l’esecuzione della misura della confisca per equivalente per l'intero nei confronti del singolo concorrente, salva che questi fornisca specifica prova contraria che di tale profitto sia originariamente pervenuta nella sua disponibilità solo una parte[2].

Le Sezioni Unite, traendo occasione da tale quesito e al fine di meglio offrire risposta allo stesso, svolgono un articolato ragionamento che affronta svariati temi controversi in materia di misure ablatorie patrimoniali. Per ragioni di maggiore chiarezza espositiva, conviene suddividere l’analisi della pronuncia in cinque segmenti: i) la nozione di “prezzo” e “profitto” confiscabili; ii) la nozione e la natura della confisca diretta del prezzo e del profitto; iii) la natura della confisca per equivalente; iv) la natura della confisca del denaro; v) l’applicazione del sequestro e della confisca in caso di reato concorsuale.

 

4. La nozione di “prezzo” e “profitto” confiscabili. Una preliminare questione definitoria viene affrontata dalla Corte al fine di distinguere il concetto di “prezzo” da quello di “profitto”, e di meglio delineare quest’ultimo. La scelta di prendere le mosse proprio da questioni attinenti alla corretta individuazione dell’oggetto della confisca non è certo casuale: proprio sulla base di esso, infatti, la Corte giungerà poi a distinguere le diverse nature giuridiche assunte dalla confisca, ben consapevole – come infatti poco prima rammenta espressamente – che essa può “può essere disposta per motivi diversi ed indirizzata a varie finalità, sì da assumere natura e funzione di pena o di misura di sicurezza ovvero di misura giuridica civile o amministrativa[3]. Inoltre, tracciare questa linea di confine terminologico serve alla Corte per chiarire sin da subito che nel caso di specie, essendo stato confiscato quanto corrisposto dai corruttori ai corrotti, cioè la “tangente”, quest’ultima deve essere considerata prezzo della corruzione, e non profitto, sulla scorta delle seguenti considerazioni[4].

Quanto alla nozione di prezzo viene ripresa la tradizionale definizione già fornita dalle Sezioni unite Chabni del 1996, secondo cui si intende “il compenso dato o promesso per indurre, determinare o istigare un soggetto a commettere il reato”: si tratta dunque del corrispettivo dell’esecuzione dell’illecito. Alla luce si quanto si dirà, è bene precisare sin d’ora che solo il compenso dato riteniamo sia suscettibile di sequestro e confisca, non anche quello meramente promesso.

Con riferimento al profitto, in assenza di una definizione legislativa, si richiamano alcuni assunti giurisprudenziali che ne hanno individuato il punto nodale nei requisiti della “materialità” e “pertinenzialità al reato”, quest’ultimo inteso come necessario collegamento causale tra la commissione dell’illecito e la creazione di un beneficio suscettibile di valutazione economica che da quell’illecito derivi.

La Corte inoltre aderisce anche all’orientamento secondo cui il nesso di pertinenzialità che connota la confisca diretta non viene meno a seguito di impiego o trasformazione del profitto del reato, come era stato affermato dalle Sezioni Unite Miragliotta del 2007[5]. Si tratta di un assunto che senz’altro estende la nozione di profitto – e che per queste ed altre ragioni ha attirato le critiche di parte della dottrina[6] – ma che risulta in linea con quanto previsto dal diritto sovranazionale e, da ultimo, con la definizione offerta dall’art. 12 della Direttiva UE/1260/2024[7].

Possiamo aggiungere che tale definizione, oltre ad essere conforme alle pronunce di legittimità e alle fonti europee puntualmente richiamate nella sentenza, è del resto coerente con la nozione di profitto accolta in altri ordinamenti extraeuropei, come quello statunitense, ove il medesimo concetto è spiegato facendo ricorso al c.d. but for test”: costituiscono profitto quei beni ottenuti o conservati come conseguenza della commissione di un’attività delittuosa e “di cui una persona non disporrebbe se non avesse commesso il reato” (property that a person would not have obtained or retained but for the commission of the offense)[8].

 

5. La nozione e la natura della confisca diretta. Quanto esposto circa il concetto di bene costituente prezzo o profitto è strumentale a delineare anche la nozione di confisca diretta, che altro non è che l’ablazione proprio di quel bene. In effetti, dalla sopra delineata estensione di quei concetti non può che discendere anche una espansione della nozione di confisca diretta, nel senso che si ritiene tale non solo quella della res che è direttamente derivata dal reato, ma anche di quella che da esso può dirsi derivata indirettamente, a seguito di trasformazione o reimpiego del provento originario. Viene infatti affermato che “il concetto di ‘provenienza indiretta’ concerne il bene da confiscare e non il vantaggio patrimoniale, che, invece, deve essere sempre causalmente ricollegabile al reato”. Non è quindi essenziale che il bene appreso sia proprio quello materialmente derivato dal reato, è invece dirimente che sia possibile ricostruire tutti i passaggi con cui il bene originario ha subito successive trasformazioni.

In altri termini, finché il “filo rosso” che lega il bene al reato può essere riavvolto senza soluzione di continuità giungendo con certezza (processuale) alla sua origine criminosa, per quanto quel bene sia diverso da quello direttamente derivante dal reato si potrà dire che ad essere appreso è proprio il vantaggio patrimoniale direttamente derivante dal reato, e pertanto la confisca può e deve qualificarsi come “diretta”.

Del resto, come riconosce perspicuamente la Corte, l’essenza della confisca risiede esattamente nella necessità di eliminare il vantaggio patrimoniale che il reo ha conseguito grazie al reato. È questa infatti la funzione tipica e principale che è oggi chiamata a svolgere la confisca, non quella di togliere dalle mani del reo beni “pericolosi”.

In effetti, quella della pericolosità dei beni (o pericolosità reale, della res) è una concezione che è stata nel tempo tralatiziamente sostenuta anche per tentare di dare coerenza alla scelta legislativa di collocare sistematicamente la norma generale sulla confisca (l’art. 240 c.p.) tra le misure di sicurezza[9]. Ma, sgombrato il campo dall’insostenibile affermazione che la scelta sistematica sia dipesa dal fatto che la cosa possa essere pericolosa in senso stretto (cioè che sia idonea cagionare un danno), neppure il concetto di pericolo che la cosa venga a costituire per il reo un “incentivo per commettere ulteriori illeciti” appare più sostenibile. Al netto del fatto che così facendo si ricadrebbe in una superfetazione inutile della funzione assegnata ad altri istituti (il sequestro impeditivo ex art. 321 c. 1 c.p.p.), è evidente, per quanto già detto, che la confisca colpisce il prezzo e il profitto non per l’uso in futuro che se ne potrà fare (valutazione prognostica non richiesta al giudice che dispone la confisca) ma per la loro provenienza illecita o, meglio, per l’illiceità del vantaggio patrimoniale che rappresentano.

Anche per tale ragione, particolarmente condivisibile è l’affermazione delle Sezioni Unite circa la funzione, e quindi la natura, “ripristinatoria” della confisca: essa, si afferma, è caratterizzata dalla “esigenza di riportare la sfera economica-patrimoniale del reo nella stessa situazione che avrebbe avuto se il reato non fosse stato commesso; dunque, una finalità di ripristino volta a ‘rendere l’illecito penale improduttivo’ e ad eliminare ‘in ogni caso’ dalla sfera patrimoniale del reo il vantaggio che questi abbia conseguito dal reato e che l’ordinamento ritiene non possa essere trattenuto in ragione della sua causa illecita” (par. 7.3 del considerato in diritto).

 

6. La natura della confisca per equivalente. Nell’incedere argomentativo logico della Corte, le conclusioni anzidette hanno immediata ricaduta anche sulla natura giuridica della confisca per equivalente (o “di valore”).  Ciò dipende dal semplice fatto che non può esistere confisca per equivalente se non è esistito un profitto/prezzo che sarebbe stato possibile confiscare in via diretta qualora non fosse venuta meno la possibilità di rintracciarlo. Detto altrimenti, non è possibile individuare l’oggetto della confisca per equivalente se non per relationem al valore dell’oggetto della confisca diretta, che quindi deve necessariamente essere venuto ad esistenza nell’an ed essere stato determinato nel quantum.

Una volta accertato che un profitto o un prezzo sia effettivamente venuto ad esistenza e sia stato conseguito, la verifica (monofasica) necessaria ad applicare la confisca diretta è essenzialmente conclusa. È invece bifasico l’accertamento sotteso all’applicazione della confisca per equivalente, poiché a quella prima verifica segue l’individuazione del tantundem, cioè di beni diversi dal prezzo/profitto, ma aventi medesimo valore patrimoniale[10].

Poiché, come detto, ad essere veramente rilevante non è tanto il bene fisico direttamente proveniente dal reato (né la sua pericolosità), ma il vantaggio patrimoniale che da esso discende, logicamente la funzione svolta dalla confisca diretta di quel vantaggio è identica a quella svolta dalla confisca indiretta del medesimo vantaggio.

Da qui l’affermazione della Suprema Corte secondo cui “la natura della confisca per equivalente deriva e dipende dalla natura della confisca diretta a cui accede” (par. 11.1 del considerato in diritto). Dunque, negli stessi casi in cui la confisca diretta del profitto ha natura ripristinatoria, medesima natura ripristinatoria possiede la confisca per equivalente di quel profitto.

Ribadendo una metafora che avevamo già utilizzato, la modalità, diretta o per equivalente, con cui si sottrae al reo l’arricchimento illecito non è altro che l’abito indossato dalla misura nella singola occasione: ma, come noto, l’abito non fa il monaco[11].

6.1. Le anzidette conclusioni cui giungono le Sezioni Unite rappresentano una decisiva svolta rispetto all’orientamento giurisprudenziale che, per quanto criticato da una parte della dottrina[12], è stato sino ad oggi prevalente[13]. Infatti, nel diritto vivente era stata ormai tracciata una netta dicotomia tra la natura della confisca diretta (considerata misura di sicurezza) e confisca per equivalente (considerata misura “eminentemente sanzionatoria”). L’elemento fondante, da cui si era fatto discendere il carattere “eminentemente sanzionatorio” della confisca per equivalente, consiste nella “evaporazione” del nesso di pertinenzialità fra reato e bene. Ciò, unitamente al riconoscimento dell’impossibilità di configurare la pericolosità della cosa, ha portato a sostenere la natura “sanzionatoria” della confisca, senza tuttavia negarne una portata al tempo stesso “ripristinatoria”: ne è nata – osserva la Corte – una confisca con una natura ancipite, che, al tempo stesso, "ripristina" ma, soprattutto, "affligge", "sanziona" e, in un tutto semantico indistinto, "punisce".

Far discendere la natura della confisca (e, di conseguenza, lo statuto garantistico che ad essa si applica, quello della materia penale o meno) dalla forma che essa assume non appare tuttavia convincente. Significherebbe, osserva la Corte, affidarsi ad una circostanza del tutto accidentale, quale l’impossibilità di rinvenire la cosa costituente il prezzo o profitto del reato, che potrebbe dipendere anche dalla stessa volontà del reo.

6.2. Inoltre, ad essere in radice messa in discussione è l’equazione tra carattere afflittivo e natura punitiva: si riconosce, correttamente, che i due termini non sono sinonimi e anzi si trovano in rapporto di genere a specie, in quanto il primo è più esteso e contiene il secondo[14].  Si osserva infatti che “se è vero che il contenuto afflittivo (...) può contraddistinguere misure delle più diverse finalità, ciò che è coessenziale tanto nell'ottica della retribuzione, quanto nelle prospettive di scopo della deterrenza, dell'intimidazione e della prevenzione-integrazione è la necessaria comprensione da parte del reo (oltre che dei consociati) della pena come sofferenza conseguente alla violazione di un precetto[15].

La Corte riconosce, dunque – anche facendo riferimento argomentativo alla distinzione operata in sede amministrativa tra sanzioni proprie e improprie – che ogni “ablazione patrimoniale è afflittiva perché incide negativamente sulla sfera giuridica di chi la subisce, limitando la sua proprietà personale, cioè su un suo diritto di rango costituzionale (art. 42 Cost.) e convenzionale (art. 1 Prot. add. CEDU): ciò, tuttavia, non consente di ritenere che ogni misura afflittiva sia anche punitiva” (par. 9.2 del considerato in diritto)[16].

6.3. Ne consegue, prosegue la Corte, che laddove il carattere afflittivo che deriva dalla confisca discende solo dalla “mera eliminazione dal patrimonio del reo di un bene che non sarebbe stato acquisito se non fosse stato commesso il reato”, la misura, per quanto afflittiva, non assume anche contenuto punitivo. La misura ablatoria, in questi casi, vuole “’bonificare’ il patrimonio dell’agente, eliminando l’arricchimento illecito e, quindi, riportare la sua sfera giuridico-patrimoniale alla consistenza precedente al delitto, è costituita dalla necessità di ribadire, da una parte, che il reato “non paga” e, dall'altra, che l'accrescimento derivante da condotte penalmente rilevanti è sempre privo di legittima giustificazione (par. 9.2 del considerato in diritto)[17].

6.4. Ciò posto, diventa determinante distinguere i casi in cui la portata afflittiva della confisca si mantiene entro i limi suddetti, senza quindi assumere portata punitiva, e quando li travalica, colorandosi di connotati punitivi. A tal riguardo, viene riproposta e condivisa la linea di demarcazione fissata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 112/2019, che faceva leva sull’oggetto della confisca, anziché sulla forma (diretta o per equivalente) che essa assume[18]. Si era infatti in quella sede affermato – anche facendo riferimento ad approdi giurisprudenziali della Corte Suprema degli Stati Uniti[19] – che, mentre l’ablazione del profitto ha una mera funzione ripristinatoria della situazione patrimoniale precedente in capo l'autore, la confisca del prodotto e quella dei beni utilizzati per commettere l’illecito hanno un effetto peggiorativo rispetto alla situazione patrimoniale del trasgressore. Mentre infatti il profitto è commisurato, e deve limitarsi, all’effettivo vantaggio patrimoniale conseguito, gli atri due “oggetti” della confisca non sono legati a questo valore e quindi ben possono infliggere all’autore dell’illecito “una limitazione al diritto di proprietà di portata superiore (e, di regola, assai superiore) a quella che deriverebbe dalla mera ablazione dell’ingiusto vantaggio economico ricavato dall'illecito”.

6.5. In conclusione, la confisca del profitto, nella misura in cui non può espandersi oltre quanto il reato abbia apportato, non ha natura punitiva ma ripristinatoria, sia se applicata in forma diretta sia se applicata per equivalente[20].

L’equiparabilità funzionale tra misura diretta e per equivalente, si osserva, trova riscontro anche a livello legislativo. Si porta l’esempio della causa di non punibilità di cui all’art. 323-ter c.p. che condiziona la non punibilità alla restituzione del profitto illecito, indistintamente in forma diretta o per equivalente: l’esimente è infatti riconosciuta a chi volontariamente denunci la commissione dì uno dei reati contro la pubblica amministrazione ivi indicati sia che provveda alla messa a disposizione dell’utilità dallo stesso percepita (nella sostanza una confisca diretta) sia che metta a disposizione una somma di denaro di valore equivalente (nella sostanza una confisca per equivalente)[21].

Non depone in senso contrario, ma semmai permette di prospettare dubbi di legittimità costituzionale, la scelta legislativa operata dal d.lgs. n. 150/2022 di equiparare le modalità esecutive della confisca per equivalente e delle pene pecuniarie[22].

 

7. La natura della confisca del denaro. Il cambio di rotta delle Sezioni unite in punto di natura giuridica della confisca per equivalente – non più da considerare sempre e necessariamente misura punitiva, bensì di natura ripristinatoria allorché abbia ad oggetto il profitto o comunque non sottragga al reo più di quanto si sia concretamente avvantaggiato mediante il reato – consente di comprendere (e al contempo ridimensionare le implicazioni pratiche) dell’ulteriore statuizione secondo cui la confisca di denaro non può considerarsi sempre “diretta”.

Conclusione, quest’ultima, che rappresenta un evidente mutamento di impostazione rispetto all’orientamento divenuto dominante in giurisprudenza, quantomeno dall’arresto delle Sezioni unite Gubert del 2014 in poi, confermato sul punto da ben altre due pronunce a sezioni unite, Lucci del 2015 e Coppola del 2021, e in realtà preceduto anche da altre due pronunce, sempre a sezioni unite: Focarelli del 2004 e Miragliotta del 2007. Un orientamento secondo cui, come noto, il sequestro e la confisca che abbia ad oggetto somme di denaro era considerata sempre di natura diretta.

Aveva per questo destato particolare scalpore l’informazione provvisoria con cui, il 26 settembre 2024, era stato preannunciato il principio di diritto dell’odierna sentenza che, oltre a esprimersi sulla questione specificamente devoluta della ripartizione del profitto tra i concorrenti, statuisce: “La confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene. La confisca è, invece, qualificabile per equivalente in tutti i casi in cui non sussiste il predetto nesso di derivazione causale”.

In effetti, tale conclusione, soprattutto laddove non associata alla (al tempo non ancora conosciuta) ridefinizione della natura della confisca per equivalente, faceva presagire una qualificazione della confisca del denaro come misura per equivalente (al tempo considerata sempre di natura punitiva) di fatto nella quasi totalità dei casi, tenuto conto della concreta difficoltà, nella casistica processuale, di dimostrare la derivazione dal reato di specifiche somme di denaro.

Il presagio, alla luce delle motivazioni ora pubblicate, si è rivelato solo in parte fondato, nei termini che è ora opportuno analizzare.

7.1. La Corte mette anzitutto in luce come il diritto vivente che affermava la natura (sempre) diretta dell’ablazione del denaro aveva fatto sorgere quattro principali problematiche.

i) La prima (evidenziata da Cass. Sez. II, n. 29923/2018, Salvini) attiene alla configurabilità del sequestro preventivo del denaro che non sia ancora presente nel patrimonio del reo, in quanto destinato a confluirvi in epoca successiva anche rispetto alla data di adozione della misura cautelare[23].

ii) La seconda (evidenziata da Cass. Sez. VI, n. 6816/2019, Sena e n. 15923/2015, Antonelli) riguarda i casi in cui oggetto della confisca diretta sia denaro di provata provenienza lecita (tanto antecedente che successiva rispetto alla commissione del reato)[24].

iii) La terza (evidenziata da Cass. Sez. VI, n. 19766/2019, Salina e n. 25427/2020, Stiriti) riguarda i casi di denaro depositato su conto corrente cointestato con soggetti diversi dall'autore del reato, che siano in grado di dimostrare la provenienza lecita del bene[25].

iv) La quarta (evidenziata da Cass. Sez. III, n. 23040/2020 Multi Service Srl e altre pronunce) attiene alle ipotesi in cui il denaro fosse già nella disponibilità del reo prima ancora della commissione del reato, e il profitto non è costituito tanto da un effettivo accrescimento patrimoniale, quanto, piuttosto, da un mancato decremento, da un mancato esborso[26].

Queste problematiche avevano inoltre portato a interpellare le Sezioni unite, che si sono espresse nella già menzionata sentenza Coppola del 2021, con cui è stato ribadito ed anzi esteso l’orientamento prevalente già fatto proprio dall’organo nomofilattico, affermando che è “in ogni caso del tutto indifferente l’identità fisica dei beni numerari oggetto di ablazione, cioè la loro corrispondenza materiale a quelli illecitamente conseguiti, tenuto conto delle peculiarità ontologiche e normative del bene-denaro, diverso rispetto a qualsiasi altro tipo di utilità[27]. Il principio è stato successivamente applicato in giurisprudenza, non senza significativi disallineamenti[28].

In sintesi, la natura diretta (presunta in maniera assoluta) del sequestro e della confisca del denaro era sino ad oggi motivata sulla base del carattere intrinseco di “fungibilità” del denaro e sull’effetto normativo di automatica “confusione” nel patrimonio del reo del profitto o del prezzo monetario conseguito attraverso il reato.

7.2. Queste conclusioni vengono rimeditate e superate dall’odierna sentenza.

- Quanto al tema della fungibilità, la Corte osserva che “esso inerisce alla cosa in sé, al suo carattere oggettivo, alla natura del bene, ma è esterno rispetto alla prova del nesso di pertinenzialità tra il bene e il reato che, invece, si risolve in un giudizio di relazione diverso rispetto alla natura giuridica del bene; un giudizio, quello sulla pertinenzialità, che non riguarda le caratteristiche del bene ma il legame (eziologico) di provenienza della res” (par. 17 del considerato in diritto). In altri termini, la fungibilità del denaro è caratteristica anodina rispetto alla prova che la cosa derivi dal reato: prova senz’altro resa complessa in ragione della possibile confusione con altre somme di denaro, ma non sempre impossibile. Non è pertanto consentito, poiché nessuna norma di legge lo permette, sorvolare sul presupposto indefettibile della confisca diretta, che è – come prima ricordato – il nesso di pertinenzialità con il reato. Diversamente ragionando, si giungerebbe a escludere in assoluto che possa aversi confisca per equivalente di somme di denaro e si verrebbe di fatto a creare un tertium genus di confisca, che si aggiungerebbe alle uniche due previste dalla legge: quella diretta sulla proprietà e quella di valore. Si riconosce, di fatto, come in questo modo, più che operare un adattamento estensivo delle esistenti nozioni di prezzo e profitto, si finisca per effettuare una sorta di applicazione analogica in malam partem[29].

- Quanto al tema della confusione con il resto del patrimonio, si osserva come tale circostanza dovrebbe semmai condurre alla soluzione opposta a quella affermata dalla giurisprudenza prevalente, e cioè a ritenere che proprio quando le somme direttamente derivanti dal reato si sono “confuse” con altre somme presenti nel patrimonio del soggetto la misura ablatoria non potrà che avere ad oggetto il tantundem ritrovato, ed essere quindi sempre per equivalente.

7.3. Ciò posto la Corte si premura altresì di indicare analiticamente i casi in cui la misura avente ad oggetto denaro debba considerarsi diretta e quando debba considerarsi per equivalente.

- In particolare, la confisca del denaro è “diretta” nei casi in cui: a) risulti che la somma confiscata sia proprio “quella” derivata dal reato; b) sia dimostrata la sostituzione/reimpiego dell’originario bene costituente prezzo/profitto con un diverso specifico bene, nei termini delineati anche dalle Sezioni Unite Focarelli e Miragliotta; c) vi sia la prova che il denaro versato su un conto sia poi stato prelevato e utilizzato per l’impiego e per l’acquisto di un ulteriore bene (si fa l’esempio del transito immediato della somma, che è versata e prelevata in circostanze di tempo e di fatto dimostrative del fatto che si tratti della stessa somma).

- Invece, la confisca è “per equivalente” nei casi in cui ha ad oggetto somme sopravvenute o preesistenti rispetto al reato o, comunque, a questo certamente non riconducibili; e cioè quando riguarda: a) somme giacenti sul conto corrente allorché non sia possibile il “tracciamento” degli incrementi patrimoniali in denaro; b) somme relative ad emolumenti stipendiali o assimilabili; c) somme relative a pagamenti da parte di soggetti terzi in adempimento di prestazioni non collegabili al reato; d) somme provento di vendita di beni acquistati in epoca antecedente alla commissione dell'illecito; e) somme confluite su un conto corrente cointestato, ma relative a proventi di uno dei correntisti estraneo al reato.

 

 8. L’applicazione del sequestro e della confisca in caso di reato concorsuale. Anche per quanto riguarda la questione specifica rimessa alle Sezioni unite, queste ultime giungono a conclusioni divergenti rispetto all’orientamento sino ad oggi prevalente.

Il tema è di grande interesse teorico e pratico, in quanto riguarda i limiti quantitativi entro cui ciascun concorrente nel reato può essere attinto dalla misura ablatoria. Allorché un reato abbia generato un provento e lo stesso non consista in un bene infungibile aggredibile in forma diretta, sorge il problema di stabilire entro quali limiti valoriali possa essere disposto il sequestro e la confisca del denaro o di quella per equivalente in capo a ciascuna delle persone che ha concorso in quel reato.

8.1. Sulla questione si registrava un contrasto giurisprudenziale che ha visto contrapporsi diversi orientamenti, perspicuamente evocati nell’ordinanza di rimessione.

a. Un primo indirizzo, sino ad oggi maggioritario, aderendo a una impostazione “solidaristica-monista”, ha sostenuto che il sequestro e la confisca sarebbe possibile in capo a ciascun correo per l’intero (cioè apprendendo nei suoi confronti tutto il profitto generato dal reato, ovviamente nei limiti del suo ammontare complessivo)[30]. La ripartizione tra gli stessi rimarrebbe ininfluente in sede penale, costituendo un fatto interno ai rapporti tra i correi. A sostegno di questa tesi si adduceva: i) la funzione sanzionatoria della confisca di valore, che giustifica il richiamo alla compartecipazione criminosa; ii) il carattere unitario del reato concorsuale sostenuto dalla “teoria monista” del concorso di persone di cui all’art. 110 c.p., per cui tutti i correi sono sottoposti alla medesima pena prevista per il reato; iii) il riferimento civilistico alla solidarietà passiva delle obbligazioni.

b. Un secondo orientamento, che potremmo definire adesivo a una tesi “solidaristica residuale”, ha sostenuto che la solidarietà tra correi dovrebbe essere l’extrema ratio, attuabile solo nel caso in cui non sia accertabile la quota di profitto di ciascuno[31]. Questo orientamento ha preso le mosse da un passaggio della sentenza delle Sezioni unite Fisia Italimpianti del 2008 in cui, non recependo nella sua assolutezza il principio di solidarietà passiva, si era spiegato che la confisca per l’intero profitto nei confronti di ciascun concorrente nel reato è sempre subordinata alla impossibilità di individuare la quota dal singolo compartecipe conseguita a seguito dell'illecito.

c. Infine, secondo una terza esegesi – che, proseguendo nel paragone con l’istituto civilistico delle obbligazioni, potremmo etichettare come tesi “parziaria” – il sequestro e la confisca andrebbero invece sempre disposte con una ripartizione tra i correi, senza ricorrere al principio di solidarietà. Qualora non sia possibile quantificare il reale profitto conseguito da ciascun correo, si dovrebbe ricorrere a un criterio residuale. Ci si era però divisi sull’individuazione di tale criterio residuale:

c.1 Secondo una prima impostazione (diciamo “parziaria pro quota”), il criterio residuale dovrebbe essere quello di graduare l’entità della misura ablatoria con riferimento al “grado di partecipazione del singolo concorrente alla formazione e acquisizione del profitto o del prezzo”[32].

c.2 Secondo una diversa impostazione (“parziaria egualitaria”), invece, qualora non sia possibile determinare il profitto conseguito da ciascun singolo concorrente, dovrebbe soccorrere il criterio della ripartizione in quote uguali tra i correi[33].

8.2. È proprio quest’ultima impostazione ad essere oggi accolta dalle Sezioni Unite. Per giungere a tale conclusione, la Corte procede anzitutto a scardinare i tre argomenti principali impiegati a sostegno della tesi maggioritaria solidaristica-monista.

Quanto al carattere sanzionatorio della confisca di valore (i), si ribadisce che la confisca per equivalente, pur avendo una componente sanzionatoria, assolve fisiologicamente ad una funzione di riequilibrio, nel senso che tende a rimettere la sfera giuridica patrimoniale del reo nella stessa situazione che avrebbe avuto se il reato non fosse stato commesso, e non ha carattere strettamente punitivo.

Quanto al modello unitario del reato concorsuale (ii), si osserva come tale teoria – peraltro non pacifica - non giustifica comunque l’applicazione in concreto a tutti i concorrenti della stessa sanzione in modo fisso e predeterminato e, soprattutto, non consente a taluno dei correi di farsi carico della pena da infliggere all’altro compartecipe.

Quanto al riferimento all’istituto civilistico della solidarietà passiva della obbligazione (iii), la Corte evidenzia come non sia affatto chiara la ragione che lega il tema della obbligazione solidale civile con quello del concorso del reato e con la confisca per equivalente e che, anzi, la solidarietà (e l’automatismo che ne deriva) appare istituto incompatibile con il principio di proporzionalità, avente rilievo anche sovranazionale in fonti primarie (artt. 5 par. 3 e 4 T.U.E., art. 49 par. 3 e art. 52 par. 1 CDFUE) e secondarie (art. 1 par. 3 Regolamento 2018/1805/UE; cons. n. 17 e 18 Direttiva 2014/42/UE e cons. 27 e 49 della nuova Direttiva 2024/1260/UE). Proporzionalità che, secondo una distinzione tracciata in dottrina facendo anche riferimento alla letteratura anglosassone[34], può assumere una differente struttura logica a seconda del tipo di istituto di cui si intende vagliare la legittimità. La struttura è essenzialmente “retrospettiva” o backward-looking quando viene in rilievo una misura punitiva, a cui si richiede di non eccedere nella risposta sanzionatoria rispetto alla gravità del fatto commesso nel passato. È invece “prospettica” o “forward-looking” rispetto ad ogni altra misura restrittiva dei diritti fondamentali, avente natura preventiva o ripristinatoria, a cui si richiede di non incidere in maniera inidonea, non necessaria o non proporzionata (in senso stretto) rispetto alle legittime finalità che essa persegue.

È evidentemente in questa seconda conformazione che viene in rilievo il giudizio di proporzionalità a cui sottoporre la confisca del prezzo/profitto, nella misura in cui possiede e mantiene in concreto natura ripristinatoria, non punitiva. Sotto questo punto di vista, il principio di solidarietà tra correi, che dà la stura ad una ablazione indistinta, fissa e totalizzante nei riguardi del singolo, anche di quello che non abbia conseguito nessun arricchimento o che abbia conseguito una quota-parte di profitto inferiore rispetto all’oggetto della ablazione, non risulta conforme al principio di proporzionalità[35].

8.3. Sgombrato così il campo dalle tesi solidaristiche, la Corte si sofferma in positivo su come debba avvenire l’accertamento del conseguimento di un profitto in capo a ciascun concorrente. La questione, si osserva, diviene un problema di carattere processuale-probatorio.

Sebbene sia senz’altro riconoscibile la massima di esperienza secondo cui “chi partecipa alla commissione di un reato generatore di lucro lo fa per conseguire personalmente un vantaggio che, nella maggiore parte dei casi, ha una sua consistenza economica”, è altrettanto vero che tale generalizzazione empirica “deve essere compensata da una ancora più rigorosa opera giudiziale di investigazione e verifica della sua affidabilità nel caso concreto” (par. 32 del considerato in diritto).

Da un lato, infatti, resta naturalmente a carico del pubblico ministero dimostrare il quantum di profitto conseguito, senza accontentarsi di mere presunzioni, ma facendo caso per caso riferimento al contenuto e al senso del “patto” criminoso, alle intese tra i concorrenti, alla “qualità” dell’adesione alla compartecipazione, al tipo di percorso che l’ha preceduta e alla “serietà” del contesto ambientale in cui la decisione di partecipare al reato è maturata.

Dall’altro, potranno essere allegati dalla difesafatti dimostrativi della partecipazione del singolo concorrente al reato per ragioni diverse rispetto a quella di trarre una indebita locupletazione e che potrà condurre ad un accertamento anche della inesistenza di un effettivo arricchimento da parte del compartecipe” (si porta l’esempio della partecipazione al reato per costrizione, per fatto illecito altrui, per conseguire vantaggi non derivanti dal reato o per acquistare “fama criminale”); e in questo senso può assumere rilievo “la situazione concreta, i rapporti tra i correi, le aspettative specifiche del singolo - cioè il movente della condotta del singolo concorrente - il senso, il tempo, le condizioni e il contenuto dell’accordo di compartecipazione, il ruolo, le aspettative e la condotta in concreto compiuta del singolo rispetto al piano organizzativo del reato”.

In questo bilanciamento probatorio, trova giustificazione – conclude laconicamente la Corte – la regola di chiusura del riparto del vantaggio derivante dal reato in parti uguali tra i correi. Regola residuale, operante nel caso in cui “sia stato provato il conseguimento da parte del singolo partecipe di una quota di profitto o di prezzo del reato” (e dunque sussista la prova, nei modi anzidetti, dell’an di un suo qualche arricchimento); ma, al contempo, “nessuna delle parti sia stata in grado di quantificare in concreto il vantaggio, di ‘dividere’ il complessivo arricchimento indebito” (e resti dubbio quindi solo il quantum di quota-profitto da lui trattenuto).

8.4. Infine, si precisa che il descritto limite quantitativo alla confisca opera anche nella fase cautelare, con riferimento al sequestro preventivo ad essa prodromico. Il chiarimento si impone in quanto un parte della giurisprudenza, facendo leva sulla differenza di struttura e di funzione fra sequestro preventivo e confisca, aveva proposto una diversa conformazione del vincolo reale nel reato concorsuale in relazione ai due istituti[36].

Secondo un primo indirizzo, la regola che imporrebbe la suddivisione dell’ammontare del profitto fra i correi in proporzione dei loro effettivi profitti sarebbe applicabile solo in relazione alla confisca e non al sequestro preventivo, che – in quanto misura cautelare, scevra di qualsiasi logica afflittiva – potrebbe coinvolgere il patrimonio del singolo correo per l’intero profitto derivante dal reato [37]. Secondo un diverso orientamento, che invece ripudia il principio solidaristico anche per il sequestro, anche quest’ultimo dovrebbe ripartirsi tra i correi ed essere soggetto alla regola residuale del riparto in quote uguali[38].

Le Sezioni unite aderiscono a questa seconda impostazione, rammentando che in ragione della sua natura strumentale e anticipatoria rispetto al successivo provvedimento di merito (la confisca), il sequestro, come ogni misura cautelare, non può incidere sui diritti in misura maggiore rispetto a quanto sia destinato a fare il provvedimento definitivo al quale la cautela è servente, operando del resto anche in sede cautelare il principio di proporzionalità[39].

Dunque, anche in fase di sequestro, l’oggetto della prova non muta. Cambia, tuttavia, l’entità dell’onere e del contenuto motivazionale del provvedimento, dovendosi tenere conto “delle caratteristiche proprie della fase procedimentale, del suo sviluppo, degli elementi acquisiti, e, in particolare, ‘dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione’” (par. 33 del considerato in diritto)[40].

 

9. In conclusione, la Corte formula i seguenti principi di dirittoLa confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene. La confisca è, invece, qualificabile per equivalente in tutti i casi in cui non sussiste il predetto nesso di derivazione causale. In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. Il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in parti uguali. I medesimi principi operano in caso di sequestro finalizzato alla confisca per il quale l'obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agli elementi acquisiti”.

***

10. La corposa – e densa di contenuti – sentenza delle Sezioni Unite rappresenta senz’altro uno snodo fondamentale nel percorso evolutivo del nostro ordinamento in materia di misure ablatorie patrimoniali. Riservando ad altra più opportuna sede, e a più autorevoli commentatori, ogni ulteriore riflessione, sia consentito aggiungere a quanto già sopra osservato solo qualche sintetica considerazione a prima lettura.

Le conclusioni cui giunge la Corte hanno sicuramente il merito di rimeditare assunti giurisprudenziali che, nell’assolutezza della presunzione su cui riposavano, erano forieri di criticità dogmatiche e prestavano il fianco a dubbi di legittimità costituzionale, soprattutto in relazione al principio di solidarietà tra i correi nell’apprensione del profitto. Assunti, nondimeno, che possedevano non trascurabili ricadute pratiche e, soprattutto per quanto riguarda la qualificazione come (sempre) “diretta” della confisca del denaro, ambivano a una maggiore prevedibilità della decisione giudiziaria (nonostante, come si è visto, non mancassero taluni disallineamenti giurisprudenziali). La presente svolta, come ogni mutamento giurisprudenziale, richiederà fisiologici tempi di assestamento e, naturalmente, l’opportunità di essere trattata – a certi fini – come ius superveniens, interrogandosi sulle sue implicazioni concrete. Implicazioni che dovranno essere altresì vagliate in punto di applicazione di ulteriori istituti, quali ad esempio quello di cui all’art. 578-bis c.p. relativo all’applicazione della confisca in appello a seguito di amnistia o prescrizione del reato[41].

Del resto, il precedente orientamento che presumeva la natura diretta della confisca del denaro aveva l’indubbio effetto di estendere notevolmente sul piano statistico le ipotesi in cui il sequestro e la confisca potevano ritenersi “diretti” e quindi applicabili in relazione a qualsiasi reato, in virtù della norma generale di cui all’art. 240 c.p. Il nuovo approdo giurisprudenziale della Corte, viceversa, relega inevitabilmente a ben minori casi la possibilità di considerare “diretta” la misura ablatoria. Ne consegue che rimangono per così dire “scoperte” molte ipotesi delittuose non assistite da norme speciali che contemplino la confisca per equivalente: si pensi ad esempio alle truffe il cui profitto consista nel denaro (fuori dai casi richiamati dall’art. 640-quater) o ai reati fallimentari, in particolare nei casi di distrazione patrimoniale di somme dai conti correnti societari; o anche, con riferimento al prezzo del reato, ai casi di omicidio o altro delitto violento in cui l’esecutore materiale sia stato remunerato con denaro, successivamente occultato o disperso.

Si tratta di aporie non irrilevanti, ma che probabilmente devono addebitarsi più al legislatore che all’interpretazione fatta propria dall’odierna sentenza. Come si è infatti notato nel corso della suesposta trattazione, le conclusioni della Corte, tanto in punto di natura ripristinatoria della confisca, sia “diretta” sia “per equivalente”, quanto in punto di qualificazione dell’ablazione del denaro, appaiono teoricamente e dogmaticamente condivisibili. Il problema è, piuttosto, la dubbia ragionevolezza del sistema normativo nel quale tali conclusioni vanno ad innestarsi, nella misura in cui la legge continua a limitare le ipotesi di confisca per equivalente a singole (per quanto ormai numerose) fattispecie delittuose. Si può infatti ora lecitamente dubitare dell’opportunità di distinguere tra reati a cui è applicabile solo la misura diretta e altri per i quali è ammessa anche quella per equivalente, se – come oggi affermato dalle Sezioni Unite – i due istituti svolgono la medesima identica funzione, tanto che l’una (quella di valore) deriva la propria natura dall’altra (quella diretta) e ne è un mero surrogato. Da questo punto di vista, le anzidette aporie possono più adeguatamente addebitarsi al diritto positivo, e per sanare le stesse non è opportuno invocare una retromarcia verso esegesi che, pur con intento pragmatico, finiscano per forzare quello stesso ius positum che in quanto tale è limite dell’ermeneutica giurisprudenziale.

Infine, quanto al tema del riparto del profitto confiscabile in caso di concorso di persone nel reato si è già potuto osservare come trattasi di questione da tempo ampiamente discussa nel nostro ordinamento, e sul cui non vi erano state sino ad oggi chiare prese di posizione da parte delle Sezioni unite. La Suprema Corte, pertanto, con la sentenza odierna, svolge sul punto un importante compito di nomofilachia e, negando cittadinanza al principio della solidarietà tra i correi nell’apprensione dei proventi illeciti, sposa un’interpretazione in larga parte coerente proprio con la funzione “ripristinatoria” del sequestro e della confisca. Un’interpretazione che sino ad oggi era rimasta minoritaria nel nostro ordinamento, ma che era invece stata da tempo accolta in altri contesti, tra cui ad esempio quello nordamericano: può ad esempio menzionarsi la pronuncia della Corte Suprema Honeycutt v. United States, del 5 giugno 2017 che aveva sancito l’inammissibilità di una confisca che colpisca (rectius sanzioni) chi non ha goduto affatto del lucro generato dal delitto, anche laddove di tale reato sia comunque corresponsabile e dunque meritevole di sanzione; conclusione, quest’ultima, che trova spiegazione proprio nel fatto che la funzione della confisca dei proventi non risiede nell’esigenza di punire la persona per il reato, bensì in quella di evitare arricchimenti illeciti di chi abbia tratto giovamento economico grazie al reato.

L’abbandono del principio di solidarietà tra i correi va infatti di pari passo al superamento della ratio di fondo che animava quel principio, ossia il carattere punitivo della misura ablatoria. In quanto equiparabile a una “pena”, si riteneva fisiologico che la misura potesse sottrarre al singolo correo più di quanto da questi percepito in concreto, perché tale surplus si poteva giustificare come inflizione di quella “sofferenza aggiuntiva” che connota ogni sanzione punitiva. Negando invece la natura punitiva della confisca e assegnando ad essa una funzione meramente ripristinatoria, essa deve tendere ad apprendere nulla più di quanto sia stato il concreto e individuale arricchimento illecito della persona.

Da questo punto di vista, allora, potrebbe destare qualche perplessità il criterio residuale della ripartizione in parti uguali, con cui si corre in effetti il rischio di apprendere ad alcuni dei concorrenti più di quanto concretamente abbia lucrato, lasciando altri nella disponibilità di una parte del vantaggio illecito conseguito. D’altra parte, il diverso criterio della commisurazione al grado di responsabilità di ciascun concorrente avrebbe implicato di ricorrere a una logica propria delle misure punitive, da ancorare alla gravità del fatto (secondo lo schema della proporzionalità “retrospettiva” di cui si è detto), e non delle misure ripristinatorie (soggette a un vaglio di proporzionalità “prospettico”); ciò in potenziale contraddizione con le premesse. Peraltro, anche tale diverso criterio, a ben guardare, non permette di eliminare il rischio che l’ablazione nei confronti del singolo concorrente superi quanto in concreto effettivamente lucrato, sul piano economico, con l’illecito. Si tratta quindi di un problema, quest’ultimo, che rimane aperto e senz’altro suscettibile di futuri approfondimenti.

 

 

[1] La relativa ordinanza di rimessione è consultabile su questa Rivista. Tra i commenti all’ordinanza, su questa Rivista, si veda Bianchi M., Confisca e correità. Responsabilità in solido o per quote individuali?, 25 settembre 2024.

[2] La requisitoria della Procura generale, a firma del Sostituto Procuratore Generale dott. Pietro Molino e dell'Avvocato Generale, dott. Pasquale Fimiani, è consultabile su questa Rivista.

[3] Si cita sul punto Corte cost., sent. n. 29 del 1961, corsivo aggiunto.

[4] Al riguardo la Corte precisa anche che “è giuridicamente irrilevante che il prezzo sia stato corrisposto - verosimilmente - utilizzando una parte del vantaggio, cioè del profitto, derivante dal reato di corruzione, cioè il vantaggio che i corruttori abbiano conseguito per effetto del reato di corruzione e, in particolare, dell'aggiudicazione inquinata degli appalti”, in quanto è la dazione attuativa del patto corruttivo ad essere stata confiscata.

[5] Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2007, Miragliotta, in Dir. pen. proc., 2008, pp. 1295 ss., con nota di Lottini, La nozione di profitto e la confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p.; in Foro it., 2009, II, p. 225; con nota di Nicosia, Recenti problemi interpretativi in tema di beni confiscabili. Cfr. anche Nicosia E., La confisca, le confische. Funzioni politico-criminali, natura giuridica e problemi ricostruttivo-applicativi, Giappichelli, Torino, 2012, p. 145.

[6] Cfr. Mucciarelli F.-Paliero C.E., Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 4/2015, pp. 246 ss.. Cfr. anche, tra i molti, Manes V., L’ultimo imperativo della politica criminale: nullum crimen sine confiscatione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1274; Maugeri A.M, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Giuffrè, Milano, p. 145 ss.; Mongillo V., Confisca (per equivalente) e risparmi di spesa: dall’incerto statuto alla violazione dei principi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 716 ss.; nonché Ambrosetti E. M., in Ambrosetti-Mezzetti-Ronco, Diritto penale dell’impresa, pp. 483 s.; Borsari R., Reati tributari e confisca di beni societari. Ovvero, di un’occasione perduta dalle Sezioni Unite, in Le Soc., 2014, p. 874; Guidi D, Confisca e reati tributari, Giuffrè, Milano, 2017, p. 156. Inoltre, sul tema, Alessandri A., Confisca e imprese: spunti e problemi, in Paliero-Viganò-Basile-Gatta (a cura di), La pena, ancora. Fra attualità e tradizione – Studi in onore di Emilio Dolcini, II, Milano, Giuffrè, 2018, pp. 1082 ss.; Perini A., La progressiva estensione del concetto di profitto del reato quale oggetto della confisca per equivalente, in Nuovi modelli di intervento penale: sequestro e confisca per equivalente, in Rescigno P.-Weigmann R.-Gaito A.-Modugno F. (a cura di), Dottrina e attualità giuridiche nel diritto civile, commerciale, penale e pubblico, Torino, 2010 cit., p. 910 ss.

[7] Direttiva (UE) 2024/1260 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 aprile 2024 riguardante il recupero e la confisca dei beni, già segnalata su questa Rivista. Per un commento al riguardo, cfr. anche, A.M. Maugeri, La nuova direttiva 2024/1260 per il recupero e la confisca dei beni: un complessivo sforzo di armonizzazione per la lotta al crimine organizzato e all’infiltrazione criminale nell’economia, in questa Rivista, 30 dicembre 2024.

[8] Cfr. Cassella S. D., Asset Forfeiture Law in the United States, II ed., 2013, p. 900 ss.

[9] Cfr. già Cass., sez. VI., 19 marzo 1986 (dep. 26 settembre 1986), n. 9903, Tedeschi. Critiche rispetto a questa qualificazione sono state mosse dalla dottrina: cfr., in particolare, Alessandri A., voce Confisca nel diritto penale, in Dig. pen., III, Utet, Torino, 1989 p. 44; nonché Maugeri A. M., Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, p. 514 ss.; Mucciarelli F., Profili generali, in Epidendio-Varraso (a cura di), Codice delle confische, Giuffrè, Milano, 2018, p. 105; Visconti C., Dalla “vecchia” alle “nuove” confische penali: recenti tendenze di un istituto tornato alla ribalta, in Studium iuris, 2002, p. 965.

[10] Come affermato in dottrina, “la confisca per equivalente salta la corrispondenza in termini qualitativi, ma non quantitativi” (Bartoli R., Ripensare le confische, in La legislazione penale, 2023, p. 8; in un passaggio ripreso anche dalle Sezioni Unite, par. 11 del considerato in diritto). In questo senso le Sezioni unite riconoscono che la confisca di valore non è che un “surrogato” della confisca diretta, come già evidenziato, tra gli altri, da Scoletta M., La confisca di denaro quale prezzo o profitto del reato è sempre “diretta” (ancorché il denaro abbia origine lecita). Esiste un limite azionabile alla interpretazione giudiziaria della legge penale?, in questa Rivista, 23 novembre 2021.

[11] Finocchiaro S., Riflessioni sulla quantificazione del profitto illecito e sulla natura giuridica della confisca diretta e per equivalente, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., fasc. 3/2020, p. 322 ss., e in questa Rivista, p. 24 ss.

[12] Cfr., tra gli altri, Nicosia E., La confisca, le confische. Funzioni politico-criminali, natura giuridica e problemi ricostruttivo-applicativi, Giappichelli, Torino, 2012, p. 149 ss.

[13] Oltre alle note sentenze delle Sezioni unite Fisia Italimpianti (2008), Gubert (2014), Lucci (2015) e Coppola (2021) afferma la natura punitiva della confisca di valore, tra l’altro, anche Cass., Sez. Un. pen., 31 gennaio 2013 (dep. 23 aprile 2013), n. 18374, Adami.

[14] Sulla distinzione tra i concetti di afflizione, sanzione e punizione, cfr. Viganò F., Garanzie penalistiche e sanzioni amministrative, in Riv. It. Dir. Pen. Proc., 2020, fasc. 4, p. 1784, il quale osserva che “il connotato di “afflittività”, che pure può certamente essere invocato (accanto ad altri fattori) come indizio per l’attribuzione di una natura “punitiva” a una determinata sanzione, si limita ad alludere all’incidenza della misura sui diritti fondamentali del destinatario, che però è comune a una quantità del tutto eterogenea di misure che non necessariamente hanno natura punitiva, e che nemmeno potrebbero essere qualificate come “sanzioni” per un comportamento illecito”. Cfr. anche Masera L., La nozione costituzionale di materia penale, 2018, p. 212.

[15] Mazzacuva Fr., Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, Giappichelli, Torino, 2017, p. 27 s. e 71 s.; Cfr. Zaffaroni E. R., Alla ricerca delle pene perdute. Delegittimazione e dommatica giuridico-penale, ESI, 1994, p. 215.

[16] Finocchiaro S., Riflessioni sulla quantificazione del profitto, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., fasc. 3/2020, p. 322 ss., e in questa Rivista, p. 12 ss.

[17] Sul punto cfr. Trinchera T., Confiscare senza punire, Giappichelli, 2020, p. 427 ss.; Nicosia E., La confisca, le confische, cit., p. 145 e, volendo Finocchiaro S., Confisca di prevenzione e civil forfeiture. Alla ricerca di un modello sostenibile di confisca senza condanna, Giuffré, Milano, 2022p. 362 ss. Al riguardo cfr. anche quanto osservato da Corte cost. n. 24/2019.

[18] In linea di continuità rispetto alla sentenza n. 112/2019, si veda più di recente anche la sentenza n. 7/2025 della Corte costituzionale.

[19] Il riferimento è in particolare alla sentenza Kokesh v. Securities and Exchange Commission, 581 U.S. (2017) in materia di disgorgement.

[20] La Corte afferma (par. 11.1): “tra le due forme di confisca, ancorché distinte per avere ad oggetto - quanto alla confisca diretta - i beni derivanti da quel determinato reato, e - quanto a quella per equivalente - altri beni di eguale valore, non vi è una reale diversità di natura giuridica" in quanto neppure la confisca di valore può dirsi di per sé punitiva, poiché", come appunto spiegato dalla Corte costituzionale, "l'ablazione del profitto non può espandersi oltre quanto il reato abbia apportato”. Cfr. sul punto Bartoli R., Brevi considerazioni in tema di confisca del profitto, in Dir. Pen. Cont., 2016, p. 8.

[21] Svolgevamo questo esempio in Finocchiaro S., Riflessioni sulla quantificazione del profitto, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., fasc. 3/2020, p. 322 ss., e in questa Rivista, p. 28.

[22] Ai sensi del nuovo comma 1-bis all’art. 86 disp. att. cod. proc. pen. “qualora sia stata disposta una confisca per equivalente di beni non sottoposti a sequestro o, comunque, non specificamente individuati nel provvedimento che dispone la confisca, l'esecuzione si svolge con le modalità previste per l'esecuzione delle pene pecuniarie”.

[23] Cass. Sez. II, n. 29923 del 12/04/2018, Salvini, non massimata, secondo cui è legittimo il sequestro finalizzato alla confisca diretta dell'importo pari al profitto del reato "ovunque e presso chiunque custodito e quindi anche di quello pervenuto sui conti e/o depositi in data successiva all'esecuzione del provvedimento genetico"

[24] Cass. Sez. VI, n. 6816 del 29/01/2019, Sena, Rv. 275048 con cui si è affermata la necessità di apportare un correttivo alle conseguenze della fungibilità del denaro e della incidenza di tale aspetto sulla confisca del profitto del reato nel senso di ritenere diretto il sequestro preventivo, purché si tratti di denaro già confluito nei conti o nei depositi al momento della commissione del reato ovvero al momento del suo accertamento. Nello stesso senso Cass. Sez. VI, n. 15923 del 26/03/2015, Antonelli, Rv. 263124.

[25] Cass. Sez. VI, n. 19766 del 11/12/2019, dep. 2020, Salina, Rv. 279277; Sez. VI, n. 25427 del 4/03/2020, Stiriti, non mass., in cui si è evidenziato come l'analisi debba essere "spostata" al momento precedente la costituzione della comunione sul denaro, atteso che, diversamente, si ammetterebbe, in via generalizzata, il sequestro funzionale alla confisca diretta del prezzo o del profitto del reato di beni che possono appartenere a soggetti diversi dall'indagato.

[26] Cass. Sez. III, n. 23040 del 01/07/2020, Multi Service Srl, Rv. 279827; Sez.III, n. 22061 del 23/01/2019, Moroso, Rv. 275754; Sez. III, n. 6348 del 04/10/2018, dep. 2019, Torelli, Rv. 274859; Sez. III, n. 8995 del 30/10/2017, dep. 2017, Barletta, Rv. 272353.

[27] Cass., Sez. un., sent. 27 maggio 2021 (dep. 18 novembre 2021), n. 42415, Pres. Cassano, Rel. Mogini, imp. Coppola, con nota, tra gli altri, di Scoletta M., La confisca del denaro, cit., in questa Rivista, 23 novembre 2021.

[28] Ad esempio in tema di mancati esborsi (Cass. Sez. III, n. 6577 del 24/10/2023 - dep. 2024 - Curatela Fallimento Heintzmann Italia Spa, Rv.285951; Sez. III, n. 11086 del 28/03/2022, Pulvirenti, Rv. 283281), e nei casi in cui vi era la prova della derivazione lecita del denaro sopraggiunto sul conto dopo la commissione del reato, ovvero la prova della impossibilità di confusione tra il prezzo o il profitto conseguito e le somme sopravvenute (Cass. Sez. V, n. 36223 del 28/06/2024, Maggioni, Rv. 286945; Cass. Sez. V, n. 31186 del 27/06/2023, Orsini, Rv. 285072).

[29] Lo faceva notare già Scoletta M., La confisca del denaro, cit., in questa Rivista, 23 novembre 2021.

 

[30] Vengono citate, tra le altre, Cass. Sez. II, n. 13008 del 31/01/2024, Vartolo, non mass.; Sez. VI, n. 8124 del 23/01/2024, Toteda, non mass.; Sez. II, n. 51720 del 30/11/2023, Argentato, non mass.; Sez. VI, n. 24914 del 18/05/2023, Nizzoli, non mass.; Sez. II, n. 22073 del 17/03/2023, Fiordigigli, Rv. 284740; con specifico riferimento alla confisca per equivalente: Sez. IV, n. 31139 del 16/04/2024, Bassu, non mass.; Sez. III, n. 43273 del 07/07/2023, Giannicola, non mass, sul punto; Sez. III, n. 25317 del 31/05/2023, Diana, non mass.; Sez. II, n. 33755 del 15/07/2016, Nardecchia, Rv. 267576.

[31] Cass. Sez. III, n. 11617 del 06/03/2024, Ventrone, Rv. 286073; Sez. 3, n. 5483 del 25/10/2023, dep. 2024, Navaro, non mass; Sez. 6 n. 33757 del 10/06/2022, Primitivo, Rv. 283828; Sez. 6, n. 29205 del 30/06/2021, Pizzolante, non mass; Sez. 6, n. 6607 del 21/10/2020, dep. 2021, Venuti, Rv. 281046.

[32] Cass. Sez. VI, n. 10612 del 05/12/2023 Bianco, dep. 2024, Rv. 286168, in tema di peculato; nello stesso senso Sez. VI, n. 23203 del 05/03/2024, Petrini, cit., in tema di corruzione.

[33] Cfr. Sez. VI, n. 4727 del 20/01/2021, Russo, Rv. 280596; Sez. V, n. 20101 del 12/12/2014- dep. 2015, Giallongo, Rv.263835.

[34] Viganò F., La proporzionalità nella giurisprudenza recente della Corte costituzionale: un primo bilancio, in questa Rivista, 8 gennaio 2025; Id., La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Giappichelli, Torino, 2021, pp. 119 s. e 239 ss.; Recchia N., Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, Giappichelli, Torino, 2020, p. 233 s. Quanto alla dottrina anglosassone:, R. A. Duff, Proportionality and the Criminal Law: Proportionality of What to What?, in E. Billis, N. Knust, J. P. Rui (ed.), Proportionality in Crime Control and Criminal Justice, Oxford, Hart, 2021, p. 29 ss.; H. L. A Hart, Prolegomenon to the Princoles of Punishments, in Punishment and Responsibility, 1968.

[35] Ciò posto, la Corte chiarisce che, “anche laddove si ragionare nel senso dell’indirizzo interpretativo che attribuisce alla confisca in esame una funzione ‘eminentemente’ punitiva, nondimeno la possibilità di disporre una indistinta confisca senza arricchimento rivela comunque una forte tensione con il giudizio di proporzionalità e, più in generale, con il principio di colpevolezza” (par 31.1 del considerato in diritto).

[36] Sul punto cfr. Bianchi M., Confisca e correità, cit., in questa Rivista, 25 settembre 2024.

[37] Cass. Sez. VI, n. 4727 del 20/01/2021, Russo; Cass. Sez. V, n. 20101 del 12/12/2014, dep. 2015, Giallongo.

[38] Cfr. ad esempio, Cass. Sez. VI, n. 33757 del 10/06/2022, Primitivo, Rv. 283828; Sez. VI, n. 6607 del 21/10/2020, dep. 2021, Venuti, Rv. 281046).

[39] Si fa rifermento ad un principio assodato: cfr. Cass. Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Eliade, Rv. 281848; Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548; Sez. U, n. 51660 del 25/09/2014, Zambito, Rv. 261118; Sez. U, n. 5876 del 28/10/2004, Bevilacqua, Rv. 226713.

[40] Si richiama sul punto quanto statuito da Cass., Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, già citata.

[41] Si rammenterà infatti che tale disposizione è stata ritenuta inapplicabile retroattivamente in caso di confisca per equivalente, in ragione del suo carattere “afflittivo” inteso nel senso di sostanzialmente “punitivo” (cfr. ad es. Cass. sez. III, 21.1.2022, n. 7882, Viscovo; e Cass. sez. II, 8.3.2023, n. 17354, Tinè).