Cass. sez. VI sent. 13 febbraio 2024 (dep. 5 aprile 2024), n.14047, pres. Fidelbo, rel. Di Geronimo
1. Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla motivazione del decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, nell’ambito della disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti[1].
Sul punto, i giudici di legittimità hanno affermato il principio di diritto secondo cui, nel “sistema 231”, «il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca richiede una specifica motivazione in ordine alle ragioni per le quali i beni suscettibili di apprensione potrebbero, nelle more del giudizio, essere modificati, dispersi, deteriorati, utilizzati o alienati, tenendo conto della tipologia dei beni presenti nel patrimonio del destinatario della confisca, senza che le esigenze cautelari possano essere desunte esclusivamente dall’incapienza del patrimonio rispetto al presumibile ammontare della confisca».
I profili fattuali che hanno caratterizzato la vicenda in esame possono essere compendiati in pochi rilievi. Il Tribunale di Macerata rigettava la richiesta di riesame proposta dall’ente avverso il decreto di sequestro preventivo del profitto derivante dall’illecito amministrativo di cui all’art. 24 D. Lgs. 231/2001 in relazione ai “delitti presupposto” di indebita percezione di erogazioni, truffa ai danni dello Stato e frode nelle pubbliche forniture[2]. A tale esito il Tribunale del riesame giungeva senza attribuire alcun valore alla produzione documentale, pur versata in atti dal ricorrente, la quale comprovava la capienza del patrimonio societario e l’insussistenza del rischio di sottrazione del profitto alla eventuale successiva confisca. Nella prospettazione avallata dai giudici a quibus, infatti, la natura obbligatoria della confisca nei procedimenti contra societatem (art. 19 D. Lgs. n. 231/2001) avrebbe escluso tout court la necessità di vagliare il periculum in mora.
Avverso tale provvedimento l’ente formulava un unico motivo di ricorso, mediante il quale veniva dedotta la violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza in re ipsa delle esigenze cautelari sottese al sequestro del profitto del reato. Motivo la cui fondatezza era infine riconosciuta dai giudici di legittimità.
2. Al fine di comprendere i termini della questione e la linea ermeneutica seguita dalla Corte, appaiono indefettibili alcune brevi notazioni in ordine alla operatività del sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca nell’ambito del processo de societate, ai sensi dell’art. 53 D. Lgs. n. 231/2001.
Come noto, tale ultima disposizione presenta una rilevante contiguità funzionale con l’omologo istituto codicistico disciplinato dall’art. 321, comma 2 c.p.p. Entrambe le cautele, infatti, risultano finalisticamente orientate ad assicurare la presenza di beni che, all’esito del giudizio, potranno essere sottoposti a confisca.
A ben vedere, tuttavia, tra le due tipologie di sequestro non vi è perfetta simmetria. Difatti, se nel sistema delineato dal D. Lgs. 231/2001, il «prezzo» o il «profitto» del reato «sono sottoposti ad un provvedimento ablativo di natura obbligatoria»[3], per converso, nel procedimento a carico dell’imputato-persona fisica, ad essere oggetto di ablazione obbligatoria, a mente dell’art. 240 c.p., è unicamente il «prezzo» e non anche il «prodotto» o il «profitto» dell’azione delittuosa[4]. Un simile apprezzamento in termini di «intrinseca pericolosità formulato dal legislatore nei confronti del profitto e del prezzo del reato»[5] nel D. Lgs. n. 231/2001, influenza, inevitabilmente i presupposti applicativi del sequestro disposto a carico delle persone giuridiche. E ciò, in particolare, con riguardo alla valutazione del giudice in ordine al periculum in mora.
Da quest’angolo visuale, si rileva che, stando ad un orientamento sviluppatosi nella giurisprudenza di legittimità[6], il sequestro preventivo disposto a carico degli enti dovrebbe essere caratterizzato dallo stesso regime di obbligatorietà della confisca. Da qui si deduce, a guisa di corollario, che il vincolo ablativo cautelare non necessiti di alcuna «prognosi di pericolosità relativa alla libera disponibilità della res»[7], essendo sufficiente, per il giudice, verificare la mera riconducibilità del bene da assoggettare al vincolo tra le cose oggettivamente suscettibili di confisca.
Una simile conclusione non appare, tuttavia, perfettamente in linea con una recente pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione[8], la quale pur non occupandosi direttamente di responsabilità amministrativa degli enti, appare nondimeno dirimente quanto alla necessità di motivare il decreto di sequestro preventivo anche sotto il profilo del periculum.
Per l’esattezza, il Supremo Consesso ha sottolineato che tale provvedimento deve necessariamente contenere una concisa motivazione anche in ordine al periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio[9].
A parere dei giudici di legittimità, la «natura autonoma del sequestro preventivo finalizzato alla confisca rispetto a quello impeditivo»[10] non sarebbe idonea a giustificare l’insussistenza di un preciso onere motivazionale. Né, tantomeno, si potrebbe pervenire a esiti differenti valorizzando l’assenza di un espresso richiamo alla necessità di un «decreto motivato», così come contemplato per i casi di sequestro cd. impeditivo[11].
Secondo l’opinione patrocinata dalle Sezioni Unite, infatti, sarebbe la discrezionalità del potere ablativo del giudice della cautela, rimarcata dall’impiego del verbo modale “può”[12], ad imporre un sostrato motivazionale idoneo a giustificarne l’esercizio. Vale a dire, la stessa fisionomia discrezionale dell’esercizio del potere di ablazione imporrebbe la precisazione dei «presupposti del suo esercizio, individuati nel pericolo che, nelle more del giudizio, il bene venga modificato, disperso, deteriorato o alienato»[13].
Il dato testuale, indicativo del carattere discrezionale del potere di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, si compone armonicamente con il condivisibile rilievo, operato dai vertici della Cassazione, secondo cui «l’esigenza cautelare in sé non p[uò], quasi per definizione, non essere sorretta da una motivazione sul punto, giacché già il solo fatto che gli effetti di misure limitative di diritti dell’imputato vengano anticipati rispetto alla decisione finale non può non comportare un giudizio quanto meno di tipo prognostico non solo sul fumus del reato ma anche sul piano della necessità di una anticipata esigenza ablatoria»[14]. Dal che si può ricavare la conclusione – idonea a disvelare i propri effetti anche in tema di responsabilità degli enti – secondo cui la mera “attestazione di confiscabilità” del bene oggetto di sequestro non sia idonea a soddisfare l’onus motivandi relativo al periculum in mora.
3. Seppure elaborati con riferimento alle ipotesi in cui il sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria del profitto del reato è disposto a carico dell’imputato-persona fisica, tali rilievi possono essere, a fortiori, mutuati nel settore del D. Lgs. n. 231/2001, allorché il provvedimento di sequestro sia stato emesso a carico di una società nei cui confronti si procede per l’accertamento della responsabilità amministrativa da reato, per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo, va rimarcata la specifica natura che il sistema delineato dal d. lgs n. 231/2001 riconduce alla confisca: quest’ultima «si configura alla stregua di una pena principale»[15] (artt. 9, lett. c) e 19), sicché il sequestro ad essa finalizzato si traduce, sul piano pratico, in una vera e propria anticipazione del trattamento sanzionatorio in assenza di un accertamento definitivo della responsabilità dell’ente. Tale rilievo rende ancor più doveroso il vaglio concreto ed effettivo non solo circa l’astratta riconducibilità del fatto ad una delle fattispecie delittuose contemplate dal cd. “decreto 231”, ma anche in ordine al pericolo che i beni oggetto di confisca possano, nelle more del giudizio, essere dispersi o sottratti al vincolo ablativo.
In secondo luogo, non si può fare a meno di rilevare che l’esigenza di condizionare il sequestro preventivo de societate alla sussistenza del periculum in mora sulla base di un’adeguata motivazione è «ancor di più pressante nel regime della responsabilità degli enti, nel quale la confisca, e quindi il sequestro ad essa finalizzato, possono assumere incidenza tale da produrre effetti irreversibili rispetto alla sopravvivenza stessa dell’ente».
Qualora il vincolo di indisponibilità cautelare dovesse essere apposto su risorse particolarmente ingenti, infatti, l’ente correrebbe il rischio di trovarsi nell’impossibilità di proseguire la propria attività. Ad esiti analoghi si giunge anche nel caso in cui il vincolo ablativo ricada direttamente sui beni aziendali: la sottrazione anticipata del comparto di beni strumentali alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale potrebbe in nuce essere idonea a realizzare il medesimo effetto riconosciuto alle ben più gravi misure cautelari interdittive.
Del resto, ritenere possibile un provvedimento ablativo in assenza di qualsivoglia valutazione in ordine al periculum in mora comprometterebbe inevitabilmente la finalità di effettiva salvaguardia della continuità imprenditoriale cui appare improntato l’intero sistema della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Deve al riguardo rilevarsi come l’operatività di plurimi meccanismi compensativi[16] nel “sistema 231” consenta di adottare forme di recupero della legalità idonee ad incidere in senso premiale sul trattamento sanzionatorio dell’ente. È proprio l’attivazione di simili «prassi virtuose» a consentire di «neutralizzare il rischio-reato ben prima del suo effettivo accertamento»[17], con un ovvio impatto positivo sulla prosecuzione delle attività aziendali.
Sulla base delle considerazioni che precedono, è agevole constatare come, anche in ragione di una simile connotazione di tipo premiale-preventivo, non si possa avallare una lettura dell’istituto del sequestro preventivo finalizzato alla confisca inteso come strumento potenzialmente idoneo sia ad esautorare l’ente dall’utilizzo di gran parte del proprio patrimonio e del patrimonio aziendale, sia ad impedire l’accesso al composito sistema di misure riparatorie in assenza di qualsivoglia verifica del periculum in mora.
Acclarato che l’istituto in esame esige una specifica valutazione giurisdizionale in ordine al pericolo connesso alla libera disponibilità dei beni, la sentenza in commento ha chiarito, altresì, che quest’ultimo deve inevitabilmente rapportarsi alla natura anticipatrice della misura cautelare. Nell’opinione avallata dai giudici di legittimità, infatti, la necessità che il provvedimento ablatorio debba soffermarsi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato o alienato scaturisce direttamente dalla ratio della misura ablativa: vale a dire, preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l’esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo.
4. La pronuncia in commento merita piena adesione anche alla luce del principio di sussidiarietà di cui all’art. 35 D. Lgs. n. 231/2001. Come noto, tale disposizione prevede, quale «meccanismo di chiusura»[18], che «all’ente si applicano le disposizioni processuali relative all’imputato, in quanto compatibili». Di qui, il pregio di aver teorizzato a chiare lettere, l’applicabilità, pure nel processo agli enti, di un principio di diritto enucleato dalla dalla giurisprudenza di legittimità in relazione a procedimenti che vedevano come parte l’imputato-persona fisica.
In particolare, la trasposizione nei procedimenti contra societatem dell’obbligo di necessaria estensione delle ragioni per le quali i beni suscettibili di apprensione potrebbero andare incontro a modificazione o dispersione appare senz’altro idonea a garantire un effettivo rispetto del principio di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2 Cost e di cui all’art. 6, par. 2 CEDU. Un’effettiva declinazione del citato principio di sussidiarietà è rappresentata, infatti, proprio dall’esigenza di assicurare all’ente «gli stessi diritti e garanzie destinati alla persona fisica», tra i quali «rientrano certamente i diritti “fondamentali” assicurati nel contesto sovranazionale ed in quello interno alla Carta costituzionale»[19].
Per converso, l’affievolimento dell’onus motivandi in ordine all’effettiva e concreta prognosi di conseguibilità della misura ablativa reale finale comporterebbe, sul piano pratico, il «paradossale effetto di sacrificare i diritti individuali senza avere riguardo alla pronuncia conclusiva del giudizio, emessa all’esito di un giusto processo»[20].
Ed ancora. Va rimarcato che solo previlegiando impostazioni caratterizzate dalla previsione di un obbligo motivazionale del provvedimento dispositivo del sequestro preventivo ai fini di confisca anche sotto il profilo del periculum in mora è possibile garantire una effettiva «coerenza con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare reale, evitando un’indebita compressione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti, quali il diritto di proprietà o la libertà di iniziativa economica»[21].
La conclusione patrocinata dalla Corte, infine, consente di evitare il rischio che la cautela possa drammaticamente tramutarsi in uno strumento inutilmente vessatorio. In quest’ottica, va rimarcato che il sequestro preventivo deve necessariamente essere limitato «alle cose o parti di esse effettivamente pertinenti al reato, e riservato ai casi in cui il vincolo serva a garantire la confisca»[22]. Di tal ché, la previsione di un adeguato onere motivazionale è in grado di garantire una effettiva tutela dei diritti di proprietà e di libertà di iniziativa economica, anche alla luce della normativa sovranazionale[23].
In definitiva, possono essere senz’altro condivisi gli approdi cui perviene la pronuncia in esame, la quale consente di erodere significativamente quell’«integralismo del sistema presuntivo di imposizione del vincolo di indisponibilità»[24] in materia de societate, a ragione criticato in sede esegetica per la pervicace tendenza ad «escludere a priori la necessità di ogni ulteriore approfondimento in punto di esigenze cautelari»[25].
[1] V. d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231 recante «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n.300» in G. U. 19 giugno 2001, n. 140.
[2] V. art. 24 d. lgs. n. 231/2001 rubricato «Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato, di un ente pubblico o dell'Unione europea o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico e frode nelle pubbliche forniture» secondo cui «In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 316-bis, 316-ter, 353, 353-bis, 356, 640, comma 2, n. 1, 640-bis e 640-ter se commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico o dell'Unione europea, del codice penale, si applica all'ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote. Se, in seguito alla commissione dei delitti di cui al comma 1, l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità; si applica la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote. Si applicano all'ente le sanzioni previste ai commi precedenti in relazione alla commissione del delitto di cui all'articolo 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898.Nei casi previsti dai commi precedenti, si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e)».
[3] Così G. Paolozzi, Vademecum per gli enti sotto processo. Addebiti “amministrativi” da reato (d.lgs. n.231 del 2001), Giappichelli, 2005, p.143.
[4] Cfr. art. 240 c.p. secondo cui «nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto. È sempre ordinata la confisca:1) delle cose che costituiscono il prezzo del reato; 1-bis) dei beni e degli strumenti informatici o telematici che risultino essere stati in tutto o in parte utilizzati per la commissione dei reati di cui agli articoli 615 ter, 615 quater, 615 quinquies, 617 bis, 617 ter, 617 quater, 617 quinquies, 617 sexies, 635 bis, 635 ter, 635 quater, 635 quinquies, 640 ter e 640 quinquies nonché dei beni che ne costituiscono il profitto o il prodotto ovvero di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il colpevole ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto, se non è possibile eseguire la confisca del profitto o del prodotto diretti; 2) delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione e l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna. Le disposizioni della prima parte e dei numeri 1 e 1-bis del capoverso precedente non si applicano se la cosa o il bene o lo strumento informatico o telematico appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del numero 1-bis del capoverso precedente si applica anche nel caso di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale. La disposizione del numero 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa».
[5] Così G. Paolozzi, Vademecum per gli enti sotto processo. Addebiti “amministrativi” da reato (d.lgs. n.231 del 2001), cit. p. 143.
[6] In particolare V. Cass. Sez. Unite, sent. 25 settembre 2014, n. 11170, Rv 263683 con nota di F. Cerqua, Le Sezioni Unite precisano i rapporti tra il sequestro preventivo a carico degli enti ed il fallimento, in Il Fallimento, fasc. 2/2016, p. 188 ss.
[7] Così B. Romanelli – G. Varraso, sub art. 53 d.lgs. 8 giugno 2001, n.231, in A. Giarda – G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, IV, Wolters Kluwer, 2023 p 711.
[8] Il riferimento è a Cass. Sez. Unite, sent. 24 giugno 2021, n. 36959 Ellade Rv. 281848-01.
[9] Unica eccezione è costituita dalle ipotesi di sequestro della cosa la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, per le quali la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege.
[10] Così S. Piergiovanni, Sequestro preventivo finalizzato alla confisca: le Sezioni Unite impongono l’onere di motivare sul periculum in mora, in Sistema penale, 9 novembre 2021.
[11] Il riferimento è all’art. 321, comma 1, c.p.p., primo periodo, secondo cui «quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato».
[12] V. P. Gualtieri, sub art. 321 in A. Giarda – G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, II, cit., p.1204
[13] V. S. Piergiovanni, Sequestro preventivo finalizzato alla confisca: le Sezioni Unite impongono l’onere di motivare sul periculum in mora, cit.
[14] Cfr. §6.2 dei “Considerato in diritto” di Cass. Sez. Unite, sent. 24 giugno 2021, n. 36959 Ellade Rv. 281848-01.
[15] Così G. Paolozzi, Vademecum per gli enti sotto processo. Addebiti amministrativi da reato, cit. p.81.
[16] Il riferimento è al sistema di modelli compensativi dell’offesa sociale arrecata dall’ente come ad esempio l’art. 17, comma 1 d.lgs. n.231/2001 rubricato “Riparazione delle conseguenze del reato” secondo cui «ferma l'applicazione delle sanzioni pecuniarie, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni: a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; b) l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; c) l'ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca» nella finalità più generale di consentire il ripristino dello status quo ante la commissione dell’illecito.
[17] Così L. Marafioti, Ambiguità concettuali e divenire applicativo nel processo agli enti, in L. Luparia- L. Marafioti – G. Paolozzi, Diritti fondamentali e processo all’ente. L’accertamento della responsabilità d’impresa nella giustizia penale italiana e spagnola, Giappichelli, 2018, p. 297.
[18] Così G. Garuti, Il processo “penale” agli enti, in G. Spangher (diretto da) Trattato di procedura penale, vol. VII, tomo II, Utet, 2011, p.1030.
[19] Così D. Perugia, Informazione di garanzia all’ente e diritto di difesa, in L. Luparia- L. Marafioti – G. Paolozzi, Diritti fondamentali e processo all’ente. L’accertamento della responsabilità d’impresa nella giustizia penale italiana e spagnola, cit. p. 161-162.
[20] Così G. Murone, Necessarietà della motivazione sul periculum in mora in ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, in Dir. pen e proc. fasc. 6/2022, p. 777 ss. ed ancora A. Scalfati, Il sequestro preventivo: temperamento autoritario con aspirazioni al “tipo” cautelare, in Dir. pen e proc. fasc. 5/2012, p.533 ss.
[21] Cfr. §6.2.2 dei “Considerato in diritto” di Cass. Sez. Unite, 24 giugno 2021, n. 36959 Ellade rv. 281848-01.
[22] . B. Romanelli – G. Varraso, sub art. 53 d.lgs. 8 giugno 2001, n.231, in A. Giarda – G. Spangher (a cura di), Codice di procedura penale commentato, cit., p.716.
[23] Cfr. art. 1 par. 3 reg. UE 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018, relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di sequestro e confisca secondo cui «nell'emettere un provvedimento di congelamento o un provvedimento di confisca, le autorità di emissione assicurano il rispetto dei principi di necessità e di proporzionalità».
[24] Così F. Centorame, Presunzioni di pericolosità e coercizione cautelare, Giappichelli, 2016 p. 239.
[25] In tal senso F. Centorame, Presunzioni di pericolosità e coercizione cautelare, cit. p. 240.