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16 Aprile 2025


Proroga del 41 bis nei confronti di un boss affetto da Alzheimer: la Corte EDU condanna l’Italia per violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti (Morabito c. Italia)

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 aprile 2025, Morabito c. Italia



1. Con la sentenza che può leggersi in allegato, depositata il 10 aprile 2025, la Corte EDU ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3, ritenendo la scelta di prorogare il regime di 41 bis nei confronti di una persona reclusa con diagnosi di progressivo deterioramento cognitivo un trattamento inumano e degradante.

Il ricorrente – Giuseppe Morabito, novantenne, condannato per associazione di tipo mafioso e detenuto dal 2004 dopo una lunga latitanza – lamentava l’incompatibilità del proprio stato di salute sia con la prolungata detenzione che con la sottoposizione al regime di carcere duro. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto fondata unicamente la seconda doglianza, giudicando l’accertamento della violazione idoneo a risarcire il ricorrente.

La decisione di condannare il nostro paese è stata raggiunta a maggioranza, non essendo stata condivisa dal Giudice Dott. Antonio Balsamo - nominato giudice ad hoc dopo la rinuncia del Giudice dott. Raffaele Sabato -  come chiarito nell’opinione separata di cui si dirà infra

 

2. Quanto alla prima delle allegazioni, il ricorrente sosteneva che non avrebbe dovuto permanere in carcere a causa della sua età avanzata e delle numerose malattie croniche diagnosticategli (non soltanto la degenerazione cognitiva di natura progressiva, ma anche un ingrossamento della prostata, un’ernia inguinale bilaterale, cardiopatia ipertensiva e poliartrite). In più, durante la detenzione non avrebbe avuto accesso a cure adeguate, né le avrebbe effettivamente ricevute.

La Corte, in questo caso, ha escluso all’unanimità la violazione della Convenzione all’esito del vaglio dello stato di salute del condannato, degli effetti della carcerazione sulle sue condizioni e della qualità delle cure fornite nella struttura penitenziaria.

Pur prendendo atto delle diverse malattie croniche diagnosticate al ricorrente, i giudici di Strasburgo hanno rilevato che soltanto alcune di esse hanno subito un aggravamento durante la detenzione e non a causa delle cure prestategli all’interno dell’istituto (§ 101 ss.).

In definitiva, l’assistenza medica offerta è stata ritenuta adeguata e tale non far scattare l’obbligo di applicare misure umanitarie (104 § ss.). La Corte, pertanto, ha ritenuto che la scelta dei giudici nazionali di respingere le richieste di scarcerazione del ricorrente fosse corretta, valorizzandone le motivazioni dettagliate e fondate su diverse valutazioni mediche aggiornate (§ 110).

 

3. Relativamente alla seconda doglianza, il ricorrente sosteneva che la proroga del regime di 41 bis, alla luce del progressivo deterioramento delle sue facoltà cognitive e del suo precario stato di salute, fosse ingiustificata e costituisse un trattamento inumano e degradante. Non solo non avrebbe più dovuto essere considerato pericoloso per le sue condizioni psico-fisiche, ma le ferree regole del regime differenziato avrebbero aggravato la sua condizione.

Al contrario, il Governo riteneva che il declino cognitivo del ricorrente, pur non contestato, fosse stato preso in seria considerazione in sede di rivalutazione della sua pericolosità, concludendo che non influisse sulla sua capacità di mantenere i contatti con l'organizzazione criminale di appartenenza. Il mantenimento del regime di 41 bis avrebbe trovato la propria giustificazione in una serie di elementi: la gravità del reato per il quale era stato condannato; il suo ruolo di primo piano nell'organizzazione di tipo mafioso; il suo comportamento in carcere, che manifestava una mancanza di rimorso per il suo passato e un saldo radicamento nella sottocultura mafiosa; la prova che l'organizzazione in questione era ancora attiva; il materiale ottenuto attraverso le intercettazioni delle sue conversazioni con i familiari durante le quali riceveva informazioni sulle attività dell'organizzazione.

Sul punto, la Corte EDU ha ritenuto di confermare quanto già affermato in precedenza relativamente ai regimi di detenzione speciali fondate su ragioni di ordine pubblico e, in particolare, sul 41 bis (§ 125 ss.)[1]. In primis, ne ha ribadito la legittimità, osservando che si tratti di un dispositivo dalle finalità puramente preventive, e non anche che punitive, avendo lo scopo di interrompere i contatti tra le persone recluse e le loro reti criminali (§ 129).

D’altro canto, ha evidenziato che un’applicazione prolungata di tali restrizioni può, in certi casi, tradursi in un trattamento inumano o degradante, pur non essendo possibile definire una volta e per tutte la durata specifica oltre la quale scatta la violazione dell’art. 3 CEDU (§ 130 ss.). Una tale valutazione, al contrario, deve necessariamente confrontarsi con le circostanze del caso concreto, evoluzione dello stato di salute della persona privata della libertà compresa.

Tanto premesso, ha concluso che, nel caso del ricorrente Morabito, l’aggravamento delle sue condizioni di salute non sia stato adeguatamente considerato in diversi momenti in cui si è deciso di prorogare il regime speciale cui era sottoposto.

In primo luogo, dalla documentazione medica a disposizione della Corte risulta che il ricorrente aveva iniziato a mostrare segni di possibile deterioramento cognitivo già nel 2014, senza che ciò pesasse sulle proroghe disposte nel 2018 e nel 2020 (§ 136 ss.). In seconda battuta, nella successiva decisione del 2022 non sarebbero stati adeguatamente valutati anche ulteriori fattori: l’intervenuta diagnosi del morbo di Alzheimer, il proscioglimento per infermità mentale in un processo per fatti commessi dal Morabito nel 2020 e l’interruzione di altri procedimenti per incapacità di partecipare al giudizio (§ 141 ss.).

In conclusione, i giudici di Strasburgo hanno espresso dubbi su come «una persona che soffre di un indiscusso declino cognitivo ‒ e a cui è stato addirittura diagnosticato il morbo di Alzheimer ‒ e che è incapace di comprendere la propria condotta o di seguire un'udienza possa allo stesso tempo mantenere una capacità sufficiente per mantenere o riprendere ‒ a un'età così avanzata, dopo quasi vent'anni trascorsi sotto un regime particolarmente restrittivo ‒ contatti significativi con un'organizzazione criminale» (§ 143). Né tali perplessità, né il rischio delle possibili conseguenze del regime di 41 bis sullo stato di salute di una persona già in condizioni precarie sarebbero stati affrontati e valutati seriamente, tanto da concretare, secondo la Corte, una violazione dell’art. 3 CEDU.

 

4. Da ultimo, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che l’accertamento della violazione della Convenzione fosse, di per sé, sufficiente a risarcire il danno non patrimoniale subito dal ricorrente.

La constatazione della violazione riguarda, in particolare, il periodo di applicazione del regime di carcere duro conclusosi il 24 maggio 2023, data in cui Giuseppe Morabito fu ricoverato d’urgenza in ospedale. Dopo un periodo di detenzione domiciliare presso la struttura ospedaliera, il ricorrente è ritornato in carcere, venendo assegnato a una sezione ordinaria.

Dalla sentenza in allegato si apprende che sono state successivamente presentate numerose istanze di detenzione domiciliare fondate sull’incompatibilità delle condizioni di salute del ricorrente con il regime carcerario (§ 57 ss.). Come ultima notizia, si dà della richiesta del Ministro della Giustizia di ripristinare il regime di cui all’art. 41 bis (§ 65).

Fonti successive al deposito della decisione confermano che il regime speciale è stato nel frattempo effettivamente ripristinato[2].

 

5. Come anticipato, la condanna dell’Italia non è stata condivisa dal Dott. Antonio Balsamo, nominato giudice ad hoc dopo la rinuncia del Dott. Raffaele Sabato.

L’opinione parzialmente dissenziente del giudice italiano – in calce alla sentenza in allegato – si fonda sull’incoerenza della decisione con le indicazioni di metodo fissate dalla stessa Corte di Strasburgo nel caso Provenzano c. Italia (§ 26 dissenting opinion). A parere del giudice Balsamo, nel caso del ricorrente Morabito le autorità italiane avrebbero fatto un uso corretto del principio affermato in precedenza, secondo cui non vi sarebbe violazione dell’art. 3 CEDU nel caso di rinnovata applicazione del regime speciale, anche in presenza di un deterioramento cognitivo, a condizione che le autorità nazionali, dopo un attento esame della documentazione medica, abbiano svolto una valutazione indipendente e siano giunte alla conclusione motivata che non si poteva escludere il rischio che il ricorrente trasmettesse messaggi penalmente rilevanti all’organizzazione criminale.

Come nella vicenda di Provenzano, in cui la Corte EDU aveva escluso la sussistenza di violazioni della Convenzione, anche nel caso del boss ‘ndranghetista le autorità italiane avrebbero valutato adeguatamente le condizioni di salute del condannato, pervenendo alla conclusione che gli consentissero di mantenere rapporti con l'organizzazione di appartenenza, tenuto conto anche conto della peculiare rilevanza dei legami familiari e di sangue nel sistema della ‘ndrangheta.

In più, la decisione nei confronti di Morabito sarebbe risultata ancor più giustificata in ragione di due sostanziali differenze rispetto alla storia e alle condizioni mediche di Provenzano (§ 23): quest’ultimo, infatti, non era in grado di comunicare o di prendersi cura di se stesso, tanto da dover essere idratato e alimentato interamente con un sondino e, dopo il suo arresto, non vi erano prove della partecipazione dei suoi parenti più stretti alla stessa organizzazione. Condizioni, queste, non riscontrabili nel caso di Morabito.

Inoltre, in questa vicenda, il mantenimento del regime di carcere duro sarebbe stato coerente con un ulteriore dato: il ricorrente, anche in tempi recenti, aveva manifestato un forte odio nei confronti dei membri delle istituzioni pubbliche che si occupavano del suo caso e aveva mantenuto una posizione di rilievo all'interno di uno dei gruppi criminali organizzati più pericolosi (§ 20 d.o.)

Infine, a parere del giudice Balsamo, non sarebbero dirimenti due argomenti utilizzati a sostegno della condanna per violazione dell’art. 3 CEDU: né il riconoscimento dell'incapacità di partecipare al giudizio, né il proscioglimento per vizio di mente escluderebbero di per sé la pericolosità del recluso, autonomamente valutata dalle autorità nazionali sulla scorta di relazioni periodiche frutto di un processo continuo di osservazione del condannato (§§ 24-25 d.o.).

 

 

 

 

[1] Sul punto, i giudici di Strasburgo citano i casi C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sent. 17 settembre 2009, Enea c. Italia; C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 1° settembre 2015, Paolello c. Italia; C. eur. dir. uomo, III, sent. 10 novembre 2005, Argenti c. Italia, e C. eur. dir. uomo, Sez. I, sent. 25 settembre 2018, Provenzano c. Italia, centrale nell’opinione separata del giudice Balsamo.

[2] Riferisce il ripristino del regime l’avvocata Giovanna Beatrice Araniti, legale di Giuseppe Morabito, cfr. P. Maciocchi, Italia condannata per 41-bis al boss della mafia novantenne con Alzheimer, pubblicato su IlSole24Ore in data 10 aprile 2025.