Magistrato di Sorveglianza di Napoli, ord. 7 marzo 2025, Giud. Cairo
Segnaliamo ai lettori l’ordinanza del 7 marzo 2025 con cui il Magistrato di sorveglianza di Napoli ha sollevato davanti alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ordinamento penitenziario), come novellato dall’art. 5 del d.l. 4 luglio 2024, n.92 (c.d. “decreto carcere sicuro”, conv. con modd. dalla legge 8 agosto 2024, n.112), deducendo violazione degli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui la evocata disposizione penitenziaria subordina la richiesta del beneficio della liberazione anticipata alla possibilità di rientrare nei limiti di pena per accedere alle misure alternative (90 giorni anteriori) ovvero di ottenere, nello stesso termine, la scarcerazione ed ancora nella parte in cui si impone all’interessato, per l’ammissibilità dell’istanza, di indicare le “ragioni specifiche” per le quali si richiede il beneficio.
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La liberazione anticipata, ai sensi dell’art. 54 L. 354/1975 (Ordinamento penitenziario), è concessa ai condannati cha abbiano dimostrato partecipazione all’opera rieducativa ed è pari a 45 giorni per ogni semestre di pena effettivamente espiata. L’istituto è stato profondamente modificato, nei suoi profili procedimentali, dal D.L. 92/2024 (c.d. “decreto carcere sicuro”).
La disciplina di nuovo conio – pur nelle intenzioni dichiarate dall’esecutivo di razionalizzare e snellire le procedure per alleviare il carico di lavoro gravante sulla magistratura di sorveglianza, ha modellato – con la integrale riscrittura dell’art. 69-bis ord. penit. ad opera dell’art. 5 del decreto di urgenza - una procedura decisamente più complessa della precedente, tanto da far ritenere che le nuove modalità applicative della liberazione anticipata siano complessivamente peggiorative del precedente assetto, tanto sotto il profilo della tempistica delle decisioni quanto del più gravoso onere di allegazione imposto al richiedente (interessato o difensore).
Con l’avvento della nuova disciplina, inoltre, saranno inevitabilmente modificati i parametri di valutazione della condotta dell’interessato ai fini della verifica dell’adesione trattamentale, fino ad ora ancorati al criterio principale della c.d. “semestralizzazione” (con una valutazione, cioè, del beneficio con riguardo ad ogni singolo semestre di pena scontata), poiché la dimensione non più parcellizzata bensì globale dell’esame demandato al giudice di sorveglianza indurrà a privilegiare un criterio di valutazione “complessiva” dell’intero periodo detentivo sottoposto a scrutinio, con la possibile conseguenza che fatti negativi verificatisi in un determinato semestre di pena possano riverberarsi negativamente sulla valutazione dei semestri precedenti, come del resto ammesso già nella vigenza del precedente assetto dalla giurisprudenza di legittimità nel caso di episodi particolarmente gravi commessi dal detenuto.
Tuttavia, il dato più rilevante della disciplina riformata è certamente, sul piano sistematico, la radicale trasformazione della liberazione anticipata che, da procedimento attivabile su istanza dell’interessato o del suo difensore, diviene un beneficio somministrato – salva un’unica, del tutto residuale, ipotesi – su attivazione d’ufficio della magistratura di sorveglianza, peraltro limitata in corrispondenza di alcuni “momenti” della vicenda esecutiva. In altri termini, la riforma confisca alle parti la facoltà di istanza e impone allo stesso giudice di pronunciarsi soltanto in due tassativi casi nel corso dell’intera vicenda esecutiva.
Precisamente, il comma 1 dell’art. 69-bis ord. penit. stabilisce che, in occasione di ogni istanza di accesso alle misure alternative alla detenzione o ad altri benefici analoghi, rispetto ai quali “nel computo della misura della pena espiata sia rilevante la liberazione anticipata (…), il magistrato di sorveglianza accerta la sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata in relazione ad ogni semestre precedente.” La medesima procedura si attiverà – sempre officiosamente - se l’interessato non sia ancora nei termini per richiedere il beneficio esterno, purché entro il termine di novanta giorni antecedente al maturare dei presupposti per l’accesso alle misure alternative alla detenzione o agli altri benefici analoghi, come individuato computando le detrazioni previste dall’art.54 ord. penit.
Al ricorrere di tali presupposti – che degradano la liberazione anticipata da beneficio autonomo, orientato a stimolare all’adesione del condannato alla progettualità rieducativa, a funzione meramente servente rispetto alle istanze di misure extramurarie – la cancelleria del giudice di sorveglianza dovrà automaticamente iscrivere un procedimento per la valutazione della liberazione anticipata in parallelo dunque all’iscrizione del procedimento per l’istanza di una misura esterna al carcere. Ciò potrà verificarsi tanto nel caso di benefici la cui concessione appartiene alla competenza monocratica, sia nell’ipotesi in cui la competenza appartenga all’organo collegiale.
Una tale sovrapposizione procedurale indurrà verosimilmente un allungamento – in alcuni casi anche notevole - delle tempistiche di decisione sui benefici esterni al carcere, dal momento che il magistrato di sorveglianza sarà tenuto a valutare, ai fini della liberazione anticipata, tutti i periodi detentivi rilevanti, con il rischio quindi della dilatazione dei tempi istruttori e, conseguentemente, di quelli di decisione, soprattutto nel caso di esecuzioni di media/lunga durata, nelle quali è fisiologico che il condannato sia stato nel tempo trasferito in diversi istituti.
Ad aggravare le tempistiche è anche l’ipotesi in cui la misura alternativa – come quasi sempre accade - sia richiesta al tribunale di sorveglianza, che dovrà quindi avvisare l’ufficio monocratico affinché iscriva il procedimento di competenza del magistrato. Non solo: è evidente il rischio che una valutazione anche solo parzialmente negativa della pregiudiziale monocratica (liberazione anticipata) impatti negativamente sulla valutazione dell’istanza di misura alternativa di competenza collegiale, erodendo le chances di un positivo esito della procedura.
La seconda tassativa ipotesi di avvio di ufficio della procedura di valutazione della liberazione anticipata riguarda l’ipotesi (prevista dal nuovo comma 2 dell’art. 69-bis ord.penit.), in cui il magistrato di sorveglianza valuterà la posizione del condannato ai fini della liberazione anticipata nel termine di novanta giorni antecedenti al maturare del fine-pena, come individuato computando le detrazioni previste dall’art. 54 ord.penit. Il procedimento, in questo caso, avrà ad oggetto l’accertamento dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata in relazione ai semestri che non siano già stati oggetto di valutazione nel corso dell’esecuzione (a es. perché l’interessato ha non formulato istanza di applicazione di una misura alternativa).
L’unica ipotesi, di natura residuale, ancora consentita all’iniziativa di parte (detenuto e difensore) al di fuori dei casi sopra illustrati è data dalla possibilità che l’interessato o il suo difensore formulino istanza di liberazione anticipata indicando tuttavia nella medesima – a pena di inammissibilità - lo “specifico interesse”, diverso da quelli di cui alle ipotesi di attivazione di ufficio (commi 1 e 2 dell’art. 69-bis, ord. penit.) che sostiene la domanda (si può immaginare che tali eccezionali ipotesi riguardino, a es. – come ricorda la Relazione illustrativa al d.d.l. di conversione del D.L. 92/24 - i condannati che abbiano interesse al c.d. “scioglimento del cumulo” di pene concorrenti, per far operare la presunzione di espiazione della pena corrispondente al reato “ostativo” alla concessione dei benefici penitenziari).
Un tale assetto è dubitato di incostituzionalità dal magistrato di sorveglianza di Napoli che, con l’ordinanza del 7 marzo 2025, ha chiesto alla Consulta di pronunciarsi sulla compatibilità dell’art. 69-bis ord. penit. con i principi costituzionali iscritti negli artt.3 e 27, comma 3, Cost.
Con riguardo al parametro costituzionale da ultimo invocato, il giudice rimettente premette che l’elaborazione della giurisprudenza costituzionale e di quella europea in tema di esecuzione della pena si è da tempo orientata a ritenere la prevalenza del principio rieducativo sulle altre finalità della pena (difesa sociale e retribuzione). A tale primaria finalità è orientato lo stesso istituto della liberazione anticipata, che mira a promuovere e incoraggiare, con la prospettiva di una concreta e tangibile premialità, lo sforzo del condannato nell’aderire al trattamento penitenziario apprestato nell’istituto di pena o nel corso dell’esecuzione extra moenia.
Al fine di massimizzare l’effetto di stimolo alla partecipazione trattamentale, la prospettiva del “premio”, rappresentato dalla riduzione della pena ancora da espiare, deve non solo essere ravvicinata rispetto alla condotta che l’ordinamento esige in cambio, ma deve seguire la cadenza delle scansioni semestrali indicate dal legislatore nell’art. 54 ord.penit., così accompagnando il percorso di recupero sociale dell’interessato.
A tale prospettiva – osserva il giudice rimettente – non fa gioco la nuova disciplina che, modificando i principi in materia di valutazione della liberazione anticipata, fino ad ora ancorata al criterio principale della c.d. “semestralizzazione” (una valutazione, cioè, operata con riguardo ad ogni singolo semestre di pena scontata), impone invece una valutazione complessiva dell’intero periodo detentivo e, soprattutto, stabilisce che essa sia compiuta episodicamente nel corso dell’esecuzione e nel momento finale, approssimandosi il termine della pena.
La liberazione anticipata ne risulterebbe del tutto snaturata, riducendosi a mero meccanismo di natura “algebrica” funzionale al raggiungimento dei limiti di pena per accedere ai benefici esterni al carcere o avvicinando il termine finale dell’esecuzione, perdendo quella funzione di accompagnamento e stimolo della progressione trattamentale che dovrebbe animare l’esecuzione della pena e venendo, altresì, a spezzarsi quel nesso sinallagmatico “incentivante tra partecipazione e riconoscimento del beneficio che consolida la progressione in funzione della rieducazione del detenuto e della pena costituzionalmente presidiata”.
Ed infatti, allontanandosi nel tempo la prospettiva del tangibile riconoscimento allo sforzo di adesione al trattamento, la premialità riconosciuta una tantum nella parte finale dell’esecuzione ovvero occasionalmente in corrispondenza di una domanda di misura alternativa perderebbe molto dell’attrattiva che, al contrario, può suscitare la certezza di una riduzione premiale della pena riconosciuta con immediatezza in rapporto ad ogni singolo semestre espiato. Tale assunto – ricorda il magistrato di sorveglianza di Napoli – è tanto più vero nel caso di soggetti, quali normalmente sono le persone in esecuzione di pena, che faticano a elaborare progettualità di medio e lungo periodo ed a investire in esse il tempo ed i sacrifici personali necessari a vederle realizzate, come del resto già evidenziato dalla scienza criminologica e dalla stessa giurisprudenza costituzionale (viene al proposito richiamata la pronuncia n.276/1990).
Lo stesso giudizio sull’adesione della persona al trattamento rieducativo ne verrebbe falsato, osserva ancora il giudice napoletano, poiché incapace di apprezzare con immediatezza i segnali – positivi o negativi – che emergono dall’esame della condotta tenuta dall’interessato, che risultano sempre più sfocati e indistinti all’allontanarsi nel tempo della relativa valutazione, così che quest’ultima perderebbe la necessaria pregnanza e completezza (in questo senso, il rimettente adombra un possibile vulnus della disposizione del comma 7, art. 111 Cost.).
D’altra parte, intervenendo il giudizio del magistrato di sorveglianza soltanto in prossimità del fine pena, lo stesso condannato vedrebbe compromessa la possibilità di conoscere – se non, appunto, nel segmento finale della propria esperienza detentiva – su quali elementi si fonderà la valutazione del giudice ai fini della liberazione anticipata o, detto altrimenti, gli sarà precluso di sapere ex ante ciò che egli è tenuto a fare per rendersi meritevole della premiale riduzione di pena giacché – come rileva acutamente il rimettente – anche una valutazione negativa per un singolo semestre può fungere da stimolo ad una riflessione autocritica e indurre un miglioramento della propria postura di fronte all’offerta trattamentale.
Lo snaturamento dell’istituto (se non nell’an della concessione, certamente nel quomodo), ridotto a meccanismo servente delle misure alternative e svuotato della sua propria e autonoma funzione di impulso alla rieducazione, si porrebbe altresì in contrasto, nella prospettazione del giudice rimettente, con il canone di ragionevolezza sancito dall’art. 3 Cost., poiché il diritto alla valutazione della liberazione anticipata sarebbe irragionevolmente limitato alle situazioni tassativamente indicate dalla disposizione penitenziaria censurata, valorizzando soltanto la finalità “aritmetica” di riduzione della pena residua da eseguire al fine dell’accesso alle misure alternative, perdendo le altre – e nell’ottica costituzionale ben più pregnanti – finalità di accompagnamento e stimolo alla progressione nel trattamento rieducativo per soddisfare le quali l’istituto era stato in origine concepito.
Sarebbe, infine, violato il principio di eguaglianza sostanziale iscritto nella evocata norma costituzionale, poiché l’appiattimento della liberazione anticipata sulla mera finalità servente sopra evidenziata comprimerebbe irragionevolmente il “diritto alla rieducazione” quale fondamentale patrimonio di ogni persona condannata, che deve potersi esprimere dall’inizio dell’esperienza detentiva, accompagnandone lo sviluppo fino alla conclusione della medesima.