Magistrato di Sorveglianza di Reggio nell’Emilia, ord. 7 febbraio 2025, Giud. Banchi
Dopo l’ordinanza del magistrato di sorveglianza di Spoleto pubblicata su questa Rivista nei giorni scorsi[1], un altro provvedimento - consultabile in allegato - ha accolto le ragioni di una persona detenuta cui era stato negato l’esercizio del diritto all’affettività inframuraria, riconosciuto ai reclusi nella sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2024[2].
Nel caso di specie, l’Ufficio di sorveglianza di Reggio Emilia – nella persona della Dott.ssa Elena Banchi – era chiamato a valutare il reclamo giurisdizionale di un ristretto nel circuito alta sicurezza presso la casa di reclusione di Parma, presentato avverso il diniego di colloqui intimi con la moglie.
Anche in questo caso, il rigetto impugnato ex art. 35 bis o.p. si fondava sull’assenza di spazi da destinare all’intimità inframuraria e sull’opportunità di attendere indicazioni dal gruppo costituito dal DAP per attuare la sentenza della Corte costituzionale.
Tale rifiuto era contestato dal reclamante, che denunciava l’immobilismo dell’amministrazione penitenziaria nei mesi successivi al deposito della nota pronuncia, evidenziando che la privazione di momenti d’intimità con la moglie lo sottoponesse ad una pena inumana in violazione dell’art. 27, comma 3, Cost.
Seguendo l’impostazione dell’ordinanza di accoglimento dell’Ufficio di sorveglianza di Spoleto, anche il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia ha accolto il reclamo valorizzando tre aspetti fondamentali.
In primis, l’assoluta genericità del provvedimento di rigetto, ritenuto privo di «alcun elemento soggettivo che potrebbe essere di ostacolo alla concessione dei richiesti colloqui intimi al reclamante».
In secondo luogo, l’inerzia non più tollerabile della casa di reclusione di Parma a oltre un anno dal deposito delle motivazioni della sentenza n. 10 del 2024, anche in ragione del ruolo di primaria importanza affidato dai giudici costituzionali all’amministrazione penitenziaria e, in particolare, ai direttori degli stessi istituti.
Infine, l’insussistenza di ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina ostative alla concessione del colloquio.
Per questi motivi, il magistrato ha concluso che il diniego del colloquio intimo ledesse il diritto all’affettività inframuraria del reclamante e, come nel precedente di qualche giorno prima, ha ordinato alla direzione dell’istituto penitenziario di consentirne lo svolgimento entro 60 giorni, eventualmente anche a mezzo di soluzioni provvisorie.
Anche questo nuovo provvedimento conferma come l’inveramento del diritto all’affettività inframuraria passi, ad oggi, quasi esclusivamente attraverso l’intervento della magistratura di sorveglianza. Se, da un lato, perdura la latitanza dell’amministrazione penitenziaria, dall’altro, le decisioni dei giudici di sorveglianza lasciano intravedere un percorso sempre più netto verso l’esercizio di questo diritto sinora riconosciuto soltanto sulla carta.
Le vicende di singoli reclusi si trasformano così in precedenti significativi, capaci di orientare le future istanze e di consolidare una prassi giurisprudenziale destinata a superare l’attuale immobilismo dell’amministrazione. Se è vero che il cammino verso una piena attuazione della sentenza n. 10/2024 resta incerto, è altrettanto evidente che, grazie a pronunce come quelle segnalate in questi giorni, il diritto all’intimità inframuraria potrà progressivamente passare dalla teoria alla prassi.
[1] Magistrato di Sorveglianza di Spoleto, ord. 29 gennaio 2025, Giud. Gianfilippi, in questa Rivista con nota di I. Giugni, Intimità in carcere: l’accoglimento di un reclamo ex art. 35 bis o.p. segna la strada per la concretizzazione della sentenza della Corte costituzionale.
[2] Corte cost. 26 gennaio 2024 (ud. 6 dicembre 2023), n. 10, Pres. Barbera, red. Petitti, in questa Rivista con nota di I. Giugni, Diritto all’affettività delle persone detenute: la Corte costituzionale apre ai colloqui intimi in carcere.