*Contributo pubblicato nel fascicolo 9/2025.
1. Il sistema penitenziario italiano è “contrassegnato da una grave – e ormai insostenibile – condizione di sovraffollamento, nonché dalle condizioni strutturali inadeguate di molti istituti, nei quali sono necessari interventi di manutenzione e di ristrutturazione. Interventi da intraprendere con urgenza, nella consapevolezza che lo spazio non può essere concepito unicamente come luogo di custodia, ma deve includere ambienti destinati alla socialità, all’affettività, alla progettualità del trattamento… È drammatico il numero di suicidi nelle carceri, che da troppo tempo non dà segni di arresto. Si tratta di una vera e propria emergenza sociale, sulla quale occorre interrogarsi per porvi fine immediatamente” (così il Presidente Sergio Mattarella, in occasione dell’incontro con il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, 30 giugno 2025).
Le carceri italiane sono “inumane per sovraffollamento, numero di suicidi e inadeguatezza delle strutture”. Così si è espressa, a maggio di quest’anno, una Corte olandese, motivando il rifiuto della consegna temporanea all’Italia di un cittadino olandese di origini nordafricane – Washi Laroo –, detenuto in Olanda, destinatario di un mandato d’arresto europeo in relazione ad un incendio e ad un omicidio doloso plurimo verificatisi a Milano, reati per i quali è in corso un procedimento in Italia (cfr. S. Musco, «Carceri inumane». L’Olanda blocca l’estradizione in Italia, Il Dubbio, 5 maggio 2025). Il 25 agosto Laroo è stato consegnato alle autorità italiane, in vista del processo che si svolgerà davanti alla Corte d’Assise di Milano a partire dal 10 settembre: in caso di condanna, la pena verrebbe comunque eseguita in Olanda (Incendiò un capannone uccidendo tre ragazzi, Washi Laroo trasferito dal carcere in Olanda a San Vittore).
2. Almeno due, pertanto, gli indicatori più evidenti del collasso in cui versa il nostro sistema carcerario.
Circa il sovraffollamento, riporto alcuni dati forniti dal Ministero della Giustizia. Al 31 luglio 2025 i detenuti presenti erano 62.569, la capienza regolamentare era di 51.300 posti, calcolati peraltro senza tener conto di situazioni transitorie, dovute all’inagibilità di camere di pernottamento o di intere sezioni detentive. Risultano dunque più significativi altri dati, ancorché meno recenti, forniti dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale (Report analitico. Rispetto della dignità della persona privata della libertà personale, 6 giugno 2025). Al 30 maggio 2025 le persone detenute erano 62.722, i posti regolarmente disponibili ammontavano a 46.706 rispetto a una capienza regolamentare di 51.285 (divario: – 4.579 posti). Un divario spesso molto rilevante, come nel caso di Milano San Vittore, ove ciò determinava un indice di sovraffollamento del 208,9%.
L’indice medio di sovraffollamento, a livello nazionale, era pari al 134,29%.
Erano 157 (pari all’ 83 %) gli istituti sovraffollati e 63 (pari al 33%) gli istituti con un indice di affollamento pari o superiore al 150%.
Quanto ai suicidi tra i detenuti, nel 2024, secondo i dati forniti dall’Associazione Antigone, i suicidi erano stati 91: veniva così stabilito un nuovo primato rispetto agli 83 suicidi registrati nel 2022.
In questa materia, peraltro, sono controversi sia i numeri, sia la loro interpretazione (Osservatorio penitenziario (GNPL), Report. Per un’analisi dei decessi in carcere, Attività di studio e ricerca: gennaio-luglio 2025, 8 agosto 2025). Si consideri, ad esempio, che chi, a seguito di un gesto autolesionistico, muore non immediatamente in carcere, ma solo successivamente nell’ospedale nel quale è stato trasportato, non compare nelle statistiche ministeriali sui suicidi (cfr. S. Marietti, Danilo Rihai è l’ennesimo detenuto suicida: Nordio ha usato parole vergognose, 15 agosto 2025). Soprattutto, è problematica la voce statistica “decessi per cause da accertare”, in relazione alla quale la lettura ufficiale e quella fornita da organismi non istituzionali risultano largamente divergenti (cfr. F. Corleone, Suicidi in carcere. Quel pasticciaccio di mezza estate, 29 agosto 2025).
Ad avviso del Garante nazionale dei diritti delle persone provate della libertà personale, al 31 luglio 2025 si registrava una diminuzione significativa del numero di suicidi nelle carceri italiane rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (Precisazioni del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, 11 agosto 2025).
Una fonte diversa – il dossier “Morire di carcere” a cura di Ristretti orizzonti – segnala che al 20 agosto i suicidi di persone ristrette erano 56 (Morire di carcere. Aggiornamento al 20 agosto 2025). Ulteriori suicidi si sono verificati il 23 agosto (nel carcere di Cremona) e il 27 agosto (nel carcere di Busto Arsizio). L’anno in corso ha visto inoltre 3 suicidi tra gli operatori penitenziari (E. Spaccini, Detenuto di 61 anni si suicida in cella a Busto Arsizio: era in carcere da 10 giorni, 27 agosto 2025).
Questi dati fanno temere che nel 2025 possa essere stabilito un nuovo, orribile record.
Il nesso tra sovraffollamento e suicidi è evidenziato da un dato statistico: dei 54 istituti in cui si sono verificati suicidi nel 2024, 51 registravano un indice di affollamento superiore a 100 (cfr. Record di suicidi ed eventi critici in carcere nel 2024: i dati nel report del Garante dei detenuti, 1° gennaio 2025). Tuttavia, per il Ministro Nordio sovraffollamento e suicidi in carcere sono “due problemi gravi, ma non connessi”: “anzi paradossalmente il sovraffollamento è una forma di controllo: alcuni tentativi di suicidio sono stati sventati proprio dai compagni di cella. È la solitudine che porta al suicidio” (cfr. Suicidi in carcere. Secondo Nordio il sovraffollamento fa bene: “È una forma di controllo”, 18 luglio 2025). Il Ministro ha poi ribadito, in una recentissima intervista, che “i suicidi in carcere e il sovraffollamento dei penitenziari sono due problemi gravi, ma non connessi tra loro”, aggiungendo che “se una persona intende suicidarsi, in carcere o fuori, non c’è modo di impedirlo” (Nordio: «I suicidi in carcere non sono legati al sovraffollamento», 18 agosto 2025): quanto meno, il Ministro non si è spinto, in quest’ultima occasione, fino all’elogio del sovraffollamento quale antidoto al suicidio dei detenuti.
3. Una situazione drammatica, che reclama sia interventi immediati, volti a fronteggiare l’emergenza, sia misure strutturali, tese a prevenire il riproporsi degli stessi problemi nel prossimo futuro (in questo senso, in termini perspicui, una lettera aperta indirizzata ai Presidenti del Senato e della Camera, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della Giustizia dai presidenti dell’Associazione italiana professori di diritto penale, dell’Associazione nazionale magistrati e dell’Unione camere penali italiane: G.L. Gatta, C. Parodi, F. Petrelli, Emergenza suicidi in carcere. Impegnarsi tutti. E partire da qui, 24 agosto 2025).
Tra i possibili interventi immediati, spicca la proposta di legge Giachetti presentata il 14 novembre 2022 (AC 552), che interveniva sulla liberazione anticipata ex art. 54 ord. penit. Richiamando in vita la liberazione anticipata speciale introdotta a seguito della sentenza Torreggiani, prevedeva un innalzamento temporaneo (per due anni) della riduzione di pena (da 45 a 75 gg a semestre); decorsi i due anni, la riduzione di pena per la liberazione anticipata ordinaria sarebbe passata a 60 gg.
La proposta di legge Giachetti si era però ben presto arenata. Era stata bollata dal Ministro Nordio come un ennesimo provvedimento svuota-carceri, che suonerebbe come una “resa dello Stato” (cfr. Suicidi in carcere. Secondo Nordio il sovraffollamento fa bene, cit.): e questa tesi era stata fatta propria anche da un partito di opposizione. Oggi sembrerebbe tuttavia profilarsi un ripensamento da parte delle forze politiche di maggioranza. Un primo segnale è venuto da un’affermazione del Presidente del Senato La Russa a un convegno svoltosi a maggio a Roma, verosimilmente correlata con la presenza in carcere, a Rebibbia, di un uomo politico della sua stessa area, Gianni Alemanno (cfr. M. De Luca, Giachetti: «Inferno carceri. Bene La Russa ma ora la svolta», Quotidiano del sud, 18.5.2025).
Ancora più netta e significativa una lettera indirizzata dal Presidente del Senato a Rita Bernardini, presidente di Nessuno tocchi Caino, in occasione di un convegno svoltosi il 12 luglio a Rebibbia: la lettera contiene l’auspicio di un convinto cambio di passo a fronte delle sofferenze e delle difficoltà legate al sovraffollamento degli istituti di pena e un invito rivolto a tutte le forze politiche “a far prevalere le ragioni della comprensione e della tutela dei diritti e della dignità di ogni essere umano” (Lettera del Presidente del Senato La Russa a Nessuno tocchi Caino sull'emergenza carceri: "occorre un convinto cambio di passo”, 14 luglio 2025).
Proposte meritevoli di attenzione sono venute anche dalla dottrina penalistica.
Ricordo, tra le altre, una proposta di indulto nella forma della commutazione delle pene detentive non superiori a tre anni – subordinata al consenso del condannato – in detenzione domiciliare sostitutiva (G. Amarelli, Sovraffollamento carcerario: aspettando l’efficientamento delle pene sostitutive, subito un indulto proprio condizionato, 21 maggio 2024).
Un’ulteriore proposta – questa volta, una proposta de lege ferenda – ha per oggetto le pene detentive in corso di esecuzione il cui residuo è inferiore a quattro anni: tali pene dovrebbero trasformarsi ex lege in detenzione domiciliare (da scontare, per chi non disponesse di un domicilio idoneo, presso strutture messe a disposizione dallo Stato), nelle more dell’eventuale decisione in ordine ad altre misure alternative (O. Mazza, La detenzione domiciliare allargata come antidoto al sovraffollamento penitenziario, 5 agosto 2024). Questa proposta lascerebbe inalterata – almeno nominalmente – la durata della pena inflitta: come tale, potrebbe apparire compatibile con le dominanti istanze punitivo-securitarie.
Non di meno, la maggioranza di governo non ha dato sin qui segnali di interesse per le soluzioni prospettate dalla dottrina.
4. Quanto alle misure strutturali che dovrebbero accompagnarsi agli interventi emergenziali, si profila un’alternativa di fondo: ridurre il ricorso alla pena detentiva o potenziare il sistema penitenziario, così da garantire il rispetto della dignità della persona ad un numero di persone sempre più imponente.
La prima strada – riduzione del ricorso alla pena detentiva – è quella indicata dalla Costituzione: parlano in questo senso il principio del “minimo sacrificio necessario della libertà personale” (Corte cost. 29 luglio 2025, n. 139, punto 9.1. del Considerato in diritto), che la Corte “deduce dal particolare rilievo costituzionale della libertà personale, solennemente definita «inviolabile» dall’art. 13 Cost.” (Corte cost. 3 luglio 2025, n. 95, punto 5.2.3. del Considerato in diritto), nonché il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità e la finalità rieducativa della pena (art. 27 co. 3 Cost.).
La attuale maggioranza di governo ha presentato un “piano carcere” che si propone come un compromesso tra le due soluzioni, ma nella sostanza privilegia la seconda, e cioè il potenziamento del sistema penitenziario: l’obiettivo primario è quello di aumentare i posti-carcere. Lo ha dichiarato senza ambiguità la Presidente Giorgia Meloni pochi giorni dopo l’approvazione del “piano carcere”: “In passato si è adeguato il numero dei reati alla capienza delle carceri. Noi invece crediamo che uno Stato giusto debba fare il contrario: adeguare le strutture alle esigenze della giustizia. È questo – ha concluso – che garantisce la certezza della pena” (S. Musco, Carceri al collasso, l’idea di La Russa: modello Covid contro il sovraffollamento, 30 luglio 2025). Va dato atto, quanto meno, della coerenza tra questa scelta e una linea politico-legislativa oggi dominante che si caratterizza per un’incessante introduzione di nuovi reati e per altrettanto sistematici inasprimenti di pena in relazione a reati già presenti nell’ordinamento.
5. Il pilastro portante del “piano carcere” 2025 riguarda l’edilizia penitenziaria. In proposito, il Governo (Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 135, 22 luglio 2025) ha annunciato “un insieme coordinato d’interventi, finalizzati al recupero di sezioni esistenti e alla realizzazione di nuovi posti detentivi”, con l’obiettivo di “aumentare la capienza complessiva del sistema penitenziario, migliorando al contempo le condizioni strutturali degli istituti e contrastando in modo strutturale il fenomeno del sovraffollamento”. Nel comunicato si legge inoltre che “attraverso ampliamenti delle strutture esistenti, saranno stati creati 3.716 nuovi posti, mentre ristrutturazioni e manutenzioni consentiranno il recupero complessivo di ulteriori 5.980 posti, per un totale al termine del triennio di 9.696 posti aggiuntivi”. Dunque, approssimativamente si prospettano oltre 15.000 nuovi posti-carcere in tre anni: secondo la stima del Governo, nel 2027 il divario attuale tra popolazione penitenziaria e posti disponibili verrebbe sostanzialmente colmato.
Un obiettivo, per un verso, poco realistico; per altro verso, il suo stesso conseguimento non varrebbe, a mio avviso, a dare una risposta adeguata al sovraffollamento delle carceri.
Da un lato, è difficile confidare nella rapida realizzazione di un numero rilevante di nuovi posti-carcere quando nel recente passato un altro provvedimento relativo al carcere – il decreto-legge c.d. carcere sicuro (d.l. 4 luglio 2024, n. 92, convertito nella l. 8 agosto 2024, n. 112) –, che pure dichiarava di avere tra le proprie finalità quella di debellare il sovraffollamento carcerario, è rimasto del tutto inattuato: il decreto “rinviava – a dispetto dell’‘urgenza’ presupposto del decreto-legge – all’adozione di un decreto attuativo del Ministro della Giustizia entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione. Son passati non sei, ma già dodici mesi, eppure il decreto del Ministero di Nordio non si è visto” (così L. Ferrarella, Decreto carceri, un anno esatto senza attuazione, 4 luglio 2025). Aggiungo che la task force costituita per affrontare l’emergenza carceraria dovrebbe conseguire il mirabolante risultato promesso dal Governo tra agosto e settembre: un arco di tempo non proprio ideale per un’impresa già di per sé non semplice (cfr. L. Motta, Ad un anno di distanza dal Decreto Carcere il ministro Nordio torna sulle solite proposte, 24 luglio 2025; G. Alemanno, F. Falbo, La politica in ferie e noi abbandonati in cella come i cani in autostrada, 13 agosto 2025).
Ammettiamo però, per un attimo, che entro il 2027 vengano realizzati 15.000 nuovi posti-carcere. Nel 2027 lo squilibrio numerico tra popolazione penitenziaria e posti disponibili è comunque destinato a crescere rispetto ad oggi. Basterà considerare quanto è accaduto nei primi mille giorni del governo Meloni. “Le persone ristrette in carcere sono aumentate di 6.503, sei e mezzo in più al giorno”: “i posti regolamentari - non considero quelli realmente disponibili per carità di patria - sono aumentati nei mille giorni solo di 126: quindi, all’incirca uno ogni otto giorni” (così M. Palma, Mille giorni di Governo Meloni visti dalle carceri, 23 luglio 2025). Una situazione destinata a peggiorare ulteriormente, a fronte della continua introduzione di nuovi reati e di sanzioni detentive sempre più severe.
6. I motivi di perplessità nei confronti del "piano carcere" non finiscono qui.
Il commissario straordinario all’edilizia penitenziaria, Marco Doglio, ha parlato di “valorizzazione e trasformazione degli istituti più funzionali”: in particolare, ha fatto riferimento a “carceri importanti situate in centro città o con vista mare, potenzialmente oggetto di valorizzazione urbanistica”; inoltre, ha affermato che “la strategia del piano è realizzare strutture modulari, sicure e moderne”, sottolineando che si tratta di moduli “evoluti, testati, dotati di tutte le garanzie igienico-sanitarie, di sicurezza e durata” (cfr. R. Calandra, Doglio: “Valorizzazione immobiliare di carceri storiche, non solo nuove celle”, 24 luglio 2025).
Non è chiaro che cosa debba intendersi per ‘valorizzazione immobiliare’. Registro un’accorata presa di posizione contro l’ambigua formula proposta da Doglio: “‘Valorizzazione immobiliare’ è la nuova, fantasiosa creazione del governo, ti requisisco la cella vista mare e in cambio ti do un container, un prefabbricato modello Albania, l’ultima trovata in fatto di collocazione delle persone detenute in spazi ristretti per dormire, mangiare, forse respirare, non certo per scontare una pena che “tenda alla rieducazione” come chiede la Costituzione” (O. Favero, L’estate del nostro scontento. Il piano carceri ormai è diventato una malattia cronica recidivante, 30 luglio 2025). È forse eccessivo assimilare i moduli prefabbricati in questione a quelli di Alligator Alcatraz voluti e decantati da Donald Trump (per questa assimilazione, cfr. Carceri. Antigone: "il piano carceri del governo distruggerà il modello Bollate in nome del modello Alligator di Trump?", 21 luglio 2025, nonché, tra gli altri, S. Anastasia, Le carceri e il miracolo dei pani e dei pesci, 24 luglio 2025; F. Corleone, L’Alligator Alcatraz di Nordio, 1° agosto 2025). Tuttavia, sia l’esperienza dei centri di detenzione in Albania, sia quella del decreto ‘carcere sicuro’ del 2024, che pure contemplava moduli prefabbricati da collocare all’interno di istituti penitenziari esistenti (cfr. Corte dei Conti, Infrastrutture e digitalizzazione: Piano carceri, 18 aprile 2025) suggeriscono forti riserve di fronte ai blocchi detentivi previsti dall’ultimo "piano carcere": vuoi per le condizioni in cui il detenuto vivrà all’interno del modulo, vuoi perché i moduli saranno collocati in spazi all’aperto attualmente disponibili per le persone ristrette, a scapito di attività sportive e ricreative, spiragli indispensabili perché il carcere rispetti standard minimi di umanità. Anche il carcere modello di Milano Bollate, tra l’altro, rischia così di vedere stravolta la sua fisionomia: a suggello di un generale fallimento del sistema penitenziario italiano.
7. Tra le delibere adottate dal Consiglio dei Ministri lo scorso 22 luglio, una ha avuto per oggetto un Ddl relativo a condannati e imputati tossicodipendenti o alcoldipendenti che chiedano di proseguire o di intraprendere un “programma terapeutico socio-riabilitativo residenziale” presso una struttura autorizzata (faccio riferimento a uno Schema di Ddl circolato in forma ufficiosa). Nel T.u. stupefacenti (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) si introduce una disposizione (art. 94 ter) relativa a una nuova forma di detenzione domiciliare, che si affianca all’“affidamento in prova in casi particolari” di cui all’art. 94: la “detenzione domiciliare in casi particolari” presuppone la condanna ad una pena detentiva non superiore a otto anni, o a quattro anni nel caso in cui la condanna sia relativa a un titolo esecutivo comprendente un reato di cui all’art. 4 bis ord. penit. All’art. 94 quater T.u. stup. si prevede poi una sorta di patteggiamento riservato agli imputati tossicodipendenti o alcoldipendenti. Anche l’art. 656 co. 5 c.p.p. viene modificato, così da consentire, in presenza dei presupposti per l’applicabilità della nuova forma di detenzione domiciliare, la sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva o della custodia cautelare: l’una o l’altra potranno essere eseguite con le modalità previste dalla disciplina relativa alla “detenzione domiciliare in casi particolari”. Questa forma di detenzione domiciliare non potrà essere concessa più di una volta.
Sottolineo che la detenzione domiciliare di cui all’art. 94 ter T.u. stup. ha contenuti assai restrittivi a confronto con l’affidamento in prova di cui all’art. 94 dello stesso T.u. Lo Schema di Ddl rinvia infatti, in proposito, all’art. 47 ter ord. penit. (art. 94 ter co. 7 T.u. stup.), che a sua volta rimanda, per le modalità esecutive della detenzione domiciliare, all’art. 284 c.p.p.: ne segue che il condannato ammesso alla nuova misura alternativa avrà la possibilità di allontanarsi dalla struttura residenziale soltanto per provvedere a indispensabili esigenze di vita. Nulla di simile, dunque, rispetto ai contenuti della detenzione domiciliare sostitutiva di cui all’art. 56 l. n. 689/1981, nella versione del d.lgs. n. 150/2022, che prevede soltanto un obbligo di permanenza nel domicilio per almeno dodici ore al giorno (cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di dir. pen., pt. gen., XIV ed., 2025, p. 794 s.).
8. A prima vista, la nuova detenzione domiciliare, interessando pene fino a otto anni, segna un apprezzabile progresso nella riduzione del ruolo del carcere nel quadro del sistema sanzionatorio penale: lo ha sottolineato in un’intervista, fra gli altri, Rita Bernardini (cfr. R. Carlino, Tutte le criticità del nuovo piano contro il sovraffollamento nelle carceri, 24 luglio 2025).
Nella nuova disciplina, peraltro, scorgo non solo luci, ma anche molte ombre.
A differenza dell’“affidamento in prova in casi particolari”, la detenzione domiciliare ‘terapeutica’ presuppone che la domanda di accesso contenga, a pena di inammissibilità, accanto ad altri elementi, l’indicazione della correlazione tra la tossicodipendenza e il reato: un requisito di non facile definizione, in alcuni casi altamente opinabile, in grado di ridurre sensibilmente nella prassi l’area applicativa della nuova misura.
Secondo quanto si legge nel citato Comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 135 del 22 luglio 2025, “per ottenere il beneficio, il programma di riabilitazione sarà sottoposto a una Commissione di valutazione, che dovrà anche accertare l’effettiva e attuale condizione di dipendenza del soggetto e alla quale e dovrà essere fornita l’indicazione della correlazione tra la dipendenza stessa e la commissione del reato”. Di tale Commissione di valutazione non c’è però traccia nello Schema di Ddl: un buco nero che dovrà in qualche modo essere colmato.
La detenzione domiciliare ‘terapeutica’ dovrà essere eseguita presso una “struttura privata autorizzata” (art. 94 ter co. 2 T.u. stup.). Quali i criteri per l’individuazione di tali strutture e, più in generale, per la definizione dei metodi di accertamento dei presupposti per l’accesso alla misura? Lo Schema di Ddl prevede che si costituisca una Commissione centrale con il compito di elaborare linee-guida tali da assicurare l’uniforme applicazione della nuova disciplina a livello nazionale: provvederà in proposito un decreto ministeriale da adottarsi “entro 120 gg. dall’entrata in vigore della legge”. Tempi lunghi, dunque, a dispetto dell’urgenza di intervenire sulla drammatica condizione delle carceri. In un recente passato – mi riferisco al ‘pacchetto sicurezza 2025’ – si è fatto ricorso al decreto-legge in un contesto che, a mio avviso, non lo legittimava (cfr. E. Dolcini, Sicurezza per decreto-legge?, 30 giugno 2025). Dove invece, oggi, sarebbe doveroso fare ricorso al decreto-legge, si procede con esasperante, colpevole lentezza.
Suscita qualche perplessità, inoltre, il carattere privato delle strutture che dovranno accogliere i condannati ammessi alla nuova misura alternativa. C’è chi ha parlato, in proposito, di una ‘forma privata di detenzione’, incompatibile con i principi fondamentali del nostro ordinamento (cfr. Carceri. Antigone: “Il piano carceri del governo distruggerà il modello Bollate in nome del modello di Trump?”, cit.). In realtà, si tratta non di carcere, ma comunque di un servizio essenziale di competenza dello Stato. Se poi si considera che lo Schema di Ddl presenta un vuoto all’art. 4, sotto la rubrica “Disposizioni finanziarie”, appare legittimo il dubbio che i costi della detenzione domiciliare ‘terapeutica’ debbano essere sostenuti, nella visione del Governo, dal condannato. Accadrebbe che chi può pagare andrebbe in comunità; chi non può pagare rimarrebbe in carcere. Con buona pace del principio costituzionale di eguaglianza!
Un ulteriore problema riguarda la capacità recettiva delle comunità terapeutiche. Secondo una stima attendibile, una volta varata la nuova normativa, le strutture dovrebbero accogliere circa 1000 nuovi ospiti in esecuzione della misura alternativa di cui all’art. 94 ter T.u. stup. (cfr. G. Alfaro, “Le Comunità per tossicodipendenti sono strutture di cura, non luoghi alternativi alla detenzione”, 29 luglio 2025). Già oggi, però, le comunità terapeutiche non dispongono che di un numero minimo di posti liberi: la creazione di ulteriori mille posti richiederà rilevanti stanziamenti pubblici, senza i quali questa componente del "piano carcere" 2025 sarebbe votata al fallimento.
Da ultimo, un interrogativo di fondo. Per ridurre la presenza in carcere di tossicodipendenti, che attualmente sfiora il 30% della popolazione penitenziaria (cfr. G. Marinucci, E. Dolcini, G.L. Gatta, Manuale di dir. pen., pt. gen., cit., p. 769), non sarebbe più opportuno intervenire sul trattamento sanzionatorio dei reati in materia di stupefacenti piuttosto che introdurre una nuova, problematica misura alternativa alla detenzione?
9. Un ulteriore intervento approvato dal Consiglio dei Ministri nel quadro del "piano carcere" 2025 riguarda la procedura per la concessione della liberazione anticipata ex art. 54 ord. penit. Nel citato Comunicato stampa del Governo si parla di un “provvedimento, da adottarsi con decreto del Presidente della Repubblica, che apporta modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in materia di procedimento per la concessione della liberazione anticipata”. L’obiettivo è quello di introdurre, “in attuazione dell’art. 5 d.l. 4 luglio 2024, n. 92,… una procedura più rapida e più rigorosa per la concessione del beneficio della liberazione anticipata, già previsto nell’ordinamento penitenziario”.
Se ben intendo, si ripropone così la procedura per la concessione della liberazione anticipata già prevista nel 2024 dal c.d. decreto carcere sicuro, che ha riscritto l’art. 69 bis ord. penit. La più importante novità nell’art. 69 bis ord. penit., nella versione del 2024, è contemplata al co. 1 e riguarda il momento in cui può essere presentata l’istanza di accesso alle misure alternative alla detenzione o ad altri benefici analoghi: si stabilisce che l’istanza possa essere presentata a decorrere dal termine di 90 giorni antecedente al maturare del presupposto per l'accesso alle misure alternative alla detenzione o ad altri benefici analoghi. L’art. 69 bis co. 3 ord. penit. prevede poi che l’istanza possa essere presentata in un momento diverso nel caso in cui il condannato vi abbia uno specifico interesse, che deve essere indicato nell’istanza a pena di inammissibilità. L’art. 69 bis co. 6 ord. penit. stabilisce, infine, che entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto-legge vengano apportate al vigente regolamento penitenziario (d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230) le modifiche necessarie per adeguarlo alla disciplina dettata dalla nuova versione dell’art. 69 bis: un termine ormai definitivamente spirato.
Si vorrebbe dunque mettere in atto una disciplina della procedura per la concessione della liberazione anticipata che, prevista dall’art. 69 bis ord. penit., è sinora rimasta sulla carta.
Non ritengo, però, che si tratti di “una procedura più rapida e più rigorosa”: all’opposto, tale disciplina, a mio avviso, è complessivamente peggiorativa della precedente, sia sotto il profilo della tempistica delle decisioni, sia sotto quello del più gravoso onere di allegazione imposto al richiedente (in questo senso F. Fiorentin, La nuova disciplina della liberazione anticipata ora al vaglio di legittimità costituzionale, 20 marzo 2025).
Nella sostanza, la concessione della detrazione di pena per la partecipazione all’opera di rieducazione verrebbe comunicata al condannato non già allo scadere di ogni semestre, bensì soltanto in un momento successivo, a seguito di una valutazione complessiva da parte del magistrato di sorveglianza: una valutazione più defatigante e complicata di quella fatta semestre per semestre, comportando la necessità di acquisire informazioni presso una pluralità di soggetti (direzioni degli istituti presso i quali l’interessato è stato ristretto, forze dell’ordine per quanto riguarda i periodi trascorsi agli arresti domiciliari, uffici di esecuzione penale esterna, ecc.).
Soprattutto, verrebbe meno l’effetto motivante esercitato sul condannato dal riconoscimento periodico di un progresso verso il ritorno in libertà. Come si legge in una recente ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Napoli che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 bis ord. penit. (cfr. F. Fiorentin, La nuova disciplina della liberazione anticipata, cit.), “la dimensione trattamentale progressiva della liberazione anticipata vive proprio di questo nucleo strutturale essenziale: vedersi riconoscere, per ogni semestre di pena, la riduzione della restrizione. Il tutto con una decisione immediata e sostanzialmente coeva o di poco successiva al completamento del semestre stesso. Essa funge da meccanismo incentivante per il detenuto e la partecipazione alla risocializzazione riesce ad avviare il ristretto ad una vera rieducazione e ad un progressivo reinserimento sociale”.
10. In definitiva, sia pure in un quadro al momento connotato da alcune incertezze, il "piano carcere" 2025 non sembra promettere significativi progressi nella direzione di una pena più umana e orientata alla rieducazione del condannato.
Il "piano carcere" non produrrà effetti positivi nell’immediato; ben poco se ne può attendere anche nel lungo periodo.
Qualcosa si muove soltanto in materia di comunicazioni telefoniche tra le persone ristrette e i familiari o conviventi. Lo schema di D.P.R. modificativo del regolamento penitenziario del 2000 in materia di liberazione anticipata e di corrispondenza telefonica dei detenuti e degli internati porta da quattro a sei al mese i colloqui telefonici che possono essere autorizzati dal direttore dell’istituto; in presenza di un reato di cui all’art. 4 bis co. 1 ord. penit., i colloqui passano da due a quattro. Non proprio un’innovazione radicale!
11. È altamente improbabile che l’attuale Parlamento possa ripensare funditus il proprio approccio ai problemi del carcere: non ci possiamo attendere un’amnistia, né un indulto incondizionato. Altrettanto lontana dalla linea politico-legislativa dominante appare una proposta di legge presentata lo scorso 17 luglio, su iniziativa di Riccardo Magi, segretario nazionale di +Europa, intitolata “Disposizioni in materia di misure alternative alla detenzione in caso di mancanza di posti letto disponibili negli istituti di pena” (AC 2520). A proposito di tale proposta di legge, volta ad introdurre il ‘numero chiuso’ nelle carceri, così si è espresso Magi: “Se un carcere ha 100 posti non si può fare entrare il detenuto numero 101. Prima devo fare uscire qualcuno e lo posso fare con gli arresti domiciliari, con la liberazione anticipata, con programmi di lavoro, con la comunità. Questo accade in Gran Bretagna” (cfr. G. Urso, In carcere solo se c’è posto. Soluzione “radicale” al sovraffollamento, 7 agosto 2025).
Ben poco ci si può attendere, in termini di riduzione del sovraffollamento carcerario, e quindi di ‘umanizzazione’ del carcere, dal proposito, annunciato dal Ministro Nordio il 13 agosto, di una riforma della custodia cautelare che ne restringa l’applicabilità. In effetti, quanti al 31 luglio di quest’anno si trovavano in carcere in attesa di primo giudizio erano soltanto il 14,42%: un dato “in parte non riducibile e comunque marginale nel determinare il complessivo sovraffollamento” (così E. Bruti Liberati, Il sovraffollamento non si risolve con la riduzione della custodia cautelare, 28 agosto 2025. V. inoltre S. Musco, Mauro Palma: “Limitare la custodia cautelare in carcere non basta”, 30 agosto 2025).
Nondimeno, nel corso dell’estate è venuto un segnale di speranza per le persone ristrette: sia per quanti potrebbero lasciare il carcere, sia per quanti vi rimarrebbero, ma in condizioni di minore affollamento. Durante la ‘cerimonia del ventaglio’ – tradizionale cerimonia di fine luglio nel corso della quale esponenti della stampa parlamentare consegnano un ventaglio al Presidente della Repubblica e ai Presidenti della Camera e del Senato –, il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha annunciato una proposta di legge, la cui stesura ha affidato alla Vicepresidente Anna Rossomando, per consentire l’uscita dal carcere ai detenuti con pena inferiore a 18 mesi e per reati non gravi. Il modello è quello offerto dal decreto ‘cura Italia’ (d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito nella l. 24 aprile 2020, n. 27), che, in piena emergenza da Covid-19, aveva introdotto (art. 123) una misura temporanea – rimasta in vigore fino al 31 dicembre 2022 – ricalcata sull’“esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi” (art. 1 l. 26 novembre 2010, n. 199), salvo discostarsi in parte da tale modello quanto alle preclusioni, ai profili procedurali e agli strumenti di controllo (cfr. E. Dolcini, Carcere e Covid-19: una cronistoria. Dal decreto 'cura Italia' al 'decreto ristori', Riv. it. dir. proc. pen., 2021, p. 3 ss.): pene fino a 18 mesi, anche quando si trattasse del residuo di maggior pena, potevano essere eseguite, su istanza, presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza. Secondo quanto dichiarato dall’on. Rossomando, “prevediamo la possibilità di richiedere che gli ultimi 18 mesi di pena possano essere scontati in regime di detenzione domiciliare, chiaramente in assenza di gravi motivi ostativi” (cfr. S. Musco, Carceri al collasso, l’idea di La Russa: modello Covid contro il sovraffollamento, cit.).
Questa iniziativa ha qualche possibilità di successo. Nasce infatti con il patrocinio del Presidente del Senato, esponente di spicco di un partito – Fratelli d’Italia – fino a ieri totalmente arroccato su posizioni securitarie in tema di carcere. La Russa, nel corso della ‘cerimonia del ventaglio’, ha affermato che il sovraffollamento incide sulla capacità del nostro ordinamento carcerario di svolgere un ruolo che non deve essere solo retributivo, ma anche di recupero alla società dei detenuti. “Il sovraffollamento rende ancora più difficile questo compito già di per sè arduo. E poi le condizioni di vita civile devono essere previste e realizzate per chiunque”. Ancora: “Dietro le statistiche sul sovraffollamento ci sono persone, diritti e uno Stato che — per essere davvero giusto — non può limitarsi a custodire, ma deve saper rieducare. E garantire dignità, anche a chi ha sbagliato” (v. ancora S. Musco, Carceri al collasso, cit. In precedenza, v. la lettera indirizzata da La Russa a Rita Bernardini lo scorso 13 luglio: Lettera del Presidente del Senato La Russa a Nessuno tocchi Caino sull'emergenza carceri, cit.).
Va inoltre sottolineato che la proposta di legge in questione verrà sottoposta anche ai partiti dell’opposizione, più sensibili, sia pure in misura non omogenea, al tema dei diritti delle persone ristrette: se si registrasse un consenso unanime, l’approvazione della proposta di legge potrebbe avvenire in tempi brevi.
Coltiviamo questa speranza.