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15 Settembre 2025


Scioglimento del cumulo delle pene e sospensione dell’ordine di esecuzione

Cass. Sez. I, sent. 30 maggio 2025 (dep. 12 agosto 2025), n. 29469, Pres. Casa, Est. Magi



1. Con la sentenza n. 29469/2025 la Corte di Cassazione è intervenuta in materia di scioglimento del cumulo delle pene, alcune delle quali riferite a cosiddetti reati ostativi (art. 4-bis ord. penit.), ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione. La sentenza merita alcune brevi riflessioni, essendo il tema più frequentemente vagliato da dottrina e giurisprudenza con riferimento all’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, anziché all’istituto di cui all’art. 656 co. 5 c.p.p.

 

1.1. Nel caso di specie, il pubblico ministero procedente in sede esecutiva aveva determinato la pena complessiva che il condannato avrebbe dovuto scontare in 4 anni, 7 mesi e 20 giorni di reclusione e, rilevata la sussistenza nel cumulo di un reato ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione ex artt. 656 co. 9 c.p.p. e 4-bis ord. penit., ossia quello previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309/90 aggravato ai sensi dell’art. 80 co. 2 del medesimo decreto, ne aveva disposto la carcerazione, non potendo lo stesso proseguire l’espiazione della pena in regime di arresti domiciliari, in cui si trovava da oltre un anno.

Ai fini di una piena comprensione della vicenda, occorre da subito puntualizzare che, nel caso concreto, la circostanza aggravante dell’ingente quantità (art. 80 co. 2 d.P.R. 309/90), che determina la “ostatività” dei reati in materia di stupefacenti, era stata ritenuta sussistente dal giudice della cognizione (e, ancor prima, contestata dal p.m.) solo con riferimento alle “droghe leggere” (art. 73 co. 4 d.P.R. 309/90). Quindi, riconosciuta la continuazione tra i reati contestati, la pena era stata determinata considerando come reto più grave quello previsto dall’art. 73 co. 1 d.P.R. 309/90, non aggravato ex art. 80 co. 2 e dunque non ostativo, e poi aumentata ex art. 81 cpv. c.p. di 1 anno di reclusione per il reato di cui agli art. 73 co. 4, questo invece aggravato.

In altre parole, il reato ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione corrispondeva al cosiddetto reato satellite della continuazione.

Il g.i.p. del Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, osservato quanto sopra e rilevato che il condannato era sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari da più di un anno (quindi per un periodo superiore rispetto alla pena irrogata, in concreto, per il reato ostativo, satellite del reato continuato), in accoglimento dell’istanza formulata dalla difesa, aveva disposto la sospensione dell’efficacia dell’ordine di esecuzione, con ripristino temporaneo degli arresti domiciliari (art. 656 co. 10 c.p.p.). Il giudice, infatti, alla luce della giurisprudenza di legittimità e costituzionale, aveva ritenuto applicabile il generale principio dello scioglimento del cumulo delle pene anche all’istituto della sospensione dell’ordine di esecuzione e aveva imputato il periodo di custodia cautelare già sofferto dal condannato al reato satellite, in quanto ostativo. Pertanto, la pena residua da espiare, inferiore al limite di quattro anni previsto dall’art. 656 co. 5 c.p.p. (a seguito dell’intervento della Consulta con sent. 41/2018), era riferibile a un reato non ostativo alla sospensione dell’ordine esecutivo.

 

1.2. L’ordinanza veniva impugnata dal pubblico ministero, il quale lamentava la non applicabilità del principio giurisprudenziale della scindibilità del cumulo all’istituto di cui all’art. 656 c.p.p., dovendo valere, nella fase esecutiva, l’opposto principio della pena unica, costituendosi un unico rapporto esecutivo. Inoltre, si invocava la natura prettamente amministrativa dei provvedimenti adottati dal pubblico ministero nel corso dell’esecuzione, quali quello di cumulo o lo stesso ordine di esecuzione, con conseguente impossibilità di effettuare l’operazione di scioglimento del cumulo. Infine, il ricorrente osservava che l’indirizzo giurisprudenziale cui si ispirava l’ordinanza impugnata non poteva affatto dirsi consolidato.

 

1.3. La Cassazione, pur accogliendo il ricorso per le ragioni che verranno illustrate, strettamente legate al caso concreto, ha anzitutto aderito all’orientamento interpretativo già sposato in diverse pronunce dalla giurisprudenza di legittimità[1] e condiviso dal giudice dell’esecuzione, secondo cui il principio generale della scindibilità del cumulo trova applicazione anche rispetto alla sospensione dell’ordine di esecuzione di cui all’art. 656 co. 5 c.p.p.

In particolare, la Cassazione ha osservato che, in linea di principio, il cumulo delle pene, sia materiale sia giuridico, dà luogo a una pena unica, ascrivibile a un rapporto esecutivo unitario in quanto riferito a tutte le condanne riportate e non singolarmente a ciascuna o ad alcune di esse.

Tuttavia, a mitigare gli effetti pregiudizievoli derivanti da tale unitarietà del rapporto esecutivo sono intervenute due fondamentali pronunce.

Anzitutto, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 361 del 1994, ha affermato che l’art. 4-bis ord. penit., per essere rispettoso dell’art. 3 Cost., va interpretato nel senso che le misure alternative alla detenzione sono concedibili ai condannati per i gravi reati ivi indicati, qualora essi abbiano già espiato per intero la pena per detti reati e stiano eseguendo quelle irrogate per reati non ostativi. La disposizione, infatti, non imprime lo stigma di “detenuto pericoloso” in capo a colui che sia stato condannato per uno dei delitti ivi indicati, ma prevede un articolato sistema di preclusioni strettamente legato alla pena da espiare, se irrogata per quel dato reato.

Il principio affermato dalla Consulta è stato poi recepito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 14 del 30.6.1999, Ronga, secondo cui sia il cumulo materiale, derivante da provvedimento di unificazione di pene concorrenti ai sensi dell'art. 663 c.p.p., sia il cumulo giuridico, effetto del riconoscimento della continuazione o del concorso formale di reati, pur dando luogo a un rapporto esecutivo unitario, avente ad oggetto l’espiazione di sanzione divenuta unica, può essere sciolto quando tale operazione sia propedeutica all’applicazione di benefici penitenziari o comunque di istituti che producano effetti a vantaggio del condannato.

Dunque, come osservato dalla pronuncia in commento, le Sezioni Unite Ronga hanno elevato lo scioglimento del cumulo a “principio generale del sistema della esecuzione della pena - lì dove vengano eseguite pene distinte ma concorrenti ai sensi degli artt. 76 e 80 c.p. - posto che tale istituto si fonda sulla necessità di «scomposizione» del provvedimento di determinazione delle pene concorrenti emesso per reati tra loro diversi e consente di realizzare l’accesso ai benefici penitenziari lì dove risulti scontata la «frazione» di pena relativa al cd. «reato ostativo»”.

Infatti, le disposizioni limitative dell’accesso ai benefici penitenziari non possono assumere portata generale in relazione all’intera fase esecutiva, ma vanno limitate alla parte del rapporto esecutivo riferito alla pena irrogata per il reato ostativo. Dunque, “lì dove la detta frazione di pena sia stata interamente scontata il rapporto esecutivo esiste, ma in riferimento alle frazioni di pena imputabili a fattispecie diverse ed in tal caso il soggetto riacquista appieno le facoltà e i benefici che la legge riconosce al condannato, nei limiti della ragionevolezza”.

 

1.4. Prosegue la Suprema Corte osservando che tale principio, elaborato dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale con riferimento all’accesso alle misure alternative alla detenzione, di competenza del tribunale di sorveglianza, “in assenza di precisi argomenti giuridici contrari” risulta applicabile anche alla sospensione dell’ordine di esecuzione. Pertanto, nel caso in cui la pena irrogata per il reato ostativo sia stata già integralmente espiata, in virtù del computo del presofferto ai sensi dell’art. 657 c.p.p., non può dirsi preclusa la sospensione, finalizzata ad evitare l’ingresso in carcere del condannato in attesa dell’eventuale richiesta di misura alternativa e della relativa decisione del tribunale di sorveglianza.

Come accennato, in senso contrario il ricorrente invocava la diversità delle prerogative spettanti al pubblico ministero in sede di formazione del cumulo (art. 663 c.p.p.), il quale, data la natura amministrativa dell’attività svolta, non potrebbe effettuare un’operazione di scorporo delle pene, e quelle spettanti al giudice deputato ad applicare le misure alternative alla detenzione, poiché solo in tale seconda sede potrebbe invocarsi il principio in questione.

La Cassazione, tuttavia, non ha condiviso tale argomento, premettendo che, secondo costante giurisprudenza, il giudice dell’esecuzione è competente a provvedere sulle doglianze formulate dal condannato in merito alla mancata sospensione dell’ordine di esecuzione emesso dal pubblico ministero, in applicazione analogica dell’art. 670 c.p.p., ferme restando le valutazioni spettanti poi al tribunale di sorveglianza in tema di misure alternative alla detenzione.

Dunque, la Suprema Corte aggiunge efficacemente che “se il provvedimento di cumulo, pur avendo tendenziale natura amministrativa è «giustiziabile» attraverso l’incidente di esecuzione, è evidente che il Pubblico ministero ed il Giudice dell’esecuzione devono parlare la stessa lingua ed applicare i medesimi principi di diritto, dovendosi assicurare la parità di trattamento di situazioni analoghe, cardine del nostro sistema costituzionale”.

In altre parole, l’affermata natura amministrativa dell’attività compiuta dal pubblico ministero in tale fase non lo esonera dall’applicazione del principio di scioglimento del cumulo, onde valutare la necessità o meno di sospendere l’ordine di esecuzione, senza che il condannato sia onerato di sollevare incidente di esecuzione per ottenere dal giudice dell’esecuzione il medesimo risultato.

In conclusione, la Cassazione ha ribadito il seguente principio di diritto: “la disposizione di cui all’articolo 656, comma 9, lett. a), cod. proc. pen. nella parte in cui formula il divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione nei confronti dei «condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis legge n. 354 del 1975» intende affermare che la sospensione non può essere accordata in riferimento alla esistenza – in concreto –  di una pena residua che ricomprenda almeno uno dei reati inseriti nell’elenco. Lì dove, tuttavia, la pena inflitta per il reato ricompreso nell’elenco […] risulti già integralmente espiata, per effetto della fungibilità, occorre sciogliere il cumulo e ritenere che il condannato sia affrancato dalla ostatività, dunque, la sospensione potrà essere concessa ove l’entità della pena da scontare lo consenta e non sussistano altre ipotesi da cui la legge faccia derivare un divieto di sospensione”.

 

1.5. Nonostante la Corte abbia condiviso le argomentazioni del giudice dell’esecuzione quanto allo scioglimento del cumulo delle pene, il ricorso del pubblico ministero è stato accolto, con conseguente annullamento senza rinvio dell’ordinanza, in base a considerazioni strettamente legate alle peculiarità del caso concreto[2].

Infatti, premesso che, come sopra illustrato, nel caso di specie il reato ostativo (artt. 73 co. 4, 80 co. 2 d.P.R. 309/90) costituiva il reato satellite rispetto al più grave reato di cui all’art. 73 co. 1 d.P.R. 309/90, non aggravato e quindi non ostativo, la Suprema Corte ha ritenuto che in una simile ipotesi “la condizione soggettiva di pericolosità del condannato, pur se riferibile ad un reato meno grave, deve essere rapportata – quantomeno ai fini di cui all’art. 656 cod. proc. pen. - anche al reato principale, nel caso in esame rappresentato da quello previsto dall’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990, trattandosi peraltro di fattispecie del tutto omogenee tra loro (entrambi reati in tema di stupefacenti)”. Sotto tale profilo, la Cassazione ha concordato con il p.m. ricorrente nel ritenere che “il meccanismo sospensivo non possa operare, in ragione del fatto che la pena prevista per il reato ostativo, in questo particolare caso, va intesa come comprensiva di quella inflitta per il reato più grave, ai fini di cui all’art. 656 cod. proc. pen.”.

***

2. La sentenza in questione appare di particolare interesse per quanto affermato in ordine ai seguenti temi:

- estensione del principio di scioglimento del cumulo delle pene alla sospensione dell’ordine di esecuzione;

- poteri/doveri del pubblico ministero e del giudice dell’esecuzione;

- applicazioni in tema di reato continuato.

 

2.1. Anzitutto, come rammentato dalla pronuncia in commento, il principio di scindibilità del cumulo affonda le sue radici nella sentenza n. 361/1994, in cui la Corte Costituzionale ha escluso profili di frizione dell’art. 4-bis ord. pen. con l’art. 3 Cost., se interpretato nel senso che, in virtù del principio di scioglimento del cumulo, già elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, non è precluso l’accesso ai benefici penitenziari ai condannati per reati ostativi e non ostativi, qualora abbiano già scontato per intero la pena relativa ai primi e l’espiazione in corso riguardi, invece, gli altri. Come sopra accennato, infatti, la Consulta ha evidenziato che l’art. 4-bis ord. pen. non attribuisce al condannato lo status di “detenuto pericoloso” nel corso di tutto l’arco del rapporto esecutivo, a prescindere dal titolo specifico di condanna in esecuzione. Al contrario, la disciplina delle misure alternative alla detenzione si articola in termini differenziati in relazione alla tipologia di reato la cui pena è in corso di espiazione. Diversamente, per circostanze meramente casuali, legate alla singola vicenda processuale ed esecutiva, il regime dei presupposti per la concessione delle misure alternative verrebbe ad atteggiarsi in modo differente e accidentale, con conseguente violazione dell’art. 3 Cost.[3].

Tali principi sono stati più di recente ribaditi dalla Corte costituzionale con sentenza n. 33/2022, ove si è rimarcato che “nel caso di cumulo, materiale o giuridico, di pene inflitte per diversi titoli di reato, alcuni dei quali soltanto compresi nell'elenco di cui all'art. 4-bis ordin. penit., occorre procedere allo scioglimento del cumulo, venendo meno l'impedimento alla fruizione dei benefici penitenziari qualora l'interessato abbia già espiato la parte di pena relativa ai reati ostativi”.

Sempre rispetto all’accesso alle misure alternative alla detenzione e ai benefici penitenziari, quindi, le Sezioni Unite Ronga del 1999, richiamate dalla sentenza in commento, hanno affermato che nel corso dell’esecuzione il cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato è scindibile a tal fine, qualora il condannato abbia espiato la pena relativa ai delitti ostativi.

Anche il massimo consesso nomofilattico ha evidenziato che l’opposta tesi della inscindibilità del cumulo genererebbe un’inaccettabile diversità di trattamento a seconda della eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente al cumulo, ovvero di distinte esecuzioni per le singole condanne. Infatti, solo in tale seconda ipotesi, l’avvenuta espiazione della pena inflitta per il titolo ostativo, determinando l’esaurimento del corrispondente rapporto esecutivo, permetterebbe la successiva fruizione dei benefici penitenziari in relazione alle altre condanne; invece, nel primo caso, l’unificazione delle pene, seppur volta a temperare gli effetti del cumulo materiale, produrrebbe il paradossale effetto negativo di assegnare alla quantità di pena riferita al reato ostativo una sorta di efficacia impeditiva permanente rispetto ai benefici penitenziari, sicché, pur decorso il relativo periodo, la preclusione permarrebbe per l’intera fase esecutiva.

 

2.2. Occorre precisare che il principio di scioglimento del cumulo presuppone, logicamente, che la pena relativa al reato ostativo sia considerata come espiata per prima, sì da non espandere più i suoi effetti rispetto alla successiva fase esecutiva.

Il principio trova un addentellato normativo nell’art. 74 co. 2 c.p., il quale prescrive che nel caso di concorso di reati che comportano pene detentive di specie diversa, va eseguita per prima la reclusione e, a seguire, l’arresto. Se ne desume che la pena più grave va scontata per prima[4]. Lo stesso principio, quanto alle pene pecuniarie, può essere desunto dall’art. 75 co. 2 c.p., laddove prevede che in caso di concorso di multa e ammenda, qualora la pena non sia stata pagata per intero, agli effetti della conversione la somma versata va detratta dalla multa, che quindi va considerata corrisposta per prima.

La regola, affermata costantemente in giurisprudenza[5], appare ispirata al principio del favor rei, fermo restando che, nel resto, il rapporto esecutivo rimane unitario[6].

 

2.3. Infine, sul tema dello scioglimento del cumulo sono recentemente intervenute anche le Sezioni Unite con sentenza n. 30753 del 15.12.2022, dep. il 14.7.2023[7].

Ai fini del presente contributo, ci si limita a osservare come in tale decisione si sia ribadito, in premessa, che in caso di cumulo di pene inflitte per reati diversi, al fine di accertare l’esistenza dei requisiti di ammissibilità a benefici penitenziari o a misure alternative alla detenzione, si debba procedere preliminarmente allo scioglimento del cumulo di pene tra reati ostativi e non ostativi. Il presupposto dello scioglimento del cumulo, a ben vedere, non era oggetto di contrasto interpretativo, essendo state le Sezioni Unite chiamate a dirimere la diversa questione inerente alla necessità, nella determinazione delle pene da imputare al reato ostativo, di considerare le medesime nella misura temperata a seguito dell’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. oppure nella loro entità originaria (tema che esula dal presente contributo).

Inoltre, le Sezioni Unite hanno ribadito che, una volta operato lo scioglimento del cumulo, debba ritenersi scontata per prima la pena più gravosa per il condannato, ossia quella riferibile ai reati che non consentirebbero l’accesso ai benefici.

 

2.4. Se i suddetti principi appaiono granitici rispetto all’accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione, maggiormente controversa è la loro applicabilità alla sospensione dell’ordine di esecuzione.

Com’è noto, l’istituto mira ad evitare la carcerazione di condannati che astrattamente possiedono i requisiti per ottenere una misura alternativa alla detenzione, così da evitare inutili compressioni della libertà personale, nonché gli effetti criminogenetici e stigmatizzanti che, di per sé, l’accesso in carcere può determinare[8]. Inoltre, l’istituto appare ispirato anche a ragioni di sgravio del sovraffollamento carcerario, a fronte di condanne irrevocabili a pene detentive brevi[9].

L’ordinamento considera a tal fine breve la pena detentiva quando essa, anche se costituente residuo di una pena maggiore, non supera i 4 anni di reclusione (a seguito dell’intervento della Corte Cost. 41/2018) o 6 anni per il condannato tossicodipendente, tenendo conto anche del calcolo della liberazione anticipata (art. 656 co. 4-bis e 4-quater c.p.p.).

In estrema sintesi, il pubblico ministero è tenuto ad effettuare una serie di operazioni preliminari volte a individuare la pena concreta da portare in esecuzione, ossia il computo del presofferto (art. 657 c.p.p.) e il cumulo (art. 633 c.p.p.), per poi valutare l’applicabilità della sospensione.

Tra i divieti di sospensione dell’ordine di esecuzione, l’art. 656 co. 9 lett. a) c.p.p. annovera il caso di condanna per reati di cui all’art. 4-bis ord. penit. ovvero per gli altri delitti tassativamente elencati. Di qui la questione inerente all’estensione del principio di scioglimento del cumulo, in caso di condanne per reati ostativi e non ostativi.

Va rammentato che il divieto di sospensione opera oggettivamente, nel senso che il pubblico ministero deve limitarsi a verificare se il delitto per cui sia intervenuta condanna irrevocabile rientri nell’elenco previsto dal citato art. 4-bis ord. penit., non rilevando gli ulteriori indici previsti dalla disposizione (inerenti alla collaborazione con la giustizia e all’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata), oggetto di valutazione di esclusiva competenza del tribunale di sorveglianza ai fini della concessione delle misure alternative, richieste dal condannato in stato detentivo[10]. In tal senso, è unanime la giurisprudenza di legittimità (tra cui, ex multis, Cass. pen., Sez. V, sent. n. 358 del 7.10.2021, così massimata “In tema di divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena detentiva nel caso di condanna per un reato ostativo, il rinvio dell'art. 656, comma 9, lett. a), cod. proc. pen. ai delitti di cui all'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, è volto soltanto ad individuare i reati per i quali la sospensione non può essere disposta, senza recepire anche i presupposti previsti dal predetto art. 4-bis per l'accesso ai benefici penitenziari”).

 

2.5. Tornando alla decisione in commento, la Cassazione ha ribadito che il principio dello scioglimento del cumulo delle pene, volto a mitigare gli effetti pregiudizievoli derivanti dall’unitarietà del rapporto esecutivo, ha portata generale e trova applicazione anche rispetto all’istituto di cui all’art. 656 c.p.p., “in assenza di precisi argomenti giuridici contrari” e alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione.

Come osservato già da Cass. pen., sent.  n. 35390 dell’1.8.2019, la diversa tesi dell’inscindibilità del cumulo potrebbe determinare un’inaccettabile diversità di trattamento a seconda della eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente al cumulo, ovvero di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle singole condanne, in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza e uguaglianza[11].

Peraltro, può osservarsi che la sopra citata sentenza della Consulta, n. 361 del 1994, aveva già affermato in termini generali la “necessità dello scioglimento del cumulo in presenza di istituti che, ai fini della loro applicabilità, richiedano la separata considerazione dei titoli di condanna e delle relative pene”, tra i quali può ben rientrare anche quello previsto dall’art. 656 co. 5 c.p.p.

 

2.6. Naturalmente, con riguardo alla sospensione dell’ordine di esecuzione, la scissione del cumulo è concepibile in virtù del computo della custodia cautelare già sofferta dal condannato che, secondo le coordinate ermeneutiche sopra esposte, va addebitata anzitutto al reato ostativo.

Dunque, può farsi luogo alla sospensione, ai sensi dell’art. 656 co. 5 c.p.p., previa virtuale scissione delle pene in esecuzione, qualora quelle riferibili ai reati ostativi possano considerarsi già espiate in virtù dell’imputazione di periodi di custodia cautelare (o di presofferti senza titolo) ai sensi dell’art. 657 c.p.p., come di recente affermato anche da Cass. pen., Sez. I, n. 51412 del 22.12.2023.

Sul punto, la giurisprudenza[12] ha valorizzato il tenore letterale dell’art. 657 c.p.p. (“il pubblico ministero, nel determinare la pena detentiva da eseguire, computa il periodo di custodia cautelare subita per lo stesso o per altro reato, anche se la custodia è ancora in corso”), osservando che la norma impone al pubblico ministero di prendere in considerazione la custodia cautelare a prescindere che sia stata sofferta per lo stesso o per diverso reato, quindi eventualmente anche in separato procedimento, al fine di quantificare la pena da espiare in concreto. Unica condizione, imposta dal successivo quarto comma della medesima disposizione, è che si tratti di carcerazione subita dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena detentiva da espiare, al fine di evitare una sorta di “credito penale”, che precostituisca la sostanziale impunità al condannato per futuri reati[13].

 

3. Uno degli argomenti spesi dal ricorrente contro l’estensione del principio de quo alla sospensione dell’ordine di esecuzione fa leva sulla natura amministrativa dell’attività svolta dal pubblico ministero in fase esecutiva, con particolare riferimento all’emissione dell’ordine di esecuzione, cui dunque non potrebbe demandarsi la scissione del cumulo di pene.

La natura delle funzioni e delle attività del pubblico ministero, “motore” dell’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 655 co. 1 c.p.p. e, prima ancora, dell’art. 73 ord. giud., appare di grande interesse e all’evidenza non può essere trattato ex professo in questa sede[14].

Ci si limita ad osservare che, effettivamente, la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza riconoscono natura amministrativa ai provvedimenti adottati dal p.m. dell’esecuzione, essendo puramente esecutivi del comando contenuto nella sentenza di condanna divenuta irrevocabile, pur riconoscendosi la crescente “giurisdizionalizzazione” di tale fase, considerata nel suo complesso, costantemente sottoposta al potenziale vaglio da parte del giudice dell’esecuzione. Da tale qualifica discende, secondo un orientamento consolidato, che avverso i decreti emessi dal pubblico ministero, sempre suscettibili di revoca o modifica, non è ammissibile ricorso per Cassazione[15]. Invece, essi sono soggetti al controllo, sia pur incidentale e su impulso di parte, del giudice dell’esecuzione, puntualizzandosi in dottrina che l’istanza formulata dal condannato o dal suo difensore non costituisce un’impugnazione, ma procedimento di prima istanza volto a rimuovere vizi o errori in cui sia incorso il pubblico ministero[16].

A ben vedere, gli artt. 667 ss. c.p.p. non prevedono espressamente il controllo del g.e. sulla (mancata) sospensione dell’ordine di esecuzione o sul decreto di cumulo emesso dal pubblico ministero. Non si dubita, tuttavia, che una tale prerogativa spetti al giudice dell’esecuzione su impulso del condannato o del suo difensore. Vi è chi in dottrina osserva che il giudice dell’esecuzione, garante della perfezione, della legalità e dell’efficacia del titolo esecutivo, può sempre essere sollecitato tramite incidente di esecuzione ex art. 666 c.p.p., anche quando manchi una specifica previsione[17].

Secondo una diversa impostazione, condivisa dalla pronuncia in commento, il controllo del giudice sulla sospensione dell’ordine di esecuzione va ricondotto, invece, all’art. 670 c.p.p. (rubricato “questioni sul titolo esecutivo”), sia pur applicato in via analogica, poiché non si pone una questione di inesistenza o non esecutività del titolo, ma di inefficacia transitoria dello stesso, ferme restando poi le ulteriori valutazioni del tribunale di sorveglianza in ordine alle misure alternative alla detenzione[18].

In merito ai poteri del giudice dell’esecuzione, la Suprema Corte ha peraltro puntualizzato che l’impulso alla concreta attuazione del comando contenuto nel titolo esecutivo spetta sempre al pubblico ministero, il quale non è esonerato dall’emettere l’ordine di carcerazione per le pene detentive brevi, ma deve, contestualmente sospenderne l’esecuzione assegnando al condannato un termine di trenta giorni per presentare richiesta di misure alternative. Ne consegue che “ove non sia adottato il provvedimento di sospensione, non è ammissibile, in quanto tale, una istanza di annullamento o di revoca dell’ordine di carcerazione legittimamente emesso, ma deve ritenersi consentito all’interessato - in applicazione analogica dell'art. 670 c.p.p. - di chiedere al giudice della esecuzione la declaratoria di temporanea inefficacia del provvedimento che dispone la carcerazione” (così Cass. pen., sez. I, n. 25538 del 10.4.2018). Ne consegue che il giudice dell’esecuzione non può annullare o revocare l’ordine di esecuzione emesso dal p.m. senza la contestuale sospensione, ma deve limitarsi (come accaduto nel caso di specie) a dichiararlo temporaneamente inefficace.

 

3.1 Proprio nell’ambito del controllo effettuato dal g.e. in merito alla mancata sospensione dell’ordine di esecuzione potrebbe inserirsi la valutazione inerente allo scioglimento del cumulo delle pene per reati ostativi e non ostativi, volta a verificare se la frazione di pena irrogata in relazione ai primi possa considerarsi già integralmente espiata in presofferto.

Secondo una prima tesi, ai fini dello scorporo delle pene sarebbe necessaria una declaratoria di estinzione di quella relativa al reato ostativo per effetto del quantum già espiato a titolo di custodia cautelare, mediante un provvedimento di natura tale da dover essere necessariamente adottato dal giudice dell’esecuzione in via incidentale (o dal tribunale di sorveglianza, in seguito, ai fini della concessione delle misure alternative). Dunque, non rientrando tale operazione tra le competenze del pubblico ministero, sarebbe effettivamente necessaria un’istanza di scorporo da parte del difensore rivolta al giudice dell’esecuzione, al fine di ottenere la dichiarazione di avvenuta espiazione di quella parte di condanna riferita ai reati ostativi e di conseguire, per l’effetto, la sospensione ex art. 656 co. 5 c.p.p. [19].

Tale ricostruzione, tuttavia, oltre a onerare il condannato di instaurare un incidente di esecuzione, rischierebbe di minare l’utilità dello scioglimento ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione, non evitando l’ingresso del condannato negli istituti di pena, nelle more del provvedimento del giudice. Si è, dunque, ipotizzato che, per scongiurare l’adozione di un ordine di esecuzione non sospeso, il condannato o il suo difensore potrebbero rivolgere al giudice istanza di sospensione provvisoria dell’esecuzione, applicando analogicamente l’art. 666 co. 7 c.p.p.[20].

Al contrario, la Cassazione, nella sentenza in commento e nei precedenti ivi richiamati, ha osservato che, a prescindere dalla natura amministrativa dell’operato del pubblico ministero in fase esecutiva, essendo i relativi provvedimenti giustiziabili mediante incidente di esecuzione, questi deve “parlare la stessa lingua e applicare i medesimi principirispetto al giudice dell’esecuzione, dovendosi assicurare parità di trattamento a situazioni analoghe, alla luce dell’art. 3 Cost.

Tale impostazione consente, dunque, di evitare che lo scioglimento del cumulo di pene sia subordinato all’instaurazione di un incidente di esecuzione. Inoltre, può osservarsi che la natura amministrativa dei provvedimenti del p.m. in fase esecutiva non pare necessariamente incompatibile con lo scorporo delle pene, mediante l’imputazione del presofferto al reato ostativo nel decreto di cui all’art. 657 c.p.p., trattandosi di un meccanismo automatico e scevro da valutazioni discrezionali.

Ciò risulta coerente anche con quanto affermato dalla Suprema Corte con sentenza n. 35390/2019, secondo cui è “l’organo dell’esecuzione”, vale a dire il pubblico ministero, a dover individuare il titolo di reato effettivamente in espiazione, qualora ci si trovi al cospetto di cumuli di pena tra cui figurino titoli detentivi ostativi, con la conseguente necessità, a tal fine, di procedere all’eventuale scioglimento del cumulo materiale o giuridico.

 

4. Da ultimo, vale la pena di indugiare sull’applicazione del principio di scioglimento del cumulo di pene al reato continuato. Come già esposto, infatti, lo scorporo delle pene è ritenuto applicabile tanto al cumulo materiale, quanto al cumulo giuridico ex art. 81 c.p.

La questione maggiormente complessa, che si presenta nel caso di specie, si pone quando il reato ostativo coincide con il reato satellite.

In questo caso, secondo un orientamento più risalente, lo scioglimento del cumulo giuridico formatosi per effetto della continuazione determinerebbe il ripristino della pena edittale prevista nel minimo, con esclusione di qualsiasi riferimento alla pena inflitta in concreto a titolo di aumento per la continuazione[21]. Dunque, il presofferto dovrebbe coincidere almeno con il minimo edittale previsto per il reato satellite, per poter considerare integralmente espiata la pena irrogata per il reato ostativo.

In base a un orientamento più recente, sposato dall’ordinanza impugnata e non smentita dalla Corte di Cassazione, va invece considerato l’aumento di pena in concreto inflitto a titolo di continuazione per il reato satellite ostativo, senza tener conto della pena edittale[22].

In base a quest’ultima tesi, quindi, occorre verificare se il condannato abbia già scontato, in presofferto, un periodo coincidente con la pena irrogata in aumento ex art. 81 co. 1 c.p.

Quest’ultimo indirizzo appare in linea con il favor che ispira l’istituto del cumulo giuridico. Soprattutto, tiene conto di come nella fase esecutiva non si possa prescindere dal giudicato formatosi sulla pena, come emerge anche dall’art. 187 disp. att. c.p.p. ai fini dell’individuazione della violazione più grave per l’applicazione del reato continuato e del concorso formale in sede esecutiva (art. 671 c.p.p.).

Anche in questa prospettiva, allora, si coglie la necessità che il giudice della cognizione, ove riconosca la continuazione tra reati, calcoli e motivi l’aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite, secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 47127 del 24.6.2021. Tale specificazione, infatti, consentirà di verificare se la porzione di pena irrogata per tale reato sia stata già espiata in regime cautelare e, ricorrendone gli ulteriori presupposti, l’ordine di esecuzione vada sospeso.

 

5. Infine, un breve inciso merita l’ultimo paragrafo della pronuncia in commento, in cui la Suprema Corte, dopo aver condiviso l’impianto argomentativo dell’ordinanza impugnata in merito allo scioglimento del cumulo, ha cionondimeno accolto il ricorso, annullando il provvedimento senza rinvio.

Considerando che nel caso di specie vi era una particolare omogeneità tra violazione più grave (art. 73 co. 1 d.P.R. 309/90) e reato satellite (artt. 73 co. 4 e 80 co. 2 d.P.R. 309/90), costituente anche reato ostativo, secondo la Cassazione la “condizione soggettiva di pericolosità del condannato”, pur desumibile dal solo reato satellite, va riferita anche al reato principale ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione. Afferma dunque la Corte che la sospensione non possa operare, poiché la pena prevista per il reato ostativo, in questo particolare caso, va intesa come comprensiva di quella inflitta per il reato più grave, ai fini dell’art. 656 c.p.p.

In attesa di più autorevoli e approfonditi commenti, non può negarsi come tale ultimo assunto desti qualche perplessità. Infatti, esso sembra richiamare proprio quello status di “detenuto pericoloso”, in virtù della condanna per un reato contemplato nell’art. 4-bis ord. penit., che è stato da tempo sconfessato dalla Corte Costituzionale, come sopra ampiamente osservato, dovendosi porre invece l’accento sul titolo esecutivo e sulla frazione di pena concretamente in espiazione.

Infine, tali ultimi passaggi argomentativi della pronuncia in commento non paiono pienamente conciliabili con il principio di scissione del cumulo di pene, pur condiviso in linea di principio dalla stessa Cassazione, e sembrano recuperare una concezione unitaria del rapporto esecutivo rispetto alla sospensione dell’ordine di esecuzione.

 

 

 

 

[1] Tra cui, ex multis, Cass. pen., Sez. I, n. 22479 del 16.4.2002; Sez. I, n. 24981 del 31.5.2005; Sez. I, n. 23902 del 16.4.2013; Sez. I, n. 35390 dell’1.8.2019; Sez. I, n. 10024 del 21.12.2022; Sez. I, n. 51412 del 22.12.2023.

[2] Cfr. par. 5 della decisione in commento.

[3] E che, del resto, il principio della “pena unica”, desumibile dagli artt. 73 e 76 c.p., non possa risolversi in danno del condannato era stato già affermato da Corte Cost. n. 386/1989, che nell’escludere l’illegittimità costituzionale dell’art. 47 co. 1, l. 354/1975 aveva chiarito come nel computo delle pene, ai fini della determinazione del limite di pena per la concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali, debba tenersi conto di quella già espiata. Tra i diversi commenti ci si limita a rinviare a F. Fiorentin, Questioni aperte in materia di benefici penitenziari a condannati per i delitti dell'art. 4-bis l. n. 354 del 1975, in Giur. merito, fasc. 2, 2012, pag. 504.

[4] Cfr. A. Fusi, Manuale dell’esecuzione penale, III ed., Giuffrè, Milano, 2021, pag. 811. Lo stesso principio, quanto alle pene pecuniarie, può desumersi dall’art. 75 co. 2 c.p., laddove prevede che in caso di concorso di multa e ammenda, qualora la pena non sia stata pagata per intero, agli effetti della conversione la somma versata va detratta dalla multa, che quindi va considerata corrisposta per prima.

[5] Cfr. ex multis Cass. pen., Sez. I, n. 14563 del 12.4.2006, nonché, più di recente, Sez. I, n. 47113 del 23.6.2023 - dep. 23.11.2023.

[6] Cfr. per ulteriori riferimenti sul punto F. Fiorentin, F. Siracusano (a cura di), L’esecuzione penale, Giuffrè, 2019, p. 54.

[7] Sulla quale si rimanda a M. Bortolato, Cumulo materiale temperato e reati ostativi: le Sezioni unite risolvono il conflitto tra i diversi criteri di imputazione delle pene, in questa Rivista, 14.9.2023.

[8] Cfr. A. Scalfati, A. Bernasconi, A. De Caro, M. Menna, C. Pansini, A. Pulvirenti, N. Triggiani, C. Valentini, D. Vigoni, Manuale di diritto processuale penale, Giappichelli, 2025, p. 1034.

[9] Cfr. P. Tonini, C. Conti, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2023, p. 1118.

[10] Cfr. P. Corso, Manuale della esecuzione penitenziaria, Monduzzi Editoriale, 2019, p. 525. Sulla natura puramente aritmetico-formale delle verifiche effettuate dal pubblico ministero in tale sede si v. anche F. Fiorentin, F. Siracusano (a cura di), op. cit., p. 1078.

[11] In giurisprudenza, il principio di scissione del cumulo ha trovato frequente applicazione anche rispetto all’indulto. Si v. ex multis Cass. pen., Sez. I, n. 22663 del 25.5.2012, così massimata: “Il provvedimento di cumulo per pene concorrenti deve essere scisso, quando ciò consenta l'effetto vantaggioso della sospensione dell'ordine di esecuzione imputando l'indulto alla pena irrogata con condanna per reato che a detta sospensione sia di ostacolo. (Nella specie il condannato era stato riconosciuto colpevole anche del reato di cui all'art. 74, commi 2 e 7, d.P.R. n. 309 del 1990, reato che, benché non escluso dall'applicazione del beneficio dell'indulto, è tra quelli ostativi alla sospensione dell'ordine di esecuzione)”.

[12] In particolare, Cass. pen., Sez. I, n. 23902 del 16.4.2013, ampiamente richiamata dalla sentenza in commento.

[13] Cfr. P. Corso, op cit.., p. 517.

[14] Per un inquadramento del tema, sia consentito rinviare ad A. Fusi, op. cit., pp. 2 ss.; P. Corso, op. cit., pp. 511 ss.; A. Gatto, G. Ranaldi, Esecuzione penale, Giuffrè, 2016, pp. 53 ss.

[15] Invero, secondo un arresto della S.C., “il ricorso per cassazione proposto contro provvedimento del P.M. avverso il quale non è proponibile impugnazione, ma solo incidente di esecuzione, non va dichiarato inammissibile, ma qualificato come incidente, con conseguente trasmissione degli atti al giudice competente” (Cass. pen., sez. I, ord. n. 25129 del 17.6.2010).

[16] Cfr. A. Fusi, op. cit., p. 491.

[17] Cfr. O. Dominioni, P. Corso, A. Gaito, G. Spangher, N. Galantini, L. Filippi, G. Garuti, O. Mazza, G. Varraso, F.R. Dinacci, M. Bontempelli, E.M. Mancuso, G. Iasevoli, Procedura penale, Giappichelli, 2023, pag. 1116.

[18] Cfr., oltre alla sentenza in commento al par. 2, la ivi richiamata Cass. pen., Sez. I, sent. n. 36007 del 17.6.2011, così massimata: “Il provvedimento con il quale il P.M. rigetta la richiesta di sospensione dell'esecuzione dell'ordine di carcerazione proposta in pendenza del termine per chiedere eventuali misure alternative alla detenzione, pur non ricorribile per cassazione, può essere sottoposto al controllo del giudice dell'esecuzione, mediante l'attivazione della procedura prevista in sede esecutiva dall'art. 670 cod. proc. pen.”. Di strumento “versatile” nelle applicazioni giurisprudenziali si parla in A. Scalfati, A. Bernasconi, A. De Caro, M. Menna, C. Pansini, A. Pulvirenti, N. Triggiani, C. Valentini, D. Vigoni, op. cit., p. 1058.

[19] La tesi è sostenuta da A Fusi, op. cit., p. 703.

[20] Idem, p. 813.

[21] Cfr. in tal senso Cass. pen., sez. I, n. 51835 del 14.11.2014.

[22] Cfr. ex multis Sez. I, n. 10024 del 21.12.2022; Sez. I, n. 17143 del 14.3.2016. La tesi è coerente anche con quanto affermato in materia di indulto da Sez. Un., n. 21501 del 23.4.2009, Astone, in cui si è statuito che in caso di reati uniti nel vincolo della continuazione, alcuni dei quali - compreso quello più grave - siano stati commessi entro il termine fissato per la fruizione del beneficio ed altri successivamente, la pena rilevante ai fini della revoca dell'indulto va individuata, con riguardo ai reati satellite, nell’aumento di pena in concreto inflitto a titolo di continuazione per ciascuno di essi e non nella sanzione edittale minima prevista per la singola fattispecie astratta.