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  Scheda  
06 Maggio 2025


Il nuovo ruolo dell’avvocato tra giustizia riparativa e trattamenti sanzionatori alternativi alla pena ed al processo


Riportiamo di seguito il testo dell'intervento tenuto dall'Avv. Antonella Calcaterra al corso "Giustizia penale e riparazione: dalle condotte risarcitorie alla giustizia riparativa" organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura e tenutosi a Napoli, Castel Capuano il 17-19 marzo 2025. 

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1. Gli Interventi legislativi in tema di giustizia riparativa e il ruolo dell’avvocato. – Le numerose e significative innovazioni apportate sia in ambito sanzionatorio che riparatorio impongono una riflessione profonda sulla necessità di rivedere il tradizionale ruolo dell’avvocato, ruolo che non può più restringersi esclusivamente al processo in senso stretto e puramente tecnico. L’evoluzione della normativa, infatti, estende il campo d’azione dell’avvocato, ora chiamato a ricoprire un ruolo più complesso e articolato[1].

Oggi, infatti, si assiste ad una disponibilità ampia e variegata di strumenti sanzionatori: questi rappresentano una risorsa significativa non solo per il giudice che li applica, ma per il difensore stesso. Le “pene”, al plurale, di cui parla l’articolo 27 della Costituzione si arricchiscono di soluzioni alternative al carcere, come giustamente osservato dalla Ministra Cartabia, la quale ha sottolineato come la parola “carcere” non compaia mai in questo contesto[2]. Accanto a queste nuove forme di sanzione, sono stati introdotti numerosi ed efficaci strumenti, che consentono di limitare o addirittura escludere le restrizioni dei diritti fondamentali dei nostri assistiti. Tra questi, la non punibilità per la particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.), l’estinzione del reato attraverso condotte riparatorie (art. 162 ter c.p.) e la sospensione condizionale della pena (artt. 163 ss. c.p.) rappresentano possibilità concrete per una gestione più equa e umanizzata della giustizia[3]. Inoltre, sono stati previsti percorsi che permettono una risoluzione più rapida ed efficace del processo penale, includendo percorsi di recupero e cura più adeguati al caso di specie, contribuendo così alla riabilitazione e reintegrazione dell'individuo nella società.

A completamento di questo panorama normativo, è finalmente disciplinata anche la giustizia riparativa, che apre nuovi orizzonti per la risoluzione dei conflitti, orientando la giustizia verso una dimensione più restaurativa e centrata sulla persona[4]. Questo ampio ventaglio di strumenti segna una vera e propria evoluzione del sistema penale, in cui a soluzioni meramente punitive si affiancano alternative che favoriscono una maggiore giustizia sociale e individuale[5]. Gli avvocati sono dunque inevitabilmente sollecitati ad assumere nuove e più ampie responsabilità, dovendosi adattare ad un contesto in cui il loro compito va ben oltre la rappresentanza processuale, richiedendo un impegno costante e qualificato su più fronti. Ed è proprio su queste nuove responsabilità che è incentrato il presente contributo.

Al di là delle singole norme, l’obiettivo è quello di evidenziare come tanto la giustizia riparativa quanto l’istituto delle pene sostitutive debbano progressivamente integrarsi nel linguaggio delle aule di giustizia, con l’obiettivo di garantire la tutela più adeguata alle persone assistite e di favorire un reale cambiamento di prospettiva nella risoluzione delle questioni derivanti dal reato. Oltre al più ampio dibattito sul senso e sull’efficacia della pena,[6] non si può più ignorare, infatti, come lo stesso processo penale tradizionale risulti inadeguato alla reale ricomposizione dei conflitti. Troppo spesso il processo penale non solo non riesce a regolare e risolvere i contrasti sociali e personali, ma anzi - al contrario – tende ad aggravarli e acuirli.

Il processo penale è funzionale all’accertamento di un fatto reato, alla riconducibilità di tale fatto all’imputato, all’accertamento della colpevolezza e grado della colpevolezza, ed eventualmente alla quantificazione della pena. Raramente, tuttavia, si tiene conto della dimensione più ampia che sottende a tale arena pubblica, incluse le componenti emozionali intrinsecamente connesse all’offesa e alle conseguenze che ne derivano. Il processo penale in questo modo “frantuma” non solo chi lo subisce, ma anche chi aspetta una risposta dalla giustizia per la lesione dei propri diritti in conseguenza dei reati subiti: la spersonalizzazione, la mancanza di ascolto delle parti, i tempi della risposta penale, così come quelli dell’applicazione della pena, sono tra le maggiori problematiche. Si pensi a titolo esemplificativo alla condizione dei c.d. “liberi sospesi”: coloro che, condannati con sentenza definitiva a una pena detentiva non superiore a quattro anni, dopo la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena (art. 656, co. 5 c.p.p.) attendono per molto tempo la decisione del tribunale di sorveglianza sulla richiesta di una misura alternativa alla detenzione[7]. In questi tempi così lunghi, quasi interminabili, tutte le parti e le persone coinvolte rimangono “pietrificate” dall’esperienza del processo, che troppo spesso si rivela un’esperienza di ingiustizia sia per la vittima che per l’imputato. È il sistema attuale che funziona in questo modo, ma gli operatori del settore non possono ignorarne le debolezze. In questo contesto, la giustizia riparativa rappresenta finalmente un valido strumento di recupero di quella dimensione dialogica, fondamentale all’interno di uno spazio aperto alla relazione e volto alla ricomposizione delle fratture, offrendo così un’opportunità concreta per affrontare e risolvere le questioni derivanti dal reato.

Fatte queste premesse, nel proseguo della trattazione si procederà dapprima a richiamare il dovere di informazione (par. 2) e quello di opportuna valutazione della percorribilità della strada della giustizia riparativa (par. 3), doveri che competono all’avvocato difensore, per poi esaminare i criteri della redazione della richiesta (par. 4). Infine, si concluderà con alcune considerazioni sulla giustizia riparativa nella fase esecutiva (par. 5).

 

2. Il dovere di informazione.L’inserimento della disciplina della giustizia riparativa, articolata in diversi passaggi fondamentali tra cui l’informazione sull'esistenza e sulle possibilità offerte dai programmi di giustizia riparativa; l’accesso volontario e consapevole ai programmi; lo svolgimento degli stessi; gli effetti; e da ultimo la valutazione degli esiti dei programmi, ha comportato numerose modifiche alla legge penale e processuale. Tra i punti di maggiore interesse per il difensore vi è certamente quello dell’informativa.

Al di là dei numerosi avvisi che sono stati aggiunti – per legge – a tutti gli atti processuali, spetta a noi difensori il compito di informare propriamente gli assistiti. Tale dovere deontologico di informazione è cristallizzato all’art. 27 del codice deontologico forense e strettamente connesso ai principi di diligenza e competenza sanciti a loro volta agli artt. 12 e 14 e 15, che impongono all'avvocato di garantire un'adeguata informazione e valutazione delle opzioni disponibili per la tutela degli assistiti. [8]

Innanzitutto, è necessario spiegare che partecipare ad un percorso di giustizia riparativa non significa che lo Stato recederà dalle pretese punitive e non significa abdicare al processo, ma significa trovare un modo di dialogo e di soluzione ad un conflitto che deriva da un fatto storico, sia che esso verrà accertato come reato sia che non venga ritenuto tale. Come descritto, la giustizia riparativa è un’opportunità di risolvere alcune delle conseguenze del reato in parallelo o al termine del processo penale tradizionale.[9]  

Inoltre, occorre specificare in modo chiaro scevro da malintesi quelli che sono gli effetti della giustizia riparativa, sia nel processo che nell’esecuzione penale. Nel processo la valutazione del programma riparativo incide sulla remissione tacita della querela (quando il querelante abbia partecipato ad un programma riparativo con esito positivo) e sul trattamento sanzionatorio ai fini della concessione attenuante 62 comma 1 n. 6 c.p., ai fini dell’art. 133 c.p. e dell’art. 163 comma 4 c.p.. Nell’esecuzione penale, invece, gli effetti connessi al percorso di giustizia riparativa sono più complessi. Domanda ricorrente riguarda il vantaggio che può derivare dalla giustizia riparativa e il suo impatto sull’accesso a misure alternative e sulla possibilità di uscire dal carcere. È fondamentale chiarire che la giustizia riparativa non costituisce uno strumento per ottenere la scarcerazione né rientra tra gli strumenti del trattamento penitenziario. Sebbene possa avere un impatto sul percorso del detenuto, il suo obiettivo primario è la ricomposizione del conflitto e il riconoscimento del danno, non la concessione di misure alternative o benefici penitenziari. Nello specifico, l’art. 13 comma 4 o.p. prevede che debba essere favorito il ricorso ai programmi di giustizia riparativa e l’art. 15 bis comma 2 o.p. riconosce al giudice la possibilità di valutare positivamente la partecipazione e l’eventuale esito riparativo ai fini delle misure premiali che sono elencate. È dunque responsabilità del difensore quella di fornire un'informazione corretta, evitando fraintendimenti sulla sua funzione e sulle sue reali implicazioni nel sistema della giustizia.

Da ultimo, è necessario conoscere ed illustrare le garanzie previste dalla legge a tutela della riservatezza di quanto viene comunicato nel corso degli incontri nei centri di giustizia riparativa. La tutela della riservatezza è garantita e si estende a tutti gli atti compiuti, alle dichiarazioni rese e a quanto viene detto nell’ambito dei percorsi di giustizia riparativa. Inoltre, vige il principio di inutilizzabilità delle dichiarazioni acquisite, sia nel procedimento penale sia nella fase di esecuzione della pena, assicurando che quanto emerso nei programmi riparativi non possa essere utilizzato contro le parti coinvolte.[10]

 

 

3. Il dovere di valutazione dell’avvocato. – Strettamente connesso al dovere di informare, vi è il dovere del difensore di valutare l’opportunità di favorire un percorso di giustizia riparativa.

Il difensore, grazie al rapporto diretto con le persone coinvolte, ha la possibilità di comprendere più a fondo le storie e le fratture causate dai reati. Il suo compito, come anticipato, non si esaurisce nella difesa tecnica, ma deve oggi includere un’attenta riflessione sull’adeguatezza della giustizia riparativa nel caso concreto, tanto nella veste di difensore dell’indagato quanto in quella di rappresentante della parte lesa. Sul punto giova ricordare che la pratica di giustizia riparativa vale astrattamente per tutti i reati, indipendentemente dalla loro gravità.

Vi sono tuttavia criteri utili ad orientare una valutazione individuale, che deve sempre essere ancorata al caso concreto. Un elemento fondamentale è la dimensione relazionale tra le parti, particolarmente rilevante nei reati che coinvolgono persone destinate a interagire anche in futuro. È il caso, ad esempio, dei reati che nascono in contesti familiari, nelle relazioni di lavoro, nelle amicizie, nei rapporti di vicinato o nei piccoli centri urbani, dove la conflittualità può protrarsi nel tempo.

Un altro aspetto riguarda i reati che hanno una forte valenza simbolica e valoriale, come il furto in abitazione o quelli aggravati dalla discriminazione, che colpiscono non solo la vittima diretta, ma anche il senso di sicurezza e appartenenza della comunità. Allo stesso modo, i reati che danneggiano istituzioni, enti o persone giuridiche – ad esempio, atti di vandalismo o danneggiamento – possono trovare una risposta efficace nella giustizia riparativa.

Non vanno poi trascurati i reati commessi attraverso strumenti digitali, come quelli legati ai social network, alla posta elettronica o alla navigazione in rete, in cui le dinamiche di offesa e conflitto assumono forme nuove e complesse. Vi sono poi quei reati che, pur non avendo una vittima diretta, generano allarme sociale e conflitto tra l’autore e la collettività, come quelli in materia di stupefacenti, le risse, l’occupazione di edifici, il disturbo della quiete pubblica, nonché i reati finanziari e ambientali.

Infine, anche nei reati di estrema gravità, che ledono beni fondamentali come la vita, l’integrità fisica, la libertà personale e sessuale, l’onore e la reputazione, la giustizia riparativa può offrire uno spazio di riflessione e ricomposizione del danno, senza però sostituirsi alla necessaria risposta sanzionatoria.

L’analisi di questi criteri consente di valutare con maggiore consapevolezza l’opportunità di un percorso riparativo, sempre nel rispetto delle specificità di ogni singolo caso. Preziose, in tal senso, le esperienze già maturate nelle realtà dei centri di mediazione penale (soprattutto in ambito minorile), ben prima della riforma Cartabia.[11]

In ogni caso, la valutazione deve comunque sempre essere effettuata nel rispetto della sua reale fattibilità. La raccolta del consenso - che deve essere personale, libero, consapevole, informato, scritto e anche revocabile -,[12] è infatti effettuata dai centri per la mediazione, ove vi sono professionista altamente specializzati e con la competenza di fare questo passaggio delicatissimo.

 

4. La redazione della richiesta da parte dell’avvocato. – La formalizzazione della richiesta è un ulteriore passaggio cruciale che vede l’avvocato in prima linea e che presenta alcune complessità. La stessa Corte di Cassazione fornisce nella sentenza n. 649 del 2024 un utile chiarimento sui presupposti di accesso: “In tema di giustizia riparativa, la sola richiesta di accesso non fa sorgere in capo all'interessato il diritto ad essere avviato presso un centro per lo svolgimento del programma richiesto, non sussistendo alcun automatismo tra la presentazione delle domanda e l'avvio del programma, in quanto è rimessa al giudice la valutazione della sua utilità[13]. È innanzitutto essenziale distinguere tra il processo di merito e la fase esecutiva. Nel primo caso la formulazione della richiesta dovrà essere strutturata tenendo conto dei criteri di valutazione stabiliti dall’art. 129-bis c.p.p., affinché sia conforme ai presupposti normativi e possa essere adeguatamente considerata dagli organi competenti.

Il primo presupposto è l’accertamento in positivo della utilità del programma alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede. A tal fine, occorre fare in modo che il giudice non limiti eccessivamente gli invii: non ci deve essere una utilità diretta e concreta poiché quello che è utile è ‘il viaggio e l’incontro’. Inoltre, è quantomai necessario assecondare la richiesta perché chi chiede di andare a fare un percorso di giustizia riparativa, chi chiede di mettersi davanti alla propria vittima fa una richiesta carica di significato e coraggio che non va fermata in assenza di controindicazioni specifiche.

Il secondo parametro consiste nell’accertamento in negativo della assenza di pericoli concreti per la persona o per l’accertamento dei fatti. Quanto a questo presupposto, può talvolta essere utile attendere, soprattutto nei casi in cui sia pendente un procedimento penale non ancora definito e la prova principale non sia stata ancora raccolta. In alternativa, può risultare efficace illustrare la scelta/strategia processuale futura, al fine di chiarire al giudice l'assenza di pericoli concreti e offrire un quadro più trasparente della situazione, contribuendo così a una valutazione più consapevole della richiesta.

Per quanto attiene invece il rischio di vittimizzazione secondaria, questo non può tradursi in una preclusione automatica all’accesso ai percorsi di giustizia riparativa. È indubbio che il confronto con il presunto autore dell’offesa possa comportare sofferenza per la vittima; tuttavia, tale sofferenza è intrinseca al dialogo riparativo, che per sua natura è complesso e, in molti casi, doloroso. Proprio per questo, la legge prevede che l’incontro possa avvenire esclusivamente a condizione che sia stato espresso un consenso informato da parte di tutti i protagonisti della vicenda. La valutazione della fattibilità di tale percorso, pertanto, deve essere rimessa alla competenza dei mediatori, professionisti qualificati in grado di gestire al meglio le dinamiche relazionali e le eventuali criticità del caso.

Una volta formulata l’istanza, all’esito di una corretta informazione dei criteri, obiettivi ed effetti del programma di giustizia riparativa, il ruolo – per così dire – attivo del difensore si esaurisce. Lo svolgimento del programma riparativo è affidato ai centri e questo significa che né i difensori né l’autorità giudiziaria possono entrare nel merito dei programmi scelti e della sua esecuzione, se non nei limitatissimi spazi che sono previsti e disciplinati dalla Legge stessa. In particolare, l’art. 54 prevede che il difensore della persona indicata come autore dell’offesa ed il difensore della vittima abbiano facoltà di intervenire nei colloqui preliminari su richiesta delle persone interessate, mentre l’art. 56 ultimo comma stabilisce che il difensore della persona indicata come autore dell’offesa ed il difensore della vittima del reato possano assistere i partecipanti nella definizione degli accordi relativi all’esito materiale del programma. Infatti, quando viene siglato un accordo risarcitorio che richieda delle competenze tecniche specifiche del difensore, è possibile che quest’ultimo venga chiamato a partecipare ad un incontro con i mediatori e le parti coinvolte.

 

5. Giustizia riparativa nella fase esecutiva: questioni aperte e rischi. – Se nella fase processuale l’istituto sta avviando alle prime esperienze esplicative[14], più complessa si sta rivelando la gestione dello strumento nella fase esecutiva. È opinione diffusa infatti che la giustizia riparativa sia destinata a trovare migliore spazio e minori resistenze nella fase della esecuzione penale; la sentenza è diventata definitiva ed è tempo per la riflessione: può affacciarsi l’idea di un incontro attraverso il quale possa cogliersi appieno il disvalore dell’agito[15]. Per un verso il confronto con la vittima può favorire il processo di auto responsabilizzazione del reo e, per l’altro verso, le riflessioni portate avanti dal reo possono aumentare le chances di successo del programma riparativo. È importante però che la giustizia riparativa non diventi una intensificazione delle misure premiali e che non venga assegnata alla vittima un ruolo nella ‘esigenza’ rieducativa del condannato[16]. Per i soggetti ristretti è stato inserito nell’art. 13 o.p. un nuovo comma, il comma 4, che prevede che “nei confronti dei condannati e degli internati è favorito il ricorso a programmi di giustizia riparativa”. Inoltre, il nuovo art. 15 bis comma 1 o.p. prevede che “In qualsiasi fase dell’esecuzione l’autorità giudiziaria può disporre l’invio dei condannati alla giustizia riparativa”. Rimangono tuttavia aperte alcune questioni. I c.d. liberi sospesi a quale autorità giudiziaria possono rivolgersi per avviare il percorso? Al magistrato di sorveglianza cui sarà assegnato il fascicolo e per il tramite di chi? L’invio può essere disposto dal magistrato futuro assegnatario del fascicolo o lo deve disporre il collegio? E ancora: per le persone detenute gli operatori coinvolti sono numerosi, a chi spetta questa azione propulsiva indicata dall’art. 13 comma 4 o.p.? All’ equipe trattamentale, al Direttore o anche solo all’interessato che a volte per il tramite dell’avvocato può manifestare un interesse? Il magistrato di sorveglianza può valutare la domanda proveniente dal difensore che si fa portavoce della richiesta del proprio assistito, a fronte magari di una resistenza o inerzia del carcere? Le risposte a tali domande restano ancora incerte. Si pensi al caso di un condannato per delitti ostativi: secondo la nuova disciplina introdotta legge 199 del 2022 che ha riscritto il 4 bis o.p., egli dovrebbe fornire al magistrato di sorveglianza per la valutazione, e ai fini della concessione dei benefici, la prova della sussistenza di iniziative a favore delle vittime, sia in forma risarcitoria, sia nella forma della giustizia riparativa.[17] In questi casi, al di là del completo sovvertimento del principio della volontarietà e spontaneità dei percorsi di giustizia riparativa, il fatto che la partecipazione alla giustizia riparativa sia stata inserita tra i parametri di valutazione del giudice implica che il detenuto abbia il diritto di richiedere l’accesso a questi percorsi. Ciò significa che la domanda non può essere ignorata o lasciata senza risposta: l'autorità competente sarà tenuta a esprimersi formalmente sulla richiesta, valutandone la fattibilità e pronunciandosi in merito al nulla osta.

Quanto agli effetti, l’art. 15 bis o.p. specifica come l’invio dei condannati e degli internati ai programmi di giustizia riparativa possa e debba essere valutata ai fini dei benefici penitenziari la partecipazione e l’eventuale esito positivo. Il menzionato passaggio si limita ad aprire la possibilità di valutare positivamente la partecipazione e l’eventuale esito riparatorio ai fini della concessione del lavoro all’esterno, del permesso e delle misure alternative. Per contro, invece, stabilisce che non si debba tenere conto della mancata effettuazione dei programmi di giustizia riparativa, dell’interruzione o del mancato raggiungimento di esiti. Si avverte tuttavia la tendenza da parte del giudice di voler sapere di più di quella porzione di procedimento sottratta al proprio controllo e dunque di voler valutare la “correttezza” del risultato offerto dal mediatore. Si deve però tenere fermo il principio secondo cui la restituzione dell’esito raggiunto sia quella prevista dalla legge e ciò vale anche per la restituzione degli esiti che è fatta al magistrato di sorveglianza.

È evidente che ci possano essere ricadute nel percorso di risocializzazione, che ci possa essere una valorizzazione di un passaggio che presuppone per l’autore di reato un impegno non da poco, una discussione di sé che va oltre la riflessione sul reato commesso perché implica il difficile riconoscimento di un altro sé.

Tuttavia, il principio indicato dall’art. 15-bis comma 2 non è derogabile.

Altra problematica concerne la scelta dello strumento da utilizzare nel caso in cui emerga la necessità di incontro con le vittime in un ambiente non detentivo, ma qualificato come idoneo per tale incontro. Anche questo è un problema che andrà affrontato. È auspicabile un’estensione del perimetro dell’istituto del permesso, al fine di consentire tali tipi di incontro, proprio in forza di quell’interpolazione della legge che favorisce il ricorso a programmi riparativi.

 

6. Brevi riflessioni conclusive.Con questo contributo si è cercato di delineare quei passaggi per l’accesso alla giustizia riparativa ove il compito del difensore è maggiormente cruciale, ma al tempo stesso delicato. Il difensore, infatti, non solo ha il compito di informare e orientare accuratamente i propri assistiti, ma deve anche valutare attentamente l’opportunità e la fattibilità di tali percorsi.

L’obiettivo è quello di stimolare una riflessione più profonda sul ruolo dell’avvocato in tale ambito. Se il fine della giustizia è anche quello di regolare le relazioni sociali, creare un tessuto sociale di civile convivenza e ripristinare gli equilibri delle relazioni personali attraverso la ricomposizione dei conflitti, allora giustizia riparativa è sicuramente lo strumento di diritto più utile a dare al processo un senso e un’efficacia ulteriore e diversa dal mero accertamento del fatto e dalla commisurazione della pena. È dunque importante che tutti gli attori e operatori contribuiscano a tale presa di coscienza. Purtroppo, la nuova disciplina organica della giustizia riparativa ha incontrato la resistenza di alcuni, specie quei “processualisti” che affermano di vedere nella giustizia riparativa un pericolo per la presunzione di innocenza, ignorando invece quanto devastante possa essere il processo sotto il profilo della non soluzione nelle relazioni umane. Il processo continua ad accertare fatti e responsabilità personali, laddove la giustizia riparativa non lo sostituisce, ma si manifesta rappresentando esclusivamente un’ulteriore opportunità. Non voltare le spalle a questa opportunità significa accogliere pienamente la possibilità di una giustizia più attenta alle persone e capace di ridurre la sofferenza di tutti i soggetti coinvolti.

 

[1] Sul punto si veda anche V. Alberta, ‘L’innesto della Giustizia riparativa nel Processo: L’avvio e la chiusura dalla prospettiva dell’avvocato’  in Sistema Penale, 24 novembre 2023 https://www.sistemapenale.it/it/articolo/alberta-linnesto-della-giustizia-riparativa-nel-processo-lavvio-e-la-chiusura-dalla-prospettiva-dellavvocato

[2] Cfr. Marta Cartabia, ‘Ergastolo e diritto alla speranza. Forme e criticità del “fine pena mai”/ prefazione’ in C. Danusso, E. Dolcini, D. Galliani, F. Palazzo, A. Pugiotto, M. Ruotolo, Ergastolo e diritto alla speranza. Forme e criticità del "fine pena mai", Giappichelli, Torino, 2024, pubblicato su Sistema Penale, 28 giugno 2024  https://www.sistemapenale.it/it/documenti/cartabia-prefazione-ergastolo-e-diritto-alla-speranza-forme-e-criticita-del-fine-pena-mai

[3] Si vedano sul punto le relazioni del Prof. Roberto Bartoli e del Dott. Raffaele Muzzica.

[4] D.lgs. n.150 del 10 ottobre 2022, in attuazione della legge delega 27 settembre 2021 n. 134. Sulla riforma, tra i molti, cfr.   M. Bortolato, ‘La riforma Cartabia: la disciplina organica della giustizia riparativa. Un primo sguardo al nuovo decreto legislativo’ in Questione Giustizia, 10 ottobre 2022; M. Gialuz, ‘La giustizia penale come servizio pubblico: completare la riforma Cartabia’, in Diritto penale e processo  n.3/2023; M. Passione, ‘I programmi ed esiti di Giustizia riparativa: disciplina giuridica’ in Sistema Penale del 24 novembre 2023. https://www.sistemapenale.it/it/articolo/passione-programmi-ed-esiti-di-giustizia-riparativa-disciplina-giuridica

[5] Sulla “crisi della pena” come reazione a un reato e sull'urgenza di modalità alternative alla punizione ed evidenziando gli aspetti contraddittori e paradossali v. da ultimo G. Fiandaca, Punizione, Il Mulino, 2 febbraio 2024.

[6] L. Eusebi, ‘Prospettive di un sistema sanzionatorio riparativo’ in disCrimen Criminalia Annuario di scienze penalistiche del 27.03.2025.

[7] Sul tema dei c.d. “liberi sospesi” si veda a titolo esemplificativo la mozione n. 5 presentata dalla Camera Penale di Milano al Congresso Straordinario dell’Unione Camere Penali Italiane presentata ad ottobre 2024 e disponibile su sistemapenale.it (https://www.sistemapenale.it/it/documenti/la-mozione-della-camera-penale-di-milano-in-tema-di-liberi-sospesi).

[8] Codice deontologico forense, approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 31 gennaio 2014 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 241 del 16 ottobre 2014.

[9] M. Bortolato e E. Vigna, Oltre la Vendetta. La giustizia riparativa in Italia, Laterza, 2025 p. 7.

[10] Si veda l’art. 51 d.lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022: “Le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso

del programma non possono essere utilizzate nel procedimento penale e nella fase dell'esecuzione della pena, fatti salvi i contenuti della relazione  di  cui  all'articolo   57   e   fermo   quanto   disposto nell'articolo 50, comma 1”.

Le dichiarazioni rese durante il programma sono utilizzabili solo ed esclusivamente quando il mediatore deve non rispettare il segreto ai sensi dell’art. 52 poiché è obbligato a procedere a relazionare all’autorità giudiziaria in tema di andamento del programma ai sensi dell’art. 57, nonché quando vi sia il consenso dei partecipanti alla rivelazione e che il mediatore ritenga la rivelazione assolutamente necessaria per evitare la commissione di imminenti o gravi reati ovvero che le dichiarazioni integrino di per sé reato.

[11] Si veda a titolo esemplificativo di esperienze più risalenti, A. Ceretti, ‘Giustizia riparativa e mediazione penale a Milano. Un’indagine quantitativa e qualitativa’ (2003) in RASSEGNA PENITENZIARIA E CRIMINOLOGICA, VI(3), 99-137; A. Ceretti, Giustizia riparativa e mediazione penale. Esperienze pratiche a confronto, in F. Scaparro (a cura di), Il coraggio di mediare, Guerini e Associati, 2001, p. 307 e ss.

[12] Art. 48 dlgs. 140/2022.

[13] Cassazione penale Sez. IV sentenza n. 646 del 9 gennaio 2024.

[14] Si richiami a titolo esemplificativo la sentenza G.u.p. presso il Tribunale di Milano del 25.03.2024 (tra le prime applicazioni della nuova circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6, ultima parte) pubblicata su sistema penale https://www.sistemapenale.it/it/documenti/giustizia-riparativa-reati-sessuali-e-nuova-attenuante-ex-art-62-n-6-cp-in-una-sentenza-del-gup-di-milano. V. anche Cass. 9 maggio 2023 - 26 luglio 2023, n. 32360, C. B., Foro it., Rep. 2023;

[15] Così S. Amato e M. Passione, ‘La giustizia riparativa nella fase dell’esecuzione. Giustizia riparativa, misure alternative, benefici’ nel Commentario diretto da GL Gatta e M Gialuz, Riforma Cartabia Le modifiche al sistema penale. Vol. IV La disciplina organica della giustizia riparativa pp. 249 ss. 

[16] Ibidem.

[17] Ibidem p. 262.