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11 Aprile 2024


Dal Coronavirus alla Cartabia: il rito cartolare in appello


1. Com’è noto, la “cartolarizzazione” del giudizio penale di appello, ovvero la previsione di un rito non partecipato per la trattazione “scritta” dei processi, trae la sua genesi dalla normativa emergenziale per il contrasto alla pandemia da Covid-19: analogamente a quanto già previsto per il giudizio in cassazione dal d.l. n.18 del 17 marzo 2020 (convertito nella legge n. 27 del 24 aprile 2020) e poi dal cd. d.l. “Ristori 2” (d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020, convertito nella legge n. 176 del 18 dicembre 2020), il Legislatore ha introdotto il rito camerale in appello mediante l’art. 23 del d.l. 149 del 9 novembre 2020 (cd. d.l. “Ristori bis”) che, ai commi da 1 a 6, contemplava una serie di disposizioni per la trattazione e decisione dei giudizi penali impugnatori di secondo grado.

La legge 18 dicembre 2020 n. 176, di conversione con modificazioni del primo d.l. “Ristori”, ha incorporato in sé le norme dei successivi decreti tra cui anche il c.d. d.l. “Ristori-bis”, che è stato contestualmente abrogato, ma con salvezza degli effetti prodottisi e dei rapporti giuridici sorti in base ad esso.

Ciò è avvenuto inserendo il testo degli artt. 23 e 24 – sostanzialmente non modificato, se non con l’aggiunta di una disciplina apposita per le impugnazioni con PEC – tra gli articoli 23 e 24 del d.l. “Ristori”, mediante l’introduzione dei nuovi artt. 23-bis e 23-ter, d.l. n. 137 del 2020.

La norma che, quindi, disciplinava il procedimento cartolare in appello durante la fase dell’emergenza pandemica è l’art. 23-bis d.l. n. 137 del 2020 che è stato introdotto, in sede di conversione, dalla l. n. 176 del 2020 e che riproduce il testo del previgente art. 23 d.l. n. 149 del 2020, contestualmente abrogato, con l’aggiunta nella parte finale del nuovo comma 7 (che estende le disposizioni all’appello avverso le misure di prevenzione e all’appello cautelare ex art. 310 c.p.p.).

La giurisprudenza di legittimità[1] ha sul punto evidenziato che «anche tenuto conto della rubrica dell'art. 24 d.l. n. 137 del 2020 (Disposizioni per la semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19), la disciplina emergenziale ha una chiara finalità di alleggerimento del sistema complessivo di deposito degli atti giudiziari, comprese le impugnazioni, al fine di rispondere all'emergenza sanitaria in corso. Con tale obiettivo, si è perseguita una “dematerializzazione” del sistema di deposito anche degli atti di impugnazione, qualsiasi essi siano, proponendo l'utilizzo di modalità informatiche certificate, come possibilità per le parti».

È anche utile ricordare che nella stessa data di adozione del d.l. n. 149 del 2020, il 9 novembre 2020, il Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia ha emanato il proprio provvedimento attuativo, contenente l'individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, le specifiche tecniche relative ai formati degli atti e le ulteriori modalità di invio, con il relativo Allegato 1, contenente gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137.

Il menzionato articolo 23 bis, comma 1, d.l. n. 137 del 2020, prevedeva che a decorrere dal 9 novembre 2020 «…fuori dai casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti contro le sentenze di primo grado la corte di appello procede in camera di consiglio senza l'intervento del pubblico ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il pubblico ministero faccia richiesta di discussione orale o che l’imputato manifesti la volontà di comparire»; il comma 2, invece, stabiliva che «Entro il decimo giorno precedente l’udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o a mezzo dei sistemi che sono resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati. La cancelleria invia l'atto immediatamente, per via telematica, ai sensi dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della Corte di Appello per via telematica, ai sensi dell'articolo 24 del presente decreto».

 

2. Con la riforma Cartabia (decreto legislativo n. 150/2022) il rito cartolare non partecipato è divenuto, nel giudizio di appello, la regola: il nuovo articolo 598-bis c.p.p., rubricato “Decisioni in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti”, prevede infatti che «[l]a corte provvede sull’appello in camera di consiglio. Se non è diversamente stabilito e in deroga a quanto previsto dall’articolo 127, essa giudica sui motivi, sulle richieste e sulle memorie senza la partecipazione delle parti. Fino a quindici giorni prima dell’udienza, il Procuratore generale presenta le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi, memorie e, fino a cinque giorni prima, memorie di replica».

Peraltro, va sottolineato come le scansioni temporali legate alla facoltà di richiedere la trattazione orale siano state tratteggiate diversamente rispetto a quanto previsto nella disciplina emergenziale: infatti, anziché entro 15 giorni dalla data fissata per l’udienza, la richiesta (irrevocabile) di trattazione orale deve essere presentata a pena di decadenza nel termine di 15 giorni dalla notifica del decreto di citazione di cui all’articolo 601 del codice di rito o dall’avviso della data fissata per il giudizio di appello; si è osservato[2] che la disposizione appare ispirata dalla finalità di razionalizzare la celebrazione delle udienze consentendo alla Corte di conoscere – già pochi giorni dopo la comunicazione dell’avviso di fissazione del processo – le modalità di svolgimento del medesimo, impiegando al meglio le risorse umane e materiali, laddove venga richiesta la trattazione in presenza.

Nella Relazione Ministeriale illustrativa della riforma si era, peraltro, ipotizzata la “prassi virtuosa” di far precedere la citazione in giudizio da una sorte di “interpello” informale con le parti al fine di conoscere in anticipo le loro intenzioni in merito alla richiesta di celebrazione del giudizio in presenza; sul punto si è sostenuto che, nella prospettiva di una più razionale calendarizzazione delle udienze, sarebbe stato forse più utile che il Legislatore prevedesse la necessità di formulare la richiesta di trattazione in presenza, a pena di decadenza, già nell’atto di appello[3].

Come anticipato, si è previsto infatti che «l’appellante e, in ogni caso, l’imputato o il suo difensore possono chiedere di partecipare all'udienza. La richiesta è irrevocabile ed è presentata, a pena di decadenza, nel termine di quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione di cui all'articolo 601 o dell'avviso della data fissata per il giudizio di appello. La parte privata può presentare la richiesta esclusivamente a mezzo del difensore».

Il citato comma 2 ribadisce la regola, già prevista dalla legislazione emergenziale, in base alla quale La parte privata può presentare la richiesta di trattazione orale esclusivamente a mezzo della difesa tecnica, con la conseguenza che sarà inammissibile la richiesta presentata dall’imputato personalmente.

 

3. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che, in caso di processo cumulativo, la richiesta di discussione orale presentata nell’interesse di uno solo dei coimputati giova anche agli altri, con la conseguenza che, ove il difensore di uno solo di essi abbia chiesto tempestivamente la trattazione orale, il processo va celebrato nella forma pubblica determinandosi, in caso contrario, una nullità di ordine generale a regime intermedio deducibile anche con il ricorso per cassazione[4].

Si giunge a tale conclusione analizzando il tenore della norma sia nella parte in cui subordina la trattazione orale alla richiesta di “una delle parti private”, che in quella ove impone la comunicazione del provvedimento che dispone la trattazione in presenza a tutte le parti, pena – anche in questo caso – il determinarsi di una nullità generale a regime intermedio ai sensi dell’articolo 178, comma 1, lettera c.p.p.[5].

Il vizio discende da una lesione dei diritti di difesa dell’imputato, al cui difensore (che non aveva trasmesso conclusioni scritte nei termini di legge ritenendo di dover attendere la comunicazione della fissazione dell’udienza, da lui tempestivamente chiesta) è stato impedito, in definitiva, di esporre le proprie conclusioni in udienza; trattasi, secondo la Suprema Corte, di una violazione del diritto al contraddittorio, tutelato dall'art. 111 della Costituzione e dall'art. 6 CEDU[6].

A margine di tale considerazione si è osservato che la trattazione con forme separate dell’unico processo a carico di più persone è consentita solo quando uno o più imputati scelgano riti alternativi (giudizio abbreviato o “patteggiamento”), mentre nel caso di specie la trattazione cartolare del processo non costituisce «né un rito nuovo né una forma alternativa di celebrazione del processo, bensì una forma sostitutiva di trattazione dettata da esigenze di natura sanitaria, destinate a recedere se taluno degli imputati chieda la trattazione partecipata».

 

4. Si discute, in giurisprudenza, anche se la richiesta di trattazione in presenza possa essere considerata implicita nell’istanza di rinvio della già fissata udienza per impedimento del difensore: per la soluzione affermativa è un’isolata pronuncia[7] ove si afferma, appunto, che l'istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore, depositata entro il termine di quindici giorni liberi prima dell'udienza, implica la richiesta di trattazione orale, cosicché l'omessa valutazione del dedotto impedimento a comparire integra una ipotesi di nullità assoluta per difetto di assistenza dell'imputato.

In consapevole contrapposizione con tale orientamento si pone, invece, altra e più recente sentenza[8]: ad avviso di chi scrive, trattasi di un’impostazione maggiormente condivisibile che si colloca nel solco ermeneutico secondo il quale allo scopo di instaurare il giudizio in presenza e, quindi, con trattazione orale, occorre una specifica istanza da parte del difensore, senza la quale va applicato il regime del rito cartolare nel quale non assume rilievo il legittimo impedimento del difensore né opera l’eventuale rinvio dell’udienza[9], non applicandosi in tal caso l’art. 420 ter c.p.p. perché la comparizione personale del difensore non è prevista dalla legge[10].

Del resto, l’art. 23 bis, co. 4, della legge 176/2020 (ex art. 23 d.l. n. 149/2020) è chiaro nello statuire che la richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della Corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dalla norme, il che parrebbe escludere la possibilità  di considerare una richiesta di trattazione orale implicitamente contenuta nell'istanza di legittimo impedimento del difensore.

In sostanza, le forme e le modalità di presentazione della richiesta in esame appaiono ben codificate dalla legge e, quindi, non sembra sostenibile considerare la stessa implicita in una semplice richiesta di differimento

 

5. Quando la richiesta è ammissibile, la Corte dispone che l'udienza si svolga con la partecipazione delle parti e indica se l'appello sarà deciso a seguito di udienza pubblica o in camera di consiglio, con le forme previste dall'articolo 127 c.p.p.; il provvedimento è comunicato al Procuratore generale e notificato ai difensori.

Peraltro, la Corte può disporre d'ufficio che l'udienza si svolga con la partecipazione delle parti per la rilevanza delle questioni sottoposte al suo esame, con provvedimento nel quale è indicato se l'appello sarà deciso a seguito di udienza pubblica o in camera consiglio, con le forme previste dall'articolo 127 c.p.p.; il provvedimento è comunicato al Procuratore Generale e notificato ai difensori, salvo che ne sia stato dato avviso con il decreto di citazione di cui all'articolo 601 c.p.p.

Infine, si è stabilito che la Corte, in ogni caso, dispone che l'udienza si svolga con la partecipazione delle parti quando ritiene necessario procedere alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale a norma dell'articolo 603 c.p.p.

Tali norme vanno coordinate, sotto il profilo della comunicazione alle parti dell’esito decisorio dell’udienza cartolare, sia con il nuovo articolo 167 delle Disposizioni di attuazione del codice di rito che con l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 598 bis c.p.p.

La prima disposizione stabilisce che il provvedimento emesso dalla Corte all’esito della procedura con rito cartolare sia comunicato, a cura della cancelleria, al Procuratore Generale e ai difensori delle altre parti: la Relazione Ministeriale ha peraltro chiarito che trattasi di mera comunicazione “di cortesia”, senza alcun valore costitutivo della conoscenza del provvedimento, che resta come sempre ancorata al deposito del provvedimento stesso in udienza.

Infatti, la seconda norma richiamata innanzi dispone che il deposito della sentenza in cancelleria equivale alla lettura in udienza ai fini dell’articolo 545 CPP, facendo altresì decorrere da quel momento il termine per impugnare la sentenza ai sensi dell’articolo 585 comma 2 c.p.p.

 

6. In giurisprudenza si è posto il problema della rilevanza, nei procedimenti cartolari, del legittimo impedimento del difensore derivante dalla sua adesione all’astensione proclamata dalle organizzazioni di categoria: l’orientamento prevalente accede alla soluzione tout court negativa, mentre in alcune decisioni si riconosce rilevanza al tema solo qualora la dichiarazione di adesione all’astensione sia pervenuta in data anteriore alla scadenza del termine per presentare le conclusioni.

Si colloca nel primo filone interpretativo chi[11] afferma l’irrilevanza della dichiarazione di astensione trasmessa dal difensore dell’imputato nel giudizio cartolare, dato che non è prevista la trattazione del processo in udienza alla quale il difensore ha diritto di partecipare; in motivazione si è osservato che già la Quarta Sezione della Suprema Corte, nella sentenza n. 42081 del 28 settembre 2021, aveva precisato che «in mancanza di richiesta di discussione orale, l’adesione del difensore all’astensione dalle udienze proclamata dai competenti organismi di categoria non implica l’obbligo per il giudicante di rinviare il procedimento al fine di garantire il diritto di difesa».

Aderisce alla seconda opzione chi, invece, esclude il diritto al rinvio solo nel caso in cui la dichiarazione di adesione all’astensione sia pervenuta in data successiva alla scadenza del termine per presentare le proprie conclusioni[12]; altra pronuncia[13] pone – invece – l’accento su una diversa condizione, richiedendo che le date di proclamazione dell’astensione cadano in un momento successivo al «quinto giorno antecedente all’udienza entro il quale il difensore avrebbe potuto presentare le proprie conclusioni», nel senso che nel rito cartolare il difensore avrebbe diritto al rinvio non solo nel caso di discussione orale, ma anche quando il termine per la presentazione delle conclusioni ricada nel periodo dell’astensione.

Al contrario, l’istanza di rinvio per adesione all’astensione pervenuta in data successiva alla scadenza del termine per presentare le proprie conclusioni (ovvero l’adesione all’astensione proclamata per una data successiva alla scadenza del predetto termine per il deposito delle conclusioni) non consente alcun differimento dell’udienza camerale: nella sentenza 18483 del 10 maggio 2022 della S.C. si è affermato tale principio, osservando che – nel giudizio cartolare di appello – il termine di 5 giorni dall’udienza per il deposito delle conclusioni ha natura perentoria perché il suo rispetto è imprescindibilmente funzionale a consentire il corretto svilupparsi del contraddittorio tra le parti, nonché il necessario spazio di valutazione del giudice.

Appare, invero, maggiormente condivisibile il primo orientamento: nel rito emergenziale di appello quel che rileva ai fini della concessione del rinvio è soltanto la circostanza che, su richiesta di parte, sia stata fissata la discussione orale ricadente nel periodo interessato dall’astensione dalle udienze mentre non assume valore, ai fini della concessione del rinvio, né se la dichiarazione di adesione del difensore sia pervenuta prima o dopo la scadenza del termine per la presentazione delle conclusioni né se il predetto termine di presentazione delle conclusioni ricada o meno nel periodo di astensione.

Del resto, ai fini dell’astensione deve venire in rilievo un atto o un adempimento per il quale «sia prevista la presenza del difensore», come recita testualmente anche il testo dell’articolo 3 comma 1 del Codice di Autoregolamentazione[14], con la conseguenza che la scadenza dei termini per il deposito di memorie, atti, conclusioni durante il periodo dell’astensione non può subire proroghe o dilazioni poiché si tratta di attività che non postulano la presenza del difensore.

D’altra parte, il rito cartolare è modellato sulle forme del procedimento in camera di consiglio, sicché ben può farsi ricorso all’insegnamento giurisprudenziale per cui «allorquando il procedimento si svolge in camera di consiglio senza l’intervento del difensore nessuna rilevanza, ai fini del chiesto rinvio, assume la partecipazione del difensore stesso all’astensione dalle udienze proclamata dagli organismi di categoria»[15]

Sotto altro profilo, lo scambio di conclusioni nel rito emergenziale, sebbene strutturato in modo da ricreare il contraddittorio tra le parti, non può certo qualificarsi come “attività compiuta in udienza”.

 

7. Il quadro normativo così delineato va peraltro coordinato con la protrazione della vigenza di talune norme “emergenziali” in materia di impugnazioni per effetto dell’art. 5 duodecies della legge n. 199 del 2022 che ha sostituito l’art. 94, comma 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, dettando una rinnovata disciplina transitoria di coordinamento delle nuove norme in tema di giudizio di impugnazione, improntate al paradigma dell’udienza non partecipata, con le disposizioni dell’emergenza epidemiologica di cui al decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, in vigore fino al 31 dicembre 2022.

All’art. 5 duodecies citato è, in particolare, stato stabilito che l’art. 94, comma 2, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, viene sostituito dal seguente: «2. Per le impugnazioni proposte entro il 30 giugno 2023 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo e 9, nonché le disposizioni di cui all’art. 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo il 30 giugno 2023, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo».

Su tale tessuto normativo si è sovrapposto l’art. 17 del d.l. 75 del 22 giugno 2023 (convertito in legge n. 112 del 10 agosto 2023) che aveva prorogato l’ultrattività delle disposizioni processuali sulla trattazione dell’appello e del giudizio di cassazione già dettate nel periodo di emergenza pandemica fino al 15 gennaio 2024: in specie, è stato modificato ulteriormente l’art. 94 del decreto legislativo n. 150/2022 specificando che per le impugnazioni proposte sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023, di cui ai commi 1 e 3 dell'articolo 87 (per l’attivazione del processo telematico), continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo la scadenza dei termini indicati al primo periodo, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo.

In virtù della nuova disposizione di cui all’art. 5 duodecies della legge di conversione citata, al cessare del periodo di efficacia della disciplina emergenziale (prorogata, come si vedrà, al 30 giugno 2024 e quindi a fare data dal 1° luglio 2024), troveranno invece applicazione le nuove disposizioni previste dalla riforma.

Come accennato, peraltro, la data del 30 giugno 2023 (che era già slittata al 15 gennaio 2024 per effetto dell’art. 17 del d.l. n. 75 del 22 giugno 2023, convertito nella legge n. 112 del 10 agosto 2023) è stata ulteriormente spostata in avanti, al 30 giugno 2024, per effetto dell’art. 11 del d.l. n. 215 del 30 dicembre 2023 (cd. “milleproroghe”), convertito nella legge n. 18 del 23 febbraio 2024, a norma del quale il termine previsto dal citato articolo 94, comma 2, per i giudizi di impugnazione è prorogato – appunto – fino al 30 giugno 2024. 

 

8. Ciò premesso, va osservato che l’introduzione del rito cartolare in appello quale regola procedimentale “ordinaria” e derogabile solo dietro un’apposita richiesta di parte appare certamente una riforma utile e funzionale, al fine di consentire una trattazione più celere dei (numerosissimi) processi pendenti innanzi alle Corti di appello ed una più razionale gestione delle (limitate) risorse personali e materiali di cui tali uffici dispongono.

Questo modus procedendi, del resto, risulta perfettamente aderente alla natura stessa del giudizio impugnatorio[16] di merito che, se è ancora qualificabile come un mezzo di gravame a critica libera e con devoluzione dei punti criticati, nel quale il giudice è chiamato a valutare nuovamente i fatti alla luce delle specifiche doglianze mosse nell’atto di impugnazione, tuttavia si atteggia già – per sua natura – come tendenzialmente “cartolare” sia nel senso che le attività istruttorie svolte in contraddittorio assumono un carattere residuale e sia nel senso che la cognizione del giudice è limitata, per volontà di legge, alle questioni già dedotte nell’atto di gravame (a norma dell’art. 597 c.p.p., infatti, «l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti») ovvero nei motivi nuovi, che la difesa può presentare in cancelleria – a pena di decadenza – fino quindici giorni prima dell’udienza ai sensi dell’art. 585 c.p.p.   

Ciò vuol dire che i limiti della cognizione del giudice dell’appello, al di là dei casi specifici di questioni rilevabili di ufficio, risultano già delineati in maniera tassativa al momento della presentazione del gravame o, al più, entro il quindicesimo giorno precedente all’udienza, con la conseguenza che la Corte assume già contezza del devolutum in maniera anticipata rispetto alla celebrazione dell’udienza e in modo “cartolare”, ovvero discendente dai motivi di appello, ivi compresi quelli nuovi o aggiunti.

Ciò vuol dire, inoltre, che tendenzialmente le attività da svolgere in udienza sono di regola assai circoscritte e la discussione delle parti, in base ai principi testé enucleati, risulta limitata all’illustrazione delle questioni già sviluppate e argomentate nell’atto di appello.

Di contro, non può sottacersi che l’introduzione del rito cartolare, per ora nella sua veste emergenziale, si è tradotta in un considerevole aumento del carico di lavoro sia delle cancellerie che dell’ufficio di Procura: se i Sostituti sono, infatti, tenuti a interfacciarsi costantemente con le cancellerie al fine di verificare, per ogni singola udienza, quali processi debbano essere trattati in presenza e quali con rito cartolare, nonché a trasmettere tempestivamente le proprie conclusioni in tale ultima evenienza, si è verificato come gli uffici amministrativi siano onerati del controllo costante delle caselle di posta elettronica, al fine di individuare celermente le richieste di trattazione in presenza e le conclusioni delle parti nei procedimenti cartolari, nonché della “immediata” comunicazione alle altre parti delle istanze di discussione orale nonché delle conclusioni del P.G., in modo da consentire alla difesa il deposito delle proprie conclusioni nel termine previsto dalla legge.

Trattasi, com’è evidente, di una mole notevole di adempimenti e controlli che vanno svolti, peraltro, con grande accuratezza in quanto, come si vedrà, il ritardo o l’omissione degli stessi può determinare conseguenze molto gravi, fino ad arrivare all’invalidità della sentenza emessa al termine del processo trattato con rito cartolare.

 

9. Collegato a tale tema è quello della necessità o meno di dare comunicazione alle parti dell’eventuale rinvio dell’udienza cartolare di appello: la giurisprudenza di legittimità[17] ha adottato la soluzione negativa nell’ipotesi in cui le parti avevano già formulato le rispettive conclusioni e l’udienza era stata differita unicamente a causa dell’impedimento di uno dei consiglieri.

Pertanto, non era dato ravvisare alcuna lesione del diritto di difesa dell'imputato, sotto il profilo del difetto del regolare dispiegarsi del contraddittorio, né sussisteva alcuna invalidità della decisione sottoposta a scrutinio derivante dall'alterazione della sequenza degli atti processuali: infatti, la disciplina cartolare introdotta a seguito dell’emergenza pandemica ha inteso derogare al principio di oralità del contraddittorio, introducendo una consistente eccezione al principio di immediatezza della deliberazione, di cui all'art. 525 c.p.p., e determinando una decisa cesura tra il momento della discussione e quello della deliberazione, la quale ha luogo dopo che la prima si è dispiegata per iscritto e si è esaurita fuori udienza con il deposito delle conclusioni delle parti, secondo le modalità e le scansioni temporali fissate dalla disposizione di cui al comma 2 della norma citata.

Ne consegue che il differimento della deliberazione assume un significato neutro – ossia insuscettibile, di per sé, di riverberarsi negativamente sull'effettività del diritto di difesa – rispetto al tempo della discussione cartolare, avendo lo stesso Legislatore ritenuto di dover sacrificare il nesso di immediata consequenzialità, normalmente esistente tra lo svolgimento del contradditorio tra le parti e la deliberazione del giudice, come precipitato dell'oralità del giudizio, per far fronte all'urgenza di contenere l’emergenza epidemiologica.

 

10. Tra le problematiche che si sono registrate più di frequente negli uffici di merito in ordine alla concreta attuazione di tale norma vanno citate le questioni concernenti due macro-aree tematiche: la comunicazione alle altre parti della richiesta, formulata da una di esse, di discussione orale della causa e le problematiche concernenti il deposito e la comunicazione delle conclusioni scritte del P.G. alle altre parti.

In merito al primo profilo, va rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha in modo concorde affermato che, nel giudizio cartolare di appello celebrato nel vigore della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, è causa di nullità assoluta, ex artt. 178 comma 1 lett. c) e 179 comma 1 c.p.p., l'omesso avviso ai difensori di fiducia dell’imputato dell'accoglimento della richiesta di una delle parti di trattazione orale del giudizio, prevedendo tale rito la presenza obbligatoria dei predetti difensori; tale vizio è deducibile per la prima volta con il ricorso per cassazione.

A tale principio si è aggiunto talora[18] che il difetto della comunicazione al difensore di fiducia dell’imputato della richiesta di trattazione orale del processo non è superato dalla presenza di un difensore di ufficio designato ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p., rimasto silente quanto al vizio sussistente: ciò in quanto il rito in esame prevede la presenza obbligatoria dei difensori e, conseguentemente, a nulla rileva che all’udienza abbia partecipato un sostituto immediatamente reperibile poiché «nel caso in cui, in presenza di una rituale e tempestiva nomina fiduciaria effettuata dall'interessato, il giudice proceda irritualmente alla designazione di un difensore d'ufficio, risulta comunque leso il diritto dell'imputato “ad avere un difensore di sua scelta”, riconosciuto anche dall'art. 6, par. terzo, lett. c), Convenzione EDU (cfr., pur in riferimento a fattispecie diversa, Cass. Pen. Sez. U, n. 24630 del 26/03/2015, Maritan, Rv. 263598 - 01)» e comunque la disciplina di cui all'art. 97, comma 4, c.p.p. postula – come presupposto indefettibile – la regolarità degli adempimenti di rito in favore dei difensori (di fiducia o di ufficio) la cui nomina rituale risulti agli atti.

Altrove[19] si è chiarito che la disciplina emergenziale presenta una palese lacuna normativa, in quanto non stabilisce alcuna particolare formalità per notiziare le parti dell’eventuale mutamento del rito da cartolare a trattazione orale né prevede espressamente qualche forma di invalidità in caso di mancata comunicazione alle altre parti del fatto che, a causa della richiesta formulata da una di esse, il giudizio non si sarebbe svolto (all’udienza già fissata) nelle forme della trattazione cartolare ma di quelle della discussione in presenza; in tale quadro, prosegue la Corte, non è ragionevolmente sostenibile che ciascuna parte abbia l’onere di informarsi dell’avvenuta presentazione di richieste di tal tipo ed è invece fondato ritenere che «essendo stato legislativamente stabilito che i giudizi di appello si sarebbero svolte normalmente nella forma cartolare, ma che il rito sarebbe potuto mutare per effetto della mera presentazione, presso la cancelleria dell’appello, anche di una singola richiesta di trattazione orale, ciascuna delle altre parti ben avrebbe potuto maturare la legittima aspettativa che, in assenza di qualsivoglia comunicazione da parte dell’ufficio, le modalità di trattazione dell’impugnazione sarebbero state quelle indicate, in generale, dalla legge».

Anzi, si evidenzia che da più parti era stato auspicato che ciascuna Corte di Appello avrebbe dovuto adottare provvedimenti organizzativi interni per “colmare quella lacuna”, così da garantire a tutte le parti l’esercizio dei propri diritti in caso di trasformazione del rito.

In altre pronunce[20] si precisa che la richiesta di trattazione “in presenza” integra un diritto potestativo e che non può porsi a carico della parte che non ha fatto richiesta di discussione orale l’onere di verificare che nessuna delle altre parti abbia avanzato tale richiesta; anche in mancanza di un’espressa previsione di legge, quindi, «un’interpretazione sistematica (in mancanza della quale la normativa in esame si esporrebbe a censure in punto di compatibilità con i principi costituzionali e con la Carta Edu) impone di ritenere che, qualora – a fronte di una richiesta di discussione orale – la Corte di appello celebri udienza in assenza delle parti private (o di una di esse) che non ne hanno fatto richiesta e non sono state ritualmente edotte della trattazione del giudizio nelle forme ordinarie si determina una nullità di ordine generale a regime intermedio ai sensi dell’articolo 178 c.p.p., secondo cui “e sempre prescritta pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private”, e dell’articolo 180 c.p.p

In quel caso, su ricorso presentato dalla parte civile non edotta della richiesta di trattazione orale, la Suprema Corte ha specificato che non rileva in senso contrario la mancata formulazione per via telematica delle conclusioni da parte del P.G. in quanto – a fronte dell’espressa previsione di legge che contempla la decisione in camera di consiglio e senza la partecipazione delle parti – la presentazione o meno delle conclusioni della parte pubblica e l’eventuale mancata rituale trasmissione di esse alle altre parti nulla muta sulle modalità di celebrazione del procedimento; nemmeno sana il vizio in questione l’eventuale pubblicazione sul sito della Corte territoriale delle forme di trattazione del procedimento, «che non può costituire un equipollente delle rituali notificazioni e comunicazioni alle parti dei provvedimenti che comunque incidano sui diritti di partecipazione delle medesime».

 

11. In parte collegato con il tema or ora trattato è quello della necessità o meno della comunicazione, da parte della cancelleria, alle parti dell’eventuale rinvio dell’udienza tenutasi per la trattazione in forma cartolare del processo di appello: sul punto si registrano due contrapposti orientamenti in sede di legittimità.

In talune sentenze[21] si legge, infatti, che l’omesso avviso del rinvio determina una nullità che deve inquadrarsi in quelle di ordine generale a regime intermedio suscettibile di essere sanata se non dedotta nei termini di cui agli artt. 180 e 182, comma 2, c. p.p., visto che l'udienza disciplinata dalla normativa emergenziale non prevede come obbligatoria in tali casi la presenza dei difensori: pertanto, «l’omesso avviso dell’udienza svolta con le modalità stabilite dalla disciplina emergenziale, in cui la presenza del difensore è solo eventuale e subordinata alla richiesta della trattazione orale, non ricade nelle ipotesi di cui all’art. 179, comma 1, ultima parte, c.p.p., non traducendosi nell'omessa citazione dell'imputato né determinando l'assenza del suo difensore in un caso in cui ne è obbligatoria la presenza».

Altrove, invece, analizzando un caso nel quale le parti avevano già formulato le proprie conclusioni e la sola deliberazione era stata differita ad altra udienza per impedimento di uno dei componenti del collegio senza alcun avviso di ciò alle parti, la S.C. ha affermato che il contraddittorio si era già perfezionato e non sussisteva alcuna violazione del diritto di difesa dell’imputato né alcuna invalidità della decisione sottoposta a scrutinio derivante dall'alterazione della sequenza degli atti processuali, siccome fissata dall'art. 23 d.l. n. 149 del 9 novembre 2020.

Le disposizioni in esame, infatti, «nel derogare al principio di oralità del contraddittorio, introducono una consistente eccezione al principio di immediatezza della deliberazione, di cui all'art. 525 c.p.p.»; la struttura del rito da esse configurato comporta, in effetti, una decisa cesura tra il momento della discussione e quello della deliberazione, la quale ha luogo dopo che la prima si è dispiegata per iscritto e si è esaurita fuori udienza con il deposito delle conclusioni delle parti, secondo le modalità e le scansioni temporali fissate dalla disposizione di cui al comma 2 della norma citata.

Da ciò deriva che «il differimento della deliberazione, come accaduto nell'ipotesi al vaglio, assume un significato neutro – ossia insuscettibile, di per sé, di riverberarsi negativamente sull'effettività del diritto di difesa – rispetto al tempo della discussione cartolare, avendo lo stesso legislatore ritenuto di dover sacrificare il nesso di immediata consequenzialità, normalmente esistente tra lo svolgimento del contradditorio tra le parti e la deliberazione del giudice, come precipitato dell'oralità del giudizio, per far fronte all'urgenza di contenere l'emergenza epidemiologica»[22].

 

12. In riferimento poi all’ultimo profilo indicato in premessa, è possibile distinguere ancora quattro differenti questioni che concernono rispettivamente:

- l’omessa formulazione delle conclusioni da parte del P.G.;

- la comunicazione in ritardo (non immediata) delle conclusioni formulate nei termini dal P.G.;

- la tardiva formulazione delle conclusioni da parte del P.G.;

- l’omessa comunicazione da parte della cancelleria delle conclusioni, pur formulate dal P.G.

Come meglio si vedrà, tali problematiche hanno determinato la necessità di delineare soluzioni possibilmente condivise con l’ufficio di Procura al fine di evitare il formarsi di nullità tali da caducare le sentenze emesse dai giudici di appello.

Sull’omessa formulazione delle conclusioni da parte del P.G. si registrano due orientamenti: il primo è espresso da Cass. Pen., Sez. 6, n. 26459 del 25/05/2021, Iannone, Rv. 282175-018, che ha affermato il principio di diritto così massimato: «In tema di disciplina emergenziale per la pandemia da Covid-19, la mancata formulazione da parte del pubblico ministero delle conclusioni nel giudizio di appello, previste dall'art. 23-bis, comma 2, d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, integra un'ipotesi di nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. b), e non la nullità prevista alla lettera c) del medesimo articolo, poiché non pregiudica il diritto della difesa di formulare le proprie conclusioni».

In motivazione la Corte ha precisato che, nel procedimento camerale cartolare previsto dalla disciplina emergenziale per la pandemia da Covid-19, deve ritenersi che la formulazione delle conclusioni da parte del Procuratore  Generale costituisca un adempimento formale necessario attraverso il quale si concretizza la partecipazione della parte pubblica al procedimento e ciò in quanto l’art. 23-bis, comma 2, d.l. cit. prevede espressamente che «il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica...» ed individua come facoltativa solo la formulazione delle conclusioni delle altre parti private che “possono” presentare le proprie conclusioni con atto scritto entro il quinto giorno antecedente l’udienza.

Per il principio di tassatività delle cause di nullità, si è sostenuto che detta violazione rientra nella previsione delle nullità di ordine generale di cui all'art. 178 c.p.p., inquadrabile nella categoria delle nullità a regime intermedio, non vertendosi in una ipotesi di nullità assoluta ex art. 179 c.p.p., posto che si tratta di disposizioni che riguardano la partecipazione del pubblico ministero al procedimento e non anche l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale; inoltre, la formulazione delle conclusioni da parte della difesa, seppure regolata in modo da garantire alla stessa la previa comunicazione per via telematica delle conclusioni del pubblico ministero, attraverso la previsione di termini processuali diversi, non è ritenuta preclusa dalla mancanza di argomenti contrari espressi dalla parte pubblica.

Operando l’art. 182 c.p.p., la relativa eccezione avrebbe dovuto essere dedotta nelle conclusioni scritte da parte della difesa e, comunque, non si è ritenuto sussistente l’interesse della difesa ad eccepire la dedotta violazione[23].

Il secondo orientamento è invece compendiato in Cass. Pen., Sez. 1, n. 14766 del 16/03/2022, Ayari, Rv. 283307 – 01, così massimata: «In tema di disciplina emergenziale per il contrasto della pandemia da Covid-19, la mancata formulazione, nel giudizio di appello, delle conclusioni scritte previste dall'art. 23-bis, comma 2, d.l. 28 ottobre 2020 n. 137 da parte del pubblico ministero, al quale sia stato dato rituale avviso, non integra alcuna nullità, trattandosi di procedimento camerale con contradditorio cartolare in cui la partecipazione del Procuratore Generale è solo eventuale».

Si sostiene, qui, che vada privilegiata una posizione interpretativa che restringa la ricorrenza della nullità ai casi in cui il mancato intervento del pubblico ministero – anche nel procedimento di appello a cd. trattazione scritta regolato dalla disciplina dell'emergenza pandemica – sia effetto della violazione delle disposizioni volte a consentire l'esercizio dei suoi poteri; ulteriore considerazione a favore dell’insussistenza di cause di nullità è la circostanza che anche il procedimento camerale per la definizione dei processi innanzi alla settima sezione, disciplinato dall’art. 610, comma 1, c.p.p. prevede la partecipazione facoltativa del Procuratore Generale, che non ha l’obbligo di formulare le conclusioni[24].

In caso di ritardata comunicazione (“non immediata”) delle conclusioni depositate in termini la giurisprudenza di legittimità, premettendo che i termini individuati dall’art. 23-bis, comma 2, d.l. n. 137 del 2020 hanno tutti natura ordinatoria e non perentoria[25] a differenza di quelli espressamente qualificati come perentori e stabiliti per la richiesta di trattazione “in presenza”, ritiene che ciò non determini alcuna nullità, salvo che non si sia prodotta un’effettiva violazione del diritto di difesa, il cui onere dimostrativo è a carico del ricorrente;

qualora la difesa dimostri un effettivo pregiudizio derivante dalla ritardata trasmissione, si reputa invece sussistente una nullità di ordine generale a regime intermedio ex art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p. derivante dall’inosservanza delle disposizioni concernenti l'intervento, l'assistenza e la rappresentanza dell'imputato.

Occorre, quindi, valutare in concreto se la difesa abbia avuto o abbia ancora la possibilità di interloquire e di controdedurre e se abbia o meno subito un concreto ed effettivo vulnus nell’esercizio delle sue prerogative.

L’orientamento è così sintetizzabile: qualora la comunicazione delle conclusioni del Procuratore  Generale presso la Corte di appello venga comunque eseguita prima della scadenza del termine assegnato alla difesa per la presentazione delle proprie conclusioni, l’intempestività della comunicazione non integra di per sé una violazione del diritto di difesa, e non determina dunque alcuna nullità, spettando alla parte l'onere di specificare il concreto pregiudizio derivatone alle ragioni della difesa[26].

Con la sentenza D’Agosta, n.m, pertanto, la Corte ha ritenuto che non si configurasse alcuna nullità, stante la presenza di effettivi rimedi in concreto esperibili e dalla parte non azionati: «deve essere, pertanto, qui conclusivamente essere affermato che la trasmissione tardiva alle parti private delle conclusioni scritte previste dall'art. 23-bis, comma 2, d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, tempestivamente depositate da parte del pubblico ministero, che interferisce con il termine assegnato alla parte per le proprie conclusioni e che sia, comunque, effettuata prima dell'udienza, non integra alcuna nullità, ma onera la stessa parte a richiedere la restituzione nel termine alla medesima concesso per le repliche».

Su questa stessa linea anche Cass. Pen., Sez. 1, n. 48939 del 17/5/2022, Manno, non mass. che rigetta l’eccezione sul punto rilevando che la difesa non aveva compiutamente illustrato le ragioni del concreto pregiudizio subìto, essendosi limitata a generiche asserzioni in ordine alla mancanza del tempo necessario per la confutazione di quanto esposto senza tuttavia chiarire il suo contenuto, né risultava avere sollevato, tramite le proprie conclusioni, l'eccezione di nullità davanti al giudice che in quella sede procedeva, come richiesto dal comma 2 dell'art. 182 c.p.p.

Situazione almeno in parte diversa si configura qualora le conclusioni del P.G. vengano comunicate quando già il termine concesso alla difesa per trasmettere le proprie (cinque giorni) sia spirato: in questi casi, la lesione del diritto di difesa è stata ritenuta oltre che sussistente anche effettiva, laddove la difesa abbia presentato le proprie conclusioni senza conoscere quelle della parte avversa e senza quindi aver potuto in concreto controdedurre.

Accanto ad alcune decisioni che richiedono anche in queste ipotesi che la parte indichi quale lesione abbia effettivamente subito[27], se ne registrano infatti altre nelle quali il mancato rispetto dei termini si ritiene realizzi comunque ex se una lesione del diritto della difesa a presentare le conclusioni e determini così una nullità di ordine generale a regime intermedio[28]

 

13. Ancora differente può essere l’ipotesi della formulazione tardiva delle conclusioni da parte del Procuratore Generale.

Qui la giurisprudenza distingue a seconda che la difesa sia o meno ancora nei termini per formulare le proprie conclusioni:

  • nel caso in cui la difesa abbia ancora il termine e la possibilità di rassegnare le proprie conclusioni, si tende ad escludere di per sé una violazione del diritto di difesa e il configurarsi di una nullità[29];
  • se, invece, il P.G. abbia formulato le proprie conclusioni oltre il termine di cinque giorni concesso alla difesa per concludere e questa avesse già rassegnato le proprie conclusioni, la Suprema Corte ritiene configurabile una nullità a regime intermedio, da eccepire ai sensi dell’art. 182 c.p.p.[30].

Qualora, poi, il tema riguardi l’omessa comunicazione da parte della cancelleria delle conclusioni tempestivamente formulate dal Procuratore Generale, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che venga in rilievo una nullità non qualificabile come assoluta ai sensi dell’artt. 179 c.p.p., ma a regime intermedio che riguarda l’intervento (o l’assistenza) dell’imputato e non già la citazione a giudizio, né l’assenza del difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza; in questi casi, le parti private hanno interesse all'osservanza della disposizione violata e ciò in quanto la mancata comunicazione ai difensori delle parti private della requisitoria scritta depositata dal pubblico ministero finisce per ledere il diritto di difesa, sotto forma di replica alle avverse deduzioni, in violazione del contraddittorio.

Ciò premesso, si sono tuttavia delineati due diversi orientamenti a seconda che si ritenga applicabile l’art. 182 comma 2 c.p.p. ovvero l’art. 180 c.p.p., in relazione alla deducibilità del vizio:

  • alcune decisioni ritengono che trovi applicazione l'art. 180 c.p.p. e non invece l'art. 182, comma 2, c.p.p.[31] perché, trattandosi di una nullità a regime intermedio, essa deve essere tempestivamente eccepita e atteso che le parti (rimaste ignare del deposito delle conclusioni del pubblico ministero) hanno contezza di ciò solo con la comunicazione della sentenza d'appello, la relativa eccezione non può che essere proposta – tempestivamente e per la prima volta – con il ricorso per cassazione a nulla rilevando che il difensore abbia a sua volta concluso senza nulla eccepire sul punto “trattandosi di nullità al cui verificarsi la parte non ha assistito, non soggetta ai limiti temporali di cui all'art. 182, comma 2, c.p.p.”;
  • in altre pronunce[32], invece, si reputa applicabile l’art. 182 comma 2 c.p.p. e si afferma che il vizio vada dedotto non con il ricorso per cassazione ma già in sede di presentazione delle proprie conclusioni con la conseguenza che la relativa eccezione, se proposta per la prima volta con il ricorso per Cassazione, va ritenuta tardiva.

Più di recente quest’ultimo orientamento è sato riaffermato da Cass. Pen., n. 27880/2023, in base alla quale «nel giudizio cartolare di appello celebrato secondo la disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, la mancata comunicazione, per via telematica, al difensore dell'imputato delle conclusioni del Procuratore Generale, in violazione dell’art. 23-bis d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, incidendo sull'assistenza dell’imputato, determina una nullità generale a regime intermedio, deducibile dal patrocinatore in sede di formulazione delle proprie conclusioni quale primo atto successivo di partecipazione al procedimento “cartolare”, ai sensi dell'art. 182, comma 2, primo inciso, c.p.p., di talché deve considerarsi tardiva l'eccezione proposta solo con il ricorso per cassazione».

In modo ancor più rigoroso altra pronuncia[33], dopo aver ribadito il citato principio, ha evidenziato che la difesa deve comunque allegare «uno specifico, concreto e attuale interesse al riguardo»; fattispecie in cui le conclusioni del Procuratore Generale contenevano la mera e immotivata richiesta di rigetto dell'appello, di tal che la circostanza dell'omessa comunicazione alla difesa non aveva prodotto alcuno specifico e concreto pregiudizio per il ricorrente.

Tirando le fila del complesso ragionamento testé imbastito, va detto che l’esperienza del rito cartolare in appello – dal periodo dell’emergenza pandemica e ancor più all’attualità, in cui è ripreso il normale ritmo di fissazione e trattazione dei processi – è ad avviso di chi scrive assolutamente positiva, nella misura in cui si è osservato come una quota significativa dei difensori non richiedano la trattazione in presenza, circostanza questa che se – come detto – comporta un notevole aggravio del lavoro delle cancellerie e un impegno stringente per l’ufficio di Procura, tuttavia si traduce oggettivamente in un considerevole risparmio di tempo e nell’alleggerimento complessivo dell’andamento dell’udienza di appello.

Si è, per altro verso, sostenuto[34] che il successo o il fallimento di tale radicale revisione del giudizio di appello dipenderà anche dalla reazione dei difensori, in quanto il sistema così tratteggiato prevede un vero e proprio diritto potestativo dell’imputato e del suo difensore in ordine alla forma di trattazione dell’udienza, privando sì le altre parti del diritto di interloquire sul punto ma anche il giudice di vagliare le effettive ragioni della richiesta e l’utilità del rito pubblico o camerale non partecipato, come del resto osservato anche dal CSM nel parere espresso sulla legge delega.

L’utilizzo delle forme cartolari, in prospettiva, consentirà senza dubbio un utilizzo più efficiente e razionale delle risorse materiali ed umane, anche considerato l’importante apporto fornito dai funzionari dell’Ufficio del Processo, e aiuterà il paese a conseguire gli obiettivi del P.N.R.R. con riferimento alla velocizzazione dei tempi di fissazione e celebrazione dei processi di secondo grado e all’abbattimento del cd. disposition time entro i tempi previsti[35].

Restano, com’è del resto ragionevole, di solito esclusi dalla trattazione cartolare i processi di particolare complessità, quelli ove siano necessarie attività di rinnovazione istruttoria e quasi tutti i processi con imputati detenuti, la cui presenza è ancora tendenzialmente ritenuta utile dalle difese anche per consentire un contatto diretto con il proprio assistito, ad esempio al fine di concordare con la pubblica accusa una rideterminazione della pena ex art. 599 bis c.p.p. ovvero di rinunciare a taluni dei motivi di appello, confidando in una revisione in chiave migliorativa del trattamento sanzionatorio.

 

 

 

[1] cfr. Cass. Pen., Sez. 5, n. 24953 del 10/5/2021, Garcia Genesis, Rv. 281414

[2] si veda sul punto “La riforma del sistema penale, commento al Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (cd. Riforma Cartabia), a cura di Alessandra Bassi e Cesare Parodi, Giuffrè 2022, pagine 276 e seguenti

[3] cfr. La riforma del sistema penale, cit., pag. 278

[4] così Cass. Pen., n. 38614/2022(in tal senso anche 44646 del 2021 e 35243 del 2021

[5] in tal senso Cass. Pen., 7750 del 2021

[6] così, in motivazione, Cass. Pen., n. 44646/2021

[7] Cass. Pen., n. 1414/2022

[8] Cass. Pen., n. 37711/2023

[9] così Cass. Pen., n. 1167/2021

[10] Cass. Pen., n.32864/2022

[11] Cass. Pen., n. 26764/2023

[12] Cass. Pen., Sez. III, n. 30330 del 25 giugno 2021

[13] Cass. Pen., V Sez., n. 38899 del 24 giugno 2021

[14]Nel processo civile, penale, amministrativo e tributario la mancata comparizione dell'avvocato all'udienza o all'atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorché non obbligatoria

[15] Cass. Pen., n.9775 del 2013 e n. 1596 del 1995

[16] Si veda “Le nuove impugnazioni penali”, a cura di A. Trinci, Giuffrè 2018, pagg. 28 e ss.

[17] Cass. Pen., n. 13428/2022

[18] cfr. Cass. Pen., n.29349/2023

[19] Cass. Pen., n. 3673/2022

[20] Cass. Pen., n. 7750/2022

[21] cfr. Cas. Pen., n. 46394/2021; n. 27903/2021

[22] Cass. Pen., n. 13428/2022

[23] nello stesso senso si vedano Cass. Pen., Sez. 4, n. 13218 del 24/03/2022, Cerbai, non mass. (ove si precisa che l’omessa presentazione delle conclusioni da parte della difesa preclude alla stessa la possibilità di sollevare la relativa eccezione (per la prima volta) in cassazione, con conseguente inammissibilità del ricorso), Cass. Pen., Sez. 5, n. 23339 del 23/3/2022, Garofalo, non mass., nonché Sez. 2, n. 28728 del 17/6/2022, Camara, non mass.

[24] nel medesimo senso vanno Cass. Pen., Sez. 4, n. 45914 del 28/10/2022, Rinaldi, non mass., e Cass. Pen., Sez. 7, n. 37813 del 6/7/2022, Romanelli, non mass.

[25] in tal senso la giurisprudenza è pressoché concorde e si registrano solo pronunce isolate che li ritengono invece perentori, come ad es. Cass. Pen., Sez. 6, n. 18483 del 29/03/2022, Della Mina, Rv. 283262)

[26] Cass. Pen., Sez. 2, n. 34914 del 07/09/2021, Carlino, Rv. 281941; Sez. 3, n. 40562 del 05/10/2021, Arduino, n.m.; Sez. 5, n. 11562 del 22/02/2022, Reichard, n.m.; Sez. 4, n. 28225 del 1/06/2022, Zarcone, n.m.; Sez 5, n. 37259 del 16/6/2022, D’Agosta, n.m.

[27] in questo senso, Cass. Pen., Sez. 3, n. 27193 del 24/3/2022, Hounaifi, non mass.

[28] così come ritenuto da Cass. Pen., Sez. 4, n. 21066 del 5/5/2022, Rv 283116, nel differente caso di conclusioni formulate in ritardo dal procuratore generale e trasmesse in ritardo al difensore, e specificamente il giorno prima dell’udienza, quindi, oltre il termine concesso alla difesa per presentare le proprie conclusioni, in quel caso anche già rassegnate.

[29] cfr. ad es. Cass. Pen., Sez. 4, n. 29367 del 26/5/2022, Bolla, ove si è affermato che le conclusioni del Procuratore generale erano state depositate in tempo utile per la formulazione da parte del difensore dell'imputato delle conclusioni entro i cinque giorni previsti dalla norma ed il ricorrente non aveva specificato, come invece avrebbe dovuto, quale concreto pregiudizio egli avesse ricevuto dalla inosservanza del termine suddetto.

[30] Cass. Pen., Sez. 4, n. 21066 del 05/05/2022, 0., Rv. 283316, che ha affermato il principio così massimato: “Nel giudizio cartolare d'appello celebrato nel vigore della disciplina emergenziale pandemica, la difesa dell'imputato, cui siano state trasmesse in via telematica le conclusioni del procuratore generale tardivamente depositate, è onerata, ex art. 182 c.p.p., versandosi in ipotesi di nullità a regime intermedio, della tempestiva relativa eccezione, dovendo detta parte, a seguito della trasmissione ad essa comunque avvenuta, considerarsi presente all'atto a norma dell'art.182 c.p.p.).

[31] Cass. Sez. 5, n. 20885 del 28/04/2021, H., Rv. 281152, non mass. sul punto; Sez. 6, n. 7069 del 08/02/2022, El Quizi, Rv. 282905; Sez. 5, n. 18700 del 29/3/2022, Parise, non mass.; Sez. 1, n. 29089 del 12/04/2022, Parlato, non mass.; Sez. 5, n. 29852 del 24/06/2022, V., Rv. 283532 e Sez. 5, n. 34790 del 2022, D’Incalci, Rv 283901.

[32] Cass. Pen., Sez. 6, Sentenza n. 10216 del 03/03/2022, M., Rv. 283048; Sez. 3, n. 27688 del 26/05/2022, Moubthaije, non mass. e, prim’ancora, Sez. 2, n. 43889 del 03/11/2021, Abramo, n.m.; Sez. 6, n. 1107 del 6/12/2022, Sica.

[33] Cass. Pen., n. 33455/2023

[34] “La riforma del sistema penale”, op. e loc. cit., pag. 279

[35] Com’è noto, il Ministero della Giustizia, con circolare del 2 dicembre 2021, ha invitato i capi degli uffici giudiziari alla redazione, entro il 31 dicembre 2021, del progetto organizzativo di cui agli articoli 165 ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale e decreto legge 80/2021, convertito con legge 113/2021: in tale circolare si richiama l’attenzione su alcuni profili particolarmente rilevanti in merito all’organizzazione degli uffici, quali il conseguimento delle riforme inserite come milestone (intese come risultati oggettivamente verificabili, quali la legislazione vigente e i bandi per l’assunzione dei funzionari dell’ufficio del processo) e target (intesi come risultati quantitativi misurabili mediante indicatori, come ad esempio il DT) del PNRR, la riduzione del 25% della durata dei processi penali (calcolata sul disposition time  di tutti gli uffici giudiziari e di tutti e tre i gradi di giudizio), la costituzione di banche dati di merito accessibili liberamente a tutti cittadini, il monitoraggio costante del DT e degli arretrati e la digitalizzazione, limitatamente al primo grado penale. Con la circolare ministeriale del 3 novembre 2021 si è dato, invece, avvio alla materiale costituzione dell’ufficio del processo con l’assunzione di 16.500 addetti, le cui mansioni sono state delineate nel richiamato decreto-legge 80 del 2021. Gli uffici giudiziari, in attuazione del progetto organizzativo PNRR (ex articolo 12 del ricordato decreto-legge 80 del 2021) a firma congiunta del capo dell’ufficio e del dirigente amministrativo, preso atto del numero di funzionari che hanno preso effettivamente servizio presso il singolo ufficio, hanno quindi emanato provvedimenti organizzativi volti a formalizzare l’assegnazione degli addetti ai vari settori e servizi.