Cass., Sez. V, 19 giugno 2024 (dep. 4 luglio 2024), n. 26458, Pres. Pezzullo, est. Belmonte
1. Le disposizioni di cui all’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, c.p.p. hanno rappresentato fin da subito le norme su cui si sono concentrate alcune delle principali critiche dei penalisti italiani alla riforma c.d. Cartabia, con richieste rivolte al Ministro della Giustizia di interventi correttivi[1]. L’intervento correttivo, come è noto, è sopraggiunto in Senato, nel corso dell’iter di approvazione del d.d.l. Nordio n. 808 S (“Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare”), e ciò consentiva all’UCPI di esprimere un (parziale) apprezzamento.[2] Dunque, sulla spinta dei penalisti italiani, veniva apportato un intervento correttivo alle sopra citate diposizioni normative, inserito nel corpo del d.d.l. Nordio, che è rimasto invariato fino al giorno della sua definitiva approvazione da parte della Camera dei Deputati in data 10.7.2024.[3]
2. Prima di esaminare brevemente l’intervento correttivo normativo, è necessario soffermarsi sulla circostanza che, nelle more, le disposizioni legislative modificate hanno avuto vigenza e operatività, tanto da generare anche contrasti interpretativi giurisprudenziali, uno dei quali è sfociato nella rimessione di una questione alle Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a stabilire «se la previsione, ex art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen., a pena di inammissibilità del deposito, con l'atto di impugnazione delle parti private e dei difensori, della dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio, debba essere interpretata nel senso che, ai fini indicati, sia sufficiente la sola presenza in atti della dichiarazione o elezione di domicilio, benché non richiamata nell'atto di impugnazione od allegata al medesimo»[4]. La prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d.d.l. Nordio, che, come vedremo, abroga tout court il comma 1-ter dell’art. 581 c.p.p., potrebbe indurre a ritenere oramai superfluo il pronunciamento delle Sezioni Unite. Tuttavia, non va taciuto che il d.d.l. Nordio non ha previsto alcuna norma transitoria, tesa a disciplinare la sorte delle impugnazioni proposte prima dell’entrata in vigore delle modifiche. Ne consegue che le impugnazioni proposte nella vigenza dei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p., come introdotti dal d. lgs. n. 150/2022, continueranno ad essere valutate, sotto il profilo della loro ammissibilità, alla stregua di tali disposizioni, secondo un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità[5] e che trova la sua ratio nel principio tempus regit actum che normalmente regola la successione nel tempo delle leggi processuali penali[6].
3. Tenuto conto del fatto che, per le impugnazioni proposte avverso le sentenze emesse dall’1.1.2023, che saranno depositate prima della data di entrata in vigore del d.d.l. Nordio, occorrerà valutarne l’ammissibilità alla stregua dei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p., nel testo introdotto dal d.lgs. n. 150/2022, è forse opportuno brevemente tratteggiare gli approdi interpretativi cui è giunta la Cassazione circa l’operatività delle su richiamate disposizioni normative, alcuni oramai consolidati, altri ancora in via di definizione, come la recente rimessione della questione alle Sezioni Unite ha evidenziato.
3.1. Tralasciando i diversi orientamenti che hanno generato la rimessione della questione di cui si è detto alle Sezioni Unite, in primo luogo, sembra consolidarsi l’orientamento che ritiene applicabili i commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p. ai ricorsi per cassazione[7], ma non all’opposizione al decreto penale di condanna[8], ovvero agli appelli cautelari[9]. Dubbi permangono circa l’applicabilità delle norme in questione ai giudizi di impugnazione in materia di procedimenti di prevenzione[10]. Sotto il profilo soggettivo, risulta pacifico[11] che l’art. 581 comma 1-ter c.p.p. non trova applicazione nei confronti della parte civile, del responsabile civile e del soggetto civilmente obbligato per la pena pecuniaria, tenuto conto che tale adempimento risulterebbe inutile ed eccessivamente formalistico, in ragione dello statuto processuale di tali parti, rinvenibile negli artt. 100, commi 1 e 5, e 154, comma 4, c.p.p. Quanto, poi, al disposto di cui all'art. 581, comma 1-quater, c.p.p., che prescrive uno specifico mandato a impugnare con riguardo all'imputato giudicato in assenza, lo stesso non trova applicazione in caso di appello avverso sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato, quando la definizione con rito alternativo sia stata richiesta dal difensore munito di procura speciale, posto che, in tale eventualità, non sussistono dubbi sulla conoscenza del procedimento da parte dell'imputato, dovendo lo stesso ritenersi presente ex art. 420, comma 2-ter, c.p.p., e ciò anche se, nella sentenza di primo grado, fosse stato erroneamente indicato assente, trattandosi di circostanza del tutto irrilevante[12]. Con l’ulteriore conseguenza che la previsione di cui all'art. 585, comma 1-bis, c.p.p., che prolunga di quindici giorni i termini per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza, non trova applicazione in questo caso, appunto perché, essendo stato richiesto il giudizio abbreviato dal procuratore speciale dell’imputato, quest’ultimo è da intendersi presente in giudizio ex art. 420, comma 2-ter, c.p.p., in ragione della scelta del rito effettuata, essendo irrilevante che la sentenza lo abbia indicato assente[13]. Peraltro, la previsione di cui all'art. 585, comma 1-bis, c.p.p., che aumenta di quindici giorni i termini per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza, non trova applicazione per il ricorso in cassazione avverso le pronunce rese all'esito del giudizio di appello celebrato in udienza camerale non partecipata nel vigore del rito emergenziale di cui all'art. 23-bis del d.l. 28.10.2020, n. 137, convertito dalla legge 18.12.2020, n. 176, se la dichiarazione di assenza non sia stata effettuata nelle modalità previste agli artt. 420 e 420-bis c.p.p.[14] Per l’imputato appellante detenuto la giurisprudenza prevalente non ritiene operante l’art. 581, comma 1-ter, c.p.p., posto che l’adempimento previsto in tale disposizione risulterebbe privo di effetto in ragione della vigenza dell'obbligo di procedere alla notificazione a mani proprie dell'imputato detenuto e comporterebbe la violazione del diritto all'accesso effettivo alla giustizia sancito dall'art. 6 CEDU[15]. Tuttavia, non mancano i distinguo: a fronte di un indirizzo più drastico, che esclude l’operatività dell’art. 581 comma 1-ter c.p.p. per l’imputato appellante detenuto, anche se per altra causa,[16] vi è una pronuncia che sostiene che le disposizioni di cui all'art. 581, commi 1-ter e 1-quater, c.p.p. sono applicabili all'atto di appello proposto dall'imputato detenuto per altra causa, stante la riferibilità dell'art. 161, comma 3, c.p.p. al solo procedimento in relazione al quale è intervenuta la carcerazione[17], ed altra che distingue il caso in cui lo stato detentivo per altra causa risulti dagli atti, e quello in cui tale status detentionis non emerga ex actis, ritenendo che solo in quest’ultimo caso trovi applicazione il disposto dell’art. 581, comma 1-ter, c.p.p. [18]; alcune pronunce, poi, ritengono operativo il disposto del comma 1-ter dell’art. 581 c.p.p. nel caso in cui appellante risulti l’imputato detenuto agli arresti domiciliari[19], mentre altro indirizzo lo nega, sul presupposto che non vi è alcuna differenza tra l’imputato detenuto in carcere e quello detenuto agli arresti domiciliari[20]. In una recente sentenza, la Cassazione ha ritenuto operante l’art. 581, comma 1-ter, c.p.p. nel caso in cui appellante sia un imputato detenuto all’estero, evidenziando che nel caso in esame non viene in rilievo il disposto dell’art. 156 c.p.p., ma quello di cui all’art. 169 c.p.p., applicabile anche nel caso in cui dagli atti risulti che la persona è detenuta all’estero (comma 5). [21]
4. Chiusa questa breve parentesi, in attesa della decisione delle Sezioni Unite, è indubbio che il sistema programmato ed attuato con la riforma c.d. Cartabia risulta “tarato” su un modello di imputato/tipo responsabilizzato[22], che presuppone, nel momento in cui è stato correttamente informato dell’esistenza di un procedimento penale nei suoi confronti, che si attivi per la sua difesa, a cominciare dall’istaurare un rapporto comunicativo con il suo difensore (sia esso di fiducia o di ufficio). Invero, le modifiche apportate alle norme in tema di notificazioni spingono in questa direzione, dal momento che stabiliscono che, fin dal primo contatto che l’indagato/imputato ha con la polizia giudiziaria, ovvero con il pubblico ministero o con il giudice, deve essere invitato, da un lato, a dichiarare o eleggere domicilio per la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, ovvero degli atti di citazione a giudizio ai sensi degli artt. 450, comma 2, 456, 552 e 601 c.p.p. (con l’avviso dell’obbligo di comunicazione di ogni mutamento e che in mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere il domicilio, nonché nel caso in cui il domicilio sia o divenga inidoneo, le notificazioni degli atti indicati verranno eseguite mediante consegna al difensore, già nominato o che è contestualmente nominato anche di ufficio), dall’altro deve essere avvisato che le successive notificazioni, diverse da quelle che riguardano gli atti di citazione a giudizio, saranno effettuate mediante consegna al difensore di fiducia o a quello nominato di ufficio, cui l’indagato/imputato ha l’onere di indicare ogni possibile recapito, telefonico o telematico, nella sua disponibilità, per consentire al difensore di comunicare con lui (artt. 157, comma 8-ter, 161 c.p.p.). Dunque, ricevuti correttamente questi avvisi, l’indagato/imputato sa che la dichiarazione/elezione di domicilio serve solo ed esclusivamente per consentire all’Autorità giudiziaria di notificargli gli atti introduttivi del giudizio (concetto ulteriormente desumibile dagli artt. 157-ter e 164 c.p.p.), mentre tutte le altre notifiche, successive alla prima, saranno effettuate al suo difensore di fiducia o di ufficio (art. 157-bis c.p.p.). In ogni caso, per l’imputato detenuto, anche per altra causa e anche in luogo diverso dagli Istituti penitenziari, stante la sua peculiare situazione personale e la sua “agevole rintracciabilità”, le notifiche, anche successive alla prima e anche degli atti introduttivi del giudizio, sono sempre eseguite nel luogo di detenzione (o, per l’imputato detenuto in luogo diverso dall’Istituto penitenziario, sono eseguite a norma dell’art. 157 c.p.p.).
4.1. Sempre nell’ottica dell’imputato/tipo responsabilizzato, la riforma c.d. Cartabia ha previsto gli obblighi di cui ai commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581 c.p.p. Il diritto di impugnazione è un diritto proprio dell’imputato, come si evince dall’art. 571 c.p.p. L’impugnazione può essere proposta dal difensore dell’imputato, ovviamente nel suo interesse, ma, a dimostrazione che l’ultima parola spetta sempre all’imputato, vale la pena ricordare il comma 4 dell’art. 571 c.p.p., che abilita l’imputato, nei modi previsti per la rinuncia, a togliere effetto all’impugnazione proposta dal suo difensore. In questa prospettiva, in una logica di collaborazione già nota al nostro codice (vedi art. 677, comma 2-bis, c.p.p. [23]), il riformatore Cartabia ha previsto che l’imputato impugnante alleghi all’atto di impugnazione anche la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio. Decideranno le Sezioni Unite se per assolvere all’adempimento è sufficiente addirittura che esista agli atti una dichiarazione/elezione di domicilio, senza la necessità che la stessa sia almeno richiamata nell’atto di impugnazione. Si osserva, sommessamente, però, che la lettera della norma è chiara: se è vero che la disposizione non richiede che la dichiarazione/elezione di domicilio sia successiva alla pronuncia della sentenza impugnata (come invece afferma il comma 1-quater dell’art. 581 c.p.p. a proposito del mandato ad impugnare contenente la dichiarazione o elezione di domicilio), è anche vero che la norma statuisce che la dichiarazione o elezione di domicilio “è depositata” con l’atto di impugnazione. Dunque, deve trattarsi di un atto, proprio dell’imputato, formalmente a parte rispetto all’atto di impugnazione, nel senso che deve trattarsi di un atto distinto, anche se non necessariamente materialmente separato (nel senso che la dichiarazione/elezione di domicilio potrebbe anche essere posta in calce all’atto impugnatorio). La necessaria presenza di questa formale dichiarazione/elezione di domicilio è del resto così importante tanto che il legislatore ha stabilito in maniera inequivoca che, in caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto ai sensi dell’art. 581, comma 1-ter e 1-quater c.p.p. (art. 157-ter ultimo comma c.p.p.). Non solo: ai sensi dell’art. 598-ter, comma 1, c.p.p., per l’imputato appellante non presente alle udienze partecipate in presenza, è sufficiente la regolarità della notifica perché si proceda in sua assenza, e ciò è possibile proprio nella logica collaborativa rappresentata dall’onere di depositare la dichiarazione/elezione di domicilio con l’atto di impugnazione. Sempre in questa prospettiva, nell’ipotesi in cui l’imputato è rimasto assente in primo grado, il riformatore Cartabia ha previsto un ulteriore adempimento. L’esperienza giudiziaria ci insegna di processi celebrati in assenza degli imputati, anche nei gradi successivi, su mero impulso dei difensori, più spesso di ufficio, senza un reale contatto con i propri assistiti, non poche volte riaperti in seguito a istanze di restituzione nel termine o di rescissione del giudicato accolte perché provata l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo da parte dell’imputato. Per evitare ciò, sempre tenendo presente che il diritto di impugnazione è proprio dell’imputato, che deve esercitarlo consapevolmente[24], è stata prevista la necessità di allegare all’atto di impugnazione del difensore il mandato ad impugnare, contenente anche l’elezione/dichiarazione di domicilio, rilasciato dopo la sentenza. In questo modo, da una parte, si esclude il rischio che l’iniziativa impugnatoria sia esclusivamente del difensore (come troppo spesso capitava in passato, anche per un eccessivo dovere deontologico), dall’altra, si realizza quell’onere collaborativo con l’Amministrazione giudiziaria, volto a semplificare gli adempimenti finalizzati alla corretta instaurazione del giudizio di impugnazione. In buona sostanza, la logica sottesa è semplice: è un diritto dell’imputato impugnare (mentre è onere del suo difensore farlo, salva diversa volontà del suo assistito), ma se lo esercita, ciò deve avvenire in piena consapevolezza e mettendo in condizioni l’Amministrazione giudiziaria di avviare e celebrare un giudizio utile, effettivamente partecipato. D’altra parte, per facilitare il contatto tra difensore e imputato, l’art. 585, comma 1-bis, prolunga di quindici giorni il termine per impugnare. In ogni caso, per l’imputato assente impossibilitato ad impugnare, l’art. 175, comma 2.1., c.p.p. consente la restituzione nel termine per impugnare, salvo che vi abbia volontariamente rinunciato, se, nei casi previsti dall’art. 420-bis, commi 2 e 3, c.p.p., fornisce la prova di non avere avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non avere potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa. Non va poi dimenticato quell’orientamento giurisprudenziale a mente del quale il disposto di cui all'art. 581, comma 1-quater, c.p.p. non è applicabile al giudizio di impugnazione nel caso in cui formi oggetto del gravame l'ordinanza dichiarativa dell'assenza dell'imputato, atteso che gli oneri di allegazione previsti, a pena d'inammissibilità, dalla norma non operano per l'impugnazione avverso le ordinanze, pur se impugnate unitamente alla sentenza, ex art. 586 c.p.p. [25] Pertanto, anche l’asserito vuoto di tutela che vi sarebbe nei confronti dell’imputato, nell’ipotesi in cui il difensore ritenesse illegittima l’ordinanza dichiarativa della sua assenza e, quindi, intendesse impugnarla, pur essendo impossibilitato ad ottenere il relativo mandato, stante l’irreperibilità dell’assistito, sarebbe escluso grazie alla corretta esegesi giurisprudenziale. Il sistema così congegnato, dunque, con pesi e contrappesi, ha (o meglio aveva) una sua logica e una sua coerenza.
5. In questo contesto si inserisce l’intervento correttivo del d.d.l. Nordio, il quale all’art. 2, comma 1, lett. o), si limita ad abrogare il comma 1-ter dell’art. 581 c.p.p. e ad inserire al comma 1-quater, dopo le parole «del difensore» le parole «di ufficio». Dunque, dall’entrata in vigore del disegno di legge, le impugnazioni presentate dalle parti private e dai difensori non necessiteranno più del deposito anche della dichiarazione/elezione di domicilio a pena di inammissibilità. Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, solo per l’impugnazione presentata dal difensore di ufficio sarà necessario depositare, a pena di inammissibilità, il mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione/elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio.
6. L’intervento legislativo, che si inserisce in un contesto, come detto, ben strutturato, appare frettoloso e scarsamente coordinato. Il legislatore ha omesso di considerare il disposto dell’art. 157-ter, ultimo comma, c.p.p., che continua a prevedere che, in caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, la notificazione dell’atto di citazione a giudizio nei suoi confronti è eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto, ai sensi dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater c.p.p. Non ha valutato che l’art. 585, comma 1-bis, c.p.p. prevede che i termini per impugnare sono aumentati di quindici giorni per l’impugnazione del difensore dell’imputato giudicato in assenza, senza alcuna distinzione tra difensore di ufficio o di fiducia. Ancora una volta la giurisprudenza sarà chiamata ad una inevitabile opera di “ricucitura”, non agevole. È chiaro che si potrebbe semplicemente sostenere che l’art. 157-ter, ultimo comma, c.p.p. deve essere letto in linea con l’abrogazione del comma 1-ter e con la modifica del comma 1-quater dell’art. 581 c.p.p., per cui la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di impugnazione va effettuata presso il domicilio dichiarato/eletto dall’imputato, con dichiarazione allegata all’atto di impugnazione, nel solo caso di imputato dichiarato assente nel precedente grado e difeso da un difensore di ufficio; oppure, si potrebbe sostenere che il termine aggiunto di quindici giorni previsto dall’art. 585, comma 1-bis, dovrà intendersi limitato al solo imputato assente difeso da un difensore di ufficio. Sono letture interpretative possibili, che tuttavia si confrontano con un dato normativo letterale diverso, che rimanda alla “esclusività” del luogo di notificazione dell’atto di citazione per il giudizio nel caso dell’art. 157-ter, ultimo comma, c.p.p. e ad una previsione omnicomprensiva con riguardo all’art. 585, comma 1-bis, c.p.p. Ma, al di là di quelle che saranno le possibili interpretazioni adeguatrici della giurisprudenza in ordine alle predette norme, resta il dato di fondo che il d.d.l. Nordio, modificando il comma 1-quater dell’art. 581 c.p.p., ha posto una chiara distinzione tra imputato assente difeso da un difensore di fiducia e quello nella medesima situazione processuale, ma difeso da un difensore di ufficio, onerando solo quest’ultimo dal compito di procurarsi una mandato ad impugnare successivo alla sentenza contenente anche la dichiarazione/elezione di domicilio a pena di inammissibilità dell’impugnazione. Il legislatore ha riproposto, per il solo difensore di ufficio, quell’onere che ab origine il nuovo codice di procedura penale aveva previsto per il difensore dell’imputato contumace, senza alcuna distinzione tra difensore di ufficio e difensore di fiducia. Si allude all’art. 571 comma 3 ultima parte, c.p.p., che in origine stabiliva che, contro una sentenza contumaciale, il difensore poteva proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, rilasciato con la stessa nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste. La ratio di quella disposizione era stata ravvisata nell’esigenza di evitare che frettolose impugnazioni, proposte dal difensore del contumace, potessero precludere all’imputato il ricorso all’istituto della restituzione nel termine di cui all’art. 175 c.p.p., stante il principio dell’unicità dell’impugnazione. La previsione di uno specifico mandato, quindi, avrebbe consentito di presumere che l’imputato avesse effettuato una preventiva valutazione circa le conseguenze dell’attività che il difensore avrebbe potuto compiere nel suo interesse, ivi compreso, quindi, l’eventuale effetto preclusivo di cui si detto[26]. La norma superò anche il controllo di costituzionalità[27], finchè non venne abrogata per effetto dell’art. 46 della legge n. 479/1999 (c.d. legge Carotti) [28], generando quegli effetti preclusivi rispetto all’istituto della restituzione nel termine di cui all’art. 175 c.p.p. che la libera impugnazione proposta dal difensore (di fiducia o di ufficio) dell’imputato contumace inevitabilmente provocava[29], effetti poi definitivamente rimossi dalla Corte costituzionale con la nota e già citata sentenza n. 317 del 2009, che dichiarò la illegittimità costituzionale dell’art. 175, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non consente la restituzione dell’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato. Escluso, dunque, che la ragione giustificatrice della differente disciplina scaturente dalla modifica apportata dal d.d.l. Nordio al comma 1-quater dell’art. 581 c.p.p. possa essere ravvista nella necessità di evitare effetti preclusivi al diritto dell’imputato alla restituzione nel termine per impugnare, ovvero all’eventuale rescissione del giudicato, è evidente che l’unica possibile ratio è da individuare nel differente rapporto che si instaurerebbe tra il difensore di fiducia e l’imputato rispetto al difensore di ufficio. Invero, l’esistenza di un mandato fiduciario farebbe presumere l’effettività del rapporto professionale tra difensore e imputato, nel senso di un’effettiva comunicazione/informazione del difensore rispetto all’imputato e, quindi, di un’effettiva consapevolezza di quest’ultimo rispetto alle scelte difensive compiute nel suo interesse dal difensore. È di certo una presunzione che trova spazio nel dato normativo (art. 420-bis, comma 2, c.p.p.) e nella giurisprudenza di legittimità, che, a proposito della valutazione della legittimità delle dichiarazioni di assenza degli imputati, effettuate dai giudici di merito, tende a distinguere i casi in cui l’imputato è difeso da un difensore di fiducia rispetto ai casi in cui è difeso da un difensore di ufficio, tendenzialmente attribuendo alla nomina fiduciaria una presunzione di conoscenza del processo da parte dell’imputato[30]. Tuttavia, anche su questo aspetto si potrebbe obbiettare qualcosa. Il sistema delle notificazioni scaturente dalla riforma c.d. Cartabia, come visto, è molto chiaro: a parte il caso dell’imputato detenuto, dal momento in cui l’imputato ha ricevuto gli avvertimenti di cui all’art. 161 c.p.p., tutte le notifiche successive alla prima, escluse quelle riguardanti la vocatio in iudicium, sono eseguite mediante consegna dell’atto al difensore di fiducia o di ufficio (art. 157-bis c.p.p.). Dunque, con riguardo alle notificazioni, il legislatore non distingue affatto se l’imputato è assistito da un difensore di fiducia o di ufficio. Peraltro, l’omessa o ritardata comunicazione da parte del difensore dell’atto notificato all’assistito, ove imputabile al fatto di quest’ultimo, non costituisce inadempimento degli obblighi derivanti dal mandato professionale (art. 157, ultimo comma, c.p.p.). Alla luce di ciò, può giustificarsi il distinguo contenuto nel novellato comma 1-quater dell’art. 581 c.p.p.? Anche su questo aspetto, dunque, sono auspicabili rapide ed inequivoche prese di posizione giurisprudenziali.
7. Una breve riflessione conclusiva. Come è noto, in attuazione dei criteri di delega contenuti nell’art. 1, comma 13, lett. a), b) e i) della legge n. 134/2021, il d. lgs. n. 150/2022 era intervenuto sulla disciplina generale delle impugnazioni con lo scopo di innalzare il livello qualitativo dell’atto di impugnazione e del relativo giudizio in chiave di efficienza, semplificando al contempo le forme in ottica acceleratoria[31]. In questa logica andavano letti gli interventi sull’art. 581 c.p.p., attraverso l’inserimento non solo dei commi 1-ter e 1-quater, ma anche del comma 1-bis. Nella logica del riformatore Cartabia, ricavabile non solo dalle norme citate, ma anche da altre disposizioni opportunamente modificate ovvero introdotte (vedi ad esempio art. 442, comma 2-bis, c.p.p.), il diritto di impugnazione, senza dubbio garantito a tutte le parti, e, in primis, all’imputato, va inteso come diritto esercitabile quando ne sussiste effettivamente la necessità. In questo ordine di idee, la relazione processuale tra imputato e difensore diventa effettivamente essenziale: a fronte delle tante opzioni difensive che il codice di rito mette a disposizione, il difensore deve svolgere innanzitutto un’effettiva opera di comunicazione e informazione, affinché la scelta dell’impugnazione da parte dell’imputato sia il più possibile consapevole. Solo così è raggiungibile l’obbiettivo della celebrazione di giudizi di impugnazione promossi effettivamente con lo scopo di sottoporre a controllo la sentenza gravata, e non per altri scopi, più o meno processuali, che in alcuni casi travalicano lo stesso interesse dell’imputato, appesantendo inutilmente il “fardello” delle Corti di Appello o della Corte di Cassazione. Il d.d.l. Nordio rischia, da questo punto di vista, di segnare un punto di arresto, facendo tornare indietro le lancette dell’orologio. Sarà compito soprattutto della classe forense, che tanto ha voluto l’intervento correttivo in questione, non disperdere quei principi e quella logica che era alla base della riforma Cartabia, nell’interesse superiore della Giustizia
[1] Invero, fin dai primi incontri dei rappresentanti dell’UCPI con il neo Ministro della Giustizia Carlo Nordio, il tema degli oneri imposti dalla riforma c.d. Cartabia, a pena di inammissibilità, alle impugnazioni difensive era stato posto, tanto che, in occasione della presentazione della prima stesura del d.d.l. Nordio, l’UCPI, nel comunicato del 15.6.2023 (reperibile sul sito dell’Unione Camere Penali Italiane), esprimeva delusione per la mancanza nel disegno di legge di un intervento sul tema, pur promesso dal Ministro.
[2] Nella nota della Giunta dell’UCPI dell’8.2.2024 (reperibile sempre sul sito dell’Unione Camere Penali Italiane), si mostrava apprezzamento per l’approvazione dell’emendamento che abrogava il comma 1-ter dell’art. 581 c.p.p. e sia pure parzialmente il comma 1-quater dello stesso articolo, introdotti dalla riforma c.d. Cartabia, trattandosi di un primo passo in linea con la richiesta di abrogazione integrale di quei due commi che l’UCPI aveva formulato da tempo al Ministro Nordio. Tuttavia, la Giunta ribadiva quanto già rappresentato nel corso delle interlocuzioni con il Ministero, “affermando con assoluta convinzione che la limitazione dell’onere di dotarsi di uno specifico mandato ad impugnare alle sole difese di ufficio – così come previsto dall’emendamento approvato dal Senato – rende ancor più evidente ed ingiusta la compressione del diritto di impugnazione in quanto finisce con il penalizzare gli imputati investiti da una difesa di ufficio, spesso appartenenti alle fasce culturalmente, economicamente e socialmente più deboli, creando una inammissibile distinzione fra imputati di serie A e di serie B.”
[3] Disegno di legge A.C. n. 1718, in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
[4] Si veda l’allegata ordinanza della V Sezione penale della Cassazione del 19.6.-4.7.2024, n. 26458. La questione verrà decisa all’udienza del 24.10.2024.
[5] Si richiamano sul punto Cass. pen. sez. V, 2.10.2017, n. 4398/18; Cass. pen. sez. III, 4.10.2018, n. 54693; Cass. pen. sez. III, 15.11.2019, n. 843/20; Cass. pen. sez. IV, 11.2.2021, n. 7982.
[6] Si veda, fra le tante, Cass. pen. sez. II, 16.10.2019, n. 44678, che precisa che il principio “tempus regit actum” riguarda solo la successione nel tempo della legge processuale penale e non anche delle interpretazioni giurisprudenziali di queste ultime.
[7] Si vedano Cass. pen. sez. V, 4.7.2023, n. 39166; Cass. pen. sez. VI, 20.9.2023, n. 41309; Cass. pen. sez. IV, 11.10.2023, n. 43718; Cass. pen. sez. II, 20.10.2023, n. 47927; Cass. pen. sez. III; 9.11.2023, n. 46690; Cass. pen. sez. VI, 7.12.2023, n. 2323/24; Cass. pen. sez. VI, 10.1.2024, n. 6264. In senso contrario Cass. pen. sez. II, 13.9.2023, n. 40824, sul presupposto che nel giudizio di legittimità non è prevista la notificazione del decreto di citazione a giudizio dell’imputato, nonché Cass. pen. sez. I, 28.6.2023, n. 43523, ma in una particolare fattispecie di ricorso presentato avverso ordinanza del giudice dell’esecuzione. Giova però segnalare che, secondo Cass. pen. sez. II, 16.5.2024, n. 25419, in tema di impugnazioni, non trova applicazione il disposto dell'art. 581, comma 1-quater, c.p.p., che onera il ricorrente di rilasciare uno specifico mandato a impugnare dopo la pronuncia del provvedimento impugnato, nel caso in cui sia presentato ricorso per cassazione proposto avverso l'ordinanza di inammissibilità pronunciata "de plano" dal giudice di appello ex art. 591, comma 2, c.p.p., e ciò per due ragioni, in primo luogo perchè l’art. 581, comma 1-quater , c.p.p, fa espresso riferimento alle sole impugnazioni avverso sentenze, e, in secondo luogo, perché l’ordinanza di inammissibilità ex art. 591 c.p.p. è pronunciata de plano, e, quindi, senza alcuna dichiarazione di assenza. In altra pronuncia (Cass. pen. sez. I, 18.1.2024, n. 9426), la Suprema Corte ha precisato che il disposto di cui all'art. 581, comma 1-quater, c.p.p., introdotto dall'art. 33 d.lgs. 10.10.2022, n. 150, non è applicabile al giudizio di cassazione, nel caso in cui formi oggetto del gravame l'ordinanza dichiarativa dell'assenza dell'imputato, atteso che gli oneri di allegazione previsti, a pena d'inammissibilità, dalla norma non operano per l'impugnazione avverso le ordinanze, pur se impugnate unitamente alla sentenza, ex art. 586 c.p.p.
[8] Cass. pen. sez. V, 9.1.2024, n. 4613; nello stesso senso Cass. pen. sez. II, 7.5.2024, n. 23520.
[9] Cass. pen. sez. IV, 3.5.2023, n. 22140 e Cass. pen. sez. I, 7.6.2023, n. 29321.
[10] In senso favorevole, con particolare riguardo al comma 1-ter dell’art. 581 c.p.p., Cass. pen. sez. II, 9.4.2024, n. 26510; in senso contrario Cass. pen. sez. VI, 16.11.2023, n. 11726/24.
[11] Vedi Cass. pen. sez. V, 13.11.2023, n. 6993/24; nello stesso senso Cass. pen. sez. VI, 9.5.2024, n. 20565.
[12] Vedi Cass. pen. sez. II, 8.3.2024, n. 13714.
[13] Vedi Cass. pen. sez. III, 12.10.2023, n. 43835.
[14] Cass. pen. sez. VII, 7.12.2023, n. 1585/24 e in precedenza Cass. pen. sez. VI, 24.10.2023, n. 49315.
[15] Le pronunce sul punto sono numerose, sicchè si citeranno solo le più rappresentative: Cass. pen. sez. II, 13.9.2023, n. 38842 e Cass. pen. sez. II, 10.11.2023, n. 51273.
[16] Ex plurimis Cass. pen. sez. IV, 9.1.2024, n. 4342 e Cass. pen. sez. VI, 7.2.2024, n. 21940.
[17] Si veda Cass. pen. sez. V, 28.11.2023, n. 4606/24.
[18] Si richiama Cass. pen. sez. VI, 17.5.2024, n. 24902, che precisa che nel caso in cui lo stato detentivo per altra causa non risulti noto al giudice che procede, difettando la condizione prevista dall’art. 156, comma 4, c.p.p., le notificazioni devono avvenire con le forme ordinarie e non con quelle stabilite dal citato art. 156 c.p.p.
[19] Cass. pen. sez. IV, 8.6.2023, n. 41858, secondo la quale, in tema di impugnazioni, la causa di inammissibilità prevista dall'art. 581, comma 1-ter, c.p.p., introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. d), d.lgs. 10.10.2022, n. 150, per il caso di omesso deposito, da parte dell'imputato appellante, della dichiarazione o dell'elezione di domicilio richiesta ai fini della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, opera anche nei confronti dell'appellante sottoposto agli arresti domiciliari, al quale la notifica deve essere eseguita ai sensi dell'art. 157 c.p.p. (In motivazione la Corte ha precisato che la nuova disposizione costituisce, per collocazione sistematica, norma generale sulle impugnazioni, non derogabile in ragione dello stato di detenzione dell'imputato al momento della proposizione del gravame); in senso conforme Cass. pen. sez. IV, 20.3.2024, n. 14895, dove la Corte ha evidenziato che l'adempimento, richiesto a pena di inammissibilità, al momento del deposito dell'impugnazione, conserva efficacia nell'ipotesi in cui, prima della notificazione del decreto di citazione a giudizio, sia intervenuta la scarcerazione dell'appellante, nonché Cass. pen. sez. V, 19.3.2024, n. 17055 in relazione ad imputato detenuto per altra causa in detenzione domiciliare.
[20] Cass. pen. sez. III, 16.1.2024, n. 4233.
[21] Cass. pen. sez. II, 13.6.2024, n. 27785.
[22] Sul punto si rimanda alle riflessioni di C. Citterio, “L’imputato del giusto processo (ovvero degli articoli 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen.)”, in Giustizia insieme, 28.2.2023.
[23] La ratio di tale norma è individuata dalla giurisprudenza proprio nella necessità di assicurare ab origine il rapporto tra condannato e organi giurisdizionali del procedimento di sorveglianza: vedi Cass. pen. sez. I, 16.3.2004, n. 23907. A tale fine, pertanto, si ritiene necessaria la contestuale indicazione del domicilio dichiarato o eletto al momento della presentazione della domanda, essendo irrilevante la precedente dichiarazione o elezione di domicilio effettuata nel giudizio di cognizione: Cass. pen. sez. I, 23.10.2007, n. 46265.
[24] Sottolineava, ad esempio, la Corte costituzionale (Corte cost. 30.11.2009, n. 317), a proposito dell’impossibilità di accedere all’istituto di cui all’art. 175 c.p.p. da parte del condannato contumace in conseguenza della presentazione dell’atto di impugnazione del suo difensore, che la misura ripristinatoria, “per avere effettività, non può essere «consumata» dall’atto di un soggetto, il difensore (normalmente nominato d’ufficio, in tali casi, stante l’assenza e l’irreperibilità dell’imputato), che non ha ricevuto un mandato ad hoc e che agisce esclusivamente di propria iniziativa. L’esercizio di un diritto fondamentale non può essere sottratto al suo titolare, che può essere sostituito solo nei limiti strettamente necessari a sopperire alla sua impossibilità di esercitarlo e non deve trovarsi di fronte all’effetto irreparabile di una scelta altrui, non voluta e non concordata, potenzialmente dannosa per la sua persona.”.
[25] Si veda la già citata sentenza Cass. pen. sez. I, 18.1.2024, n. 9426.
[26] Si veda per un’efficace ricostruzione della vicenda D. Siracusano-A. Galati-G. Tranchina-E. Zappalà, “Diritto processuale penale”, vol. II, Giuffrè ed., 1996, p. 417 e ss..
[27] Corte Cost., 26.6.-5.7.1990, n. 315.
[28] Su questo intervento normativo si rimanda a P. Moscarini, “Udienza preliminare e presenza dell’imputato: un’anticipazione (quasi) completa degli istituti di garanzia predibattimentale e dibattimentale”, in “Il processo penale dopo la riforma del giudice unico (l. 16 dicembre 1999, n. 479)” a cura di F. Peroni, Cedam ed. 2000, p. 345.
[29] “L'impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell'interesse dell'imputato contumace (nella specie latitante), preclude a quest'ultimo, una volta che sia intervenuta la relativa decisione, la possibilità di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta impugnazione (Cass. pen. sez. un., 31.1.2008, n. 6026, imp. Huzuneanu: in motivazione, la S.C. ha osservato che l'astratta configurabilità di una duplicazione di impugnazioni, promananti le une dal difensore, e le altre dall'imputato, rappresenterebbe una opzione palesemente incompatibile con l'esigenza di assegnare una "ragionevole durata" al processo, sulla base di quanto imposto dall'art. 111 Cost. e dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali)”.
[30] “Ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, da parte dell'indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa (Cass. pen. sez. un., 28.11.2019, n. 23948/20, P.G. c. imp. Ismail Darwish Mhame: principio affermato in relazione a fattispecie precedente all'introduzione dell'art. 162, comma 4-bis, c.p.p. ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103)”; “In tema di processo in assenza, la trasformazione di una nomina d'ufficio in fiduciaria, con conferma della elezione di domicilio presso lo studio dello stesso difensore, costituisce indice di effettiva conoscenza del processo da parte dell'imputato e, in mancanza di allegazione di circostanze di fatto che consentano di ritenere l'incolpevole ignoranza della celebrazione del processo, legittima il giudizio in assenza (Cass. pen. sez. V, 10.10.2022, n. 44399: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la dichiarazione di assenza dell'imputato che, dopo essersi trasferito all'estero, non aveva mantenuto i contatti con il proprio difensore, che aveva partecipato a entrambi i giudizi di merito senza nulla eccepire in proposito)”.