*Il presente contributo è destiato al fascicolo 2/2023.
1. Non è molto facile capire quale sia stato il meccanismo che ha riportato di attualità l’espressione “paura della firma”, e l’ha portata prepotentemente a fondamento delle prospettive della ulteriore riforma dell’abuso d’ufficio o della sua definitiva cancellazione.
Probabilmente si tratta del meccanismo noto sul piano della comunicazione, per cui viene fatta un’affermazione impegnativa, priva di qualunque fondamento sostanziale o quanto meno di verifiche affidabili, ed una volta fatta diventa progressivamente verità attraverso la sua sistematica ripetizione ai più vari livelli.
La verità sarebbe oggi questa: bisogna abrogare l’abuso d’ufficio, o quanto meno renderlo inoffensivo attraverso un’ulteriore riforma fortemente selettiva, per vincere la perdurante paura della firma dei pubblici funzionari e fare quindi ripartire brillantemente la macchina ferma della pubblica amministrazione.
2. Mi sembra un quadro abbastanza sorprendente. Senza pretesa di completezza, alcune riflessioni di carattere generale. La prima. Il fatto che esista, e che continui ad esistere, nel nostro sistema penale una norma di contrasto all’abuso d’ufficio non è populismo giudiziario, o pretesa di invadenza della giurisdizione nel settore proprio della pubblica amministrazione. Tutto il contrario. E’ l’attuazione dei principi dello stato liberale di diritto, e delle regole di fondo del sistema costituzionale, che vuole la giurisdizione come garanzia dei cittadini nei confronti del pubblico potere e dei suoi abusi. E’ altresì’ attuazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale e della uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
La seconda considerazione è autonoma, ma si collega alla prima. Per fortuna l’Italia fa parte del mondo, ed il mondo (mi riferisco alle nazioni riunite nell’ONU, oltre che al nostro mondo europeo tendenzialmente fortunato) vuole, anzi pretende, che gli abusi dei pubblici uffici siano adeguatamente sanzionati sul piano penale. Il riferimento scontato, ma ce ne possono essere altri[1], è alla principale convenzione internazionale sulla corruzione - la Convenzione di Merida del 31 ottobre 2003 fatta propria dall’assemblea generale delle Nazioni Unite - che impone a tutti gli stati la penalizzazione delle più gravi condotte di abuso d’ufficio, quelle intenzionalmente produttive di di ingiusto vantaggio[2]. Solo per ricordarlo a quanti forse non esercitano il dovere della memoria e della conoscenza. E’ la stessa Convenzione, del resto, che impone la penalizzazione della corruzione internazionale[3], del millantato credito[4], nel senso ampio dell’influenza reale o supposta, della corruzione nel settore privato[5]. E’ la stessa Convenzione inoltre - anche questo dovrebbe essere abbastanza noto - che richiede l’adozione da parte degli stati membri delle “tecniche investigative speciali”, tra le quali “la sorveglianza elettronica” e le operazioni “sotto copertura”[6].
Il tutto per una ragione abbastanza semplice, e ragionevolmente nota e condivisa in tutto il mondo: gli stati “sono preoccupati dalla gravità dei problemi posti dalla corruzione e dalla minaccia che essa costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromettendo lo sviluppo sostenibile e lo stato di diritto”[7]. Sembra sufficientemente chiaro, ma forse lo è ancora di più nei passi immediatamente successivi del preambolo della Convenzione: gli stati sono preoccupati anche “dai nessi esistenti tra la corruzione ed altre forme di criminalità, in particolare la criminalità organizzata e la criminalità economica..”; oppure ancora sono preoccupati per il fatto che la corruzione importante (relativa a “considerevoli quantità di beni”) minaccia “la stabilità politica e lo sviluppo sostenibile dei paesi”; sono consapevoli che si tratta di un “fenomeno transnazionale che colpisce tutte le società e tutte le economie”.
Questi concetti sono poi ripresi in modo altrettanto netto in tutti i passaggi successivi rilevanti, funzionali a garantire l’efficacia del sistema di contrasto alla corruzione[8] all’interno di tutti gli stati: dal codice di condotta dei pubblici ufficiali[9], agli obblighi di penalizzazione, al ricorso a strumenti investigativi realmente efficaci, alla protezione dei testimoni, al favore per le segnalazioni dei fatti di corruzione nei modi più efficaci e “tutelanti”, alla responsabilità delle persone giuridiche, agli impegni per una cooperazione internazionale efficace, alla costituzione di autorità indipendenti specializzate nella lotta alla corruzione, adeguatamente finanziate[10], e molto altro ancora.
3. Sembra tutto noto e scontato. L’Italia fa parte di questo mondo e mantiene gli impegni che ha ragionevolmente sottoscritto, e - verrebbe da dire - ci mancherebbe altro. Ma vediamo alcune ulteriori riflessioni.
La norma sull’abuso d’ufficio rappresenta la chiusura del sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, ed è la norma che ne rappresenta il senso profondo: il pubblico ufficio, la pubblica funzione non sono mai lo strumento per colpire ingiustamente qualcuno, o lo strumento per ottenere, o fare ottenere, ingiusti vantaggi patrimoniali a sé o ad altri; sono lo strumento - al contrario - per la realizzazione dell’interesse pubblico.
In ogni delitto del pubblico ufficiale contro la pubblica amministrazione c’è una quota parte di abuso dell’ufficio, che non scatta per la clausola di riserva che lo assiste. Se il pubblico ufficiale (anche il parlamentare) si fa corrompere realizza in prima battuta un abuso del proprio ufficio, perché utilizza l’ufficio per l’arricchimento personale; ci possono essere problemi di qualificazione rispetto alla sua corruzione, ma l’abuso è dentro la corruzione. Lo stesso per gli altri delitti, senza passare ad esemplificazioni non necessarie.
Ed allora già in questo quadro dire che l’abuso d’ufficio determina paura della firma è puramente e semplicemente il rovesciamento della prospettiva, è il rovesciamento della ragione della pubblica funzione; il “potere di firma”, e la relativa responsabilità, sono in vista dell’interesse pubblico, non in vista del danno ingiusto o dell’ingiusto vantaggio patrimoniale.
La norma è pacificamente necessaria e senza di essa il sistema dei delitti dei pubblici ufficiali sarebbe più debole e la funzione pubblica meno responsabile, oltre ad un giudizio di pacifica inaffidabilità nel contesto internazionale.
4. Ma non solo. E’ bene conservare, se possibile, un minimo di memoria e di conoscenza e fare riferimento al testo oggi in vigore dell’art. 323 c.p., ed alla situazione in cui nasce (D.L. 16 luglio 2020 n. 76). Siamo nel Luglio 2020, Covid terribile; situazione di grande difficoltà a tutti i livelli. Si afferma allora l’esigenza di semplificare quanto più possibile, su più fronti e con impatto significativo. In quel contesto, nasce - tra le altre cose - l’ultima riforma dell’abuso d’ufficio e nasce appunto con un obiettivo espresso e dichiarato: "basta paura; bisogna sbloccare". Questa la formula sintetica del 2020.
Il ragionamento era semplice e passava attraverso tre passaggi argomentativi: 1) bisogna limitare la paura del fare da parte della pubblica amministrazione; 2) quindi bisogna eliminare la causa della paura; 3) quindi riformuliamo l’abuso d’ufficio. Ragionamento sulla cui validità già in allora vi erano numerose perplessità[11], al di là dell’approccio sloganistico, ma prendiamolo oggi per buono[12] per ricordare come ha impattato sulla legislazione penale.
E’ del resto il ragionamento che venne espressamente fatto dal Presidente del consiglio in carica, Giuseppe Conte, all’atto della presentazione pubblica del decreto semplificazioni. Questo era dunque il quadro d’insieme in cui si è realizzata l’ultima, e la più radicale riforma, dell’abuso d’ufficio, ed allora il testo che abbiamo oggi è il testo del “basta paura”: il basta paura ha quindi già prodotto tutti i suoi effetti, anche quelli più discutibili.
Se mai ci sono stati, non ci possono più essere funzionari timorosi. Nell’attuale formulazione infatti, come è ampiamente noto, la fattispecie è limitata al caso di violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste da norme di legge (con esclusione dell’area dei regolamenti) dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero al caso di omessa astensione quando sussiste un interesse proprio o di un prossimo congiunto (o negli altri casi prescritti del dovere di astensione); il tutto con evento intenzionale di danno ingiusto o di ingiusto vantaggio patrimoniale. L’abuso d’ufficio è delitto di evento, costruito in termini di danno ingiusto o di ingiusto vantaggio patrimoniale, realizzato con dolo intenzionale, attraverso la violazione di specifiche regole di condotta dalle quali non residuino margini di discrezionalità.
Atteso che bisognava sbloccare, si è molto sbloccato, troppo a mio giudizio. Ma l’attuale abuso d’ufficio è già la plastica realizzazione della limitazione dell’ambito della responsabilità penale funzionale a superare la “paura”, ed a sbloccare.
5. Viene veramente da chiedersi che cosa si potrebbe fare di più, e soprattutto perché. Se il pubblico ufficiale - mi scuso per la semplificazione - “riesce” a cagionare intenzionalmente un danno ingiusto o determinare un ingiusto vantaggio patrimoniale attraverso la violazione di specifiche norme di legge, dalle quali non residuino margini di discrezionalità, è abbastanza evidente e giusto che scatti la risposta penale. In questi casi l’unica “paura di firma” avrebbe dovuto essere quella di commettere un grave delitto contro la P.A. attraverso la firma, ed avrebbe dovuto bloccare l’agire del pubblico funzionario.
Se invece il fatto d’abuso viene realizzato, accompagnato dal suo dolo qualificato e dal suo evento di danno ingiusto o di ingiusto vantaggio patrimoniale, ciò significa semplicemente che la paura non ha operato in termini di prevenzione individualizzante, nonostante la “minaccia di pena” di carattere generale. Non c’è quindi paura di firma; c’è il normale dovere, e la normale responsabilità, di non firmare; se la firma viene apposta c’è una condivisibile e ragionevole meritevolezza di pena.
Lo si ripete, in conclusione: in tutto il mondo, fortunatamente.
[1] Non faccio qui l’analisi del complessivo sistema sovranazionale di contrasto alla corruzione, e di tutti gli obblighi che ne derivano per il nostro paese. Solo alcuni cenni su aspetti del tutto basici.
[2] Art. 19 Abuso d’ufficio.
“Ciascuno stato parte esamina l’adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale, quanto l’atto è stato commesso intenzionalmente, al fatto per un pubblico ufficiale di abusare delle proprie funzioni o della sua posizione, ossia di compiere o di astenersi dal compiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, un atto in violazione delle leggi al fine di ottenere un indebito vantaggio per se o per un’altra persona”.
[3] Art. 16
[4] Art. 18
[5] Art. 21
[6] Art. 50
[7] Si tratta del preambolo alla Convenzione cit.
[8] Qui “corruzione” è intesa in senso lato come l’oggetto della convenzione.
[9] Art. 8.
“Ai fini della lotta alla corruzione, ciascuno Stato incoraggia in particolare l’integrità, l’onestà, e la responsabilità dei propri funzionari pubblici, conformemente ai principi fondamentali del proprio sistema giuridico”.
[10] Art. 36.
[11] V. il commento a caldo di Gian Luigi Gatta, in questa Rivista, Da “spazza-corrotti” a “basta paura”: il decreto semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell’abuso d’ufficio, approvata dal Governo “salvo intese” (e la riserva di legge?), con numerosi rilievi critici sia in relazione alla limitazione delle responsabilità penale dei pubblici amministratori attraverso la riscrittura dell’abuso d’ufficio sia in relazione al c.d. scudo erariale realizzato dall’art. 21 del D.L. cit. (su cui v infra la nota successiva).
[12] E’ ampiamente noto che il D.L. 76/2020, decreto semplificazioni, ha inciso in modo significativo sui criteri d’imputazione soggettiva della responsabilità amministrativo-contabile, limitandola al dolo per le condotte commissive e recuperando dolo e colpa grave per quelle omissive. Scelta anche questa che definire discutibile è veramente poco, e che ha determinato un vistoso impatto di deresponsabilizzazione e depotenziamento dello strumento della responsabilità contabile; scelta che ha inoltre creato, e continuerà a creare, vistosi profili critici di compatibilità con il diritto dell’Unione Europea. Il tema è ampiamente trattato nel volume “La nuova Corte dei Conti, Responsabilità, pensioni, controlli”, Giuffrè, 2022, a cura di Vito Tenore. Si vedano in particolare le pagine da 416 in avanti ed anche la presentazione alla V edizione
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